Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Feathers    25/11/2017    1 recensioni
A quale grande fan di Crowley non è mai venuta voglia di dare uno sguardo al passato del demone, alla sua vita umana travagliata, alle vicende che hanno formato la sua personalità? Questa storia narra le sue debolezze, i suoi sentimenti e incomprensioni, dalla più tenera età fino alla fine di tutto.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Crowley, Nuovo personaggio, Rowena, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio, Più stagioni
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

      II                                                                                                        




16 Dicembre 1669


Vi sarete senz'altro accorti del fatto che Rowena non si comportava affatto da madre esemplare nei confronti di Fergus.

Anzi, credo di aver appena usato una frase troppo eufemistica per definirla.

Era una madre terribile. E non vi sto parlando di quanto fosse scontrosa, o delle rare, rarissime volte che si sforzava di far felice suo figlio. Quelli erano altri elementi che contribuivano solo in minuscola parte a rendere la vita di Fergus un vero Inferno.

Il problema principale... era che al bambino venivano negati anche i bisogni primari, tra i quali non soltanto il cibo in quantità sufficienti, o i vestiti adatti per affrontare l'inverno scozzese - o meglio, il clima scozzese. Avete idea di quanto freddo faccia lì tutto l'anno?

Ad ogni modo, ciò che più mancava a Fergus erano soprattutto delle carezze, degli abbracci, e dell'amore che in genere una mamma dà spontaneamente al proprio figlio, e che Rowena non si scomodava di concedergli nemmeno per sbaglio. Anzi, posso confermarvi che non perdeva l'occasione di trattarlo come un insetto, o di tormentarlo per ogni stupidaggine.

Era così; lui era stato costretto a crescere troppo in fretta. Fergus non aveva avuto un'infanzia. Era nato adulto. Ed era uno sfortunato adulto di otto anni che sorrideva sempre di meno man mano che cresceva, e che non aveva la minima idea di che cosa fosse la vera felicità.

Certo, una ce l'aveva - solo una - ed era tutta racchiusa in quel fatidico mulino apparentemente disabitato. Credo - anzi, sono sicuro al cento per cento - che fosse proprio il mulino la ragione della sua sopravvivenza.

Una notte sì e due no - o più spesso nei periodi di maggiore sconforto - Fergus si avvolgeva con una coperta che lo faceva sembrare un fagottino impacciato, usciva dalla sua camera in punta di piedi e camminava fino alla grande struttura in legno. Una volta giunto lì dentro, smetteva immediatamente di tremare come una foglia. Non sapeva neanche lui come potesse accadere, ma quella magia non cambiava mai. Quel tepore rilassante era sempre lì ad aspettarlo, con tanto di cibo caldo nascosto al piano di sopra del mulino. Lì era calmo, al riparo da freddo, schiaffi inutili, fame e miseria. Quello era il 'posto più fantastico del mondo', ed era la sua 'casa sull'albero', la sua 'caravella sul mare' ed ogni cosa che lui desiderava che fosse. Poteva giocare lì dentro e fare tutto il rumore che voleva; a nessuno avrebbe dato fastidio, considerata la lontananza dal villaggio.

Il bambino aveva cercato di indagare, di scoprire qualcosa in più su quella bizzarra struttura, su chi potesse averla costruita, su quanti anni avesse. Tuttavia, sembrava che per tutta la gente a cui Fergus domandava, esso non fosse altro che un semplice ed ordinario mulino. Le vecchiette se la ridevano per la 'fantasia' del bambino, e riprendevano i loro chiacchiericci, e le donne del paesino vicino lo assecondavano per un momento, raccontandogli qualche storia o leggenda riguardo il luogo.

