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Autore: Old Fashioned    12/12/2017    22 recensioni
Essere poliziotti nell'Inghilterra vittoriana non è facile. Essere poliziotti e amanti, poi, è decisamente complicato. Due giovani agenti, Edward Sinclair e Rowan Lancaster, hanno entrambi questi problemi, ma per fortuna hanno anche un posto, Foxhole Barn, nel quale la loro passione, che nella vita di tutti i giorni è un imbarazzante segreto, può finalmente diventare qualcosa di cui non si devono vergognare.
Il titolo è ovviamente un omaggio a "I segreti di Brokeback Mountain"
Prima classificata al contest "2nd national teen slash award" indetto da Surlaplanche sul forum di EFP
Genere: Malinconico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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I SEGRETI DI FOXHOLE BARN





Lanterna alla mano, caschi calcati fin sugli occhi e pastrani abbottonati, l’agente Sinclair e l’agente Lancaster, due giovani poliziotti del distretto di Rochester Row, stavano facendo il giro di ronda.
Era buio, ed era in corso una fitta nevicata. Tutt’intorno c’era un silenzio irreale, e i lampioni a gas spandevano il loro cono di luce su una coltre candida e intatta, che trasformava Londra in una specie di paese delle favole. Dietro una finestra brillava solitaria una candela, illuminando un tralcio d’agrifoglio decorato con dei nastri rossi.
Com’è bello,” commentò Lancaster a bassa voce. Il fiato gli si condensò in una nuvoletta bianca.
L’altro si voltò verso di lui, e non poté fare a meno di sorridere notando la sua espressione di commossa meraviglia. “Ogni tanto dovresti ricordarti che sei un poliziotto,” gli disse.
Mi piace la neve,” replicò il primo, quasi in tono di scusa.
Sinclair scosse la testa. “Come fa a piacerti? Senti qui che freddo, un altro po’ e mi si gelano le orecchie.”
È bella.”
L’altro non replicò e continuarono a camminare fianco a fianco in silenzio. Le loro lanterne traevano luccichii fatati dai cristalli di neve ghiacciata. Passò una carrozza al trotto, lo sferragliare di ruote e zoccoli si perse nella quiete sospesa della nevicata.
Le vetrate di una chiesa illuminata proiettavano sul manto inviolato fiori di ogni colore. Da dentro proveniva l’eco flebile di inni sacri.
Tu dici che il sergente ce lo darà, il permesso?” domandò a un certo punto l’agente Lancaster.
Non vedo perché no,” rispose Sinclair, “In fondo non avrebbe motivo di negarcelo.”
Il primo emise un sospiro. “Speriamo.”
Abbiamo sempre lavorato sodo, direi che ce lo meritiamo.”
E se non ce lo desse?” chiese dopo un po’ Lancaster, in tono di vaga apprensione.
L’altro si sporse a toccargli la spalla con la propria. “Nel caso, ci arrangeremo in qualche modo.” Poi, dopo una pausa: “Ma vedrai che ce lo darà.”
Proseguirono senza aggiungere altro. Il rumore dei loro passi si perse nel silenzio della neve.

Il primo ad accoglierli, quando rientrarono in Centrale il mattino dopo, fu Bristol, un bastardino giallo che viveva sotto la scrivania del sergente Remington.
Corse loro incontro abbaiando e spiccò un balzo. Come sempre, Sinclair lo afferrò al volo. “Piano!” esclamò, “Sono talmente gelato che non sento più le mani.”
Versate una tazza di tè per il moccioso,” disse Stevens, uno degli agenti veterani, “E una anche per l’altro moccioso, altrimenti ci crepano assiderati.”
Si vede che non sono mai stati a Sebastopoli,” intervenne Donworth. “Quello sì che era vero freddo, altro che i due fiocchi di neve di stanotte.”
Il cagnetto continuava ad abbaiare e a contorcersi per cercare di leccare in faccia l’agente Sinclair, che invece faceva del suo meglio per evitarlo.
Qualcuno porse una tazza fumante all’agente Lancaster, poi gli disse: “Siediti qui vicino alla stufa, ragazzo. Sei talmente bianco che se passi davanti a Highgate ti tirano dentro e cercano di seppellirti.”
A quel punto si aprì la porta dell’ufficio di Remington, e il sergente si affacciò sulla stanza. “Cos’è questo chiasso?” chiese ostentando un cipiglio cupo. “Non riesco a lavorare!” Poi posò lo sguardo sui due giovani agenti e proseguì: “Un altro po’ e vi davamo per dispersi, ragazzi. Il vostro turno è finito un’ora fa.”
Volevamo fare gli ultimi controlli, sergente,” rispose Sinclair.
Remington scosse la testa. “Ho sempre avuto il problema degli agenti che lavoravano poco,” brontolò, “E a voi invece vi devo legare per non farvi lavorare troppo. Ma dei poliziotti normali non ci sono più, qui a Londra?” Poi, dopo una pausa: “Venite nel mio ufficio, forza.”

