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Autore: elerim    16/12/2017    12 recensioni
Rin doveva ammettere di aver investito una quantità di pazienza considerevole per conseguire quell'obiettivo. Quanti saluti ignorati, sospiri infastiditi, porte sbattute davanti al naso, occhiate arroganti aveva dovuto sopportare in risposta ai suoi tentativi – sempre allegri e garbati – di approccio? A palate.
Ma perché, poi? Eh. Qui si arriva al punto. Perché se lo fosse posto, l'obiettivo di andare d'accordo con Sesshomaru, era tanto semplice quanto sconcertante: Sesshomaru non era ignorabile.
Quando si chiude una porta si può aprire di nuovo
perché di solito è così che funzionano le porte.
Albert Einstein

PUBBLICATO EPILOGO A PARTE, RATING ROSSO!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slamming Doors'
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Capitolo due ovvero Chi vuol esser lieto sia.




Nella settimana seguente alla famosa cena, camminava ad una spanna da terra; quasi letteralmente, perché in effetti per la maggior parte del tempo saltellava invece di camminare, come non aveva mancato di farle notare Ayame.
Ayame era la sua migliore amica fin dal primo giorno della prima superiore. Era un folletto tutto pepe dai capelli rossi, gli occhi verdissimi, l'animo volubile e i canini deliziosamente accentuati, che conferivano al suo sorriso un che di pericoloso e malizioso che lei per prima giudicava irresistibile. Al contrario di lei aveva stuoli di ammiratori ma il tappeto di cuori infranti alle sue spalle aveva raggiunto dimensioni considerevoli negli ultimi due anni, da quando Ayame aveva perso la testa per un compagno di corso, Koga. Lui sembrava gradire la sua compagnia ma le aveva lasciato intendere chiaramente che non fosse interessato ad andare oltre ad un rapporto di amicizia. Ayame sospettava che lui fosse invaghito di qualcun'altra ma questo non l'aveva fatta desistere, anzi si era intestardita a volerlo conquistare a qualunque costo e aveva respinto i corteggiamenti di ogni altro ragazzo.
Non che fosse rimasta a bocca asciutta per due anni, chiariamoci: si dilettava in qualche storiella fugace. 'Giusto per passare il tempo', diceva lei, 'giusto per tentare di far ingelosire Koga' pensava lei, ma il prescelto del momento non si poteva aspettare di più di qualche bacio vorace e qualche palpata discreta, e quando Ayame ne aveva avuto abbastanza lo mollava lì senza ripensamento alcuno.
Qualcosa del genere doveva essere in atto proprio in quel momento, sospettò. Erano andate in biblioteca con il fermo proposito di studiare a schiena piegata ma Ayame era assente da più di mezz'ora e si decise ad andarla a cercare.
Come previsto la trovò avvinghiata ad un biondino nel corridoio della 'Narrativa in lingua', collocazione decisamente appropriata a giudicare dall'esplorazione approfondita che il biondo stava conducendo della bocca di Ayame.
“Bleah” sussurrò con un misto di ironia e disgusto a voce evidentemente troppo alta, poiché i due si interruppero immediatamente. Il biondino guardò ovunque tranne che nella sua direzione mentre Ayame si diresse verso di lei allegra, salutando a malapena il malcapitato con un cenno della mano.
“E lo molli così?!?” bisbigliò, rossa in volto.
“Certo, che si arrangi da solo!” ridacchiò l'altra ammiccando. Lei arrossì ancora di più e sbuffò irritata, dando le spalle all'amica e dirigendosi nuovamente verso il tavolo dove era accatastato tutto il loro materiale di studio.
“Ehi, che c'è?” la fermò l'amica, prendendola per il polso e invitandola a girarsi.
“Oh accidenti Ayame! Ma come puoi... come puoi fare una cosa così...intima con uno che non ti interessa neanche?”
La sua irritazione scomparve nel vedere lo sguardo canzonatorio e per nulla scomposto dell'amica. Sbuffò ma non potè evitare di accennare ad un sorriso. “Sei perfida, Ayame!”
“Rin, rilassati!” le rispose il folletto rosso dandole un buffetto su una guancia. “Guarda che non c'era proprio niente di intimo, non mi è neanche piaciuto granché...” e prime che lei potesse replicare aggiunse, a bruciapelo: “Non tutti i baci sono come quello che hai ricevuto tu, mica senti ogni volta le campane a festa!”
Lei aprì la bocca e annaspò, colpita da una nuova vampata di calore “Non ho mica sentito le campane a festa!”, rispose piccata, “E poi cosa c'entra, non è stato per niente così, lui non si è avvinghiato a me come un polpo, è stato molto...” deglutì sotto lo sguardo già scettico dell'amica, e concluse con voce strozzata “gentile.”
Ayame ghignò, “Non gliene hai dato il tempo! Ti ricordo, tesoro, che sei tu che ti sei allontanata al primo accenno di...”
“Uffaaaaaaa! Te l'ho detto, non me lo aspettavo! E” tentennò “io non sono come te... non ero pronta.”
“Rin” la rossa le mise un braccio su una spalla e sospirò. “Non so più come dirtelo. Io sarò anche una che si limona il primo che capita, ma solo tu sai quanto sono stupidamente fedele. Fedele ad uno che non è neanche il mio ragazzo, figurati! Tu invece non ti lasci andare, non ti concedi niente. Sogni l'arrivo di chissà quale principe e non cogli le occasioni. Insomma, mia cara ragazza,” prese un tono da finta paternale e le mise la mano dulla spalla, “non ne posso più di spiegarti quanto è figo baciare con la lingua, devi provarlo!”
“Ma io l'ho provato” bofonchiò lei mettendo su quel piccolo broncio spontaneo che sapeva essere l'ultima futile resistenza alla resa.
“Maddài, scherzi? Con quello sfigato di Shinichi?” affondò infatti Ayame.
“Smettila, Shinichi è una bravissima persona.”
“Sì, con il sex appeal di una salamandra!”
Risero entrambe, attirando gli sguardi ostili degli occupanti il tavolo vicino.
“Ricordati che vi ho visti!” Ayame incalzò “ti ha avvolto la bocca come una ventosa, bleah, che schifo! Cioè Rin, vuoi mettere la differenza con quel pezzo d'uomo del tuo vicino di casa? Vedrai, altro che campane a festa, quando la sua ling...
“Zitta, scema! Ma che dici?” Rin nascose la testa nel libro che aveva davanti, mentre mormorii di disapprovazione si alzavano due tavoli più in là.
“Come 'che dico', ti ha già baciata, no?” rispose la rossa a voce bassissima, fingendo anche lei di tornare a studiare.
“Sì ma non succederà più, non voglio che succeda!”
“Sono due cose diverse, cara... Se l'ha già fatto lo rifarà, vedrai. Tanto più che ti sei sottratta... no? L'hai lasciato a bocca asciutta – beh, quasi – vedrai che non tarderà a riprovarci!”
“No Ayame, non deve assolutamente succedere.”, Rin assunse un tono serio e convinto.
“Ma perché Rin? Mi hai detto che ti piace, no? E ti è piaciuto anche il bacio, guarda che me l'hai detto, non puoi smentire!”
“Ayame, sii seria! Cosa me ne farei? Ti sembra che un tipo del genere possa mai interessarsi davvero a me?” L'amica spalancò gli occhi verdi, chiaramente incredula. “Io voglio un ragazzo, non un vicino che mi porti a letto.”
“Divinità celesti, perdonatela!” Ayame abbassò teatralmente gli occhi e giunse le mani snocciolando come una litania “Date a me uno scopa-vicino come quello! Date a me un...”
Rin sbuffò sonoramente e le appioppò una sventola sulla testa con il block-notes, così si guadagnarono i sonori “Sssshhhh!!!!” dei vicini e il discorso per quella volta si concluse così.

