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Autore: isherwood    15/11/2017    1 recensioni
Berlino, luglio 1987
“Possiamo essere eroi” le disse, riprendendo le parole della loro canzone preferita, quando il loro sguardo si perse di nuovo nella bellezza malinconica della loro città divisa.
Lena chiuse gli occhi ed appoggiò la testa sul suo braccio e sussurrò, con un sorriso: “Solo per un giorno”.
Genere: Generale, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Heroes
 
 
 
We can be heroes,
just for one day.
 
 
 
  Berlino, luglio 1987
 
 
Cercava di raggiungerlo, ma il ragazzo correva molto più in fretta di lei. La risata divertita del giovane risuonava nel parco ed il fruscio delle foglie degli alti alberi accompagnava quel suono che sapeva di giovinezza e spensieratezza.
“Viktor! Ho detto: fermati!” gridò Lena, quasi senza fiato.
Era una splendida e calda giornata d’estate; c’era il sole a Berlino e, nonostante fosse ancora divisa da un maledetto muro, la città non era mai sembrata così viva. Il cielo era limpido, privo di nubi, di un blu chiaro ed acceso, e chiunque avrebbe potuto affermare che al mondo non sarebbe potuto esistere niente che potesse essere paragonato al cielo di Berlino.
Per Lena, niente era come il cielo della sua città. Il cielo, sopra Berlino, non era mai uguale. Cambiava continuamente e quel particolare, che per molte persone era insignificante, le dava speranza per il futuro.
Forse anche la sua città sarebbe cambiata un giorno, proprio come faceva il cielo tra l’estate e l’autunno, e tra la notte e il giorno.
Forse sarebbe tornata un'unica città, un'unica grande città caratterizzata da mille sfumature, proprio come il suo cielo.
“Corri, Schätzchen! Ti ricordavo più veloce!” rispose a gran voce il ragazzo, che si era fermato qualche decina di metri più avanti. Lena sbuffò.
Viktor, invece, era talmente scettico al riguardo che spesso ridacchiava quando lei si mostrava così ottimista e allora la ragazza berlinese si incupiva, chiudeva gli occhi per qualche decina di secondi e li riapriva per tornare a guardare il suo amato cielo sdraiata sul prato del Tiergarten. Quando poi si stancava si voltava verso il giovane, che se ne stava sempre sdraiato sulla schiena, con una sigaretta in bocca e un libro in mano, e si limitava ad osservarlo, per cercare di capirlo meglio.
Lena lo invidiava e al contempo lo compativa; Viktor se ne infischiava di quello che poteva succedergli. Viveva solo e soltanto il presente, senza mai pensare a quello che sarebbe potuto accadere il giorno dopo. L’unica sua aspettativa per il futuro era quella di non perdere mai se stesso.
Viktor amava ridere quasi quanto amava David Bowie, la fotografia, e la letteratura. Era realista e non si faceva alcun problema a distruggere i castelli di sabbia e di carta degli altri. Per questo motivo, le prime volte che lui aveva camminato metaforicamente sul suo, di castello, Lena si era offesa chiedendo a se stessa come potesse passare intere giornate in compagnia di un individuo capace di mostrare così poca volontà nel non ferire i sentimenti altrui. Eppure, nonostante ciò, il ragazzo era la persona più facile e sincera con cui stare.
Mentre gli correva dietro, Lena si rese conto che nessuno riusciva a non farle sentire il peso del mondo come ci riusciva lui. Viktor, con i suoi gesti e la sua risata contagiosa, la faceva sentire parte di esso.
Quando lo raggiunse, il ragazzo sorrise e le porse il libro che teneva in una mano.
“Ti andrebbe di vedere un posto?” le chiese, piegando le labbra di lato.
Lena seppe subito che con quel sorriso sghembo lui voleva indurla a dire di sì. Troppo curiosa, annuì con studiata enfasi e ripose “La Signora Dalloway” nella borsa. Lasciò che Viktor le stringesse la mano ed insieme si avviarono verso l’uscita del parco. Voltandosi verso destra prima di proseguire verso Charlottenburg, Lena osservò lo spiraglio di Berlino Est che si riusciva a vedere. La maestosa Porta di Brandeburgo sembrava invitare chiunque la osservasse ad avvicinarsi ed i graffiti disegnati sul muro della parte occidentale della città parevano esprimere la voglia di libertà che molti dei cittadini dell’est bramavano di ottenere.
