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Autore: Kseniya    17/12/2017    3 recensioni
[...]Il suo sguardo scivolò sulle mani di Julia.
Il tempo si fermò.
Avvertì i primi ed inconfondibili sintomi dell'infarto.
No, un momento... era troppo giovane per un attacco di cuore.
O forse no. Diamine, che importanza aveva?
SpecialGuests: Kai Hiwatari - Mao Cheng.
Genere: Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~

6.
Fase quattro (seconda parte): L'effetto sorpresa, gli amici ritrovati e L'Operazione Valchiria

 

 

...Qualche ora prima...

Yuri uscì dal bagno quando sentì la porta di casa richiudersi. Dunque si avviò in direzione dell'appendiabiti, prendendo la propria giacca ed infilandosela. Non proferì parola, limitandosi a lanciare occhiatacce malevoli alla sua consorte da lontano. Questa, trattenendosi dallo scoppiargli a ridere in faccia senza alcun ritegno, gli prese una mano e si alzò sulle punte per posargli un delicato bacio sulla guancia.
«Non essere così arrabbiato, era solo uno scherzo.» gli disse poi, mostrandogli un largo sorriso a trentadue denti. Lui, tuttavia, rimase serio in volto e convinto della sua posizione: non c'era proprio niente da ridere per quello che gli avevano fatto. Sentiva ancora lo stomaco bruciare.
Così, freddo e distaccato, le rispose: «Raggiungo Kai, prima che finisca con l'ammazzarvi entrambi.»
«Non aspetti che Boris torni con le medicine? E poi sta arrivando Mao, non vuoi salutarla?»
Il russo, per tutta risposta, grugnì di disappunto. «E' meglio che non ti dica dove si deve mettere le medicine Boris. E comunque non posso, Kai mi sta aspettando.»
Abbottonò la giacca, poi fece per abbassare la maniglia, quando Julia lo agguantò per un polso.
«Più tardi dovremmo parlare seriamente sulla questione del nome.»
La fissò: nel suo sguardo si celava determinazione. Ottimo. Avrebbero trascorso giorni interi a discutere prima di trovare un compromesso. Sospirò, oramai rassegnato all'idea.
«Ne parliamo dopo, ok?»
La madrilena annuì, trapelando poca convinzione. Probabilmente sarebbe dovuta ricorrere all'occorrenza di legarlo ad una sedia. Sospirò anche lei, a sua volta. Alzò una mano in segno di saluto.
«Speriamo. Ciao, Yuri.»
Lesse della tristezza sul volto della compagna: ancora non era riuscita ad abituarsi alla sua freddezza, ai suoi modi di fare schivi e al suo essere fin troppo taciturno. Lei, in fondo, era così estroversa, così energica... così calda. Smuoveva qualcosa dentro di lui, nell'intimo. Lo scioglieva. E quindi, sebbene fosse ancora arrabbiato con lei, si chinò un poco per poterla baciare sulle labbra, riuscendo a strapparle un sorriso che gli scaldò il cuore.
«Amore mio.» le sussurrò ad un orecchio, per poi voltarsi ed uscire di casa.
Julia non riuscì a contenere la gioia che prese a premerle in petto, facendole battere il cuore all'impazzata.
Amore mio. In tutti quegli anni l'aveva chiamata in quel modo pochissime volte, si potevano persino contare. Tre? Quattro? Non aveva importanza, perché solo attraverso quelle semplicissime parole riusciva a suscitarle emozioni tali da farla sentire la donna più felice e fortunata al mondo.


...Adesso...

 

Shiny, shiny...
Shiny boots of leather.
Whiplash girl child in the dark.