Mentre tornava a casa le parole di Ayame continuavano a ronzarle in testa, anche perché oggi era giorno di spesa, l'avrebbe rivisto a breve. Come avrebbe dovuto comportarsi?
Era una stupida romantica, lo sapeva da sola. E Sesshomaru era fantastico, un vero sogno.
Avrebbero fatto tutte la fila per essere baciate da lui. Ecco, appunto: tutte. Chi era lei per poter ambire a qualcosa di diverso? Cosa credeva, di poter puntare al suo cuore? Se mai ne avesse uno, peraltro.
Dirigendosi verso il supermercato la sua camminata divenne più mesta e rassegnata, ma non meno decisa. Erano amici. Insomma, quasi amici. Buoni vicini, quasi amici. Per lei era già una grande conquista e a questo si sarebbe attenuta, senza fantasticherie e senza pensieri strani.
Il bacio era un bel ricordo che avrebbe conservato, frutto probabilmente di una forma di riconoscenza che Sesshomaru aveva avuto verso di lei, un modo per dirle che era stato contento della serata. E quel suo tentativo di approfondire il bacio, quel suo tono basso e suadente, provocante... non c'erano mai stati, ecco. Fine così.
Non ne avrebbe più parlato e si sarebbe comportata normalmente.


***


Sesshomaru attendeva il suono del campanello con una insolita agitazione. Beh, nulla di eclatante naturalmente, nulla che un occhio esterno medio avrebbe potuto notare. Ma l'osservatore attento ed allenato – sua madre, in pratica, e lei sola – avrebbe colto i piccoli segnali di inquietudine: aveva controllato due volte che nel frigo ci fosse sufficiente spazio – e sarebbe stato improbabile il contrario, dato che il frigo della cucina scelta dalla suddetta madre aveva il volume di carico di una portaerei – aveva spostato i soldi dal tavolo alla specchiera presso la porta e ne aveva approfittato per lanciare un'occhiata fugace alla sua immagine riflessa. Nero o grigio molto, molto scuro, in questo periodo non indossava maglie o camicie di altri colori.
Il doppio suono tipico di Rin lo sorprese mentre stava tornando in cucina; fece dietro-front, afferrò soldi e chiavi e uscì, imboccando le scale.
Come al solito trovò i sacchetti sullo scalino davanti al portone e come al solito la attese con le borse in mano, tenendole aperta la porta. Rin guardava il cielo mentre si avvicinava ed aveva le guance arrossate per il tratto percorso in bicicletta. Era davvero graziosa, un piccolo folletto; un piccolo folletto senza guanti, naturalmente.
Gli salì alla bocca più d'una osservazione velenosa a riguardo ma le tenne per sé e attese che fosse lei a iniziare la conversazione. Come al solito.
“C'è aria di neve” disse infatti con un piccolo sorriso, quando era ormai ad un metro da lui. Serena, tranquilla, solare; Sesshomaru si era aspettato dell'imbarazzo da parte di lei e una conseguente fatica nella gestione dell'approccio da parte sua, invece Rin stava tranquillamente parlando... del tempo!?! Proprio come due anziani dirimpettai.
Bofonchiò un verso in risposta e per una volta non si sentì sprezzante o distaccato bensì semplicemente una persona di senno. Davvero avrebbe dovuto rispondere 'Eh, già, l'han detto anche al telegiornale'? Ma per favore.
“Magari quest'anno saremo fortunati ed avremo la neve a Natale” continuò la voce di Rin alle sue spalle. Dei del cielo, ma erano davvero a questo punto? Non rispose neanche.
“Ah, non te l'ho detto, a Natale starò via per una decina di giorni. Tornerò come sempre dai miei, ma mi fermo una settimana in più perché arrivano dei parenti dall'Europa e mi fa piacere rivederli.” Ecco che partiva l'usuale chiacchericcio. “Insomma, non sono proprio parenti ma è come se lo fossero: erano i nostri vicini di casa quando ero piccola e ho trascorso l'infanzia a giocare con i due figli. Poi si sono trasferiti in Europa a causa del lavoro del padre e non ci siamo praticamente più visti...”
Beh, era sollevato. Queste almeno erano chiacchiere interessanti.