Per quattro anni di seguito, quella situazione era andata avanti con una certa regolarità; il bambino era convinto che Rowena non se ne fosse mai accorta, e temeva di emettere anche il minimo rumore ogni volta che usciva. In realtà, la donna lo sentiva di tanto in tanto, ma non faceva che rigirarsi sull'altro lato del suo materasso e riprendere a dormire, sperando che Fergus stesse scappando di casa. In quel caso, avrebbe fatto finta di cercarlo per un po', e poi se ne sarebbe definitivamente lavata le mani, raccontando in giro una storia falsa.

Per sua sfortuna, il figlio era sempre accovacciato nel proprio letto la mattina dopo, crollato dal sonno dopo una notte di calma in quello spazio magico. Ritornava sempre a casa verso le cinque di notte, aprendo la porta con più lentezza possibile. A volte faceva del suo meglio per pulirsi dal fango e dalla polvere, per risparmiare alla mamma la fatica di lavargli i vestitini. Purtroppo, ogni suo sforzo per farsi voler bene era del tutto vano.

Quella famosa notte del 14 Giugno, c'era qualcosa di inconsueto al mulino, ma Fergus non se ne era avveduto immediatamente. All'esterno non aveva notato nulla di insolito. Pioveva da ore, ma il piccolo stava comunque per entrare nel suo tranquillo rifugio, chiudendosi dentro per bene in modo che il vento non provocasse danni.

"Hey, Crowley!" esclamò, non appena mise un piede congelato lì dentro.

Si girò per cercare il suo migliore amico, e quello comparve da un angolino, svolazzando in maniera irregolare come il suo vecchio aquilone. Lo salutò con il solito familiare 'craaa craaa', e Fergus gli riservò uno di quei sorrisi che illuminavano di rado il suo pallido volto.

"Come stai?" gli domandò, lasciando cadere a terra la borsa coi giochi.

Il corvo scese giù dal primo piano, e si andò a posare dolcemente sulla spalla di Fergus. Il bambino ridacchiò, e guardò il suo fidato compagno. Pareva un minuscolo pirata col suo pappagallo.

"Che cosa mangiamo stanotte?" gli chiese, lasciando che il becco di Crowley gli sfiorasse affettuosamente la guancia graffiata. Fergus si era ferito arrampicandosi su un albero due giorni prima.

Il suo amico rimase fermo dopo la domanda; continuò semplicemente ad emettere la versione più bassa del suo verso - un suono simile a quello delle colombe.

"Che succede?"

Silenzio.

Il corvo volò nuovamente di sopra, e gli occhi del bambino guardarono in alto. "Sì, okay. Hai fame, so di... " Si precipitò a salire alcuni pioli, e giunse quasi alla fine della scala. "So di essere in ritardo oggi. Arrivo!" Rotolò sul pavimento del primo piano, stanco morto e con un fiatone preoccupante, serrando le palpebre.

Era malnutrito, era normale che non avesse abbastanza energia. Il senso di fame si rarefaceva negli anni, dato che la voglia di correre e giocare era diminuita a sua volta. Fergus mangiava solo perché sapeva che il suo stomaco doveva riabituarsi - leggeva ogni tipo di argomento fra i vecchi libri rubati a Rowena: anatomia, fisica, arte e perfino i manuali di magia. Leggeva anche le fiabe, però, e credeva che un giorno tutto sarebbe andato per il meglio, come nei finali felici. Ci credeva davvero.

"Crowley... p-puoi anche iniziare se vuoi... tu consumi davvero poca roba... io ho bisogno di stare qui qualche minut-" cominciò a dire Fergus, una mano sulla fronte.

La vertigine non scomparve in fretta. Infatti, quando il bambino riaprì gli occhi, ebbe una visione del tetto sovrastante che girava vorticosamente. Piano piano, però, si arrestò. Era macchiato.

Fergus frullò le ciglia, e si rimise a sedere, reggendosi con le mani lungo i fianchi. "Cosa..."

La scrittura era storta, difficile da comprendere, e vista in lontananza somigliava proprio ad una linea sottile di polvere accumulata sul legno. In realtà erano graffi.

