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Autore: PrincessintheNorth    18/11/2017    1 recensioni
Prequel di "Family"!
Nel regno del Nord, una principessa e Cavaliere dei Draghi, Katherine, farà conoscenza di Murtagh, il Cavaliere Rosso che si è autoimposto l'esilio ...
In Family abbiamo visto il compimento della loro storia e il loro lieto fine: ma cos'è successo prima?
"-Principessa, per l’amor del cielo … - prese a implorarmi Grasvard. – Spostatevi da lì … non vi rendete conto di chi è?
-È Murtagh figlio di Morzan, ex Cavaliere del Re Nero, erede del ducato di Dras-Leona. – ringhiai. – So benissimo chi è. So anche che è un essere umano come me e come te, a meno che tu non sia un elfo sotto mentite spoglie. È un essere umano ed è vivo per miracolo. Quindi, dato che come me e come te è carne e sangue, gli presteremo le cure che necessita. Sono stata chiara abbastanza?"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Basta … - si lamentò, crollandomi addosso dalla stanchezza.
Mentre io mi divertivo sempre di più.
Se una sola mezz’ora di corsa me la riduceva così, cos’avrebbero fatto tutte le altre attività?
- Oh, e dire che abbiamo appena cominciato … - ridacchiai.
Era rossissima in viso, dal freddo e dalla fatica, e ansimava come se fosse appena uscita dalla battaglia delle Pianure Ardenti. Potevo dirlo perché c’ero.
- Io ti ammazzo, appena torno in possesso delle mie facoltà giuro sugli dei che ti ammazzo!
-  Ma prima mi divertirò io. Sai cosa sto per chiederti, vero?
Impallidì.
- No. – sussurrò, indietreggiando. – No, le flessioni no.
-   Le flessioni sì …
- NO! – urlò e scappò via.
Le lasciai un po’ di vantaggio, poi andai a riprenderla. Non dovetti nemmeno impegnarmi a correre per raggiungerla e afferrarla per la vita.
- Allora, Katie Shepherd. – commentai tirandola su di peso, ignorando i pugni che mi tirava. Chiamarli pugni era un complimento, sembravano un massaggio. – Se sai che è inutile scappare, che senso ha che ci provi?
- Io non mi piegherò alle tue ingiustizie. – sibilò.
-  Ripetimi chi ha mandato chi a dire ti amo a tutti. – ridacchiai.
-  Murtagh … non ce la faccio … - sospirò.
- Non ti credo.
- Mi fa male! – strillò.
-  Il dolore è mentale.
Mi voltai per prendere un bicchiere d’acqua, ma non appena mi voltai mi beccai uno schiaffone di quelli degni di una donna.
-  Ma sei impazzita?!
- Adesso non è più dolore mentale, eh?! – gongolò.
- Ma mi hai tirato una sberla, è ovvio che non è mentale!
- A momenti vomito la milza, ma il mio è mentale, certo. – mi rispose.
Beh, in effetti erano tre ore che la facevo sgobbare di qua e di là, senza pause.
Poteva anche essere che qualche dolorino le fosse venuto.
E magari, potevo essermi vendicato abbastanza.
-  Va bene. – sbuffai. – Sei libera.
Tirò un sospiro di sollievo, buttandosi per terra, stanca morta.
E dato che non avevo niente di meglio da fare, la imitai, sdraiandomi accanto a lei sull’erba soffice.
Neanche fossi una calamita, mi si accoccolò contro all’istante, e certo non era una brutta cosa. Averla accanto era ciò che più desideravo, e vedere che anche lei lo voleva mi riempiva di felicità.
Perciò la strinsi, sapendo che di lei non ne avrei mai avuto abbastanza.
- Murtagh? – mi chiamò dopo cinque minuti.
-  Eh?
-  Perché mi hai dato quel vino magico, l’altro giorno? – chiese.
-  Per darti un po’ di pace, l’ho sempre detto che l’alcol fa miracoli.
-  Idiota. – sbuffò. – Intendevo, perché non l’hai usato tu? Quella sacca era piena. E il tappo è stato piuttosto difficile da aprire, suppongo non venisse aperto da almeno … beh, da anni. Potevi usarla tu, anche tu hai dei morti …
- Il fatto è che con i miei morti non ho molta voglia di fare quattro chiacchere e berci insieme il tè. – commentai.
E soprattutto, perché con i miei morti quel vino non aveva funzionato.
Mentre andavo verso nord, andandomene da Uru’Baen, avevo fatto sosta a quella che, almeno sui documenti, era “casa mia”. Il castello di Morzan.
E mentre andavo nei giardini, che sapevo essere stati la parte preferita di mamma, per cercare il suo roseto, mi ero imbattuto nelle loro tombe.
Avevo sempre voluto delle risposte.
Non tanto da mia madre, sapevo che lei mi aveva amato, ma da Morzan.
Che diavolo poteva aver fatto un bambino di tre anni per meritarsi odio, rancore e ferite mortali? Al massimo potevo avergli rotto un vaso, questo fanno i bambini.
