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Autore: Il_Signore_Oscuro    13/12/2017    2 recensioni
Clarissa Minetti è una giovane donna con un lavoro 'molto particolare' che l'ha allontanata dalla sua famiglia e che ha messo a dura prova la relazione con il suo ragazzo, Stefano. Le cose nella sua vita sembrano essersi stabilizzate, quando una sera torna a casa dopo una giornata di lavoro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Clarissa sente un tremore quando Luca viene, la sua mano grande e tozza si stringe intorno al suo fianco sinistro e un bacio le si calca sulla schiena, dandole un brivido lungo la colonna della spina dorsale.
Le luci del set si spengono, qualcuno grida stop. Qualcun altro le passa un asciugamano con cui pulirsi il viso dal trucco e dal sudore, mentre Luca si sfila il profilattico dall’uccello e le sorride, due goccioline gli scivolano lungo la tempia.
Ha il viso magro lui, gli occhi piccoli e sfuggenti, una bocca che tira fuori di quei sorrisi che sono rassicuranti non appena ci posi sopra lo sguardo. «Bel lavoro Clarì» le dice, mentre col membro a penzoloni va verso la zona docce e lei risponde «Per te sono Lolita!» lanciandogli un occhiolino.

Sotto l’acqua bollente si passa le dita sul corpo nudo, i seni piccoli, le anche sporgenti. Chiude gli occhi, come per ritornare in sé: Clarissa Minetti. Il mercato e il web la conoscono con altri nomi, “Lolita” o “Little-cry-girl” ma quella è solo una maschera. Occhi grandi e blu da bambina, un viso ovale, con una manciata di lentiggini sull’una e l’altra guancia. Un nasino piccolo e ben modellato. Labbra sottili e lunghe, che si delineano in un sorriso da gatta.
I capelli a caschetto intorno alla testa, capelli fra il biondo e il ramato.
Clarissa si riveste: una felpa bianca e grigia, col cappuccio tirato su’, i pantaloncini che lasciano scoperti tre quarti delle cosce e le gambe, che scendono sottili fin nei polpacci, chiusi da un paio di scarpe nere a lacci bianchi.
Clarissa si accende una sigaretta: le piace fumare mentre cammina verso casa, le piace fumare e pensare, sì, pensare al briciolo di fugace felicità che il suo viso, col mascara disciolto attorno alle palpebre, e il suo corpo sinuoso  stanno dando a qualcuno da qualche parte o distante un volo d’aereo da lì: un ragazzo mollato da poco; un adolescente alla scoperta della sua sessualità; un uomo solo ormai da una vita; una coppia alla ricerca di nuovi stimoli e chissà chi altro, o quanti altri. Prova a immaginare che vengano tutti nello stesso istante, guardandola, o che l’uno segua all’altro. Ride fra sé e sé, immaginando quale strana orchestra di suoni e gemiti, smorfie ed espressioni, ne verrebbe mai fuori.
E mentre fantastica, un’ombra le si fa vicino, ma lei ci è abituata: qualcuno pensa che un paio di gambe in bella mostra  facciano d’ogni desiderio un diritto, e provano a prenderselo. La colluttazione non dura molto: una ginocchiata nei coglioni e quella buona mezza boccetta di spray al peperoncino spruzzata a bollirli gli occhi, che anche se illegale chi se ne frega, di certo non la andrà a denunciare il povero pirla.