Gli balenò in mente il messaggio sul muro di quattro anni prima mentre assottigliava gli occhi per leggere meglio:

'Fammi bere la pozione color ambra'

Fergus schiuse la bocca.

"Cra..." Il suo corvo era proprio sotto di lui, fra i suoi piedi, e lo costrinse ad abbassare il capo.

"Perché la vuoi?" gli domandò il bambino, dopo una breve pausa.

"Craaa!" Il corvo agitò le ali, e Fergus indietreggiò, perplesso e poco convinto.

"Mmh, okay. È tanto che mi stai accanto... e che mi aiuti. È... è il minimo che io possa fare per te." Si inginocchiò accanto a Crowley, gli accarezzò delicatamente il piumaggio nero e lucido. "Ma gli intrugli che mamma prepara sono pericolosi perlopiù... non voglio che..." Si interruppe; l'animale intanto si era calmato. "...a che ti serve l'Ambra...?"

"Cra... cra... crrrr..."

Il bambino lo fissò a lungo, sbattendo le ciglia nere ed inclinando ancor di più il capo, come a voler stabilire una vicinanza con Crowley, come a volerlo capire nonostante non potesse...

Ad quel punto, Fergus ebbe un piccolo lampo di genio, ed il suo viso mutò espressione. "Tu vuoi... "

"Crrr..." emise il corvo.

Fergus sollevò il dito al cielo in segno di vittoria. "Tu vuoi parlare! Non è forse vero?!"

Il suo amico fece un gesto, come se stesse annuendo, e Fergus posizionò una mano sotto il mento, in atteggiamento riflessivo. Aveva sempre sognato di poter comunicare sul serio con lui.

"Perfetto. Vieni da me un giorno di questi, ed io ti farò trovare la pozione color ambra." gli promise il bambino, e sorrise amichevolmente.

Forse, finalmente, uno dei suoi più grandi sogni sarebbe divenuto realtà.


***


18 Dicembre 1669

"Sto uscendo, Fergus..." lo avvertì frettolosamente Rowena, scappando fuori dalla porta con alcune borse piene. "Vedi di non rompere nulla. Leggi, gioca, fai un po'... quel che vuoi... ma non toccare la mia roba, intesi?"

"Siiì, mamma... sono grande ormai..." mentì il bambino, delineando la forma di un cavallo su un pezzo di carta. "Abbiamo un colore... marroncino?" domandò, ma la donna era già uscita.

Fergus si voltò verso la porta che aveva appena emesso un forte tonfo. "La mamma è così strana ultimamente... chissà che cos'ha..." si chiese. Fissò il suo puledro disegnato al centro del foglio, le orecchie grandi, la coda svolazzante e l'espressione corrucciata. Come quella di un cavallo da circo costretto a stare in gabbia e ad esibirsi a suon di frustate.

"Gli animali non possono parlare. Quindi non possono esprimere opinioni. Né avere il diritto di scegliere il loro mestiere..." Annuì fra sé e sé, sentendosi triste per loro. "Non è giusto. Anche loro meritano di..."

Un sordo 'toc toc' risuonò nell'aria della cucina, e Fergus quasi sobbalzò. Qualcosa aveva picchiettato contro il vetro sottile della finestra. Qualcosa di molto piccolo.

"Crowley..." sibilò il bambino più a sé stesso che ad altri, e scivolò velocemente giù dalla seggiola, fiondandosi accanto al lavello per aprire al suo amico. Il corvo era lì, e sfiorava la finestra col becco di tanto in tanto.

Fergus faticò abbastanza per arrivare là sopra, ma lo fece entrare in un istante. "Eccoti qui! Oh, cielo... mamma era davvero in ritardo... hai rischiato che ti vedesse!"

L'animale volò dentro la stanza in tondo, come per esplorarla.

"Ti farei vedere tutto... ma prima ci tocca trovare la pozione!" sussurrò Fergus, e corse nella direzione della Stanza Proibita.