“Dove?” chiese.
“Dove cosa?”
“Dove in Europa.” sillabò lui.
“Ah. Boh, in verità non lo so. Uno di quegli Stati con tanto mare e turismo.”
“Sono parecchi gli Stati europei con 'tanto mare e turismo'” commentò lui con sufficienza.
“Quante storie, Sesshomaru!” sbuffò lei, gaia. “Non me lo ricordo proprio. Me lo dissero quando partirono ma ero troppo piccola per interessarmene, capii solo che andavano lontano, così lontano che non li avrei visti per tantissimo tempo, forse anche mai più.” la voce di Rin gli giunse velata di tristezza.
“Mhm.”
“Invece tornarono sei anni fa. I nostri genitori avevano continuato a tenersi in contatto e... beh, rimasero una settimana.”
Il tono con il quale aveva pronunciato quell'ultima frase lo incuriosì. Era tentennante, quasi imbarazzata. Si voltò verso di lei, ormai erano al pianerottolo e alzò un sopracciglio invitandola a continuare.
“Ecco...” cominciò lei fingendo di rovistare nella borsa pur di non guardarlo negli occhi “Mi presi una sbandata per il figlio minore. Aveva, anzi ha, tre anni più di me, io ero appena adolescente ed una settimana intera con un diciottenne che girava a torso nudo per casa è stata... terribile.” La frase terminò in poco più di un sussurro e lo sguardo di Rin saettò ovunque tranne che nella sua direzione. Una persona normale avrebbe avuto la decenza di abbandonare l'argomento imbarazzante ma Sesshomaru ci sguazzava nel fomentare il disagio delle persone in sua presenza.
“Terribile? Io al tuo posto l'avrei definita 'molto interessante'.”, le si avvicinò invadendo di poco la sua zona personale.
“Perché sei un uomo e in quanto tale...” buttò fuori lei tutto d'un fiato per poi stopparsi bruscamente.
“...In quanto tale?” la incalzò, appoggiando pigramente il braccio allo stipite della porta che lei cercava di aprire.
“Aah, lasciamo stare.” Con suo disappunto Rin lasciò che i capelli le schermassero il viso e fece un gesto con la mano come ad allontanare il discorso. E forse anche lui stesso. “E tu farai qualcosa a Natale? Andrai in vacanza?”
Sesshomaru si irrigidì, doppiamente indispettito dalla distanza che lei aveva posto fra loro e dal fatto che l'attenzione fosse stata spostata su di lui.“No”, rispose secco.
“Non... non vai... non so... dai tuoi?” provò a recuperare lei, spostando i capelli nuovamente dietro l'orecchio.
“Forse.”
“Capisco.” No che non capiva, cosa pensava di capire? O forse lo stava compatendo? L'irritazione di Sesshomaru raggiunse il livello di guardia. Per fortuna lei non proseguì oltre e gli porse il sacchetto con la parte di acquisti che gli spettava. Le mise i soldi in mano e si diresse verso il proprio appartamento, ansioso di porre fine a quell'incontro.
Sentì il suo 'Ciao, ci vediamo!' quando già stava chiudendo al porta e le rispose con un 'Sì, ciao' malamente masticato.
Appoggiò la borsa della spesa sul tavolo con forza eccessiva, prese un bicchiere dal pensile sopra il lavandino, lo riempì e bevve lentamente.
Poi iniziò a riordinare gli acquisti ed ebbe un moto di stizza quando trovò, al fondo del sacchetto, una scatoletta lunga con il logo di una nota marca di prodotti erboristici. Quello di certo non era il dentifricio che le aveva chiesto di comprare, probabilmente quella sciocca li aveva scambiati per errore.
Se lo rigirò fra le mani due o tre volte, indeciso sul da farsi. Non aveva alcuna voglia di rivederla in quel momento. D'altra parte, fra mezz'ora sarebbe uscito e gli seccava lasciare il problema non risolto, sicché decise di andare immediatamente a reclamare lo scambio.
Rimase di sale quando, sullo zerbino, trovò la confezione di dentifricio corretta, sulla quale era appoggiato un fiore di carta arancio dal lungo stelo sottile. E qualcuno aveva scarabocchiato a penna un 'sorry :)' sulla scatoletta.
Antichi dei, quella ragazza era disarmante. Nel vero senso della parola.