§

Edward Sinclair entrò nella stanza del collega. “Rowan, sei pronto?” gli chiese.
Lancaster era piegato sul letto a infilare cose in una borsa da viaggio. “Un momento.”
L’altro si avvicinò. “Cosa stai mettendo lì dentro?”
Solo qualche vestito.”
Qualche vestito? Fa’ vedere.” Cercò di ghermire la valigia, ma il primo fu svelto a sottrarla. “Lascia stare!”
Lì dentro c’è roba sufficiente per almeno un mese.”
È lo stretto necessario,” replicò Lancaster piccato.
Sinclair emise un sospiro di teatrale esasperazione. “Lo stretto necessario per una spedizione polare, vorrai dire.” Cercò di nuovo di afferrare la borsa da viaggio.
L’altro si fece indietro. “Non ci provare, sai?”
Dalla porta provenne un tossicchiare.
I due si voltarono all’unisono in quella direzione. “Signora Gibbs,” disse Sinclair accennando un sorrisetto imbarazzato.
Non vorrei che gli altri ospiti si lamentassero per la confusione,” disse la donna, sollevando le sopracciglia con fare severo, “il mio è un pensionato serio.” Si sistemò qualche capello sfuggito allo chignon grigio con un lieve tocco delle dita.
Certo, scusate, signora.”
È che stiamo per partire, signora,” intervenne l’agente Lancaster. “Forse ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo.”
Partire?” fece eco la donna. “Non ne sapevo nulla. Starete via molto?” Le sopracciglia si aggrottarono in un’espressione vagamente contrariata. Le labbra si strinsero severe.
Solo qualche giorno,” intervenne Sinclair. Scambiò un’occhiata con il collega e soggiunse: “Andiamo a passare il Natale nel Lancashire.”
Ah, dai parenti dell’agente Lancaster, per caso?”
Di nuovo uno scambio di sguardi fra i due. “Sì, è così, signora,” disse poi Sinclair.
La signora Gibbs annuì. “Trovo che sia un’ottima cosa,” osservò. “Avevate proprio bisogno di un po’ di riposo. Ultimamente avete lavorato molto.”
C’erano degli agenti malati, signora. Abbiamo dovuto fare i doppi turni.”
Vorrei che non si approfittassero così tanto di voi. L'ho sempre detto: siete troppo buono. E anche voi, agente Lancaster.” La voce aveva assunto un vago tono ammonitore.
Non preoccupatevi, signora Gibbs,” rispose quest’ultimo, “a noi non dispiace fare qualche servizio in più, se c'è bisogno.”
L’altra annuì seria. “Questo è lodevole. Non c’è cosa più bella che compiere il proprio dovere come si deve, diceva sempre il mio povero marito. Gradite qualcosa per il viaggio?”
Sì, magari, signora.”
Vado a prepararvi il necessario.”