Quest'ultima era l'unico luogo in cui Fergus non si era mai azzardato a mettere piede. Sua madre gliel'aveva severamente vietato, e lui non ci aveva mai nemmeno provato, temendo che Rowena se ne sarebbe avveduta grazie a qualche metodo dei suoi.

Ma quella volta era giusto rischiare.

Il giovane MacLeod acchiappò il ferretto che aveva tenuto in serbo e, sotto gli occhi curiosi del suo corvo, scassinò lentamente la porta. Era piuttosto complicato.

"Caspita..." mormorò, esausto. "Non perderti d'animo, ce la faremo." disse, deciso. La sua piccola mano diede un colpo finale dentro la serratura, e l'aprì.

Il viso di Fergus si illuminò, ma si spense un'altra volta non appena ciò di cui era arredata la stanza fu messo allo scoperto. Un topolino corse fuori, probabilmente andando ad infilarsi sotto il lavello, ma i due non ci badarono molto. La camera di Rowena era molto diversa da ciò che suo figlio si era immaginato per molto tempo. Il pavimento era semplice come quello delle altre stanze; non c'erano ragnatele appese ai mobili, né ampolle enormi dai colori violacei, né fumi e pentoloni che bollivano. Solo alcuni quadri antichi che ritraevano signore eleganti e dall'aria arcigna, svariate bottigliette in un mobile scuro, ossicini di animali sparsi a terra e strani oggetti - come un orologio con dodici lancette.

Fergus fece due o tre passi, e guardò a destra. "Chissà cosa ci fa con tutte queste cose..." pensò a voce alta, innocentemente.

"Cra..." Il corvo entrò, saltellando sulle zampette.

"Non combinare guai, o ci vado di mezzo, eh?" mormorò il bambino, aprendo i cassetti uno per uno e perlustrandone il contenuto.

Il suo animaletto si avvicinò a lui, osservandolo amorevolmente. "Crrr..."

"Sì, fra un attimo potrai dirmi quello che vuoi. Intanto aspetta... no... questa no... questa è... emh, che nome strano, non so leggerlo. Quest'altra è azzurrina... e invece... questa... eccola! È questa che volevi?!" Fergus estrasse una piccola bottiglia a forma di fiaschetta; il colore era evidentemente dorato alla luce della cucina.

"Craaa," Il corvo agitò nuovamente le ali.

"Fantastico... ci saranno delle istruzioni, no?"

Provò a leggere qualcosa sul retro, ma c'erano solo poche parole in una lingua bizzarra. "D'accordo..." La stappò, e ne mise un po' in un cucchiaino, come aveva fatto sua madre l'unica volta che aveva tentato di curargli la febbre alta. "Ecco, prendi." Lo poggiò sul pavimento, accanto all'amico.

Crowley abbassò la testolina, e beccò piano piano l'incavo, ingurgitando un po' di quel liquido ambrato.

Fergus sorrise.

Tutto sembrava star andando secondo i piani, e Rowena sarebbe rimasta fuori per un bel paio di ore. Almeno, Fergus credeva fosse così, perché improvvisamente sentirono una chiave che apriva la serratura.

I muscoli del bambino si irrigidirono. Il corvo si alzò di scatto, con fare umanamente confuso. Si guardò a destra e a sinistra, in contemporanea col suo migliore amico.

"Crowley, scappa, scappa subito..." Il bambino iniziò a sistemare le pozioni nella posizione originale, ma nella fretta ne ruppe una, che perse un intruglio verdastro sul legno. "Nooo!" strillò, terrorizzato e confuso.

"Fergus! Che diavolo stai combinando?" La voce di sua madre era piuttosto alterata.

Il figlio si voltò verso il corvo, pallido in volto. "Esci, datti una mossa!"

"E tu che farai?" gracchiò il corvo con sforzo evidente, guadagnandosi un'espressione ancor più esterrefatta del bambino. Non credeva fino in fondo che avrebbe funzionato.

