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Autore: UnGattoNelCappello    15/12/2017    0 recensioni
Kei realizza durante il suo secondo anno di liceo che probabilmente è innamorato di Yamaguchi da quando ha dieci anni. Per quanto incapace possa essere a gestire la situazione, Kei prega almeno di non esserlo tanto quanto Hinata e Kageyama. Ma a quanto pare, è proprio così. *TRADUZIONE*
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Shouyou Hinata, Tadashi Yamaguchi, Tobio Kageyama
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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N/A: Buonsalve. In questo capitolo, Kei ha un attacco di panico dopo il suo sogno. Non va super in dettaglio ma mentre succede accadono delle cose importanti per la trama. Non succede nient’altro di simile in capitoli futuri. Ma comunque, se non volete leggerlo vi consiglio di saltare il pezzo da “sotto la mascella” a “il suo sguardo non si alza dal pavimento” usando ctrl+F !
 


 

Capitolo 2
 

A volte la chiamano un’epifania

 

La casa di Yamaguchi è sempre fredda, Kei lo sa, anche se è stato lì solo qualche volta. Si ricorda sempre di portare un maglione quando dorme da lui. Non è ancora abituato a dormire in una casa che non è la sua, e gli ci vuole sempre un po’ per addormentarsi. Il ronzio del piccolo ventilatore nell’angolo della stanza di Yamaguchi non è rilassante com’era all’inizio della serata. Adesso è solo rumoroso e fastidioso. Si chiede se a Yamaguchi darebbe fastidio se Kei lo spegnesse. Si alza appoggiandosi al gomito per sbirciare oltre il bordo del letto del suo amico. I suoi occhi ci mettono un minuto buono ad aggiustarsi alla penombra, specialmente senza i suoi occhiali.

È vuoto. Le lenzuola sono attorcigliate sul materasso come una contorta radice d’albero.

“Um…” dice Kei ad alta voce nella stanza vuota.

La sua voce sembra troppo alta anche sopra il rumorio del ventilatore. Dovrebbe provare a rimettersi a dormire e basta? È normale che gli ospiti di casa spariscano così durante le visite degli amici? Yamaguchi non l’aveva mai fatto prima. Accettando il fatto di essere praticamente sveglio, Kei afferra i suoi occhiali dalla scrivania e se li infila. Si ricorda che Yamaguchi diventa strano se fuori c’è brutto tempo, così Kei si alza dal suo caldo futon per guardare fuori la finestra della camera.

Il cielo notturno è calmo, un albero nel giardino si muove appena nel vento leggero.

Si risiede sul futon per qualche minuto con le gambe raccolte sotto di lui. Quando Yamaguchi ancora non ritorna, Kei finalmente si chiede se dovrebbe andare a cercarlo. Sarebbe strano gironzolare per la casa addormentata da solo, ma non meno strano di restare seduto nel buio della stanza di Yamaguchi senza di lui. Così Kei si alza.

Esce scalzo dalla stanza, facendo attenzione a dove mette i piedi per non sbattere contro niente. L’unica luce ad aiutarlo viene dalla parte opposta del corridoio; il bagno. Kei lascia andare un respiro che non si era accorto di star trattenendo. Sta per girarsi e tornare indietro quando realizza che la porta del bagno non è neanche chiusa. È spalancata. Si ferma appena fuori la soglia per ascoltare. Non è sicuro di cosa si aspetta di sentire (Yamaguchi che fa pipì? Il lavandino che scorre? Non può essere la doccia; l’avrebbe riconosciuta facilmente).

Kei impallidisce quando sente qualcuno tirare su con il naso.

Un altro paio di suoni del genere e un leggero singhiozzo più tardi e Kei non riesce più a stare lì in piedi senza fare niente, ma non può neanche tornare indietro. Così supera la soglia e socchiude gli occhi contro la forte luce del bagno. Yamaguchi è seduto sul ripiano del bagno, il viso premuto contro lo specchio. Tira su con il naso un’altra volta; ancora non l’ha notato. Una piccola borsetta gialla che Kei riconosce come l’astuccio delle matite di Yamaguchi è accanto a lui sulla mensola, aperto.

“Che stai facendo?”              

Yamaguchi sobbalza così violentemente che quasi cade dal ripiano. Allontana dalla guancia una gomma da cancellare bianca, in qualche punto quasi grigia per la grafite, ma non la posa. La sua piccola mano resta sospesa in aria di fronte al petto.