Diceva così tante cose inespresse, la sentimentale Berlino.
Poi, il suo sguardo cadde sul cartello “ACHTUNG. SIE VERLASSEN JETZ WEST BERLIN” e uno sbuffo scappò dalle sue labbra.
A volte, invece, non aveva bisogno di dirle perché i cartelli non esitavano a ricordarle.
Decise di camminare in silenzio, mettendo a tacere le voci nella sua testa.
“Dove stiamo andando?” domandò, dopo parecchi minuti.
Viktor scrollò le spalle, limitandosi a risponderle con una frase che aumentò ancora di più la sua curiosità. Lena fece finta di niente e, invece di continuare ad insistere, si limitò ad osservarlo. Osservarlo le sembrò, in quel momento, la cosa più interessante da fare. I raggi del sole estivo giocavano con i suoi capelli rendendoli ancora più biondi, caldi e chiari. L’ombra delle lunghe ciglia gli colorava gli zigomi, e i suoi occhi, illuminati dalla luce solare, erano del colore chiaro dell’acqua turchese ed una sfumatura verdognola li addolciva. Lena si chiese perché i suoi occhi dovessero esprimere una dolcezza che, in superficie, il ragazzo non manifestava. Potevano mentire? Forse.
“Gli occhi però non mentono mai” disse a se stessa ricordando un vecchio detto che le ripeteva sempre sua nonna. La ragazza scosse la testa, lasciandosi scappare una risatina e d’istinto gli strinse la mano facendolo voltare. Sul suo volto un’espressione indecifrabile e Lena vi lesse sorpresa, dubbio ed indecisione. Poi arrivò un sorriso, a cui non seguì nessuna parola. Solo un bellissimo sorriso, uno di quelli che solo Viktor sapeva regalare.
Quando giunsero ai piedi della Colonna della Vittoria, Lena arricciò le labbra, pensierosa. Nella sua mente vagarono diverse ipotesi, ma nessuna di esse riuscì a soddisfare il suo interesse.
“Soffri di vertigini?” Viktor le posò una mano su una spalla e la guardò con un sopracciglio alzato. Sembrava ansioso di mostrarle qualcosa, ma allo stesso tempo pareva preoccupato.
“Un po’, ma fa niente,” lo rassicurò “lo sai”.
“In ogni caso stammi vicino” disse, mal celando un pizzico di serietà, prima di trascinarla davanti alla biglietteria.
Come suo solito scherzò con il ragazzo che aveva venduto loro i biglietti e poi l’avvisò che avrebbero dovuto fare un po’ di scalini. Lena alzò gli occhi al cielo e poi decise di seguirlo dato che lui, preda dell’euforia, era già al decimo scalino.
Viktor cantò per tutto il tragitto, deliziandola con quella sua voce roca che le ricordava sempre quella di Morrissey, il cantante dei The Smiths.
“Something in the night, something in the day. Nothing is wrong, but darling something's in the way!”.
“Come fai a cantare dopo aver fatto diecimila scalini!” borbottò Lena, osservandolo mentre muoveva la testa a ritmo di musica.
“… you can’t say no to the Beauty and the Beast!” Viktor continuò a canticchiare prima di voltarsi e rassicurarla, ignorando completamente il commento della ragazza. “Coraggio, siamo quasi arrivati”.
“Questa non te la perdono” disse lei, puntandogli un dito al petto. “Posso perdonarti la festa a sorpresa, dove praticamente mi hai fatta ubriacare fino a farmi dimenticare il mio nome, ed anche l’assalto a Hans Derrick fuori dall’università, ma -”.
Viktor la interruppe, ridendo nervosamente. “Ti prego, per quel pallone gonfiato di Derrick dovresti solo ringraziarmi!”.
Come risposta Lena gli diede un pugno sulla spalla, mormorando un “coglione” mentre lo superava.
“Stava cercando di farti credere di non essere abbastanza brava per fare il giudice” le disse Viktor, serio.
“Taci, per favore”.
“È solo un miserabile figlio di papà. Senza i soldi di papino non andrebbe nemmeno a pulire le strade”.
“Per la miseria, Viktor, preferirei non parlare di Hans”.
“E fai bene!”.