Intanto, Rowena irruppe nella stanza, tutta trafelata. Aveva dimenticato delle cose. "Cosa ti avevo detto?!" urlò, le mani minacciosamente piantate sui fianchi. Il bambino si sentì afferrare per la giacchetta prima di poter mettere insieme due parole.

"Mamma..."

"Mamma un corno! Adesso vieni con me." disse la donna, decisa, trascinandolo fuori di lì. "E questo uccellaccio che ci fa qui? Vai via tu!" Fece un gesto fulmineo per spaventare il corvo, il quale tentò di difendere Fergus. La strega si preparò a lanciare un leggero incantesimo contro l'animale, che volò dalla finestra come ipnotizzato.

"Cercami poi!" strillò il bambino dietro di lui, e Crowley riuscì a girarsi per un secondo, per poi sparire velocemente nel tramonto.

"Sbrigati, su. Mettiti i pantaloni, il kilt... quello che ti pare. Andrai a scuola, ci penso già da un bel po' di tempo." disse Rowena, lasciando suo figlio in un angolo ed andando a cercare una valigia.

"No, mamma... Io non - non... mi dispiace, non intendevo offenderti... non l'ho mai fatto, è che era importante stavolta... e io... "

Sua madre non lo ascoltava; era troppo presa ad infilare vestiti ed oggetti appartenuti a Fergus nella valigia tirata fuori da chissà dove.

"Mamma..." mormorò il bambino, tirandole il vestito come quando era molto piccolo, e quella volta Rowena finì col guardarlo con disprezzo.

"Mamma... scusa." Fergus stava tremando. Aveva gli occhi verdi inondati di lacrime, il visino contratto, le mani strette in due pugni.

Avrebbe spezzato il cuore più duro al mondo in quel momento.

Il viso della madre si tese un po' di più. "Non volevi la scuola?!" ringhiò.

"Sì... ma non come punizione..." Fergus si asciugò le guance, strofinandole. "Scusa, mamma..." ripeté.

"Smettila." Rowena chiuse la valigetta e la passò al figlio. "E non è una punizione. So che ci volevi andare, e che ne hai bisogno. Sbrigati a prepararti, prima che chiuda..." mentì, senza un'ombra di affetto nella voce.

Fergus gemette, mordendosi il labbro inferiore. Quindi la mamma voleva fargli un piacere per una volta? Lo voleva rendere contento? La fissò a lungo. Rowena lo fissò a sua volta. Rimasero in quel modo, finché il bambino non le diede il suo primo abbraccio dopo tanti anni, di colpo. "Mamma..." mormorò, la voce rotta.

La donna restò ferma per molto tempo, e solo quando sentì suo figlio singhiozzare, ricambiò meccanicamente quella stretta. Non avvertiva quella sensazione da troppo; non ci era più abituata. Non ci sarebbe più stata abituata, perché non avrebbe permesso che le sue emozioni prendessero il sopravvento su di lei e che controllassero le sue scelte di vita.

Fergus non ne era a conoscenza allora, ma voi dovete sapere che sua madre era in serio pericolo in quel periodo, e non solo perché aveva partorito un figlio da un uomo che non era uno stregone. C'era qualcuno che la cercava. Qualcuno che uccideva.

"Grazie mamma... ti voglio bene."

Rowena fissò un punto indistinto verso la finestra, attraverso la quale 'l'uccellaccio' si era volatilizzato. Il tramonto stava colorando il cielo di un rosso più inquietante che affascinante - forse perché si stava per riempire di nubi, come il cuore della donna.

Scostò il suo bambino, con la scusa delle lacrime che le stavano bagnando il vestito. "Andiamo, su."

***


Fu una giornata piena di sorprese per Fergus. La Stanza Proibita, Crowley che parlava, il lungo viaggio in carrozza. Neanche la scuola era come quella che aveva sempre immaginato nella sua testa, né somigliava a quella dei libri, con le classi, i banchi, ed i maestri.

