Fumetti/Cartoni europei > Winx
Segui la storia  |       
Autore: Applepagly    26/11/2017    4 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
VIII
 
Oh, the lives that brush against us, pass us by and by
The friends who may or may not come if we would first invite
Oh, to open doors, to always gladly fly and fly
Into the sting of the cold and the prick of the barded wire
Evensong, The Innocence Mission
 

Timmy abbozzò un timido sorriso in risposta alla battuta di Jared.
In realtà, non era nemmeno sicuro di averla capita; l’umorismo dell’altro era piuttosto singolare. Tuttavia, gli altri sembravano quasi commossi dalla vis comica delle sue parole e non emularli avrebbe implicato dare adito a sospetti.
Insomma, non poteva certo lasciare che lo guardassero, smettessero di divertirsi e gli domandassero perché mai fosse così cupo proprio quella sera; non voleva che lo costringessero a non pensarci e a scatenarsi in pista come loro.
Perché, in verità, aveva intenzione di trascorrere il resto dell’intera serata a rimuginare su quella triste incognita che continuava a ronzargli in mente.
Perché Tecna non c’era?
I giorni precedenti si erano tenuti in contatto e lei lo aveva informato circa la sua partenza, ma non gli aveva detto nulla riguardo la festa.
Anzi, a dirla tutta, non avevano mai affrontato l’argomento. Lui aveva dato per scontato che lei ci sarebbe stata, che sarebbe arrivata con le sue amiche.
Ma le cose non erano andate così.
Forse… forse si era aspettata che lui tirasse fuori il discorso, che la invitasse. Che sciocco. Perché non ci aveva pensato prima?
Tecna era una ragazza. Brillante, razionale e ligia al dovere; ma pur sempre una ragazza. Gli altri gli avevano accennato qualcosa in merito…
Forse si era semplicemente stufata di aspettare; forse ora voleva qualcosa di più, e lui non era stato in grado di capirlo.
Oppure… non aveva ricevuto l’invito da Stella?
«…È possibile, Timmy?» la domanda di Maria lo riportò alla realtà.
«No, non credo…» replicò subito, senza nemmeno rendersi conto delle parole che erano volate dalle sue labbra in risposta a quella sciocca ipotesi formulata dalla sua mente.
I suoi amici lo osservarono, perplessi.
«Scu-scusate… devo andare un attimo in bagno» fece, abbassando lo sguardo.
Mentre si allontanava, poteva indistintamente sentire i sussurri di chi aveva assistito alla scena e l’aveva trovata strana; perché lui era sempre quello strano, quello bizzarro; ma quel giorno pareva esserlo ancor di più.
Aveva importanza? Anche Tecna lo trovava bizzarro?
Uscì dal salone, richiudendosi alle spalle la pesante porta. L’antro di fronte a sé era illuminato quel poco che bastava perché non inciampasse sui suoi stessi piedi.
Forse avrebbe dovuto telefonarle. Chissà, magari aveva rifiutato l’invito proprio per la natura di quella festa, troppo chiassosa e distante dai suoi gusti.
Forse.
Digitò in fretta il numero telefonico, esitando qualche istante. Si fece forza; ma Tecna non rispose.
Fece un altro paio di tentativi, allontanandosi sempre più dalla sala; ma ancora nulla. Sospirò, sedendosi su un cumulo di detriti della parete dietro di sé, franata.
Avrebbe dovuto smettere di accampare tutte quelle ipotesi solo per non affrontare la realtà dei fatti. Sapeva, ormai, di non poter più continuare a nascondersi dietro le sue e-mail, dietro quelle conversazioni fatte di parole che non valevano niente.
A lei non bastava più; e ne aveva tutte le ragioni.
Ma tutto ciò non faceva per lui.
Conoscere una ragazza, frequentarla, fare il primo passo con lei e manifestare il proprio interesse così da… no, non era per lui. Avvertiva un blocco al petto ogni volta che ci pensava. Forse, forse non era ancora pronto, e doveva aspettare.
Ma lei sarebbe stata in grado di fare altrettanto?
Mentre rifletteva, cercò una posizione più comoda.
La consistenza di quei detriti era curiosa. Ma dov’era finito?
Fece per alzarsi, quando si accorse di ciò che lo scrutava nell’ombra. E, d’un tratto, comprese.
Urlò, ma era già troppo tardi.
 
Ormai era trascorso un bel po’ di tempo; ma di Bloom ancora nessuna traccia.
La prima ad accorgersi della sua assenza prolungata fu Flora. Cercava di scorgerla tra le decine di presenti; eppure, sembrava essere scomparsa.
Raggiunse Stella che, in quel momento, stava ballando insieme al fidanzato e a Musa.
Poco distante c’era Alan, affiancato da Aibao; il primo sorseggiava qualcosa, di quando in quando, guardava di sottecchi Brandon. La fata dei fiori non riusciva proprio ad inquadrarlo, ma aveva inteso che dietro a quelle occhiate di astio vi fosse ben altro.
«Inizio a preoccuparmi. È via da molto» esordì, raggiunte le amiche.
«Sarà con Sem… ma non hai visto come si guardano, quei due?» scherzò Brandon, con un’occhiata maliziosa e divertita. «Insomma, non mi sorprenderei se avessero iniziato a parlare e… da cosa nasce cosa, quindi…»
«Guarda che mio fratello non è un poco di buono!» tuonò Alan, voltandosi di colpo.
«Rilassati, Al» intervenne Aibao. «Stava solo scherzando»
Il biondo scosse la testa.