***


Rin chiuse la porta dietro di sé ed indugiò nel corridoio, giusto il tempo di un sospiro. Si era comportata normalmente.
Anche lui si era comportato normalmente.
Già.
Il solito stronzo.
Tirò giù la ceniera dei suoi stivaletti e li scalciò via malamente, poi cominciò a riordinare la spesa e... oh accidenti. Ci mancava anche questa. Adesso si sarebbe dovuta sorbire un'inutile quanto fastidiosa battuta del genere “Come al solito, ma dove hai la testa, Rin? E blablabla.”
E capirai che dramma, è un dentifricio!
Cercò quello che aveva comprato per lei ma non lo trovò. Quando realizzò che doveva averlo lasciato tra la spesa di Sesshomaru e si immaginò la sua faccia disgustata, si lasciò andare in una risata liberatoria che le scrollò di dosso la tensione. Che personaggio!!
Doveva restituirgli al più presto il suo prodotto super-chimico ma non aveva nessuna voglia di sorbirsi i suoi rimbrotti, così cercò una penna e gli scrisse sulla scatola la prima cosa gentile che le venne in mente. Mentre usciva per lasciargli la scatoletta sullo zerbino, le cadde lo sguardo su un fiore di carta abbandonato – come chissà quanti altri, in quella casa! – su una sedia e senza pensarci troppo allegò anche quello alla consegna. Eccesso di carineria? Con Sesshomaru era l'unica possibilità di salvezza, se il proprio codice morale non ammette l'omicidio.

A missione compiuta, potè finalmente dedicarsi a concedere sollievo il proprio corpo ancora infreddolito. Tanto impellente era il desiderio di infilarsi sotto una doccia bollente, che si svestì già nell'ingresso e indirizzò malamente i vestiti verso la cucina, dove era stata costretta a mettere la lavatrice. Il bagno minuscolo era il maggior difetto di quell'appartamento, per il resto confortevole e, doveva ammettere, mantenuto in ottimo stato dai proprietari. Si chiese se anche il bagno dell'appartamento di Sesshomaru fosse altrettanto sacrificato, ma no, no di certo, il suo imponente vicino non sarebbe neanche riuscito ad entrare in una doccia come la sua.
Fu proprio mentre cercava di scacciare a viva forza l'immagine di Sesshomaru nella sua doccia – nudo, ovviamente, come è d'uso affrontare una doccia – che il campanello suonò imperioso.
Tre lunghissimi secondi di panico e poi schizzò verso il bagno, infilandosi velocemente il suo accappatoio azzurro-puffo.
Troppo tardi si rese conto di aver anteposto la velocità alla dignità. Dèi, se avesse avuto anche solo un brandello di possibilità con Sesshomaru, se la sarebbe giocata non appena aperta la porta. Già, perché c'era senz'altro lui dietro quel battente, come confermò un secondo, impaziente e prolungato suono del campanello.
“Arrivo!” trillò e spalancò la porta, con un'espressione sul volto che era l'emblema della mortificazione.
Se non fosse stata così preoccupata ad autocompatirsi, avrebbe iscritto la reazione di Sesshomaru negli annali: il suo vicino infatti cambiò ben quattro espressioni facciali nel giro di pochi secondi, passando dall'impassibilità generica allo stupore, poi alla disapprovazione ed infine ad un'ilarità trattenuta a stento.
Si morse il labbro inferiore e si guardò intensamente le dita dei piedi, ormai in uno stadio di pre-congelamento.
La scatoletta di dentifricio centopercentonaturale comparve nel suo campo visivo, tenuta da Sesshomaru con due sole dita, manco fosse tossica. “Questa è roba tua.” sentenziò il disgraziato.
“Uh, sì, grazie.” Pregò in tutte le lingue che lui uscisse di scena veloce com'era entrato, invece Sesshomaru rimase immobile, probabilmente a godersi la scena. “Ti... ti inviterei ad entrare ma stavo per...”
“Posso immaginare.” la interruppe lui con voce bassa e sottilmente lasciva, assolutamente illegale. Alzò gli occhi e lo sorprese a guardare oltre le sue spalle, in direzione... del mucchio di vestiti sporchi, che se la memoria non la ingannava mostrava in superficie l'ultimo indumento tolto, ossia le mutandine rosa con il pizzo nero. Boccheggiò come una carpa. Una carpa nuda, azzurra e congelata.
“Bel colore.” Il commento la riscosse dallo stato di trance. A cosa si riferiva? All'accappatoio o alle mutandine? Stabilì fosse il caso di deciderlo da sola.
“Questo azzurro è terribile, lo so,” ammise lanciandogli un'occhiata di sfuggita, “ma era l'unico rimasto nei saldi.”
“Non mi dire...” la palese ironia smorzò la tensione e lei riuscì persino a farsi scappare una risatina imbarazzata. “Devo andare. Ci vediamo, Rin.” Sesshomaru le concesse un accenno di sorriso e, senza aggiungere o attendere altro, infilò le scale.
Rin chiuse la porta, spense il cervello e si fiondò ad annegare la propria infinita vergogna sotto il getto d'acqua calda, il metodo classico per mascherare lacrime, sudori e bollori.