Una volta che la sussiegosa matrona fu uscita, i due si guardarono ridacchiando e vicendevolmente si fecero segno di tacere.
Vediamo un po’ questa valigia,” disse Sinclair.
Giù le mani. Tu saresti capace di tirare fuori tutto quello che ci ho messo dentro.”
Infatti è esattamente quello che intendo fare.”
Ma neanche per sogno.”
Rowan...”
Io non sono come te, Edward. Ho bisogno delle mie comodità.”
Queste non sono comodità, sono svenevolezze inutili.”
Lancaster emise un sospiro di esasperazione, poi disse: “Ti ricordi da dove vengo, vero?”
Di colpo, Sinclair assunse una vaga espressione di imbarazzo. “Che c’entra?” borbottò.
Fino a due anni fa, quando mi spostavo per una settimana avevo dietro almeno dieci valletti carichi di bagagli.” Si strinse nelle spalle. “Certe abitudini sono dure a morire.”
Dopo qualche secondo di silenzio, Sinclair annuì e disse: “Va bene, scusami. Metti pure in valigia tutto quello che ti pare. Però poi la porti tu.”
E quando mai l’ho fatta portare a te?”
Ricomparve sulla soglia la signora Gibbs. “Agente Sinclair, agente Lancaster,” li riprese severa, “Sono davvero costernata: mi trovo costretta a ricordarvi nuovamente che il mio è un pensionato serio.”
Scusate, signora,” ripeté Sinclair. “Siamo mortificati.”
Che non si ripeta più.”
L’altro assunse un’espressione contrita. “Certo, signora.”

L’anziana donna uscì scuotendo la testa e si chiuse la porta alle spalle.
Dovremo portarle l’amaro di erbe di monaci di St. Giles,” sospirò Lancaster.
Sarebbe?”
Quello che le abbiamo portato l’altra volta. Ha detto che è un ottimo rimedio per la tosse.”
Mi sembra che le serva più che altro come prevenzione,” osservò Sinclair, “perché in effetti l’anno scorso se l’è scolato tutto prima che le venisse.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Mi sembra che abbia funzionato, comunque.”
Ridacchiarono, cercando di non fare troppo rumore.
Di nuovo udirono dei colpi alla porta.
Lancaster si voltò verso il collega. “Stavolta abbiamo fatto piano,” protestò. Il tono, vagamente di scusa, era quello che avrebbe potuto usare con la signora Gibbs in persona.
Sinclair andò ad aprire: sulla soglia c’era un altro ospite del pensionato, un imponente sottufficiale a riposo con i favoriti grigi e una giacca da camera con gli alamari. “Credevo che ci fosse una festa,” disse, facendo girare uno sguardo sulla camera ingombra di vestiti.
Scusate, signor Wells,” rispose Sinclair. “Non volevamo disturbare.”
L’anziano soldato fece una breve risata. “Nessun disturbo, giovanotti. Mi sembrava solo di essere ai bei tempi delle baldorie in caserma, tutto qui.” Poi, dopo una pausa: “Non ridete mai, siete sempre cupi come reverendi, pensavo fossero arrivati degli ospiti nuovi. Degli studenti, magari.”
Siamo solo noi, signor Wells,” rispose Lancaster.
Beh, giovanotti, fa un gran bene al cuore vedervi così.”
Grazie, signore.”

§

In borghese, con le borse da viaggio e il cesto delle provviste sottobraccio, i due si lanciarono in strada di corsa, ridacchiando e cercando di superarsi a vicenda mentre la signora Gibbs, in piedi sulla soglia, scuoteva la testa con disapprovazione.
Giunsero alla stazione ansanti, con i capelli scompigliati e le guance arrossate. Sul volto avevano un’espressione di pura gioia.
Nonostante fossero partiti con largo anticipo, corsero in biglietteria come se stessero per perdere il treno, ridendo e scambiandosi battute.
La loro meta, che avrebbero raggiunto dopo vari cambi di mezzi di trasporto, era un piccolo cottage chiamato Foxhole Barn sperduto nella foresta di Bowland.