Scherzava sempre. «Non sa fare altro. Mi domando se si comporti da buffone anche con la sua ragazza. Forse non fa sul serio nemmeno con lei» proseguì. «Non me ne sorprenderei. Bah. D’altronde, con una così…»
Alan si accorse tardi di essere stato sentito e di aver esagerato.
Come rivolse un’occhiata tagliente alla principessa, qualcosa lo costrinse a terra; e il fitto vociare si ammutolì, lasciando le vivaci note della melodia che risuonava come unico sottofondo di quello spettacolo patetico.
Il ragazzo si portò una mano al naso, sentendolo dolorante. Sanguinava.
«Puoi sputare acido quanto vuoi, finché si tratta di me» ora Brandon era minaccioso. «Ma non toccare Stella»
«Ma sei impazzito?» sbottò Stella. «Ti sembrava il caso?»
Lo Specialista non rispose, allontanandosi. La fidanzata scosse la testa, sospirando.
Si inginocchiò accanto ad Alan, cercando di capire se fosse integro.
Intorno, la festa riprese; e così, le parole che seguirono levitarono appena.
«Mi dispiace»
Lei abbozzò un sorriso. «Non è niente. Ti posso capire»
«Certo che anche tu potevi risparmiarti tutta quella scenetta» lo apostrofò Musa, aiutandolo a rialzarsi. «Aibao, di lui ti occupi tu?»
Il ragazzo annuì, non trovando la forza di guardare in viso l’altro. D’altronde, per quanto potesse sforzarsi, sapeva perfettamente quanto Alan trovasse difficile estirpare i suoi sentimenti, belli o brutti che fossero stati.
«Andiamo a cercare Bloom, Flora» continuò la fata della musica. Gettò un’occhiata a Riven, per rassicurarlo. «Stella, tu vieni?»
Stella trasalì, come risvegliandosi. Annuì, distogliendo lo sguardo da quello deluso di Brandon, che la scrutava da lontano.
Tentò di scacciare dalla testa il malevolo pensiero che Alan avesse avuto ragione. Insomma; forse era stato vero per l’estate precedente, quando lui le era parso lontano e non più suo. Ma ora?
Uscirono di lì, pronte per la trasformazione; quand’ecco che udirono dei rumori, in lontananza. Come ovattati, quasi deboli; rassegnati.
Erano urla.
«Cosa diamine è stato?» fece Stella, irrigidendosi.
Musa acuì i sensi, cercando di individuare la fonte di quelle grida strazianti. La voce sembrava… «Ma è Timmy!»
Ora che ci pensava, le sembrava di averlo visto allontanarsi poco dopo l’arrivo di Jared. Cosa poteva essergli successo? «Dobbiamo trovarlo! Musa,» esclamò la principessa. «credi di riuscire a trovarlo attraverso la sua voce? Questo posto è un labirinto»
Quella annuì. «Però ho bisogno che tu mi faccia luce. Flora, puoi avvisare gli altri? Quando lo avremo trovato ti contatteremo, in qualche modo»
Flora corse subito indietro; come scomparve, le due si trasformarono.
Mentre setacciavano le gallerie di quelle tetre rovine, le urla sembravano essersi affievolite. Parevano più un rantolo, una richiesta disperata di soccorso; per Musa era ora più difficile rintracciare il povero Timmy.
Per di più, ogni via era quasi speculare a quella già percorsa, come se i corridoi di quella scuola fossero stati tutti uguali.
Ad un tratto, si ritrovarono in un vicolo cieco. Di lì il passo era sbarrato da quelli che dovevano essere stati scaffali.
«Cosa facciamo, ora?» domandò la fata del Sole e della Luna. «Il percorso si interrompe qui, ma di Timmy nessuna traccia»
«Riproviamo. Deve pur…» l’altra si interruppe. Le sembrava di aver scorto come una fenditura in una parete; si avvicinò. «Vieni a vedere»
Accostò le mani al cemento corroso dal tempo, e questo si rivelò avere la stessa consistenza di una vecchia pergamena.
Si frantumò, rivelando un altro passaggio. Da lì in poi, il pavimento si faceva più umido e scivoloso e le due ragazze dovettero appoggiarsi alle pareti per non ruzzolare a terra – con grande rammarico di Stella. Non potevano nemmeno volare, per quel poco spazio che stavano attraversando.
Non avrebbero saputo spiegarsi come ma, per quel che vedevano così, anche con la luce che la principessa riusciva a richiamare, pareva loro di star attraversando una discesa che si snodava attorno ad un nucleo centrale.
Le grida di Timmy erano più vicine; eppure, a ben pensarci, qualsiasi cosa lo avesse attaccato non lo aveva di certo portato là in fondo passando per quel muro che si era sbriciolato come gesso. Da dove poteva essere passato?
Le suppliche cessarono all’improvviso; al loro posto, si udì un tonfo. E poi più nulla.
Continuarono a scendere, trovando il ragazzo proprio quando Stella aveva iniziato a sentirsi male per la troppa lontananza dalla superficie.
Lo Specialista giaceva su quella che doveva essere roccia, in uno stato comatoso. Non sembrava aver perso sangue né aver riportato lesioni di altro tipo.
«Dobbiamo avvisare Flora. Prendi il telefono di Timmy, credo sia in qualche tasca… lo ha sempre con sé» fece Musa, controllandogli il polso. Respirava; forse era solo momentaneamente svenuto.
Stella fece una smorfia insofferente, estraendo un microscopico aggeggio dalla giacca del ragazzo. «Non so se funzionerà, da qui»
«Ma certo che sì. È di Timmy» ricordò, afferrando il telefono dalle mani dell’amica.