***


Natale era alle porte! Dindondan! Dindondan! Come tutte le anime tenere che hanno conservato memoria della loro fanciullezza, avrebbe dovuto vivere questa attesa con il medesimo frizzante entusiasmo degli anni precedenti.
Invece quest'anno Rin si era trovata suo malgrado ad annaspare nei preparativi e a rincorrere scadenze. Il contratto per il suo lavoro era in scadenza proprio a fine dicembre e per il rinnovo – benedetto sia il rinnovo – le erano stati richieste documentazioni varie, compreso un nuovo certificato medico di buona salute. Tra l'esame che aveva dovuto preparare per il venerdì precedente e il lavoro serrato senza giorni di stacco per due settimane di fila (se li era dovuti sudare quei dieci giorni di ferie!), era ancora in alto mare per la partenza.
Sarebbe dovuta partire l'indomani pomeriggio, se voleva essere a casa dei suoi per la notte ed essere pronta il giorno seguente ad aiutare sua madre nei preparativi della vigilia e non solo non aveva neanche iniziato a fare i bagagli, ma le mancavano ancora da comprare due regali, naturalmente quelli che la mettevano più a disagio!
“Prendi tu i regali per i ragazzi, vero Rin? Siete coetanei, tu sai cosa potrebbe piacere!”, le aveva chiesto sua madre per telefono due settimane fa. Insomma, coetanei non proprio... inoltre, cosa poteva saperne lei dei gusti di due persone che non vedeva ormai da sei anni? Con Sango, la maggiore, erano amiche sui social network, per cui qualche idea poteva riuscire ad azzeccarla, ma con Kohaku non sapeva proprio dove sbattere la testa. Comunque sia, ci avrebbe pensato l'indomani mattina, ora era quasi arrivata al supermercato. Aveva poca spesa ordinaria per sé questa volta, il maggior numero di cose erano per il suo vicino.
Il suo lunatico, imperscrutabile, affascinante vicino, al solo pensiero del quale le guance le presero fuoco. Per lui non aveva avuto dubbi: aveva visto il regalo perfetto in una vetrina e l'aveva acquistato senza indugio: una sciarpa in cachemire in diverse tonalità di grigio, un salasso, ma morbidissimo. Il problema in questo caso era spostato sul quando e come farglielo avere. Ci aveva pensato molteplici volte e aveva stabilito che gliel'avrebbe lasciato sullo zerbino, prima di partire. Niente imbarazzo, niente discorsi. Non era da lei – a lei piaceva guardare le persone in faccia, scambiarsi un augurio ed un sorriso – ma di sicuro era una modalità più accettabile per Sesshomaru. Inoltre era certa che lui non avesse nulla per lei, quindi voleva evitargli ogni imbarazzo. Non voleva perturbare il fragile legame che stava crescendo fra loro.
Nelle settimane passate infatti avevano raggiunto un'intesa e una complicità che Rin mai si sarebbe aspettata. Sesshomaru aveva abbandonato il consueto sarcasmo era stato cautamente gentile e bendisposto nei suoi confronti. Per ben due volte l'aveva incontrato per strada di ritorno dal lavoro – avvenimento al limite dell'improbabile, tanto che la sua amica Ayame aveva insinuato una premeditazione da parte del ragazzo... assurdo! Fatto sta ed è che il cuore le era balzato in gola quando aveva scorto l'alta ed inconfondibile figura del vicino camminare sul marciapiede a quattro isolati da casa e, mentre ancora si stava domandando se fosse opportuno fermarsi, con le mani irrigidite sui freni, era stato lui a voltarsi. Inutile dire che aveva inchiodato senza indugio, il cuore già scaraventato sul marciapiede.
Quella prima volta, come la seconda del resto, era finita che avevano fatto la strada a piedi, insieme, chiacchierando (lei) degli avvenimenti della giornata o delle assurde pretese dei clienti, mentre la bicicletta le sbatteva sul fianco ogni tre per due, con la dispettosa rassegnazione tipica degli oggetti che ci sono fedeli con i 'se' e con i 'ma'. La seconda volta – ricordò con crescente sentimento – dopo mezzo minuto di cammino lui le aveva detto: “La porto io” e l'aveva spinta da parte, delicato e risoluto insieme, sfiorando le sue mani mentre afferrava il manubrio e si apprestava a condurre il riottoso mezzo a pedali.

