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Autore: Feathers    18/11/2017    3 recensioni
A quale grande fan di Crowley non è mai venuta voglia di dare uno sguardo al passato del demone, alla sua vita umana travagliata, alle vicende che hanno formato la sua personalità? Questa storia narra le sue debolezze, i suoi sentimenti e incomprensioni, dalla più tenera età fino alla fine di tutto.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Crowley, Nuovo personaggio, Rowena, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio, Più stagioni
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18 Settembre 1665


La punta della matita scura strisciava lentamente sulla carta ingiallita, tracciando delle linee di tanto in tanto sbilenche, raramente dritte. La sua piccola mano non era ancora abbastanza ferma, ma ciò non rappresentava un problema. Aveva cominciato a sperimentare quella nuova attività da poco. Alcuni giorni prima, aveva visto sua madre usare una strana piuma macchiata di liquido nero e denso per scrivere su un foglio - e come è normale in quasi ogni bambino della sua età, aveva avuto voglia di imitarla. Era rimasto ad osservare la calligrafia ordinata della mamma, facendole fin troppe domande su cosa significasse quello, e che cosa volesse dire quell'altro.

Fortuna che imparava anche troppo in fretta.

Lo so io; io lo conosco molto bene. Meglio di quanto lui creda. So che possedeva un'intelligenza superiore alla media, e che tutte le persone che gli stavano attorno se ne erano accorte. So che adorava passare il tempo creando costruzioni coi fiammiferi, o disegnando forme già perfettamente riconoscibili con le tinte che riusciva a trovare - e non si trattava delle classiche casette col tetto rosso, o dei soliti animaletti buffi delineati da un bimbo di quattro anni. Lui inventava, fantasticava, stravolgeva tutto. Guardava fisso un paesaggio fuori dalla sua finestrella per minuti, e poi si metteva a cambiarlo sulla carta, a colorarlo diversamente da come ho fatto io in passato. Devo ammettere, però, che mi piacevano le sue opere d'arte. Vorrei che non avesse smesso di crearne.

Finalmente - dopo parecchi secondi di lavoro con la lingua di fuori - il suo nome completo comparve sotto la sua mano destra, le lettere finali un po' sbavate.

Fergus Roderick MacLeod.

Solo a me sembra buffo e solenne allo stesso tempo?

L'espressione imbronciata di quel visino si tramutò lentamente in una smorfia soddisfatta, il labbro inferiore in fuori.

"Mamma!" Fergus si alzò frettolosamente da terra, raccogliendo il foglio frusciante e quasi scivolando. Corse fino alla cucina, attraversando il corridoio bianco che odorava di spezie. "Mamma! Guarda cosa ho fatto! È il mio nome... "

Si arrestò davanti alla porta della stanza, fissando Rowena MacLeod da dietro. Quanto a quest'ultima, i compaesani non sapevano molto di lei. Solo che preferiva stare sola, che aveva avuto un bambino - da chissà chi - e che aveva comportamenti sospetti alle volte. E, ovviamente, che era dannatamente attraente.

I capelli mossi e rossi le scendevano morbidamente sulla schiena come sempre, sfiorandole la vita sottile e coperta dalla consueta stoffa nera. Stava dando le spalle al bambino. Fergus le si avvicinò.

"Che succede?" chiese Rowena, il tono quasi privo di emozione, senza neanche voltarsi a guardare suo figlio. Stava tagliando alcune verdure per il pranzo, le maniche sollevate sui gomiti esili.

"Ho... scritto." le rispose subito Fergus. La testa del bambino arrivava a stento a sfiorare il fianco destro della madre. "Ho scritto il mio... nome!" disse più forte, nella speranza di farsi notare.

Ci fu una pausa di silenzio allora. Il profilo della donna era ancora fermo.

Con un gesto non troppo veloce, Rowena prese il foglietto dalle piccole mani di Fergus, e ci diede un leggero sguardo. I suoi occhi verdi vagarono per la carta sporca, poco prima che la donna gliela riconsegnasse.