Cercò il numero di Flora, pregando che rispondesse o che avesse almeno il cellulare con sé per accorgersi di eventuali chiamate perse. Fortunatamente la fata rispose subito.
«Pronto? Timmy?» era la voce di Brandon. «Mi senti? Sono Brandon. Stai bene?»
«Sono Musa. Io non… so come spiegarvelo. Se vi trovate davanti all’ingresso della sala, proseguite a sinistra; da qui…» iniziò, riflettendo. «In una delle gallerie c’era una sezione di parete più rovinata delle altre. Ha ceduto e si è aperto un altro passaggio; se riuscite a trovarlo, continuate a scendere finché non ci raggiungete»
Sperò che avessero un po’ di fortuna e che potessero trovare il passaggio in poco tempo. Non sapeva se Timmy si sarebbe ripreso e non sapeva nemmeno quanto potesse resistere Stella, lì sotto.
Per di più, non era certa che quel qualcosa che aveva trascinato lì il loro amico non si facesse nuovamente vivo.
Cercò di scrutare qualcosa, nell’ombra; ma tutto taceva. Non riusciva nemmeno a percepire quella creatura.
Perché si tratta di una creatura, e non di una persona; vero?
Per qualche ragione, la rendeva tesa come una corda di violino l’idea che qualcuno potesse aver assalito un ragazzo senza ragione e se ne stesse potenzialmente acquattato nell’oscurità. Da una certa prospettiva, era più incline a considerare normale che lo facessero i mostri che affrontavano spesso.
E se avesse aggredito anche Bloom?
I minuti trascorsero, interminabili; Stella, adagiata contro la nuda pietra, respirava a fatica. Musa rievocava ogni sua reminiscenza delle lezioni di primo soccorso ad Alfea, nel vano tentativo di risvegliare Timmy.
Tuttavia, il fatto che non avessero mai affrontato quel genere di malanno la lasciava in balia delle sue sole capacità. Forse, avrebbe potuto provare a fare lo stesso che lei e Flora avevano tentato per Vera, quando Darcy l’aveva spedita in un limbo con la sua maledizione.
Volle fare un tentativo ma, come batté le mani, le pareti circostanti vibrarono pericolosamente. Scosse la testa e, in un impeto di frustrazione, sbatté una mano a terra.
Non avrebbe funzionato, non in quel luogo e, soprattutto, non senza che qualcuno isolasse l’ambiente come Flora aveva fatto quella volta.
Perché si scopriva sempre impotente, quando c’era bisogno che facesse qualcosa?
Sospirò piano; ammutolendosi poi nel momento esatto in cui le parve di percepire un battito alle sue spalle. Era stata la roccia, ne era certa; ma come era stato possibile?
Tese le dita, lasciando che accarezzassero la superficie dietro di lei. La pulsazione era debole e lontana, ma presente; era come se, dietro la selce nuda, vi fosse un cuore.
«C’è qualcuno?» era Brandon. «Musa?»
La figura dello Specialista emerse dal buio e, con lei, anche quelle di Riven e della fata dei fiori. Sconvolti, corsero loro in contro.
«Cosa è successo?» chiese il moro, passandosi un braccio della fidanzata sul collo ed issandola in piedi.
«Non lo sappiamo…» dovette ammettere Musa. «Sappiamo solo che è meglio uscire di qui quanto prima. Che ne è, degli altri?»
«Helia, Aibao e Jared hanno stanno facendo evacuare la festa, ma non so come tutti riusciranno ad andare via» spiegò Riven, adagiandosi Timmy sulla spalla come se fosse stato un sacco di patate. «Penso che se ne occupino Maria ed altre, anche se non ho capito come»
«Stai bene?» le chiese Flora, anticipando il ragazzo o forse facendogli un favore e liberandolo dall’onere di domandarlo.
Lei annuì, sebbene non ne fosse certa.
«Alan ci ha avvisati che Bloom sta bene. L’ha trovata addormentata nella loro stanza» continuò la fata.
«Grazie al cielo…» esalò Stella, sollevata.
Musa sospirò, sentendosi più leggera. Fu una sensazione momentanea perché, all’improvviso, le balenò in mente il ricordo di ciò che lei e Riven avevano intravisto un giorno, proprio lì sotto.
Era stato un mese e mezzo prima, quando era appena stata scoperta quella maledetta botola che dava verso la vecchia scuola. Con la coda dell’occhio, loro…
Sì, ora tutto tornava.
E si sentì infinitamente imbecille per non aver ricollegato le due cose.
«Dobbiamo uscire di qua anche noi» considerò Brandon. «Se Timmy è stato trascinato qui vuol dire che ciò che lo ha preso è ancora in zona»
Avanzò nell’ombra, puntando la torcia che aveva con sé verso lo stretto sentiero che si intravedeva. Sembrava troppo angusto, perché qualcosa potesse anche solo strisciarvi attraverso; il passo era chiuso, era un vicolo cieco.
Significava forse che la creatura era rimasta acquattata lì attorno, ad osservarli?
Tutti loro se lo domandarono, ma ebbero timore della risposta; e, mentre si allontanavano e richiudevano la botola sotto i loro piedi, Musa ebbe come l’impressione di udire una risata mista ad un sibilo.
 
Si svegliò di soprassalto, individuando immediatamente la causa di quel clangore metallico che era risuonato per le pareti della stanza.