§

Rowan sorride appena. Abbassa lo sguardo, come se si stesse scusando. “Io ho un cottage,” dice con voce sommessa. “Potremmo andarci, una volta o l’altra.”
Edward lo fissa stupito: tutto l’ammontare dei suoi averi sono pochi vestiti, alcuni oggetti di uso comune e l’uniforme da poliziotto. “Un cottage? Tuo? E come fai ad averlo?”
Me l’ha regalato mio padre, per andare a pesca con gli amici.”
Di nuovo l’altro non si capacita. “Tuo padre ti ha regalato un cottage?”
Si chiede perché Rowan faccia il poliziotto, visto che ha un genitore che gli fa regali del genere, e perché è in un pensionato per uomini soli a Londra e non in quel bel posto nelle campagne del Lancashire… “Allora è vero quello che raccontano in centrale,” riesce solo a dire. “Sei ricco.”
Rowan china la testa. “Lo ero.” Fa una pausa, si morde appena il labbro inferiore. “Lo ero prima che mio padre mi diseredasse.”
Edward quasi non crede alle sue orecchie.“Ti ha diseredato?”
Sì, quando ha saputo che volevo fare il poliziotto.”
L’altro lo fissa costernato. “Mi spiace.”
Quel cottage però è mio,” dice Rowan per tutta risposta. “Possiamo andarci tutte le volte che vogliamo.” Alza su di lui lo sguardo speranzoso.

§

Trovarono uno scompartimento vuoto e si sedettero uno di fronte all’altro. Di sottecchi si scambiarono uno sguardo come d’intesa, quindi, con un movimento pressoché simultaneo, sospirarono e si adagiarono più comodamente sui rispettivi sedili. Gli occhi però rimanevano mobili e vivaci. Davano l’idea del cane che scruta ansiosamente il padrone in attesa dell’agognato ordine di lanciarsi all’inseguimento della selvaggina.

Arrivarono a Wray nel primo pomeriggio, e da lì noleggiarono una carrozza che li portò lungo la strada fino alla deviazione per Foxhole Barn. Anche lì era nevicato da poco, e il viottolo che portava alla piccola abitazione non era percorribile dai veicoli.
Rimasti soli, i bagagli ai loro piedi, i due si scambiarono un’occhiata. “Ci siamo quasi,” disse Edward.
Rowan, le guance arrossate dal freddo, gli occhi verdi resi ancora più luminosi dalla neve che copriva ogni cosa, si limitò ad annuire e a mordersi il labbro inferiore con aspettativa.
Attaccarono di buona lena il sentiero, sollevando le ginocchia per destreggiarsi nella neve alta, e quando arrivarono al cortile del cottage si fermarono a contemplarlo in silenzio.
L’inverno aveva trasformato i rami degli alberi in gelide trine; l’aria era ferma, addolcita da un vago odore di resina. Si udiva tenue il gorgogliare del ruscello.
La luce del tramonto tingeva la neve di arancio e oro.
Che pace,” disse Rowan con un sospiro.
Sembra di essere in paradiso,” gli rispose Edward sorridendogli.
Si fissarono negli occhi senza dire nulla, uno stormo di cigni selvatici passò lungo l’orizzonte dirigendosi a nord.
Come se quello fosse stato un segnale, Rowan trasse di tasca una chiave. “È ora di entrare,” disse incamminandosi verso il cottage. La sua voce vibrava di un’emozione a stento trattenuta. L’altro annuì, lo sguardo acceso, il respiro di colpo vagamente ansante.
La porta si aprì cigolando su un piccolo ambiente che fungeva da cucina e sala da pranzo. In un angolo si intravedeva una scala di legno che scompariva verso l'alto. Vi erano due finestre, entrambe chiuse, e il pulviscolo dell'aria dava corpo e preziosità ai pochi raggi di luce che filtravano attraverso le commessure delle imposte. Quella stanza silenziosa e quasi buia, profumata di legno antico e fiori di campo, dava l'impressione di essere un luogo segreto, un rifugio protetto e accogliente.
I giovani posarono tutto alla rinfusa. Le provviste finirono sul tavolo e i bagagli ai piedi della scala. Rowan chiuse la porta con una spinta, Edward si mosse verso di lui.