“Cosa c’è?” chiede Kei.

Aggrotta le sopracciglia e continua a guardarlo mentre gli occhi marroni di Yamaguchi iniziano a riempirsi di lacrime. Kei si sente immobilizzato, i suoi piedi nudi fermi sulle fredde mattonelle del bagno. Cosa farebbe Akiteru se io stessi piangendo? pensa, ma per quanto ci provi non gli viene in mente niente. Si aggiusta gli occhiali per avere qualcosa da fare con le mani in quel momento di stasi.

“Yamaguchi, che cosa stai cercando di cancellare?” chiede Kei anche se conosce già la risposta.

“Scusa, T-Tsukki,” risponde automaticamente Yamaguchi. “Non è niente. Volevo andare a letto, ma.” Un altro leggero singhiozzo fa desiderare a Kei di essere qualcun altro, così saprebbe che cosa fare. Yamaguchi continua dopo un profondo respiro, “Continuo a pensare a quei ragazzi al parco e…”

“Che cosa stai cercando di cancellare?” ripete Kei, ora a voce più bassa.

“L-lentiggini.”

Anche solo la parola sembra una parolaccia nella bocca di Yamaguchi. Kei non capisce. Di tutte le cose che possono ridurre il ragazzo in quello statoin lacrime nel suo bagno nel mezzo della notte, a strofinarsi il viso arrossato con una gomma da cancellare ed è per le sue lentiggini? La prima cosa che Kei pensa amaramente è, sei troppo grande per pensare che possa funzionare, ma la seconda cosa, più dolce, è, io trovo che siano interessanti. Ti distinguono da tutti gli altri.

Ma Kei realizza dopo averci pensato un secondo che sono anche ciò che rende Yamaguchi diverso dagli altri. E Kei sa che è quella la prima cosa che notano i bambini della scuola elementare. Cerca di scegliere le sue prossime parole con cura; qualcosa che sente veramente, perché lui è sempre onesto, ma anche qualcosa che sa farà stare meglio Yamaguchi. Kei alza le spalle con noncuranza.

“Io penso che siano fiche.”

Yamaguchi sobbalza di nuovo. La gomma gli cade dalle mani e rimbalza nel lavandino. Yamaguchi si porta la manica del pigiama agli occhi e si asciuga le lacrime dal viso.

“T-tu…” cerca di dire.

Kei annuisce. “Non sono niente di cui preoccuparsi. Gli altri sono solo degli idioti.”

“Tsukki,” geme Yamaguchi, con l’aria di voler piangere di nuovo.

Kei non sa perché è arrossito, ma sente il calore salirgli alle guance. Si dirige al lavandino e ne tira fuori la gomma. La rimette nell’astuccio senza dire una parola. Yamaguchi scivola giù dal ripiano e Kei vede che anche le sue guance vanno a fuoco.

“Hai le lentiggini,” gli dice. “E allora?”

Yamaguchi lo guarda, insicuro su cosa rispondere.

Kei continua, “Io ho i piedi grossi. E una vista terribile. E allora?”

“…E allora,” ripete Yamaguchi, e un vago sorriso appare sul suo volto arrossato.

“Esatto,” Kei gli rivolge un ultimo rassicurante cenno d’assenso. Rimette l’astuccio giallo di Yamaguchi sul ripiano del bagno. Yamaguchi gli lancia un’occhiata veloce prima di rivolgere lo sguardo a terra. I suoi larghi occhi scattano in alto verso Kei quando lui parla di nuovo.

“Possiamo andare a dormire, adesso?”

Un sorriso vero sboccia sulla sua faccia lentigginosa.

“Grazie, Tsukki. Certo, Tsukki.”

Yamaguchi spegne la luce del bagno e si affretta a seguire Kei lungo il corridoio buio.

Sommessamente, sente il suo amico dire, “Scusa, Tsukki.”

 

Kei si sveglia con un sobbalzo, sbattendo il gomito contro la parete della sua camera da letto e facendo una smorfia al sonoro thud che accompagna il gesto. Si mette a sedere e lancia le lenzuola al lato del letto. Si strofina il gomito per un secondo prima di premere i palmi delle mani contro gli occhi, ancora calde dal piumone. Continua a premere finché non vede delle scintille.

Non pensava a quella notte da molto tempo.