Jena aveva appena fatto accidentalmente cadere uno dei suoi calderoni dallo scaffale sul quale li aveva riposti. Maria emise un mugugno di protesta, a cui la compagna rispose con un’occhiata perplessa.
«Mi stavo appunto chiedendo quando avessi intenzione di alzarti. È quasi mezzogiorno» le fece, scansando un cuscino che l’altra le lanciò per farla tacere.
«Ieri notte è stato tremendamente faticoso portare via tutti, cosa credi?» borbottò, sprofondando nel materasso.
Jena fece spallucce. «Dovresti esserci abituata, no?»
«Non mi riferivo al dispendio di energia» sbraitò, stringendosi attorno al piumone.
Non dovette aggiungere nulla perché l’altra potesse capire. E, non lo avrebbe mai ammesso, ma era certa di aver perso qualche anno, quando aveva visto Maria fare ritorno alle tre di quella mattina e con un’espressione sconvolta.
La maledisse, pensando che nemmeno quella Trisha del secondo anno e le sue pozioni sarebbero riuscite a far scomparire quella ruga che sicuramente sarebbe comparsa sulla sua fronte, dopo quell’evento.
«E quel Jared? Era stanco anche lui?» fece, con noncuranza.
Maria biascicò qualcosa. Jena rise tra sé e sé; quando rispondeva così, la sua compagnava stava segretamente recriminando qualcosa al baldo e basso giovane del suo cuore.
Quasi esplodeva per l’ilarità, quando pensava a quanto quella ragazza si dannasse per uno che, senz’altro, rientrava nella categoria “bravo ragazzo” – e dunque prediletta di Maria – ma che incarnava un perfetto idiota sotto svariati aspetti; prima tra tutti, quella sua strana avversione per le streghe che era riuscito a placare solo da quando aveva deciso di cedere al fascino dei capelli lilla.
E poi era basso…
«Cos’ha fatto, questa volta?» continuò, seria.
Lei non rispose, voltando il capo verso la finestra. Pioveva.
Non le andava di raccontare a Jena di come Jared avesse passato quasi più tempo con quella Hedy che non con lei.
Certo, era la sorella di Alan, uno dei suoi amici più cari; e si conoscevano da tempo. Eppure, quando ne parlava, lo Specialista era sempre così entusiasta…
Ed Hedy non era poi tanto più piccola di loro…
«Beh, se non altro non c’entra una fata. Altrimenti avresti già sbraitato le peggio cose… sai, da questo punto di vista è buffo che tu abbia amiche fate» scherzò, uscendo.
Prima che chiudesse la porta dietro di sé, Maria la invitò calorosamente ad andare all’inferno. Non aveva bisogno che Jena contribuisse a ribadire la pateticità della situazione.
Sbuffò appena, sentendosi poi in colpa.
Non doveva trovare patetica l’idea di avere delle fate, come amiche. Anzi, si erano spesso rivelate più empatiche loro della sua compagna di stanza, che conosceva da quattro anni.
Si chiese come stesse Musa. Prima che Alan e Brandon avessero avuto la brillante idea di scannarsi, aveva ballato un po’ con lei, ma non avevano effettivamente avuto modo di parlare.
E poi Timmy era scomparso e, come lui, Bloom.
Si decise ad afferrare il telefono dal comodino, per chiamare ad Alfea e vedere come fosse la situazione. Sfortunatamente per lei – o per la fata della musica – in quel momento pareva che il Winx Club avesse faccende ben più urgente di cui occuparsi.
Quella mattina, Stella si era alzata al sorgere del Sole.
Stiracchiatasi nel letto, aveva provato come una sensazione di piacevole torpore; un’energia che proveniva da dentro e che coincideva con quella luce che filtrava dalle tende e che per troppi giorni era stata offuscata dalle nuvole.
Il suo primo pensiero era stato Brandon. La notte prima, nel mezzo del panico generale, non avevano avuto modo di chiarirsi circa quello che era successo alla festa.
Anche ora, che era al suo fianco a Fonterossa, non riusciva a dire nulla. Mentre camminavano per il cortile, si domandava se lui fosse per qualche ragione arrabbiato anche con lei.
Il ragazzo, dal canto suo, taceva, troppo assorto nella loro missione. Si erano trovati lì insieme a Riven, Helia e Sem per ispezionare le gallerie, ancora una volta.
Si chiedevano come avessero potuto non accorgersi di un mostro là sotto, dopo tutte le volte che avevano perlustrato le rovine. Riven aveva detto di aver intravisto qualcosa, forse, qualche tempo prima.
Era con Musa ed entrambi avevano avuto l’impressione di vedere di sfuggita qualcosa muoversi dietro dei detriti. Ma, quando era successo, era stato di sera ed entrambi avevano cercato di convincersi che si fosse trattato di traveggole, o di qualche topo.
Helia, invece, aveva ipotizzato che fosse una creatura notturna e che, di conseguenza, durante i diversi giri d’ispezione era stato loro impossibile vederla perché si era rintanata lontano dalla luce del Sole.
Così si spiegherebbe perché è apparsa ieri e perché io e Riven abbiamo avuto l’impressione di vederlo solo le prime ore della sera…
Brandon fece sì che la botola si spalancasse, facendo poi segno agli altri di calarsi giù.
Prima che Stella saltasse, le regalò un sorriso.
Dentro di sé, lei, tirò un profondo sospiro di sollievo.
Il posto era esattamente come la notte prima, anche se le candele che avevano disposto lungo il corridoio principale erano ormai liquefatte. La fata le fece svanire.
Una volta dentro il salone, il panico della notte precedente investì tutti loro.