L'anta non era ancora arrivata a battuta che già i due erano uno fra le braccia dell'altro, e si baciavano con la bramosia dell'affamato che finalmente si trova davanti una tavola imbandita.
Dio, non ce la facevo più,” mormorò Rowan ansante, il capo gettato all'indietro, il volto arrossato di piacere. “Averti accanto tutti i giorni e non poterti neppure sfiorare...”
L'altro lo spinse con le spalle contro la parete, aderì a lui col corpo. “Credevo di impazzire,” soffiò, con le labbra vicinissime alle sue, “credevo che sarei morto. Ti amo, Rowan.” Lo baciò di nuovo accarezzandogli il volto, passandogli le mani fra i capelli, stringendosi a lui come se non si capacitasse di averlo davvero fra le braccia, di poterlo finalmente toccare, accarezzare con l’intimità che la passione gli suggeriva.
Anch'io, Edward,” ansimò Rowan. Gli occhi socchiusi, lucidi di commozione, rilucevano nella penombra come lame di smeraldo.
Andiamo di sopra, ti va?”
Oh, sì... sì, ti prego...”
A malincuore si separarono, ma solo per dirigersi verso le scale con la consapevolezza di quello che di lì a poco sarebbe seguito.
Al piano superiore c'erano due camere, ognuna con due letti. Edward scelse quella rivolta a est. Era la loro preferita, perché all'alba i raggi del sole entravano dalla finestra, e se la giornata era serena, per un breve istante tutto si accendeva di oro e rosso. Poi il sole si alzava e la camera veniva inondata da un chiarore purissimo, che faceva scomparire le ombre come se ogni cosa brillasse di luce propria.

Crollarono avvinghiati sul più vicino dei due letti, si spogliarono febbrilmente, incuranti del freddo, con movimenti resi imprecisi dall’urgenza. L’aria vibrava del fruscio della stoffa e di sospiri carichi di desiderio.
Ti amo,” ripeté Edward, fissando negli occhi il compagno. Sdraiato sulla schiena, i capelli castani che gli ricadevano sulla fronte, Rowan si limitò a restituirgli uno sguardo carico d’aspettativa. Nella luce mielata del tramonto le sue ciglia diventavano d’oro e le iridi acquisivano il verde limpido delle foglie attraversate dal sole.
Quanto sei bello,” gli disse l’altro, la voce vibrante di una vaga nota di commozione. Si piegò su di lui per baciarlo.
Rowan socchiuse le labbra e cinse Edward fra le braccia tirandoselo contro. Si inarcò contro di lui, abbassando le palpebre per assaporare più intensamente il contatto con il corpo solido e muscoloso del compagno. L’impellenza del suo desiderio era più che evidente.
L’altro era pervaso dalla stessa brama. Cercò di prepararlo come meglio poteva, ma ogni secondo che lo separava dal piacere più grande era come un’angosciosa eternità. Si spinse in lui con tale impeto da strappargli un gemito di dolore.
Subito si fermò preoccupato. “Ti ho fatto male?” gli chiese.
No…” ansimò Rowan, offrendo ai baci dell’amante la pelle candida del collo, “no, continua…”
Edward mosse i fianchi con maggiore delicatezza, contemplando rapito il volto del compagno trasfigurato dalla passione.
L’altro aprì su di lui occhi lucidi di piacere. “Ti amo,” mormorò ancora una volta stringendolo poi a sé, “ti amo da morire.”
Anch’io.”

Dopo l’amplesso rimasero a giacere ansanti sotto le coperte, felici, momentaneamente appagati.
Edward lasciò scorrere la mano sul corpo di Rowan, adagiato contro di lui in atteggiamento di morbido abbandono. Membra lunghe e armoniose, modellate da una vita di sport, agili, eleganti. Aristocratiche, in una parola. Si piegò a sfiorargli una spalla con le labbra. L’altro sorrise nel dormiveglia, i lineamenti distesi, i capelli scompigliati che lo facevano sembrare ancora più giovane dei suoi ventidue anni.
Come tutto fosse cominciato, Edward non avrebbe saputo dirlo. Era come se fossero da sempre destinati l’uno all’altro, creati apposta per incontrarsi e completarsi a vicenda.
Continuò ad accarezzarlo, passandogli le dita fra i capelli.
Colpevolmente, all’inizio aveva diffidato di lui. Il suo proposito di diventare poliziotto gli era parso sciocco e pretenzioso.
Che motivi poteva avere del resto un nobile per lasciare tutte le sue ricchezze e mettersi a fare lo sbirro di quartiere, se non assecondare uno stupido capriccio da figlio di papà annoiato?