Il bambino stava a fissarla dal basso, impaziente di ricevere un giudizio, la mano quasi aggrappata alla sua gonna scura.

"Non appenderti ai miei vestiti." disse semplicemente Rowena, lasciandolo interdetto.

Il sorriso di Fergus si trasformò in un'espressione delusa. Si ritrasse. "Ma io ho..."

"Sì. Stai imparando a scrivere. Bravo." disse lei, asciutta, riprendendo a tagliare le carotine.

Sembrava molto pensierosa - almeno, a Fergus sì.

Lui lo percepiva.

Lo percepiva anche fin troppo spesso purtroppo, e gli sarebbe piaciuto poter fare qualcosa di utile per far sentire meglio la sua mamma.

Avesse saputo che a lei non importava nulla di lui! O quasi... Per essere precisi, Rowena si sforzava di fregarsene del tutto di suo figlio.

"Ieri ho... ho letto una... parola..." mormorò Fergus, speranzoso.

Solo in quel momento, Rowena si decise a distogliere lo sguardo dalla verdura. Fissò con più attenzione il suo bambino, il quale aveva addosso solo un leggero tessuto scozzese, i tanto odiati pantaloncini neri e le scarpine scure. Sembrava tremare dal freddo, o forse era una sua impressione?

"Che parola hai letto?"

Fergus schiuse la bocca rosea. "Famiglia." Fece una pausa. "Che significa... 'famiglia'...?" domandò.

La donna rimase interdetta; la frase che aveva appena sentito le rimbombò in testa. Famiglia. Chiuse gli occhi, ed una valanga di ricordi la strappò alla realtà per qualche secondo.

"Non lo so, Fergus." rispose, sbrigativa. "Cioè... lo so ma... non è nulla di così importante." Fece un gesto in aria, il tono sarcastico. "...un... gruppo di persone con legami di sangue. Che in certi casi hanno lo stesso cognome."

Il viso del piccolo si illuminò gradualmente. "Come... tu ed io?"

Rowena assottigliò le labbra ed alzò gli occhi al cielo. "Vai di là. Ho da fare."

Il piccolo fece per parlare di nuovo, ma fu zittito da due gesti rapidi di Rowena. A quel punto, non gli rimase che annuire frettolosamente e scappare nella sua stanza.

Aveva fallito nel suo intento per l'ennesima volta. E si sentiva quasi in colpa quando accadeva.

Ma che poteva farci il povero Fergus, in fondo? Sua madre era così ormai. Ed era stata la vita a cambiarla, o almeno lei diceva così ogni volta che aveva bisogno di giustificare il suo comportamento meschino.

Se fosse rimasta un po' di umanità in Rowena MacLeod, lei non l'avrebbe comunque mostrata in giro, di questo ne sono certo. Lei diceva sempre che l'amore era debolezza.

Quanto si sbagliava...

Mi chiedi perché?

Io so perché si sbagliava, ovviamente. Ma non sta a me spiegarlo, bisogna capirlo da soli, o che senso ha?


***

21 Settembre 1665


"Cosa vi devo per quel... uhm... vestito?" domandò Rowena alla signora McKeon, occhieggiando il figlio che giocherellava con una pallina che aveva portato.

"Non molto, signora. Venite un minuto a dare un'occhiata ai nuovi che ho rimodernato stamane. Credo che sarebbero di vostro gradimento." le disse l'altra signora, con molta cortesia.

Rowena annuì, e raccomandò al figlio di stare calmo e di non toccare niente.