Ritornò bruscamente in sé quando un'anziana signora la scostò per accedere al freezer del pesce davanti al quale si era persa in fantasticherie.
“Mi scusi” bofonchiò, con il cuore ancora in tumulto per il ricordo di della premura del suo splen..., no, adorab... no, fighis... uffa! Del suo inclassificabile vicino. Sospirò e continuò il suo percorso fra le corsie. Fece la spesa in fretta, caricò le borse sulla bici e si soffiò ben bene sulle mani prima di partire per ritardare il congelamento.
Volò a casa e suonò il campanello, scaricò le borse e, mentre tornava verso il portone, pensò che potendo se lo sarebbe strappato quel cuore che continuava a battere come un forsennato, nonostante la corsa fosse finita da un pezzo. Purtroppo, gli avvenimenti delle ultime settimane alimentavano in lei una speranza che con tutte le forze – e nessun risultato – aveva tentato di reprimere.
Lui la attendeva nella penombra dell'androne con il piede a fermare la porta, aveva un'espressione tesa ed i capelli legati che scendevano su una sola spalla, ed era bello come un dio. “Ciao, Rin.” L'aveva anche salutata per primo! Male Rin, molto molto male!
“Ciao Sesshomaru!” ricambiò con enfasi, e presero a salire affiancati. “Tutto bene? Stavi studiando?” L'aveva dedotto dai capelli legati, li portava così solo quando era impegnato in qualche attività.
“Mh.”
“Hai un esame?” arrischiò.
“No. Il mio relatore deve preparare un intervento per un Convegno a gennaio e mi ha affidato la presentazione.”
'Affidato', che interpretazione originale! “A casa mia si direbbe sbolognato, Sesshomaru.” ironizzò cautamente.
“A casa tua non sanno neanche cosa sia una presentazione.” “Verissimo!” ridacchiò “Beh, senza dubbio tu sai usare il computer molto meglio di lui e farai una presentazione perfetta.” lo blandì e lo vide scuotere nervosamente le spalle.
“Mpf. Come se avessi scelta.”
“Vero anche questo,” ansimò. Gli era già in coda, non riusciva proprio a tenere il suo passo. “Quando pensi di laurearti?”
“In primavera.” rispose sicuro, fermandosi sul pianerottolo del terzo piano.
La stava aspettando? Dèi benevoli... “Di già! I tuoi genitori saranno felicissimi!” esclamò, e subito si morse la lingua: probabilmente l'emozione le aveva interdetto le sinapsi, poiché sapeva benissimo quanto l'argomento 'genitori' lo irritasse.
“Non vedo come la cosa li riguardi, né vedo motivi per cui una laurea dovrebbe rendere felici.”
“Beh, è un traguardo raggiunto, la fine degli esami. Magari la possibilità di fare il lavoro che ti piace...”
“Come sei ingenua, Rin.” Glielo disse senza cattiveria anzi, con una punta di affetto, ma un po' le fece male lo stesso.
“Beh, ecco...” bofonchiò arrossendo e non sapendo come ribattere. Non pensava di essere così ingenua. Sì, un po' sì, ma forse era lui che affrontava la vita con una dose di amarezza eccessiva per la sua età. Avrebbe voluto dirglielo, ma preferì lasciar correre per mantenere quel clima di tregua così confortevole.
Proseguirono la salita in silenzio e quando giunsero davanti alla porta lei era già pronta con le chiavi in mano, per non farlo aspettare. Mentre faceva scattare la serratura vide che le appoggiava i sacchetti sulla soglia e, nel sollevarsi, indugiò alle sue spalle. Prima che potesse voltarsi lo sentì vicino – troppo vicino – e si immobilizzò.
“Buona serata Rin.” il suo fiato le accarezzò i capelli “E buon Natale.”
Rin si premette le mani al petto ed osò voltarsi solo quando lo sentì più lontano.
“Buon Natale anche a te, Sesshomaru! A presto!”
Era già di spalle e le fece un cenno con la mano.