§

L’agente Donworth annuncia ai colleghi: “Ragazzi, la sapete la novità? Viene a fare il poliziotto da noi un Pari d’Inghilterra!”
Nella saletta passa un mormorio. Alla fine, uno dei presenti risponde: “Certo, e Sua Maestà la regina viene a prepararci il tè, vero?”
Tutti ridacchiano.
Ve l’assicuro,” ripete Donworth, “È la pura verità.” Mostra solennemente agli astanti un modulo compilato. “Ecco qui: Rowan Lancaster. Suo padre è un duca, nientemeno.”
Seguono alcuni secondi di silenzio, quindi l’agente Stevens ringhia: “E che accidenti vuole questa specie di damerino qui da noi?”
Non avrà niente da fare tutto il giorno,” rincara l’agente Gladstone, “e quindi viene a rompere le palle a chi si guadagna onestamente il pane.” Poi, dopo una pausa: “Che dite, avrà la pretesa che ci rivolgiamo a lui chiamandolo Vostra Grazia?”
Donworth scuote la testa, e assume un’espressione da cospiratore. “È qui in incognito,” rivela, “Non vuole far sapere che è nobile.”
E tu allora come lo sai?”
Il primo si stringe nelle spalle. “Il cassetto del sergente non è mai chiuso...”
Beh, lo sistemeremo noi,” chiude la discussione Stevens. “Gli passerà la voglia di giocare a fare lo sbirro.”

§

Edward si piegò di nuovo a baciarlo, questa volta sui capelli. Pur nel sonno, Rowan stirò le labbra in un lieve sorriso.
All’inizio non aveva avuto vita facile. Se c’era qualche servizio particolarmente faticoso, degradante o pericoloso, si poteva scommettere che sarebbe toccato a lui; se c’erano doppi turni o colleghi da sostituire, il primo nome che veniva fuori era il suo. Nessuno voleva fare coppia con lui.
Ecco perché alla fine si erano trovati insieme. I due mocciosi stanno fra di loro, era stata l’unanime decisione.
Alla fine però anche loro lo avevano amato. Chiaramente non nel modo in cui l’amava lui, ma in ogni caso era impossibile non volere bene a Rowan.
Lo strinse a sé, tirò le coperte in modo che il bozzolo tiepido che ormai avevano creato li avvolgesse maggiormente. Rowan gemette lieve e gli insinuò la testa nell’incavo tra la spalla e il collo.

§

Quando Lancaster viene riportato in Centrale sanguinante e privo di sensi, i colleghi gli si stringono intorno preoccupati: a parte quello che è andato a chiamare il dottore e quelli che sono di ronda, tutti sono lì a fissarlo colmi di apprensione.
Donworth mette in pratica reminiscenze della Guerra di Crimea per cercare di arrestare il sangue.
Edward fissa il volto cereo di Rowan e di colpo si sente mancare la terra sotto i piedi e l’aria nei polmoni. Barcolla all’indietro alla ricerca del sostegno del muro.
Che c’è, moccioso?” lo apostrofa Stevens sarcastico, “ti fa impressione?”
Il più giovane scuote la testa, con gli occhi incollati ai rivoli vermigli che scorrono sulla pelle bianca del compagno, e l’unica cosa che riesce a pensare è: non morire, non morire, non morire…

§

Di nuovo se lo strinse contro. Era come se dopo ogni ricordo doloroso avesse bisogno di sapere che lui era ancora lì, che stava bene. Chiuse gli occhi cercando di scacciare l’immagine di lui immobile nel letto, con la signora Gibbs che gli stendeva una pezza umida sulla fronte e sospirava preoccupata.