Nel sogno, nel ricordo, il corridoio di Yamaguchi sembrava così lungo. Gli sembrava di aver camminato per miglia prima di raggiungere la luce gialla che fuoriusciva dalla soglia del bagno. Si ricorda di quanto era buio, di come l’oscurità li aveva avvolti mentre ritornavano nel freddo della camera di Yamaguchi. Ricorda vagamente le sue dita fremere dalla voglia di allungarsi e toccare una parte qualsiasi di Yamaguchi, solo per fargli sapere che lui era lì. Voleva toccare con le sue mani lo stesso esatto punto su cui Yamaguchi aveva premuto la gomma.

No, no, no, no, no, pensa Kei, buttandosi di peso contro il materasso. Non pensavo quelle cose, allora.

Quando chiude gli occhi, vede ancora delle pallide scintille ballare dietro le sue palpebre.

“Allora perché sembra così familiare?” mormora ad alta voce.

Vuole ignorarlo, vuole arrotolarsi di nuovo il piumone intorno al corpo e sotterrare la testa nel cuscino e tornare a dormire. Ma è sempre stato più sentimentale nel riparo della notte e adesso si sente insonne. Il battito del suo cuore accelera finché riesce a sentirlo risuonare nelle orecchie nel silenzio mortale della sua stanza. Si preme due dita sotto la mascella.

Il caos del suo battito lo spaventa.

Chiude forte gli occhi, sente che il suo corpo è più pesante di un macigno, e cerca di riflettere. Spinge da parte il sogno e cerca il ricordo, il ricordo reale che sa essere nella sua testa da qualche parte. Lascia sé stesso sentire il gelo della casa di Yamaguchi attraverso il suo vecchio maglione delle elementari. Scava più a fondo finché è in grado di strappare le sue stesse parole dal ricordo e lasciare cadere nel presente.

“Possiamo andare a dormire, adesso?” Kei ripete a sé stesso, appena udibile sopra la corsa del suo stupido cuore.

Ricorda essere uscito dal bagno, il leggero click di Yamaguchi che spegneva le luci. Il gesto aveva inondato il corridoio di nero e Kei aveva dovuto di nuovo controllare ogni passo per essere sicuro di andare dalla parte giusta. Ricorda il desiderio di voler allungare la mano innocentemente, magare per sentire il muro o qualcos’altro che l’avesse guidato sano e salvo nella notte.

Yamaguchi era dietro di lui, la sua presenza leggera e goffa ma , e Kei voleva dargli una pacca sulla spalla, magari toccare il suo braccio per un secondo per fargli sapere che anche lui era lì. Kei ricorda chiudere i pugni nelle logore maniche del suo maglione di scuola. Ricorda costringere le sue braccia a restare giù pesanti contro i suoi fianchi. Ricorda desiderare che quelle stesse braccia non si perdessero; che non si alzassero per guidare Yamaguchi attraverso la soglia della camera da letto con una mano sulla schiena o le spalle, e assolutamente—assolutamente—non voleva che le sue fredde mani cercassero nel buio quelle più piccole e inevitabilmente più fredde di Yamaguchi.

Solo per assicurarmi che stia bene, che non pianga più stanotte, si era detto Kei, ma stava solo facendo finta di non essere egoista.

“Merda, sono…? Da s-sette anni? Sono in…” Kei emette un suono rauco nel buio. La sua gola non gli permette quasi più di parlare ad alta voce. Il buio intorno a lui gli ricorda quel corridoio tutti quegli anni prima e la sua mano colpisce la lampada accanto al suo letto quasi mandandola a sbattere contro il muro provando ad accenderla.

Il suo battito incontrollato gli fa scorrere veloce il sangue nel corpo e onde di tsunami gli ruggiscono nelle orecchie. Le braccia di Kei tremano e lo tengono su a malapena quando alza il suo corpo di piombo dal materasso—non era così pesante quando era andato a dormire—e inizia a camminare su e giù per la stanza. Non si è mai sentito così alterato in tutta la sua vita, il sangue bollente sotto la tesa pelle bianca e la vista leggermente sfocata quando alza il telefono al viso.