Forse avevo rotto l’urna con le ceneri di sua madre, ma non mi ricordavo di aver mai rotto un vaso, in quella casa.
Perciò, avevo versato la bevanda sulla terra che li copriva, per poi farmi un goccetto.
Non era successo niente.
A quel punto mi ero convinto che non ci fosse vita oltre la morte. Morzan e mia madre erano sicuramente morti.
Ma quando Katie mi era corsa incontro, abbracciandomi, felicissima per aver rivisto sua nonna, quello mi aveva spinto a rivalutare tutto.
Perché con lei aveva funzionato?
C’era qualcosa che dovevo fare, provare emozioni particolari, o gli dei sanno cosa?
Se con Katherine aveva funzionato, perché con me no? I morti forse si risvegliavano solo se avevano interesse a parlare con chi li chiamava?
In quel caso, Morzan era doppiamente stronzo. Non mi aveva voluto in vita, e nemmeno da morto voleva rispondermi?
Che restasse morto, allora.
Stavo meglio senza.
Alla fine, avevo rinunciato a lambiccarmi il cervello e avevo lasciato perdere.
Per fortuna, Katherine non insistette.
Non era ciò di cui avevo più voglia di parlare.
Rimase lì, accoccolata tra le mie braccia, e passammo così praticamente tutto ciò che restava della mattina, ovvero mezz’ora, impegnati a dare nomi calzanti ai vari membri della corte. Fu così che Alec divenne, in via ufficiale, il Principesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-  Scacco matto. – sorrise soddisfatta, spostando la regina e bloccandomi il re, tre giorni dopo l’allenamento folle. Non che gli altri giorni fossi stato più clemente. Lei voleva a tutti i costi allenarsi, quindi le avevo detto di sì, ma riuscivo a farla stancare di meno.  
Il pomeriggio l’avevamo passato in volo, perché lei voleva imparare qualche acrobazia in aria. Quelle le riuscivano molto meglio delle flessioni.
Purtroppo, le venivano anche meglio che a me.
Controllai rapidamente le possibili vie di fuga, ma niente da fare.
Era davvero uno scacco matto, il primo che mi sferrava dopo varie mie vittorie.
- E brava Katie … tanto adesso pretendo la rivincita e ti straccio.
-  Non esserne così sicuro, tesoro. – mi prese in giro.
-  Non esserlo tu, mia adorata.
A quel punto, capii che era iniziata un’altra battaglia.
Sia io che lei non eravamo esattamente … tipi da nomignoli melensi.
Era la gara a chi si inventava il più zuccherino.
- Tortino mio. – sibilò.
-  Mia dolce melassa.
Ebbe un fremito di disgusto. – Cucciolone.
-  Micettina.
- Mio cremino.
-  Mela caramellata della mia vita.
- Fragolone con la panna.
-  Pescuccia sciroppata.
A quel punto, lei mi guardò malissimo. – Bombolone ripieno di crema.
Stavolta, il fremito di disgusto lo ebbi io. – Cupcake all’amore.
Un gran sorriso vendicativo le si dipinse in volto.
-  Orsacchiottino trottolino amoroso.
- NO! QUELLO NO!
Era la cosa più sdolcinata che avessi mai sentito, e capii che mai me lo sarei tolto dalla testa.
Scoppiò a ridere, una risata liberatoria e incontrollata.
- Orsetto dolce! – continuò.
-   Katherine!
- Amoruccio! Tesorinuccio! Leoncino caruccio!
A quel punto, le tappai la bocca baciandola. Così almeno stava zitta, e io facevo qualcosa di molto bello.
Infatti, sentii le sue labbra incurvarsi in un sorriso, mentre la stringevo a me.
Almeno per me, in un attimo l’atmosfera cambiò.
Eravamo soli, era sera tardi, in camera mia.
Sul letto.
Con il fuoco acceso nel camino.
E lei era lì, tra le mie braccia, morbida e calda.
Il desiderio che provavo per lei arrivò prepotentemente, ma lo repressi subito non appena la sentii tremare.
Quel bacio, così intimo, era durato troppo.
E nonostante lei fosse molto più rilassata di prima da quando stavamo insieme (ovvero una settimana), non era ancora il caso di dirle che pensare a lei mi dava certe reazioni.
Aveva comunque quattro anni in meno di me, e c’era una grossa differenza tra i diciassette e i ventun’ anni. Considerando poi che lei era una ragazza, con un passato … non bello, sapevo che sull’aspetto sesso dovevo andarci con estrema cautela.
Perciò mi staccai da lei, che appoggiò la guancia alla mia spalla in cerca di coccole, sistemandosi poi meglio.
Era una cosa che faceva spesso, avevo notato.
E adoravo sempre di più abituarmi a lei.
Quindi, la accontentai e la coccolai. Sapendo che quello mi sarebbe bastato.
Non avevo bisogno di averla nel letto, nuda e ansimante, per stare bene con lei.
Stringerla e poterla coccolare erano già una conquista.
Potevo aspettare che anche lei fosse pronta.
 
 
 
 
   
 
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