§

Il cottage li accoglie offrendo loro il tripudio della primavera: un’ansa di fiume di selvaggia bellezza, lo stormire lieve del salice, l’aria tiepida addolcita dal profumo della rosa canina e del caprifoglio.
Il gorgogliare dell’acqua tra le pietre muscose si sovrappone al ronzio delle api e al richiamo del fringuello e della cincia.
Sono sotto quel salice, con le stelle che appaiono e scompaiono tra le fronde agitate dalla brezza, quando succede per la prima volta
Stanno contemplando la notte, seduti fianco a fianco, in un silenzio ormai colmo di una tensione alla quale non sanno dare un nome, e d’un tratto si trovano l’uno fra le braccia dell’altro, a divorarsi di baci, pervasi da una smania così intensa da risultare quasi dolorosa.
Crollano al suolo, si liberano degli abiti come se bruciassero, li buttano lontano, e gemendo, ansimando, si avvinghiano, si rotolano tra le foglie umide di rugiada, nel profumo amaro delle erbe selvatiche.
È Edward che pone il compagno sotto di sé, e lo fissa affannato, cogliendo nel buio il bagliore dei suoi occhi liquidi di piacere, ascoltando rapito il palpitare dei suoi gemiti di desiderio. È sempre lui che si spinge con dolce irruenza nel suo corpo, che vibra all’unisono con lui, che raggiunge infine con lui un piacere che lo lascia ad ansare stordito e inebriato.

La consapevolezza arriva solo il giorno dopo, quando si svegliano in uno dei letti del cottage, sul corpo i segni di una notte di passione.
Si fissano negli occhi e non hanno bisogno di parlare.

§

Rowan sospirò e si strinse maggiormente a Edward. Gli posò un delicato bacio sul collo, passandogli un braccio di traverso sul torace.
Che meraviglia essere qui, solo noi due, finalmente senza essere costretti a fingere,” disse.
Già. Vorrei che durasse per sempre.”
La breve conversazione morì com’era nata, si trovavano maggiormente a loro agio nel silenzio. La clandestinità li aveva resi come piante del deserto, abituate a trarre nutrimento e sostanza da una sola goccia d’acqua. Avere di colpo tanto di più li faceva sentire ubriachi e disorientati.
Il crepuscolo dava al cielo le sfumature madreperlacee di una conchiglia. Nella camera vi era una penombra morbida, che scivolava come velluto sui due corpi avvinti.
È quasi buio,” disse Edward senza smettere di accarezzare i capelli di Rowan.
Già.”
Si potrebbe mangiare qualcosa.”
Certo, perché no.”
Ma nessuno dei due fece l’atto di alzarsi. Si abbracciarono anzi con rinnovata passione mentre il desiderio riprendeva a ruggire come un fuoco mai spento.

I giorni successivi furono un lungo sogno a occhi aperti. Spalarono la neve, spaccarono la legna, ripararono piccole cose qua e là. La libertà di amarsi conferiva loro una serena calma, e la bramosia dei primi giorni era lentamente venuta meno, soppiantata da una tranquilla consuetudine.
Potevano anche lavorare una mattina intera fianco a fianco senza nemmeno guardarsi, la consapevolezza che in ogni momento avrebbero potuto baciarsi o accarezzarsi senza timore di essere scoperti era sufficiente.
Di notte dormivano nello stesso letto, l’uno abbracciato all’altro, pervasi da una sensazione di perfetta felicità.
Non desideravano dalla vita niente di più, del resto.

