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Autore: Rivaille_02    29/11/2017    2 recensioni
Quando ero piccolo mi piaceva un ragazzo. Esatto, un ragazzo. La consideravo una cosa... strana. Mio nonno mi aveva insegnato ad amare le femmine, non i maschi. E allora perché? Non sapevo nemmeno il suo nome...
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era già metà Ottobre e Ludwig aveva ricordato quasi tutto. Doveva solo tornargli in mente la nostra promessa...
«Feli? Mi stai ascoltando?» mi chiese Gilbert picchiettandomi il braccio. Mi ero ancora distratto...
«Sì, scusa, stavi dicendo?».
«Ti ho chiesto se volevi venire da me dopo la scuola, ti va?» mi sorrise. A casa sua? Quindi avrei finalmente avuto l’occasione di vedere la loro casa? Era ormai poco più di un anno che ci conoscevamo e ancora non ero stato a casa sua. Strano, vero? Ovviamente accettai. Ero così curioso di vederla...
«Dov’è che vai dopo scuola tu?» sentii la voce di Lovino vicino all’orecchio. Quasi saltai per lo spavento. Guardava Gilbert con aria sospetta, come se lui avesse in mente di farmi qualcosa una volta a casa sua. Non sapevo proprio di cosa si preoccupasse...
«A casa mia, perché?» gli rispose Gilbert guardandolo a sua volta.
«A fare cosa?».
«E dai! Cosa pensi che si faccia?» rise lui. Mio fratello rimase serio. «Sta tranquillo, si gioca solo un po’ alla PlayStation, niente di chè!». Lovino sospirò.
«Va bene, mi hai convinto. Ora però devo parlare con Feliciano» lo avvisò facendomi segno di seguirlo. Mi portò fuori dal bar della scuola, dove avevamo lasciato Gilbert seduto da solo. Mi sembrava piuttosto preoccupato.
Una volta fuori, mi raccomandò di fare attenzione a casa sua perché aveva uno strano presentimento. Gli chiesi di che si trattasse ma non ebbe il tempo di rispondermi che subito arrivò il prof di ginnastica. Salutò prima Lovino scompigliandogli i capelli e poi me con un sorriso. Mi disse che aveva qualcosa per me e tirò fuori alcuni fogli, un po’ tenuti male a dire la verità. Mi sembrava di guardare i fogli su cui mio fratello prendeva gli appunti.
«Cosa sono?» domandai indicandoli.
«Quel che sono riuscito a farmi dire dal tuo amico» rispose lui porgendomi i fogli.
«Hai fatto il quarto grado al prussiano?! Serio?!» esclamò stupito Lovino afferrandogli il braccio. Il prof annuì fiero. «Quanto ti amerò Antonio...». Sia io che lo spagnolo ci girammo verso di lui, io incredulo mentre lui con fare malizioso. Mio fratello subito girò la testa imbarazzato balbettando qualcosa che non riuscii a comprendere. Di sicuro ci avrà chiamati “idioti” come suo solito.
«Sai a cosa somigli ora come ora, Lovi?» gli chiese il prof prendendogli le mani.
«Antonio non-».
«A un pomodoro!» rise. Mi girai per non far irritare ancora di più Lovino. Rividi i fogli che mi aveva portato lo spagnolo. Provai a leggere: parlavano di Ludwig.
«Scusate se interrompo il vostro momento... uhm... fluff? Ma volevo tornare ai vogli che mi aveva portato, prof» dissi guardandoli. Appena l’uomo si voltò verso di me, Lovino si liberò dalla sua presa e si nascose dietro di me.
«Chigi... bravo fratellino, cambia discorso...». Aveva la voce che gli tremava. L’altro ridacchiò.
«Feli ha ragione, torniamo ai fogli».
«Ho visto che parlano di Ludwig» iniziai subito. Mio fratello, sempre dietro di me, appoggiò la testa sulla mia spalla per vedere.
«Esattamente. In questi giorni era un po’ strano... per esempio, in classe sua ci sono alcuni suoi vecchi compagni di scuola ma non riesce a ricordarli, diceva di non averli mai visti. Sembrava quasi avesse perso la memoria...» mi spiegò.
«L’ha fatto anche con me, era come se non ci fossimo mai incontrati...» abbassai la testa.
«L’avevo immaginato, per questo ho richiamato suo fratello per chiedergli il motivo».
«Immagino che non voleva dire niente, quel maledetto... far soffrire così il mio adorato fratellino, me la pagherà quel prussiano...» lo interruppe Lovino irritato. Non dissi niente.
«Proprio così Lovi. Alla fine, però, sono riuscito a farlo parlare».
«Sembra che dovevi fargli un interrogatorio come quelli della polizia, Antonio. Parla normalmente, non come se fossimo in un giallo, ti scongiuro». Mi scappò una piccola risata. «Diglielo anche tu, Feli! Sei un insegnante, non un detective!»  appoggiò la sua testa alla mia. Risi di nuovo. Sapevo che faceva così per farmi stare su di morale.
«Va bene, come volete. Stavo dicendo che alla fine mi ha detto il motivo della sua perdita di memoria, anche se mi ha pregato di non dirtelo, Feli».
«E tu diccelo, idiota. Mica vorrai stare dietro a quel che dice quello là...» ribattè Lovino. Decisi di parlare, anche se sapevo che nessuno dei due sarebbe stato d’accordo con me.