La sigaretta è finita, Clarissa la pesta sotto un piede e apre il portone di casa. L’ascensore s’arrampica per sette piani prima di schiudersi e lasciarla uscire. Percorre il pianerottolo fino alla porta e inforca le chiavi nella serratura, appena una mandata e si apre davanti a lei.
Quando apre la porta lo vede lì: faccia contro il tavolo, in coma profondo. Ha provato ad aspettarla, ma anche quella sera proprio non ce l’ha fatta. Davanti alle sue braccia incrociate a farne un cuscino, c’è un piatto con il meglio che le abilità culinarie di Stefano possano portare a compimento: una porzione di pasta al dente, col sugo ormai rappreso. Niente di eccezionale, ma a lei non importa, sa che almeno lui ci prova ed è già una gran cosa che stavolta la cucina sia ancora intatta, senza nulla di bruciato. Stefano è un imbranato cronico, ma è anche dolce, amorevole, ama scherzare e prendersi in giro. Lei gli stampa un bacio sulla nuca e lo guarda dormire, mentre mangia, carezzandogli i capelli ad ogni forchettata.
Qualche volte ci ripensa, ci ripensa a quanto avevano litigato per la questione dei film. Quanto aveva pianto lui, quanto aveva pianto lei, quanto s’erano gridati addosso fino a non avere più voce. Poi, una mattina, Stefano s’era svegliato e, dandole un pizzicotto sotto il mento, aveva sussurrato nel suo orecchio «Il nostro amore dovrebbe alimentare le passioni, non estinguerle» poi aveva aggiunto, con gli occhi rossi e il sorriso sbarazzino, «Ma non ti aspettare di guardarlo insieme, andrei ad ammazzare i tuoi colleghi!». L’aveva baciato per ore dopo quel rappacificamento. Se lui non avesse dato il suo consenso, certamente lei avrebbe continuato a fare quel lavoro, ma non lo avrebbe fatto con il cuore leggero. Adesso Stefano apre l’occhio dietro il braccio, appena in tempo per vederla buttar giù l’ultimo boccone.

La notte è fonda quando finiscono di far l’amore, gli arti fanno male, il sudore scivola dalle ciocche umide. Lei ha la testa poggiata sul suo ventre, mima con la bocca le parole dell’Amleto, impresse sul libro. Lui legge il Maestro e Margherita, rapito, mentre sfoglia i capelli di Clarissa.
Clarissa stacca per un attimo gli occhi dalle pagine, nell’infantile nascondino di sguardi di quando sono al letto tutti e due. Pensa a quanto ama il suo lavoro, a quanto la sua passione abbia allontanato suo padre e ridotto drasticamente la frequenza con cui sua madre la guarda in faccia, specialmente dopo la sfuriata, dopo quelle parole che ancora le bruciavano sotto la pelle “puttana” “bagascia” “prostituta” “tu non sei mia figlia!”. Parole di cui sua madre si era pentita un attimo dopo averle fatte sgattaiolare dalla bocca, ma che ormai erano lì e nessuno più le avrebbe strappate alla memoria e al cuore di Clarissa. Lui cose del genere non gliele aveva mai dette, mai, neanche quando era infuriato e sbraitava più simile ad una bestia che a un uomo. Lui credeva in lei, credeva in quelle parole che lei non si stancava mai di ripetergli “Quel che faccio con te non è la stessa cosa, non è la stessa cosa di quando sono sul set. Io sono Clarissa Minetti, lei è Lolita”. Ed era vero: Lolita, Little-cry-girl, era un gioco, un’arte di voci e movenze, smorfie e gemiti, orgasmi trattenuti a denti stretti in attesa dell’inquadratura migliore. Con lui, no, era così diverso: tanto semplice e speciale da non sentire il bisogno di artefarlo con parole o recitazioni.
Lolita era la piccola ragazza che piange, Clarissa è la giovane donna che chiude gli occhi per una notte, sulla sua vita così bella ed imperfetta da essere l’unica che possa mai desiderare.




NdA: Mi prendo queste poche righe per raccontarvi come ho incontrato Clarissa: sono sempre stato interessato alle dinamiche che si nascondono dietro le persone che la società tende a lasciare da parte e gli attori/attrici di film a luci rosse credo rientrino in questa categoria. Ho spesso ricercato loro interviste per capire cosa gli avesse spinti a scegliere quella vita: c'era chi l'aveva fatto per fare un po' di soldi; chi per voglia di sperimentare e qualcun'altro semplicemente perchè aveva scelto di fare quel lavoro. Una notte, dopo aver letto una di queste interviste, Clarissa è venuta a bussare nella mia testa e mi ha raccontato questo piccolo spaccato della sua vita che mi sono preso la briga di riportare alle 5 del mattino o giù di lì (insomma, un classico esempio di personaggio che non sa che anche l'autore ha bisogno di fare la nanna).

 
   
 
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