§

Animata da una compassata soddisfazione, la signora Gibbs li accolse sulla soglia del pensionato. “Agente Sinclair, agente Lancaster,” disse, “felice di rivedervi. Avete fatto buon viaggio?”
Sì signora, grazie,” rispose il primo a nome di entrambi.
Ho appena sfornato la torta di mele. Per caso ne gradite una fetta?”
I due si scambiarono un’occhiata. “Molto volentieri, signora,” disse Sinclair.
Allora seguitemi, prego.”
Li precedette in cucina, e li fece accomodare al tavolo.
Ora preparo il tè,” annunciò. “Un buon tè caldo è quello che ci vuole, dopo tutto il freddo che sicuramente avrete dovuto sopportare.” La voce aveva un tono di vago rimprovero, come se esporsi ai rigori dell’inverno fosse stato un loro strano capriccio.
I due annuirono con l’aria di nipotini sgridati dalla nonna.
Senza smettere di parlare della campagna e delle sue insidie, la signora Gibbs dispose sul tavolo tazze, piattini, lattiera, tovaglioli, biscotti e finalmente la torta di mele.
Ora prendo un coltello,” disse poi trafficando in uno dei cassetti della credenza, “e voi, agente Sinclair, avrete la bontà di tagliarla.”
Approfittando del fatto che la signora dava loro le spalle, Rowan posò la mano sulla coscia di Edward. Questi la coprì con la propria e la strinse piano.
Fu solo un istante. Quando la donna si voltò di nuovo verso di loro, essi sedevano già perfettamente dritti e composti: una magnifica immagine di gioventù, entusiasmo e pulizia morale.

§

Il primo che li salutò quando misero piede in Centrale fu il cagnetto del sergente Remington, che corse loro incontro abbaiando festante, e come al solito saltò in braccio a Sinclair.
Bristol! Si può sapere che diavolo ti prende?” chiese il sergente affacciandosi alla porta dell’ufficio. Poi vide i due giovani, si illuminò in volto e disse: “Che mi venga un colpo, sono tornati i mocciosi. E noi che speravamo di essercene liberati.”
Figuratevi, sergente,” intervenne l’agente Donworth, “chi volete che se li prenda questi due?”
Da dietro la stufa si sentì la voce dell’agente Stevens: “Ormai che siete qui, mocciosi, venite a prendervi una tazza di tè.”

Di nuovo in servizio, Sinclair e Lancaster camminavano fianco a fianco. Ormai era l’imbrunire, e nella strada che stavano percorrendo non c’era anima viva.
Sono stati contenti di rivederci,” buttò lì il più giovane dopo un po’.
Il sergente è un brav’uomo,” fu la risposta.
Anche gli altri.”
Sì, anche gli altri.”
Continuarono a camminare. L’unico suono che si sentiva era quello cadenzato dei loro passi.
C’è una cosa che mi fa stare male, sai?” disse a un certo punto l’agente Lancaster.
Sinclair si voltò verso di lui, e con la voce di colpo venata di apprensione gli chiese: “Che cosa?”
Il primo sospirò. “Pensa a cosa succederebbe se tutta questa gente così affettuosa nei nostri confronti, così piena di premure… sapesse.”
L’altro crollò il capo. “Già. Forse non sarebbe più così piena di premure.”
E i nostri colleghi?” insisté Lancaster. Abbassò la voce: “Lo sai che c’è gente che è andata in prigione per molto meno di quello che...” Si interruppe. Anche se erano in una strada deserta, non era il caso di dire certe cose ad alta voce.
Continuarono a camminare per un po’, poi Lancaster riprese: “Un tutore dell’ordine può vivere con la consapevolezza di essere al di fuori della legge? Come facciamo se sorprendiamo sul fatto un… uno di quelli? Con che faccia lo arrestiamo?”
Sinclair sospirò. Per un po’ rimase in silenzio, infine rispose: “Non lo so. Noi siamo poliziotti, prima di tutto, e dobbiamo essere cortesi, professionali e impersonali, giusto?”
Non lo so.”
Beh, normalmente chiederei a Remington, ma in questo caso ovviamente non possiamo. Dovremo farci bastare questo.”
Lancaster gli rivolse un sorriso. “Tanto ormai abbiamo imparato a farci bastare le cose, no?”

Ripresero il giro di ronda. Non era facile essere costantemente fianco a fianco e non potersi scambiare neppure una carezza, ma in fondo c’era gente che aveva molto meno di loro, non potevano lamentarsi.
Erano comunque sempre insieme e avevano la possibilità di svolgere quello che entrambi consideravano il mestiere più bello del mondo. Era loro dovere affrontare ogni nuovo giorno con buona volontà ed entusiasmo.

   
 
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