 

a: Tadashi ★

oggetto: lhgdfjhk

Sveglio

 

È tutto ciò che riesce a mandare ma dovrà andare bene. Vuole urlare quando alza lo sguardo sull’orologio sopra il letto e vede che è mezzanotte e mezza; è piuttosto certo che ormai Yamaguchi stia dormendo. Sente come se un monsone sia intrappolato nel suo corpo. Dio, pensa Kei, forse anche solo il suo viso mi calmerebbe adesso.

 

da: Tadashi ★

oggetto: Re: lhgdfjhk

è una domanda?? xche sì tsukki! non riesco a dormire :>

 

Kei lascia andare un soffocato gemito di sollievo. Non ha mai sentito un suono del genere uscire dalla sua bocca prima d’ora ma in quel momento ogni cosa gli sembra estranea. Si infila la giacca in un lampo e si lascia cadere il telefono in tasca. È un miracolo, pensa, che riesca a scivolare nelle scarpe e uscire in silenzio dalla casa attraverso la porta sul retro.

La neve caduta qualche settimana prima si è quasi sciolta, ma la sua persistente presenza lascia un qualcosa di pungente nell’aria che si ha solo quando è davvero inverno. Il ragazzo pensa che il suo telefono stia squillando nella tasca ma non ne è sicuro e non è abbastanza presente a sé stesso da controllarlo. È sicuro che sverrà se il suo cuore continua a battere in quel modo. Kei si stringe il cappotto intorno al corpo, scuote violentemente la testa per schiarirla, e inizia a correre.

Cinque minuti o due ore più tardi—Kei non ne è sicuro—arriva correndo nel giardino di Yamaguchi. Rimane in piedi davanti alla porta sul retro, con un desiderio disperato di bussare e bussare e bussare finché non vede il viso lentigginoso di Yamaguchi aprire la porta e accompagnarlo dentro. Ma non può svegliare l’intera casa. Ha il respiro pesante e il suo cuore va ancora a mille, ma fa meno paura se riesce a credere che sia dovuto allo sforzo fisico. Manda un veloce e senza dubbio confuso messaggio a Yamaguchi, considerato che le sue rigide dita in questo momento non sembrano funzionare, e poi si piega in due, poggiando le mani sulle ginocchia.

“Tsukki, che succede?”

Il ragazzo è sul portico con la schiena piegata cercando di incontrare gli occhi di Kei, bisbigliando a causa dell’ora. Quando realizza che Kei non risponde, lo afferra per la manica e lo trascina dentro. La casa passa sfocata davanti i suoi occhi e improvvisamente si ritrova seduto sul letto di Yamaguchi. Il suo proprietario si inginocchia davanti a lui sul pavimento, lentiggini e ciuffo ribelle e tutto il resto.

“Mi dispiace, mi dispiace,” Kei sente sé stesso borbottare.

“Concentrati su di me.”

La sua visione periferica smette di funzionare dopo quelle parole, la sua attenzione unicamente sul viso di Yamaguchi. Kei lo guarda intensamente, gli occhi fissi sul suo volto; ecco le sue lentiggini—tutte le sue lentiggini—ed ecco i suoi preoccupati occhi marroni, ed ecco la sua piccola bocca imbronciata, ecco le sue lunghe ciglia e il naso affilato; Kei elenca tutto quanto ancora e ancora finché non si sente abbastanza sicuro da poter parlare.

“Hai mai avuto un attacco di panico?” riesce a dire.

“Certo,” risponde immediatamente Yamaguchi.

Si alza lentamente per sedersi a fianco a Kei. Posa una gamba sul grembo di Kei e usa le sue mani per guidare quelle tremanti di Kei sul suo ginocchio. Kei lo afferra delicatamente, concentrandosi sul suo respiro come gli dice Yamaguchi. L’unica cosa che trattiene Kei dall’alzarsi e camminare su e giù ogni dieci secondi è la stretta che ha sul ginocchio di Yamaguchi. Lo stringe più forte e l’altro si irrigidisce, la sua voce vacilla mentre conta ad alta voce. Deve avergli fatto il solletico.

“Va tutto bene,” promette Yamaguchi, “Passerà. Passerà, Kei.”

Kei inizia a credergli. Sente il terrore scivolare via come un’onda che si ritira sulla sabbia. Qualche altro minuto dopo e il suo respiro è sotto controllo come sempre, ma il suo sguardo non si alza dal pavimento della stanza. Un rossore si accende sul suo viso; è imbarazzato. Sobbalza quando Yamaguchi preme due dita su un particolare punto del suo collo.