Il punch che era stato posizionato al centro di un tavolo era ora rovesciato a terra, i rivoli che ancora colavano dalla tovaglia ormai quasi del tutto sul pavimento. Alcune teglie di pasticcini giacevano spappolate al suolo, forse pestate dalle scarpe di qualcuno.
Sem non riuscì a nascondere un barlume di dispiacere per il grande albero che aveva – che lui e Bloom avevano – abbellito con cura. Alcune palline di vetro dovevano essere cadute ed erano andate in frantumi.
Era una sciocchezza, ne era consapevole; ma, in quel momento, fu quasi come se la situazione gli si fosse parata davanti con la durezza di uno schiaffo. Per qualche momento, tutti loro non poterono fare a meno di chiedersi perché non potessero avere una vita normale e dovessero sempre fronteggiare mostri e creature di ogni genere.
«Maria deve essere esausta. Ha portato via tutta questa gente» ragionò Stella. «Questo branco di barbari»
«Dai; tu cos’avresti fatto, al loro posto? Erano spaventati» fece Brandon.
«Chi è che ha stilato la lista degli invitati?» domandò Riven, infastidito. «Quegli infissi li avevo montati io»
Helia rise. «Non abbiamo pensato a come far sparire tutta questa roba. Non credo che a mio nonno farebbe piacere trovarla, se mai dovesse nuovamente scendere quaggiù»
«Si può fare» annunciò la bionda, gonfiando il petto. In un battito di ciglia si era trasformata ed aveva già iniziato a far svanire di tutto e di più.
Storse il naso di fronte al cibo a terra. Non aveva mai avuto di questi problemi, ma sapeva riconoscere uno spreco.
Alla fine era esausta. Il salone era spoglio, ma ancora in uno stato troppo poco decadente rispetto a come lo avevano trovato.
«Di quello ci occuperemo questo pomeriggio. Basterà distruggere un po’ qua e là» disse Brandon. «Ora dovremmo piuttosto cercare tracce del mostro…»
Per le due ore seguenti, i ragazzi setacciarono le gallerie da cima a fondo.
Perfino nell’antro in cui avevano trovato Timmy pareva non esserci il minimo segno del passaggio di quella creatura che aveva seminato scompiglio. Lì sotto Stella, sebbene stanca per lo sforzo e per la sua lontananza dalla superficie, riuscì ad avvertire qualcosa.
Sul fondo, da dietro la vasta parete di pietra scura, pareva provenisse un suono. Non vi aveva fatto caso, quando era stata lì la prima volta; eppure, era come se un battito vibrasse appena, sfinito e flebile, nel vano tentativo di essere sentito.
Si avvicinò, percependo sempre più distintamente quelle pulsazioni ovattate ed aritmiche, domandandosi a cosa fossero dovute. Anche i ragazzi dovevano avvertirle ma, naturalmente, nessuno avrebbe saputo spiegarne la provenienza.
Alla fine, in ogni caso, del mostro non vi era l’ombra e giunsero alla conclusione che, effettivamente, dovesse trattarsi di un essere notturno.
Quando fece ritorno ad Alfea, la principessa era troppo sfiancata per poter pensare di non affogare nel morbido abbraccio delle sue coperte. La mente era ferma alla creatura, a ciò che c’era oltre quella selce; al panico ed al povero Timmy; a Bloom che, per qualche istante, aveva creduto nelle mani di ciò che aveva assalito lo Specialista.
Tuttavia, il cuore era fermo alla serata precedente, ai momenti prima dello sgomento.
Ricordava bene la sua prima volta ad una festa di quel tipo.
Era stato in occasione del compleanno di uno dei maghi di Fonterossa, uno dei più popolari e rinomati perfino tra il corpo insegnanti. Osannato da professori e compagni, non aveva saputo niente di quel party fino al momento in cui non era entrato nell’appartamento che ad Alfea la sua ragazza condivideva con le amiche.
Lì era stato assalito da uno stuolo di ospiti che, in quello spazio quanto mai ristretto rispetto alle esigenze dei presenti, era sembrato ancor più corposo.
Era stata l’ultima festa nel college delle fate; dopodiché, ne erano seguite molte altre. Una festa per il Soldì, come quell’anno; una per il test finale superato brillantemente dai cadetti di quell’anno.
Una serie di eventi di cui Stella ricordava luci e colori, ma non nomi e voci. A ben pensarci, il suo primo anno era stato piuttosto vuoto.
Si era divertita in quel modo frivolo in cui si divertono coloro che hanno tanti conoscenti e nessun amico. Ricordava le stupidaggini che aveva combinato, in quei mesi; e allora li ricordò ora con nostalgia, ora con amarezza.
Anche con Looma al suo fianco, aveva sempre avuto l’impressione che mancasse qualcosa. Erano stati i giorni migliori e, insieme, peggiori della sua breve esistenza.
Poi tutto era cambiato e, oltre ad amicizie vere, aveva trovato Brandon.
Tutte le feste a cui aveva partecipato l’anno precedente le aveva trascorse in sua compagnia, senza quasi badare agli altri presenti, agli altri ragazzi che la guardavano o che, semplicemente, volevano scambiare due chiacchiere con lui.
Era stato soprattutto in quei momenti, in quelle piste da ballo arrangiate, in cui si stava stretti, che si erano avvicinati di più. Ai tempi in cui lui era ancora Sky e Sky era lui, lei non si sarebbe mai sognata di poter amare qualcuno che fosse nobile solo nell’animo.
Eppure, adesso, realizzava quanto sarebbe stata triste la sua vita se le cose non fossero evolute in quello stesso modo.