Continuarono a battibeccare fino a quando a Lena morirono le parole in bocca. Quello che le si presentò davanti era lo spettacolo più emozionante della sua breve esistenza. L’immensa distesa cerulea che la circondava era davvero il cielo sopra Berlino. Quella che vedeva ai suoi piedi era tutta la sua Berlino. Senza parole, si portò una mano a coprirle la bocca spalancata dalla sorpresa.
“Cielo” sussurrò nel momento in cui Viktor le circondò la vita con le braccia.
“Ho sempre sognato di vedere Berlino dall’alto” confessò lui al suo orecchio, posandole poi il mento sulla spalla. “Ma non ho mai pensato a questo posto”.
I due ragazzi restarono in silenzio per quelli che sembrarono ad entrambi secondi infiniti, fino a quando Viktor riprese a parlare.
“Dubito che quel muro possa sparire presto, ma il tuo ottimismo mi fa sperare”.
Lena riuscì a sopprimere una risata e strinse le mani sugli avambracci del ragazzo. “Devo segnarmi questo giorno sul calendario. Mi hai sempre presa in giro per quello”.
“Sono serio”.
Entrambi risero; lei appoggiò la schiena al petto di lui e lui la strinse maggiormente.
“Mi fai sperare ogni volta che canticchi Heroes e, sebbene quel tuo essere sempre ottimista mi faccia uscire di testa dal nervoso, mi fai sentire più umano”.
“Ma tu sei umano, Viktor” puntualizzò Lena con quell’aria da saccente che aveva fatto innamorare in modo silenzioso il giovane berlinese. “E parli anche troppo per essere un semplice essere umano”.
La risata maschile che scosse anche il suo corpo le fece capire che le sue parole non l’avevano infastidito per nulla. Inaspettatamente, il ragazzo allungò un braccio e le indicò un punto davanti a loro - la Porta di Brandeburgo- e le disse di guardare quello che c’era dinanzi ed attorno a lei.
Nei minuti successivi ammirarono il paesaggio: il muro scritto e disegnato davanti alla porta neoclassica, la Fernsehrturm ad Alexanderplatz, il vastissimo Tiergarten, il quartiere di Charlottenburg alle loro spalle, il Reichstag, e poi ancora il muro ed oltre al muro, quasi nascosta, silenziosa e timorosa, c’era Berlino Est. Dietro la Colonna della Vittoria ancora Berlino Ovest.
“Appena quel maledetto muro cadrà voglio vedere l’altra parte della città” mormorò Lena.
Sentendo le parole quasi sussurrate di Lena, pronunciate come se avesse avuto paura di farsi sentire, Viktor si strinse maggiormente a lei e le lasciò un inaspettato bacio sulla tempia.
“La stai già guardando” bisbigliò con le labbra ancora a sfiorare la sua pelle.
“Sai che non mi basterà mai”.
“No?”.
Il sospiro rassegnato del ragazzo le fece il solletico.
“Dico davvero, Viktor. Non vedo l’ora che quella cosa obbrobriosa cada” Lena indicò il muro. “Perché noi lo faremo cadere. Io, tu, Inge, Bastian, Johanna e Florian. Noi ci saremo quando succederà”.
Mentre ascoltava le sue parole, Viktor sciolse la presa attorno alla sua vita e le si mise accanto. Con un braccio le cinse le spalle, proprio quando lei finì di parlare, e le porse la mano aspettando che lei gliela stringesse. Quando lo fece, lui aumentò la stretta e, con un tacito accordo, le posò un leggero bacio sulle labbra. Un bacio giunto dopo troppo tempo.
“Possiamo essere eroi” le disse, riprendendo le parole della loro canzone preferita, quando il loro sguardo si perse di nuovo nella bellezza malinconica della loro città divisa.
Lena chiuse gli occhi ed appoggiò la testa sul suo braccio e sussurrò, con un sorriso: “Solo per un giorno”.
 
 
NOTE:
 
L’avevo scritta e postata un sacco di tempo fa. Mi è recentemente capitata tra le mani e mi sono innamorata di nuovo. Di Berlino, di Lena, di Viktor.
È l’immagine della Berlino divisa vista con gli occhi di due cittadini della parte Ovest. Un’immagine insolita, a mio parere.
Ci tengo, parecchio. Darle una possibilità mi sembrava giusto.
 
 
Il titolo è, ovviamente, lo stesso della canzone del Duca Bianco. La one shot è stata scritta ascoltando Heroes - l’album. La canzone che Viktor canta è Beauty and the Beast.
  
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