Fergus abbassò il capo, e si rimise tranquillamente a far rimbalzare la pallina. Conosceva ormai quel negozio come le sue tasche. Era sempre stata la solita vecchia bottega in cui si vendeva la qualunque: dai fiori più disparati ai dolcetti, dalle stoffe ai prodotti per la casa. C'era un profumo indistinguibile - forse derivato dalla mescolanza di tutte le cose ammassate lì - che la contraddistingueva, e che rimaneva su ogni articolo che Rowena acquistava. Fergus lo chiamava 'odore di Keon'. Gli piaceva dare un nome alle cose, ai luoghi, alle persone di cui sapeva poco, specie se si trattava di parole totalmente inventate da lui. E quando gli adulti sostenevano che ciò che diceva non aveva senso, lui rispondeva: "E quindi? Nessuno ha ancora dato un nome a questa cosa... perché non posso farlo io?"

Ad un tratto, mentre il bambino giocava, una strana ombra guizzò velocemente attraverso la finestra, facendolo sussultare. In una situazione normale, Fergus avrebbe cercato di capire cosa fosse, o sarebbe fuggito da qualche parte, spaventato. Ma si trovava fuori da casa, e gli era stato espressamente detto di non muoversi. Inoltre, a causa dello spavento, la pallina gli era sfuggita ed aveva preso a rotolare.

Dopo un momento di confusione, Fergus la seguì, facendo una rapida corsa fino al punto più lontano dal bancone di legno scuro. Ecco il giocattolo rossiccio, che si nascondeva sotto lo scaffale. Il piccolo lo raccolse subito, preoccupato di perderlo - era uno dei pochi che aveva - ma non poté evitare di adocchiare le caramelle di zucchero colorato proprio sotto le sue narici, con quel profumo dolcemente speziato.

Gli venne l'acquolina in bocca. "Mammaaa!" Si girò immediatamente. "Mammaaa! Me ne prendi una confezione, per favore?!"

"Qualunque cosa sia... non oggi!" esclamò Rowena dopo un secondo, dall'altro lato del negozio.

Fergus storse il naso; si rese conto del fatto che sua madre non lo avrebbe accontentato, e fece per arrendersi, guardando con brama l'oggetto del suo desiderio. "E se..." Diede un'occhiata attorno; l'attenzione delle due donne non era puntata su di lui da un pezzo. Avevano preso a parlare delle stoffe più pregiate, dei difettucci di fabbricazione, e dei prezzi più convenienti - delle cose da adulti, no?

Il bambino sorrise soddisfatto, prese con un gesto rapido un pacco di caramelle e lo infilò in tasca in fretta e furia.

Ecco. Aveva ottenuto quello che desiderava.

Pensandoci bene, però, si rese conto che avrebbe dovuto aspettare il suo arrivo a casa per mangiarle. Avrebbe dovuto anche nasconderle in un posto sicuro, dove la mamma non guardava mai, e sarebbe stato costretto a finirle subito, prima di essere scoperto.

Perché non mangiarle proprio in quel momento, allora, dato che erano tutti disattenti?

Il bambino estrasse il pacchetto dalla tasca della camicetta scozzese. Ci mise mezzo minuto buono ad aprirlo - quella confezione era complicata, un po' come la carta degli attuali lecca-lecca. Il sapore dolce di quello zucchero alla fragola si sciolse meravigliosamente sul suo palato.

"Hey..."

Fergus sobbalzò; una voce lo aveva apostrofato improvvisamente, e rischiò di strozzarsi. Smise di mangiare, cercando di rimettere le caramelle in tasca, confuso.

La persona si avvicinò. Era solo la figlia della MacKeon, la quale era praticamente la copia in miniatura della madre: capelli biondo cenere, occhi color militare e zigomi alti. "Cosa stai facendo?"

"Io... io niente... non ho fatto niente... " prese a dire Fergus, scuotendo la testa. La mano gli tremava sotto la stoffa.

"Tesoro..." mormorò la giovane, mossa a pietà. Si guardò attorno. "Mi dispiace ma... non puoi prendere queste senza pagarle..."

Il respiro del piccolo si regolarizzò, pian piano. La fissò, le pupille che si ingrandivano lentamente.