Avesse saputo che quella era tutt'altro che una scuola!

Si trattava di un ospizio di mendicità. In inglese si dice 'workhouse'... vi è più familiare adesso? Se non lo è, non preoccupatevi, sono qui per raccontarvi. Erano dei luoghi in cui le persone venivano lasciate per reati minori, o per eccessiva povertà. Veniva offerto loro un lavoro talvolta pesante, e spesso anche i bambini erano sfruttati fino allo stremo delle forze. Non c'era nessuna pietà, e Fergus se ne accorse immediatamente, non appena mise un piede lì dentro. Le mura erano squallide, fradice; l'ambiente puzzava di marcio e di uova andate a male. I ragazzini erano smagriti, violenti; correvano e sgomitavano per i corridoi in un modo che lo faceva agitare. C'erano dei signori adulti che tenevano d'occhio i pargoli, e comandavano loro di andare di qua o di là, di tornare in giardino e di usare la zappa, di andare a pulire quel salone o quell'altro bagno.

"Mamma..." mormorò Fergus, guardandosi attorno con aria spaesata. Rowena stava discutendo con una signora alla porta d'ingresso, ed il figlio corse fino a raggiungerla e poggiarle la tempia destra sul fianco. "Mamma... mi verrai a prendere presto, vero?"

"Ma certo." rispose lei atona, toccandosi i capelli rossi con due dita, senza smettere di rivolgere la propria attenzione all'altra donna di fronte a lei. "Adesso devo decisamente andare. Fai il bravo bambino." disse.

Fergus le sorrise, rivolse uno sguardo preoccupato dietro di sé, e poi tornò a Rowena ed annuì. "Ciao, mamma."

"Ciao. Arrivederci." Rowena salutò anche la signora con una mano, e si incamminò verso la strada, in cerca di una carrozza i cui passeggeri non destassero sospetti.

Come vi dicevo, era in serio pericolo.

Fergus non lo sapeva, ma da quel momento in poi, non avrebbe rivisto sua madre per secoli e secoli - letteralmente. Continuò a guardare la porta che si chiudeva proprio davanti ai suoi occhi con un'espressione speranzosa. Finché qualcuno non lo tirò per un braccio, e l'atmosfera mutò.

"Vieni qui!" Era un uomo sulla cinquantina, il capo pelato, la camicia che odorava di tabacco e la voce scontrosa. "Ti faccio conoscere i tuoi nuovi compagni di stanza."

Fergus venne trascinato fino ad una camera grigiastra, in mezzo al rumore e alla confusione di quel posto orrendo. Due bimbi sui sette anni stavano sistemando i loro letti, ed il terzo, un po' più grandicello, puliva il pavimento lurido con una ramazza.

"Ve lo lascio qui. Attenti agli incantesimi che potrebbe lanciarvi." L'uomo ridacchiò, e diede una spintarella alla schiena di Fergus, costringendolo ad entrare nella stanza.

"Dov'è mia madre adesso?" mormorò il bambino, preso dal panico; un po' della sua speranza era già svanita.

"Chi? La strega?" gli chiese il signore, ironicamente, mettendo in mostra una fila di denti scuri. "Non so dove sia diretta; l'unica cosa certa è che tu resterai qui... e ci lavorerai." Rivolse lo sguardo agli altri. "Fateci amicizia."

Detto ciò, si allontanò a passo di soldato.

Gli altri bambini della stanza, dal canto loro, lo stavano esaminando da capo a piedi. Videro il kilt stretto​ alla vita dalla cintura presa dai MacKeon, le scarpe consumate, la faccia paonazza per l'imbarazzo.

"La sua mamma è una strega?" fece il biondino, sussurrando al suo gemello che aveva l'aria incuriosita.

"Certo..." gli rispose quello, controllando ogni movimento del nuovo arrivato.