“Scusa, Tsukki. Mani fredde,” si scusa Yamaguchi. “Sembra che tu ti stia calmando.”

“Sì.”

I suoi occhi si alzano sulla porta della camera di Yamaguchi e la sua mente viene riportata al corridoio scuro proprio dietro di essa. Pensava che quello provava per Yamaguchi—e ora non vuole analizzare cos’è esattamente quello prova, perché non è pronto per scoprirlo—fosse un sviluppo recente. Kei aveva supposto che fosse un risultato del cambiamento delle dinamiche tra loro due dopo la scorsa estate, dopo il modo in cui Yamaguchi l’aveva incitato a spingersi più a fondo perché sapeva meglio di Kei stesso quanto luminoso potesse bruciare il suo fuoco. Aveva solo bisogno di essere alimentato, e Yamaguchi voleva e poteva farlo. Era questo quello che aveva pensato.

Ma è solo Yamaguchi.

Kei può provare a dare la colpa dei suoi sentimenti all’aumento di sicurezza del suo amico e al cambiamento tra di loro, ma adesso incomincia a capire come stanno davvero le cose. È solo che non pensava che l’epifania l’avrebbe portato a un cazzo di attacco di panico. La corsa dalla sua casa a quella di Yamaguchi sembra essere successa un secolo fa.

“Tsukki?”

“Tadashi,” esala Kei in risposta, e sente ogni pensiero dentro di lui scappare dentro quella singola parola.

Non nota come Yamaguchi si immobilizza e poi si rilassa di nuovo nello spazio di un secondo. Quello che inizia a notare, però, è l’inevitabile freddo che permea la stanza e la melodia metallica emessa dalla console posata sull’altro lato del letto. Si accorge anche che la gamba di Yamaguchi è sorprendentemente calda e piacevolmente pesante sul suo grembo, infilata sotto la gamba destra di Kei e la caviglia penzolante dal bordo del materasso. Quando abbassa lo sguardo e trova le sue mani ancora strette intorno al ginocchio lentigginoso, Kei le alza di scatto come se si fosse bruciato. Ora non sa che farne, quindi le usa per strofinarsi il viso. A quanto pare Yamaguchi a un certo punto gli ha tolto gli occhiali.

“Stai bene?” chiede piano Yamaguchi.

“Adesso sì. Che ore sono?”

“Le due meno un quarto.”

“Merda. Scusa.”

Yamaguchi tira indietro entrambe le gambe contro il petto e posa il mento sulle ginocchia sbucciate. Occhi color carbone, spalancati nella fioca luce, fissano apertamente il volto di Kei. Con la coda dell’occhio, Kei vede i bordi dei boxer viola di Yamaguchi scivolare giù, rivelando senza dubbio qualche altro centimetro di cosce abbronzate e lentigginose. Kei si costringe a distogliere lo sguardo. Il DS di Yamaguchi suona allegro nel silenzio crescente. Può praticamente sentire la preoccupazione di Yamaguchi arrivargli a ondate. Vuole chiedere, Kei sa che vuole.

“Posso dormire qui?” chiede Kei con voce roca.

Dovrebbe schiarirsi la voce, ma non lo fa. Yamaguchi si limita ad annuire. Il ragazzo con i capelli marroni poi si alza e si dirige al suo armadio, da dove tira fuori il futon e lo posiziona accanto al letto. Ci lascia cadere sopra un paio di cuscini. Kei sbatte le palpebre solo quando l’unica lampada della stanza viene spenta. La luce della luna si riversa nella stanza come se fosse stata evocata, e Kei si sente improvvisamente esausto. Si alza per lasciare cadere il suo corpo indebolito sul futon.

“No,” dice Yamaguchi, scuotendo la testa e occupando il posto sul pavimento. “Tu prendi il letto.”

Kei annuisce e si lascia cadere sgraziatamente sul materasso. Si allunga per afferrare il fastidioso videogioco dai piedi del letto e lo porge in silenzio a Yamaguchi, che spegne immediatamente il volume e comincia a giocare. Si distende sul futon, le gambe nude pallide nella luce lunare. Kei si rigira nella coperta di Yamaguchi e chiude gli occhi. Il leggero ticchettio dei pulsanti del gioco colpiti dalle veloci dita di Yamaguchi lo fanno scivolare quasi immediatamente nel sonno.

  
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