"Mamma non vuole." rispose Fergus, categorico, nascondendo le labbra e serrando i pugni. Guardò a terra, studiando il tessuto fantasioso del tappeto per smorzare l'emozione. "Mi dispiace." Restituì le caramelle alla ragazza, con un gesto imbarazzato.

Ci fu una pausa di silenzio.

"Io... te le regalerei ma..." tentò di dire la venditrice, a voce bassa, prima che Rowena interrompesse il loro dialogo.

"Fergus! Che stai facendo?!"

Suo figlio si voltò a guardarla. Sua madre si stava avvicinando velocemente, facendo ondeggiare la gonna nera.

"Non possiamo comprare quelle, ti ho detto!" Gliele strappò dalle mani, e le rimise al loro posto. "Scusatemi. Sarà intelligente, ma è anche incontrollabile..."

La figlia della MacKeon negò con la mano. "Oh no, no no... non preoccupatevi. È... è tutto okay. Vostro figlio sembra adorabile... "

Rowena la ignorò con un sospiro. Afferrò la busta con il vestito che aveva comprato, e quasi trascinò il figlio fuori dal negozio, mormorando un lesto 'arrivederci'.


***


22 Settembre 1665


Faceva già abbastanza fresco nella verde ed umida campagna vicino Glasgow.

Le nuvole coprivano quasi completamente il cielo, creando una coltre grigiastra che Fergus amava paragonare alla schiuma di mare, o alla biancheria che Rowena lavava in un mastello con la cenere - sì, perché in antichità si usava la cenere per sbiancare i capi.

Fergus aveva cercato di fabbricare un aquilone da solo quel pomeriggio tardo. Era piegato a terra in mezzo all'erba, il ciuffo di capelli gli cadeva di tanto in tanto sul viso, e lui lo scostava, prima di ricominciare a lavorare con impegno. Aveva iniziato a leggere le istruzioni in un libro trovato a casa, concentrandosi maggiormente sulle figure.

Alcuni bambini più grandi, dai nove ai tredici anni, passavano coi loro giochi ed i loro pupazzi ricavati dalle vecchie stoffe, ed osservavano con stupore quel minuscolo essere accovacciato che guardava di sbieco un pezzo di spago troppo debole per i suoi gusti.

Fergus decise di legarne due per renderli resistenti, e alla fine ci riuscì.

"L'unione... " disse, stringendo l'aquilone nella mano sinistra e lanciandolo. "...fa la forza!" esclamò finalmente, ammirando la carta verde brillante che si librava nel cielo, con soddisfazione - come quando aveva terminato il suo primissimo disegno.

L'aquilone fece un paio di acrobazie storte, per poi seguire il vento e correre nella direzione in cui il bambino lo stava conducendo. Sembrava che un pezzo di prato si fosse staccato dal terreno, e avesse preso a svolazzare sopra la sua testa.

"Un mulino!" gridò Fergus, avvistando in lontananza una grande struttura marrone fornita di pale. Lo stavano ristrutturando; si ricordava una specie di casa rustica al suo posto.

Gli balenò per la mente un'idea: sarebbe andato a visitarlo. Rowena non lo calcolava da ore, come faceva da sempre, e l'aveva lasciato a scorrazzare vicino casa loro senza curarsi di ciò che poteva accadergli. Quindi, lui si riteneva libero.

Sfrecciò fino al muro in pietra muovendo in fretta le agili gambette, curioso di vedere chi ci fosse lì. Gli piacevano davvero troppo i mulini, ed era giusto che gli piacessero.

'Cosa intendi con giusto?' mi chiederai, caro lettore.

È che quel mulino era importante, e lui doveva andarci. È così. Io spesso vi indirizzo verso quel che è il vostro destino, verso ciò che è giusto per voi, e voi non lo sapete. Non ancora. Con questo non voglio assolutamente dire che siete delle marionette. Non ne siete consapevoli perché state seguendo una vostra pulsione, un vostro desiderio che io stesso vi ho regalato. In realtà, ogni piccolo elemento della vostra vita - e quindi, anche della vita del piccolo Fergus - ha semplicemente un significato più profondo, e vi spinge sui binari giusti.