Brandon; non principe, ma solo Brandon. Lo stesso che trascorreva molto tempo con un compagno di accademia più anziano di lui di un anno, un certo Alan.
Nei suoi ricordi, Stella custodiva il timido sorriso che quel giovane dalla testa piena di riccioli le aveva rivolto quando si erano presentati. Uno Specialista molto vicino a quella matricola di cui cercava continuamente di richiamare l’attenzione.
Ma Brandon non ci aveva mai fatto caso; la compagnia dell’altro era così piacevole che se ne separava quasi solo quando era in missione. Anche Sky – quello vero – era stato piuttosto legato ad Alan e a Sem, ora che ci rifletteva.
Ed il primo aveva scambiato l’affetto dell’amico per qualcosa di più profondo, ed era rimasto così scottato dal calore della verità che adesso appariva inacidito e non più quello stesso ragazzo sensibile e timido che le aveva stretto la mano circa un anno prima.
Stella sospirò afferrando un cuscino e piazzandolo a coprirle il volto.
Ogni giorno che passava e che parlava con Alan, leggeva una grande tristezza in quelle pozze di argento liquido che si facevano sempre un po’ acquose, quando si riflettevano nei bagliori degli occhi di lei.
E la fata, se da una parte vi trovava un segno della propria vittoria, dall’altra riconosceva la sconfitta del ragazzo come qualcosa che coinvolgeva lei stessa nel profondo. E si sentiva tremendamente colpevole.
Stella sapeva perfettamente che nessuno poteva essere obbligato ad amare.
Forse poteva essere indotto a farlo ma, nel caso di Brandon ed Alan, il problema alla radice era ciò che più turbava il secondo. E lei avrebbe solo voluto potergli stare vicino perché, in verità, avrebbe desiderato che le cose tra loro potessero andare diversamente, che loro potessero essere amici.
Per quella ragione, la sera prima, quando il fidanzato aveva reagito in maniera eccessiva, lei non aveva potuto fare a meno di cercare di aiutare il biondo come meglio poteva. Perché lei avrebbe sempre voluto aiutarlo.
Si rigirò piano nel letto, udendo poi dei passi avvicinarsi alla porta che dava accesso alla stanza. Bloom bussò, chiamandola.
Un suo occhio, ora sgranato, sbucò dalla fessura che si era aperta. «Allora sei sveglia» sorrise, entrando. «Vieni di là. Tecna ha scoperto qualcosa»
La ragazza si alzò di malavoglia. Non era in vena di altre pessime notizie.
Nella camera che quella condivideva con Musa, sembrava essersi scatenato un putiferio. Il pavimento era occupato dalle valigie delle rispettive proprietarie che, di lì ad un giorno, avrebbero fatto ritorno nei loro luoghi d’origine.
Nella confusione delle magliette e di tutto ciò che ancora non aveva trovato posto nei bagagli – si trattava per lo più di averi di Musa – l’altra pareva avere una gioiosa pazzia negli occhi.
«Ho avuto la soluzione sotto il naso per giorni e giorni!» sbraitò Tecna.
Quando le altre avevano fatto ritorno a scuola, nel cuore della notte – o meglio, all’alba – l’avevano trovata ancora in piedi, ad esaminare manuali su manuali, come fosse stata assalita da un impeto di follia.
Non era inusuale che la ragazza rinunciasse al sonno per placare la sua sete di conoscenza; tuttavia, quella volta era parsa loro esaltata come non mai.
Il riepilogo di ciò che era accaduto alla festa sembrava solo averla ulteriormente spronata ad impiegare anima e corpo per risalire a galla; e, alla fine, pareva ci fosse riuscita.
«Immagino sappiate – e, se così non fosse, ora ne siete a conoscenza – che la scuola di Torrenuvola ha un suo nucleo. Potremmo paragonarlo a quello che per gli umanoidi e le bestie corrisponde al cuore» iniziò, guardando negli occhi ciascuna delle tre ragazze.
Musa restava alle sue spalle, rigirandosi di tanto in tanto sulla sedia girevole.
«Il nucleo fu inserito come fosse garante di protezione. È, in sintesi, un meccanismo di difesa per l’istituto» disse. «Io e la principessa abbiamo scoperto che, quando la minaccia che lo riguarda è troppo pressante perché le sue allieve possano occuparsene, il nucleo dà vita ad un organismo vero e proprio che risolva il problema, epurando la struttura dal pericolo»
«L’organismo si ricongiunge al cuore appena l’elemento di disturbo viene eliminato. Può trattarsi di qualsiasi cosa; un sortilegio – uno tra i più complessi che esistano – ne garantisce la completa eliminazione. In verità, Torrenuvola non è l’unica a disporre di questa caratteristica» spiegò.
Pausò, concedendo alle amiche il tempo di soppesare le sue parole.
Come lei ed Aisha avevano scoperto, anche Alfea e Fonterossa possedevano un sistema difensivo simile. «Secondo le nostre supposizioni, la scorsa estate è stata originata a Fonterossa una creatura che, per volere del nucleo, contrastasse i mostri delle Trix» proseguì.
«Quindi, quella cosa che ieri ha attaccato Timmy potrebbe esserlo?» fece Stella, sdraiandosi sul letto di Tecna, senza troppi complimenti. Si teneva del ghiaccio premuto contro le tempie; lo sforzo della notte precedente e di quel pomeriggio l’aveva ormai spossata.
L’altra annuì, cercando di non badare a quella libertà che la bionda si era presa.