Rin entrò incespicando nonostante avesse solo due piccole borse. Male, male, sempre peggio. Palpitava come una tredicenne al solo cenno di una sua gentilezza.
Posò le borse sul tavolo, si sfilò le scarpe e sbottonò il cappotto, poi cominciò distrattamente a tirare fuori gli oggetti da mettere a posto. La sua attenzione fu risvegliata dal contatto delle mani con uno strano pacchetto. Era cedevole al tatto e la velina verde pallido che lo avvolgeva sfrigolava deliziosamente sotto le dita. Svolse l'involucro con curiosità crescente e rimase pietrificata. In quello che la carta faceva sembrare un letto di foglie erano adagiati dei guanti così belli che Rin non avrebbe neanche saputo immaginarli. Erano di lana pregiata, lo riconobbe, di un delicato colore naturale, con piccoli decori floreali rosa scuro e beige sul dorso; all'interno invece la lana era lavorata in quel che sembrava un pelo raso e caldissimo. Li accarezzò a lungo sul dorso e sulle dita, ne saggiò i bordi interni con i polpastrelli prima di avere il coraggio di indossarli e portarseli sulle guance in fiamme.
Che morbidezza. Chiuse gli occhi e portò le mani sulle orecchie, per mettersi in ascolto del proprio cuore.
Non aveva dubbi sulla provenienza di quel regalo e non aveva dubbi che fosse il regalo più bello mai ricevuto. Il più sorprendente, il più inaspettato, il più azzeccato (le caratteristiche del regalo perfetto), e inoltre proveniente dalla persona della quale – ormai non poteva più negarlo – era irrimediabilmente innamorata.
Questa consapevolezza la trasportò fuori dalla porta così com'era, colma di gratitudine e speranze, senza scarpe ma con il cappotto e i suoi bellissimi guanti nuovi.
Quando lui aprì la porta giunse le mani al petto ed esplose in un “Sesshomaru, sono meravigliosi! Grazie!”
“Rin... ” disse lui, e per un attimo sembrò senza parole. Poi abbozzò un sorriso. “Sono contento che ti piacciano.”
“Sono bellissimi Sesshomaru,” ricominciò lei, “sono il più bel regalo che abbia mai ricevuto e...”
“Vieni dentro, che ti congeli i piedi, sciocca.”
“Eh?”
Prima di realizzare cosa stava accadendo si trovò oltre la soglia dell'appartamento del suo vicino. Sesshomaru l'aveva afferrata delicatamente per l'avambraccio e l'aveva trascinata dentro, ed in effetti la sensazione di caldo trasmessa del parquet le fu di immediato sollievo.
Ma forse non era quello a riscaldarla, più probabilmente era il corpo di Sesshomaru ancora aderente al proprio. Forse era la sensazione che lui stesse guardando proprio verso di lei mentre lei teneva lo sguardo inchiodato sulla sua spalla a studiare l'interessantissima trama del maglione grigio che indossava.
Forse era la mano di lui che dal braccio si spostò sul suo fianco e la sua voce che chiamò il suo nome, bassa e quasi imperiosa. “Rin.”
Un brivido la colse quando alzò finalmente lo sguardo e scorse nei suoi occhi un barlume di sofferenza, ma tutto – esattamente ogni cosa – venne annullato dalla sensazione delle labbra di lui che ancora una volta andavano alla conquista delle sue.
Questa volta non vi fu esitazione alcuna. Si abbandonò al bacio e lasciò che le proprie labbra fossero morbidamente avvolte e accarezzate.
Lasciò che la mano di lui conquistasse il suo fianco anche al di sotto del cappotto e che l'altra si insinuasse fra i suoi capelli.
Mosse le labbra per accompagnare i movimenti di lui ma gli lasciò il comando e l'iniziativa e quando la sua lingua si presentò di nuovo ad invocare un accesso glielo consentì.
Se avesse avuti una manciata di neuroni liberi probabilmente avrebbe ricordato le parole di Ayame quando le decantava le infinite virtù del bacio alla francese, ma purtroppo nessuna risorsa era più disponibile. Ondate di sensazioni nuove, appaganti e totalizzanti frantumarono il suo raziocinio e le resero il corpo e la mente cedevoli. Il suo profumo tutt'attorno, l'aderenza dei corpi, l'intrusione umida e morbida che con cautela esplorava la sua bocca... tutto era nuovo e meraviglioso. Quel che stava accadendo era il sogno dei sogni, e lei era la regina delle fate.
Furono la felicità ed il desiderio di esprimerla che mossero le sue mani e gliele fecero portare alla base del collo di lui e le diedero il coraggio dapprima di accarezzarlo e poi di tirarlo a sé, per sentirlo più vicino, più suo.
Quel che accadde in risposta la spaventò, perché in un attimo si trovò con le spalle al muro, premuta dal suo corpo, assalita da una bocca diventata famelica: boccheggiò senza fiato ed emise un gemito, e Sesshomaru si ritrasse immediatamente, ripristinando una distanza che le parve eccessiva, tanto quanto la reazione di poco prima.
Le braccia che fino ad un momento prima la stringevano, erano di nuovo rigide e composte lungo il fianco del suo vicino e nulla nella sua espressione tesa sembrava testimoniare quanto era appena successo fra loro. Non una piega fuori posto, non un'ombra di emozione; lei invece era accaldata, scarmigliata ed ansante.
Parlò per prima, naturalmente. “Scusami, non volevo...”, deglutì e guardò altrove, “non volevo mandarti via. Sono felice che tu...”, incespicò, “che noi... insomma, sono felice.” Fece un timido sorriso e guardò in basso. “Solo non sono abituata.”
Spiò due volte dal basso il suo viso prima di notare un cambiamento di espressione. La linea della bocca si ammorbidì e una mano le raggiunse il capo, sistemandole una ciocca di capelli che le andava a coprire – schermare, proteggere – il volto.
“Sei una ragazzina” disse poi, e lei si sentì morire dalla vergogna.
“Solo perché non so baciare, non significa che io sia una ragazzina”, brontolò.
“E chi ha detto che non sai baciare?”
Alzò la testa di scatto e se lo ritrovò di nuovo vicino, con un'aria decisamente canzonatoria. Aprì la bocca per ribattere ma lui la anticipò. “Sei una ragazzina perché arrossisci per niente.”
Avvampò, a servirgli la dimostrazione su un piatto d'argento, ma fu dispensata dal dover cercare una risposta perché lui le sollevò il mento e cercò nuovamente le sue labbra, posandoci sopra un bacio di saluto.
“Buon viaggio, Rin. Ci vediamo.”
L'altra mano di Sesshomaru, si accorse, era già alla porta e la stava aprendo.
“Sì. Grazie.” Uscì, e si sentì quasi sospinta via. “Buon Natale anche a te, Sesshomaru!” disse alla sua figura già parzialmente nascosta dall'uscio semi-chiuso.
“Mh.”
Già, reazione standard, risposta standard. Tutto normale.
Ma cosa era successo là dentro? Si fermò qualche istante in mezzo al pianerottolo. Frastornata, interdetta. Poi i piedi nudi la ricondussero al presente e al tepore del proprio appartamento.