Fergus giunse davanti alla porta. Esitò, poi bussò piano piano sul legno per educazione, come gli aveva spiegato Rowena.

Attese, ma nessuno si degnò di aprirgli. Certamente. Chi lo abitava al momento non era neanche capace di aprire porte!

Aspettò un minuto, due, poi bussò una seconda volta. Ancora nulla.

Decise di permettersi di varcare la porta da solo, dato che era sicuro non ci fosse nessuno - o avrebbero aperto, secondo lui. Ritirò l'aquilone aiutandosi con entrambe le mani, e poi aprì l'uscio con un leggero sforzo.

Restò per qualche secondo con la bocca semiaperta a guardare la struttura interna del mulino. Delle linee di luce debole filtravano da sopra, creando un'atmosfera suggestiva ed illuminando in parte la ruota, le scale a pioli, e le altre cose strambe alle quali Fergus non avrebbe saputo dare un nome esatto. Era tutto in legno lì dentro.

Posò il suo giocattolo a terra vicino alla scala a pioli, e sorrise, entusiasta. "Tu guarda che roba..."

Afferrò un piolo, facendo leva sul braccio e gemendo un po'. Si mise a salire lentamente, ed arrivò sopra con il fiatone - le sue scarpe non erano proprio adatte.

Non c'era molto al primo piano, o almeno così sembrava - solo altri pezzi di marchingegno. Il bambino si guardò attorno per un po'.

"Mi piace... vorrei vivere qui." mormorò innocentemente fra sé e sé, e si sistemò la camicetta. "Posso creare un... nascondiglio."

Si mise a toccare e ad esaminare tutto con calma e pazienza, finché un'ombra fulminea non passò sopra di lui, producendo uno strano rumore simile ad un 'cra'. Il ricordo dell'avvenimento del giorno prima gli balenò in testa, mentre Fergus si nascondeva dietro la struttura. Rimase in posizione fetale lì per almeno dieci minuti, tendendo l'orecchio ed annusando di tanto in tanto l'aria.

Profumo di zucchero e frutta.

"Cosa..." Il bambino si rialzò, guardandosi nuovamente attorno, e finalmente lo vide.

Il becco a punta si muoveva di tanto in tanto a destra e sinistra, e le piume nere lo ricoprivano del tutto.

'Craaa!' fece il corvo, fissandolo con quegli occhi piccoli. 'Craaa!'

"Sei... sei tu che abiti questo mulino a vento?" domandò subito il bambino.

Il corvo non si mosse per un po'. Inclinò la testolina, e poi volò dall'altra parte della ruota.

Fergus era confuso. "Cosa vuoi? Eri tu l'altro giorno quando-"

"Cra..." gracchiò l'animale, volando sul muro di legno e costringendolo a guardare in alto.

Fergus rimase a fissare di sopra, gli occhi scuri all'insù, completamente perplesso. C'era scritto qualcosa. Lesse, decifrando le lettere man mano, e finalmente unendole in un'unica frase.

"Vieni qui ogni volta che hai fame." recitò a voce alta.

Si voltò di scatto verso il corvo. "L'hai scritto tu?" Ma il suo viso si rabbuiò.

L'animale era sparito. Al suo posto c'era solo un pacchetto di caramelle speziate. Era piccolo e bianco, leggermente ammaccato sulla destra.

Lo stesso che giorni prima aveva cercato di prendere.

Buon compleanno, Fergus.





Angolo di Feathers:

Salve lettori! Sono tornata con questa nuova fanfiction su Crowley, che spero di poter aggiornare ad intervalli regolari (sapete com'è, vita, impegni ecc... ma giuro che la porterò a termine)
Ps: il titolo l'ha scelto Sarandom *saviour*
   
 
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