«Sì, ma… questo cos’ha a che fare con le conversazioni tra Faragonda e gli altri presidi? Con le vacanze per il Soldì?» rifletté Flora.
Tecna stava per replicare, ma Musa la precedette.
«Forse sono consapevoli della presenza di quella creatura nella scuola. Forse sanno che non è ancora svanita e che è estremamente pericolosa» suggerì. «Dopotutto, ieri ha aggredito un innocente, qualcuno che non ha danneggiato la scuola e che non rappresenta il motivo per cui la creatura stessa è stata originata»
La compagna di stanza, suo malgrado, si trovò d’accordo con lei. «Ora l’organismo di difesa si è trasformato in una minaccia perché, per qualche motivo, è fuori dal controllo del nucleo. I presidi devono essersene accorti e devono aver stabilito di occuparsene in un momento in cui tutti gli studenti siano al sicuro» proseguì.
In quel modo, ogni dettaglio tornava.
Le registrazioni, l’urgenza con cui quel periodo di riposo era stato prospettato loro… sì, la vicenda era ora più chiara.
Eppure…
«Tecna, i volumi che hai consultato descrivevano la posizione del nucleo rispetto alla scuola e il tempo che impiega per originare il suo difensore?» chiese Bloom, a quel punto.
Lei rifletté qualche istante; poi, scosse il capo. «Non ricordo di aver letto a proposito di quel che hai domandato. Ma presumo che il nucleo di Fonterossa si trovi nei paraggi delle rovine del precedente istituto»
«Credo… di averlo sentito. Quando io e Stella abbiamo trovato Timmy in quell’antro…» realizzò Musa, ora ottenendo l’attenzione di tutte e quattro. «La parete alla quale ero appoggiata… pulsava. Credete che il nucleo fosse lì?»
La bionda annuì. «Oggi abbiamo setacciato le rovine nuovamente. Anche a me è parso di avvertire delle pulsazioni. Erano fiacche, però…»
«Se così fosse… non pensate che possa essere stato danneggiato?» suggerì la fulva, sospirando. «Mi pare che la vecchia scuola fosse sprofondata nella terra in seguito ad un terremoto; giusto? Il nucleo potrebbe essersi rovinato; ed ecco perché ha dato vita ad un organismo ed ora non è più in grado di richiamarlo a sé»
Probabilmente, la creatura risiedeva là sotto fin dall’estate precedente, ma non aveva avuto modo di uscire allo scoperto poiché sepolta metri e metri sotto terra; e, allo stesso tempo, non aveva potuto tornare da dove era venuta perché il cuore di Fonterossa si era indebolito nel tempo.
Faragonda e gli altri conoscevano quei dettagli?
«Quella cosa… esattamente… che aspetto ha?» domandò Stella. «Qualcuna di voi lo ha visto?»
Flora scosse la testa; Bloom raccontò di aver avuto una sorta di incontro ravvicinato con la creatura e di non averla vista per il troppo buio. «Sembrava quasi che… sibilasse, o qualcosa del genere»
«Come un serpente?»
«No, era… diverso. Come se…» come spiegarlo?
Si era trattato di un suono raccapricciante, che aveva avuto in sé qualcosa di orrendo ed intrigante al tempo stesso.
«…Come se ridesse?» continuò Musa per lei, alzatasi ora dalla sedia.
L’altra annuì, sorpresa che lo avesse sentito anche lei, in qualche modo. Era stata convinta, in quel momento, di aver avuto un’allucinazione.
«È stato poco prima che uscissimo dalla botola, e…» forse… avrebbe dovuto dire tutto quello che sapeva. Non avrebbe più avuto alcun senso tenere nascosta la verità, ora che comunque le sue amiche l’avevano assaggiata.
Lo aveva fatto per loro, solo per loro.
Per tutto il tempo che era stata a conoscenza del male che si annidava, silenzioso, dentro Fonterossa… non aveva fatto altro che pensare alle Winx, a sperare che potessero restarne fuori.
Non voleva, non voleva che rimanessero coinvolte in qualcos’altro di pericoloso. Aveva cercato di evitare che si insospettissero circa il Soldì e che indagassero, ma questo l’aveva portata a reggere sulle sue sole spalle quel fardello, che l’aveva spinta a prendere le distanze.
Così, aveva compromesso ogni cosa e, alla fine, non era nemmeno riuscita nel suo intento primario e, anzi, aveva portato le persone che amava più vicine al pericolo, senza saperlo.
Quando aveva intravisto la creatura, insieme a Riven, entrambi avevano pensato che non fosse niente di pericoloso, e poi… e poi non si era più fatta viva e non avevano avuto motivo di preoccuparsene troppo.
Sciocchi; erano stati sciocchi, ma lo avevano fatto in buonafede.
Lo raccontò.
Ingoiò tutto il suo orgoglio, tenne gli occhi chini per tutta la spiegazione; avvertì le guance in fiamme e le membra che tremavano; quale sarebbe stata, la reazione delle altre quattro?
Non sapeva se le costasse di più ammettere di aver commesso un errore così sciocco o di averlo commesso per proteggere loro.
L’avrebbero insultata? Lo avrebbe meritato.
Era stata troppo scontrosa perfino per i propri standard, specialmente con Tecna.
Stella rise e, per un attimo, Musa provò una gran rabbia. Pensò che fosse buona solo a ridere e a fare la sciocca, quella.
Poi l’abbracciò, senza dire una parola, e se ne andò nella sua stanza. «Fatemi sapere quando decidiamo di andare a Fonterossa per sistemare quel coso. Vado a fare un riposino di bellezza»
«Perché, ovviamente, noi interverremo; vero?» fece Bloom, ridendo.