«Se ti ha detto questo allora non dirmelo. Voglio che sia lui a farlo». Mi guardarono entrambi confusi. Mio fratello mi girò verso di lui mettendo le mani sulle mie spalle. Pensai subito che mi avrebbe sgridato...
«Ma sei impazzito?! Ora che finalmente puoi sapere quel che volevi sapere ti rifuiti?!» mi urlò.
«Gilbert mi aveva detto che mi avrebbe rivelato tutto quando sarebbe stato il momento giusto, quindi...». Era vero, me l’aveva detto chiaramente il primo giorno di scuola. Dal suo sguardo, però, si vedeva chiaramente che non ci credeva. Dopotutto, stavamo parlando di Gilbert.
La campanella suonò proprio in quel momento e Antonio dovette sbrigarsi ad andare nella classe successiva. Lovino, invece, mi accompagnò in aula. Ad aspettarmi davanti alla porta c’era Gilbert che, appena mi vide, mi corse subito incontro. Mi prese per mano e mi portò in classe. Appena mi sedetti, tirai fuori il telefono e mandai un messaggio a Ludwig chiedendogli se voleva tornare a casa con noi. Visualizzò e rispose subito di sì. Ero al settimo cielo! Non vedevo l’ora di uscire da scuola.
I miei desideri furono esauditi dall’ingresso del custode che ci informò dell’assenza del professore dell’ultima ora e quindi eravamo liberi di uscire. Superata la porta, vidi Ludwig appoggiato alla parete accanto.
«Ehi, Lud! Che ci fai qui? Non hai il permesso per uscire prima?» gli chiese Gilbert dandogli un colpetto sulla spalla.
«Feli mi ha chiesto se volevo tornare a casa con voi, quindi...» rispose girando la testa. Che carino era...
«Quindi che si fa? Bisogna prendere l’autobus o andate a piedi? È lontana casa vostra?» domandai mettendomi davanti a loro.
«Abitiamo a circa mezz’ora da qui, quindi bisogna prendere l’autobus» mi disse Ludwig. A mezz’ora da qui poteva esserci un paesino o il centro. Mi chiesi in quale dei posti potessero abitare.
Una volta usciti da scuola, prendemmo l’autobus al volo e ci dirigemmo a casa loro. Si trovava in uno di quei paesini calmi vicino a Firenze. Immaginai che abitassero in un appartamento come me, siccome c’erano solo villette a due o tre piani. E infatti scendemmo difronte alla loro abitazione, una villetta a due piani, proprio come pensavo. Appena Gilbert aprì la porta, Ludwig fece per andarsene.
«Lud, dove vai?» gli chiesi prendendogli la manica.
«Mi avevi chiesto se volevo tornare, non rimanere».
«Eh? E dai, Lud! Rimani!» lo supplicai.
«Mi dispiace Feli, ho altri programmi per oggi» si scusò dandomi un bacio sulla fronte. Mi sentii arrossire. Quanto ero arrossito? Oddio, mi sentivo morire... sentii anche Gilbert afferrarmi il braccio.
«Se hai da fare allora ti conviene andare, Lud. Sta tranquillo che ci divertiremo anche noi due da soli! Vero Feli?» si intromise lui mettendosi nel mezzo. Sembrava quasi che non volesse suo fratello. Dopo questa frase, Ludwig sospirò e se ne andò salutandoci. A quel punto Gilbert mi fece entrare. Mi disse di fare come se fossi a casa mia, anche se non potevo fare altro che meravigliarmi difronte a una casa così grande. Il soffitto era anche alto. Lo vidi andare verso la cucina, quindi lo seguii.
«Hai fame Gilbert?» gli chiesi raggiungendolo.
«Un po’. Stavo giusto per cucinare qualcosa» mi rispose guardando cosa c’era da mangiare. Osservai in giro e vidi una scatola di pasta. Decisi allora di prepararla. Come un vero italiano, amavo la pasta. Soprattutto quella alla bolognese: era la mia preferita! Vidi un grembiule attaccato alla porta e me lo misi.
«Non preoccuparti! Ti cucino un po’ di buona pasta, che ne dici?» domandai sorridendogli.
«Sai cucinare Fe...» non terminò la frase che, appena mi vide, arrossì. «Quanto sei carino Feli!» si alzò di scatto prendendomi le mani. Non sapevo proprio che rispondere.
Alla fine mi fece cucinare e mi riempì di complimenti. Finito di mangiare, mi accompagnò in camera sua. Era completamente blu, tranne qualche mobile e la bacheca piena di foto appesa sopra la scrivania. Mi avvicinai proprio lì. C’erano un sacco di selfie suoi e di Ludwig.
«Certo che Ludwig è proprio bello in queste foto!» esclamai attirando l’attenzione di Gilbert che subito si mise accanto a me.
«E io? Come sono?» mi chiese.
«Magnifico come sempre!» sorrisi. Mi saltò all’occhio una nostra foto. Questa, al contrario delle altre, aveva un cuore rosso disegnato con scritto “Il mio magnifico Feli”. «E questa?» la indicai. Vidi Gilbert arrossire.
«Vedi Feli... come posso dirtelo...» abbassò la testa imbarazzato. La alzò subito dopo prendendomi le mani e guardandomi deciso. «Ich liebe dich, Feli».
   
 
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