Fergus non riusciva a capire. C'era qualcosa di male nell'essere una strega o uno stregone? Perché quei bimbi ne parlavano come se si trattasse del Diavolo?

"Io voglio tornare... " disse Fergus, spontaneamente, sbattendo le palpebre. "La mamma deve venirmi a prendere... quando lo farà?"

Il dodicenne, mosso a pietà, gli si avvicinò di poco e gli mise cautamente una mano sulla spalla. "No, la mamma non ti viene a prendere. Non penso proprio. Io sono qui da tantissimo tempo." gli confessò, gli occhi lucidi.

Anche Fergus era sull'orlo del pianto. Iniziò a tremare tutto. "Ma come... Io non - definisci 'tantissimo'..." domandò.

L'altro si strinse nelle spalle. "Almeno tre anni... non ricordo molto bene. Ho avuto un problema... ho sbattuto la testa al lavoro..." Si indicò il capo.

"Cinque anni, Thomas..." gli suggerì uno dei gemelli, incrociando le braccia fasciate. "Non tre..."

Thomas si voltò.

I ragazzini incominciarono una discussione animata che sembrava uno di quei litigi dei grandi. Anche quei bambini erano in realtà degli adulti, così com'era Fergus. Bambini senza infanzia, bambini della miniera. Lavoratori non consenzienti, come gli animali da circo a cui Fergus stava pensando solo poche ore prima. Quanto a lui, ad un certo punto non sentì più le loro voci. Si era completamente ammutolito, ed aveva la faccia cerea e sconvolta di chi era stato appena bastonato a sangue. Desiderava solo capire perché. Perché Rowena lo aveva abbandonato lì? Non le interessava di lui? Allora non era vero che aveva cercato di realizzare un suo desiderio, per una volta?

Voleva urlare, e infatti fu ciò che fece poco dopo. Scappò di corsa fuori dal balcone più vicino, lasciando il gruppo di bimbi intenti a chiaccherare, e spalancò la finestra.

"Mammaaaaa!" Si mise ad urlare prima moderatamente, poi a squarciagola, le lacrime gli rigavano il volto man mano. "Mammaaaaa!"

Nessuno gli rispose. Le persone sottostanti lo contemplarono per un momento, poi ripresero le loro attività.

Continuò a urlare finché lo stesso uomo di prima non lo strattonò fino a portarlo in uno stanzino, chiudendolo lì fino all'ora di cena. Fergus non reagiva neppure, e non realizzava l'accaduto; per lui era tutto un incubo. Un dannato incubo di quelli che dovevano finire più presto possibile.

Quella notte, mentre fingeva di dormire sul suo materasso, Fergus non riusciva a smettere di pensare al mulino, alla sua vecchia vita alla quale si era anche abituato nonostante tutta quella tristezza. Singhiozzava nel sonno, stringendo le coperte sottili ed inzuppando il cuscino che lui stesso aveva fabbricato con un ammasso di lenzuola.

Prese a fare una lenta preghiera a fior di labbra. "Mamma... torna, prendimi. Ti sei sbagliata, questa non è la scuola. O forse lo hai fatto apposta? Io non ci voglio stare qui... mi stanco, ho paura dell'uomo grande... e non riesco a - a... e io... io voglio tornare a casa, e voglio la mia mamma anche se mi picchiava. F-forse mi picchiava perché non ero abbastanza buono, e perché aveva capito che scappavo da lei la notte... non sono stato un bravo bambino, è per questo che mi ha lasciato qui... è colpa mia. Voglio la mamma... e voglio il mio corvo..."

Ti salverò, Fergus.


Angolo di Feathers:

Non si vede che stavo studiando Giovanni Verga/Charles Dickens nel periodo di stesura dei capitoli, veeeero? *high saaarcasm*
Anyway, da ora in poi ne vedrete delle belle, e so che già vorreste uccidermi, ma io l'avvertimento angst ve l'ho messo u.u *sparisce* vvb <3
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Feathers