Sesshomaru rimase con la mano sulla maniglia. Lo stupore per il suo stesso comportamento stava cedendo il passo all'irrequietezza, preludio di una rabbia che, lo sapeva, avrebbe trattenuto a stento.
Questo perché la domanda che lo agitava ormai da secoli, negli ultimi mesi aveva assunto una sfumatua diversa.
Il 'Cosa sto diventando?' non si stava più limitando ad analizzare gli aspetti di sé stesso che nel tempo aveva dovuto comprimere – talvolta sopprimere – per garantirsi la sopravvivenza, o a imporsi di dimenticare quel che era stato, per ritagliarsi un posto in questo mondo con unghie e denti non più degni di questo nome, perché lui no, non sarebbe morto di inedia come tanti suoi simili, rimpiangendo il glorioso passato.
Non si trattava nemmeno più di trovare nuovi scopi ed obiettivi, ora aveva chiaro che la sua naturale predisposizione al dominio avrebbe trovato soddisfazione nel piegare le debolezze umane a proprio favore. Le Regole precludevano loro una carriera politica o la gestione di attività economiche di rilievo internazionale e anzi imponevano loro ruoli di servizio alla comunità umana – l'ennesima umiliazione. Ma per Sesshomaru era stato ben presto chiaro che la sua sola presenza fisica era un manifesto di superiorità presso gli umani e che di fronte ad un fascino ben dosato potevano aprirsi tutte le porte – e una quantità fin eccessiva di gambe. Inoltre, il suo essere tagliente, schivo e sprezzante conferiva al suo personaggio indubbia forza per emergere in qualsiasi professione.
In questo secolo aveva scelto la carriera medica e non certo perché fosse suo interesse salvare vite umane, quanto perché voleva costruirsi la più ampia conoscenza della loro fisiologia.
Non era più così giovane ma aveva ancora una lunga aspettativa di vita, ed il suo era un progetto a lungo termine; niente di meglio, insomma.
Finora era dunque riuscito a controllare e dominare i cambiamenti imposti a sé stesso, era diventato qualcosa di diverso ma comunque frutto di una scelta consapevole, ma questa femmina... questa femmina lo stava cambiando velocemente, i comportamenti che assumeva con lei gli erano alieni e, dannazione, non riusciva ad agire ed esprimersi come faceva con gli altri. Non riusciva a tenerla lontana, non riusciva a farle pesare il suo disprezzo e la sua superiorità. Pensare di ferirla gli causava disagio, immaginare che qualcun altro le facesse del male gli svegliava istinti di vendetta bestiali.
Il problema era che gli stessi istinti si risvegliavano quando, come era accaduto prima, la sentiva completamente in suo potere. Dei, cosa non le avrebbe fatto quando l'aveva sentita aggrapparsi a lui. No, non le sarebbe importato nulla di ferirla, l'avrebbe ferita ma soddisfatta, un compenso più che sufficiente.
Si era fermato percependo la sua paura, ma non per riguardo a lei, tutt'altro: la paura di lei gli aveva fatto prendere improvvisa consapevolezza del proprio grado di coinvolgimento, dello stato di confusione e prostrazione nel quale un solo bacio con quella insipida ragazzina l'aveva precipitato. Insipida, macché insipida, aveva un sapore... e un profumo... Si passò la lingua sulle labbra e sui denti, sentendoli più pronunciati e taglienti del dovuto.
L'avrebbe protetta da tutto il resto, ma non certo da sé stesso. Lui l'avrebbe avuta, completamente, e l'avrebbe asservita a sé, come avrebbe potuto fare con qualunque altra.
Una pausa, una distrazione. Ecco cosa poteva esser Rin. Poteva concedersela.




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Chi non muore si rivede!
Finirò questa storia, siatene certi. Mi è difficile portarla avanti perché, oltre al fatto che il tempo non si compra ma si paga, devo scavare in personaggi che, pur attraendosi, sono completamente diversi negli ideali e negli intenti.
Sesshomaru è tosto, vi avviso; è incattivito da una società che, spero si capisca dai pochi accenni, ha messo i demoni sopravvissuti all'angolo. Rin invece è un piccolo tesoro, un'anima bella. Ma forse per stare con un demone è necessario scendere qualche gradino verso gli Inferi.
Se avete ancora la pazienza di seguirmi, vi ringrazio.
Il prossimo aggiornamento è previsto a gennaio.
Un abbraccio grande a tutt* voi. Buone Feste!
elerim
   
 
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