Tecna si strinse nelle spalle, scambiandosi un’occhiata con Flora. «Temo non vi sia altra soluzione. Provarci ormai è nostra prerogativa, no?»
La fulva sorrise. «Non ricordo quando sia stata l’ultima volta che non abbiamo ficcanasato in qualcosa» considerò. «Beh, credo che andrò a mangiare del pudding»
Regalò a Musa un sorriso, scuotendo appena la testa.
Flora le strinse una mano. «Siamo amiche, Musa. Avresti dovuto dircelo… mal comune, mezzo gaudio!» come le altre, scomparve dietro la porta. «Vado ad innaffiare le piante»
La fata della musica, basita, non capiva cosa stesse succedendo. Perché, improvvisamente, tutte sembravano avere un impegno?
Ad un tratto, quando fu sola con Tecna, realizzò il piano subdolo delle altre Winx. Si batté una mano in fronte, dandosi della sciocca.
La compagna di stanza, dal canto suo, parve non degnarla di attenzione. Sedette alla sua scrivania, prendendo immediatamente a digitare tasti freneticamente.
Era quasi come se fosse sola con il suo computer.
«Beh?» fece Musa, dopo un po’. «Non dici nulla?»
Quella si voltò, lentamente, inarcando le sopracciglia sottili all’inverosimile. «Cosa ci si aspetta che io dica?»
«Non lo so» sbuffò la ragazza, appollaiandosi sulla propria sedia.
«Credo tu sia consapevole della tua sconsideratezza» appuntò la fata della tecnologia, riprendendo poi da dove si era interrotta.
«Intendevo… beh, per il fatto di…» sospirò; com’era difficile! «Per il fatto di avervi allontanate per questa ragione»
«Appunto» replicò Tecna, rimanendo con gli occhi fissi sulla e-mail indirizzata al povero Timmy che, a quanto pareva, si era svegliato. «Non avresti dovuto. Se non altro, il fardello sarebbe stato di più semplice sopportazione»
Si alzò, cercando un paio di calze nell’armadio.
«Mi… dispiace, Tecna. Mi dispiace molto» ammise, a fatica.
«Sì, immagino sia logico» rispose lei, con noncuranza.
Calzò un paio di scarpe che normalmente lasciava nell’angolino più remoto della stanza. In un anno e mezzo di conoscenza, non l’aveva quasi mai vista indossarle.
«Dove vai? Non dovremmo pianificare quell’incursione?» chiese. «Manca… un giorno alla chiusura delle scuole»
Si voltò verso di lei. «C’è il pudding. Dovremmo approfittarne»
L’amica la lasciò interdetta e, proprio mentre stava per abbozzare un passo in avanti, qualcosa la trattenne.
Una sensazione piacevole, come di un tepore che si levava dal cuore e che faceva rilassare e distendere le membra e, allo stesso tempo, le rinvigoriva. Prima che potesse realizzarlo, qualcosa iniziò a prendere forma sul suo petto.
Argentea, dalla forma di una chiave di violino, una sorta di spilla stava appuntata sul suo maglione. Musa la guardò con gli occhi sgranati, riuscendo a vedere la propria espressione stupefatta riflessa in quella pietra lucida e dai colori di una violetta.
Veloce com’era comparsa, la spilla svanì.
«Tecna! Tecna!» esclamò correndole dietro. «Tecna!»
Mentre si precipitava per i corridoi, non riusciva a mascherare quella strana allegria che l’aveva assalita, non riusciva a smettere di ridere come non faceva da tempo.
«Tecna!» rise, una volta che l’ebbe raggiunta. «È successa una cosa!»
Forse aveva trovato un po’ di quella bellezza che non riusciva mai a far sua. Forse… non ci voleva poi chissà che cosa.
Contagiata dall’espressione dell’altra, Tecna fece una faccia strana e portò una mano a coprire la bocca; ma Musa non si lasciò ingannare.
Un sorriso; solo… un sorriso.
Le era sembrato che Tecna avesse sorriso.
 
 
We’re nothing, and nothing will help us
Maybe we’re lying
Then you better not stay
But we could be safer,
Just for one day
Heroes, David Bowie
 
Povero Timmy…
Secondo me qualche paranoia se la fa anche lui, ogni tanto. Insomma, lo saprà di essere totalmente negato, no?
La festa è finita male, ma ci saranno altre occasioni.
La storia dei nuclei è pura invenzione, non so se ci siano effettivamente; ma ho sempre pensato: se Torrenuvola si può spostare può essere che abbia una specie di cervello o di istinto?
Ora hanno scoperto i mali dentro le mura; bisogna andare ad estirparli. Ma… la vicenda finirà davvero lì? Tecna mangerà davvero il suo pudding?
Scrivere di lei e Musa che si riappacificano è stato divertente. La seconda, ovviamente, ha agito come avrebbe fatto la nostra fata-androide (come aveva provato a fare all’inizio); e perdere la propria migliore amica è un po’ come perdere un pezzo di sé, no?
Ah, sì, lo Charmix! La questione verrà approfondita in seguito ma, comunque, trattandosi della seconda serie, almeno lo Charmix non mancherà (che Gesù benedica quelle spille e quelle borsette, mi piacciono troppo).
Al 10 dicembre con la resa dei conti (almeno in parte)!
Un grazie tutto sberluccicoso a quei cuori che leggono o recensiscono!

7th
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Winx / Vai alla pagina dell'autore: Applepagly