Mao era distesa sul divano, le cuffiette alle orecchie e la mente persa ed immersa nella musica. Boris e Julia stavano parlando animatamente, probabilmente della valchiria. La corrente non era stata ancora ripristinata, ma avevano scoperto che si trattava di un problema che interessava solo il loro condominio. Le finestre degli altri caseggiati, difatti, erano tutte illuminate. Forse vi era stato un guasto, oppure Irina aveva pensato di rendere l'atmosfera ancora più tetra costringendoli a vivere quel momento sgradito a lume di candela. Quella pazzoide si stava divertendo con loro, il che provocò un nervosismo non indifferente nei confronti dell'orientale. Aveva deciso di venire in Russia per rivedere, dopo anni, Julia, non per risolvere o ritrovarsi vittima delle grane di Boris.
Questi, volente o nolente, riusciva sempre a trarla in trappola di situazioni spiacevoli.
Sbuffò, mettendosi seduta. La giornata era cominciata male e la consapevolezza che sarebbe finita peggio le tese i muscoli. Cominciò ad avvertire il fatidico mal di testa da cervicale, quello che, puntualmente, le riduceva la vita ad un vero e proprio inferno.


Comes in bells, your servant,
don’t forsake him.
Strike, dear mistress,
and cure his heart.


La melodia malinconica del brano che stava ascoltando, le conferì un'insolita adrenalina. C'era qualcosa nelle parole di quella canzone e nel suo ritmo incisivo che la fece sentire come la protagonista di un universo a parte. L'ambiente circostante sembrò muoversi a rallentatore, divenendo sempre più estraneo e distante. Quello, tuttavia, non era il momento di distaccarsi dal mondo attuale. Doveva tornare con i piedi per terra, nella realtà di tutti i giorni. D'istinto, e quasi senza accorgersene, il suo sguardo scivolò su quello di Boris: quegli occhi verdi e freddi le promettevano qualcosa di proibito, qualcosa che nell'intimità del proprio corpo aveva da sempre desiderato con tutta se stessa. Sentì il respiro accorciarsi.
Rinvenne da quei pensieri celati negli angoli più bui della propria mente.
Mise in pausa la riproduzione della canzone, togliendosi le cuffie e sentendo, finalmente, di che cosa stavano discutendo il russo e la madrilena.
«Guarda dallo spioncino.» disse lei, invitandolo ad avvicinarsi. «La porta del tuo appartamento è socchiusa, sembra che stia spostando qualcosa.»
«Quella pazza mi sta distruggendo casa!»
Si mise le mani tra i capelli, disperato. Cominciò a pentirsi amaramente di aver avuto un'avventura con quella donna, maledicendo i suoi ormoni in costante conflitto tra loro. Pregò che l'andropausa arrivasse al più presto, magari con un netto anticipo.
Al diavolo! Il sesso a scopo riproduttivo, d'altronde, non gli era mai interessato.
«Aspetta, aspetta...» fece Julia, continuando a sbirciare e afferrando Boris per un polso. «La vedo! Ha indossato una specie di tutina lucida...»
Attraverso la ristretta apertura della porta, riuscì ad intravedere degli stivali con vertiginosi tacchi a spillo. Si muoveva con irruenza e qualcosa strisciava ai suoi piedi... una frusta!
«Dios mìo! Le piace il sadomaso, eh?»
Boris avvampò, sentendo improvvisamente caldo. Ora molte stranezze di Irina gli furono chiare. Quella era una sadica! Capì, finalmente, il motivo per il quale si ostinasse a voler rapporti dove la violenza ricadeva inevitabilmente nel suo modo di approcciarsi. Altroché valchiria, quella era una vedova nera.
«Ti sembrerà strano, ma il sadomaso a me non piace. Specie quando sono io a doverci rimettere.» si giustificò poi, sotto lo sguardo accusatorio dell'amica.
«Non so perché, ma fatico a crederti...» ammise in seguito, guardandolo dritto negli occhi. Boris, a sua volta, li spalancò: che fosse un po' pervertito lo sapeva, ma fino a quei punti no. E il fatto che qualcuno potesse pensarlo, lo infastidì. Si sentì offeso, insultato. L'ego ridotto in poltiglia, umiliato.
«Il sesso dev'essere un piacere, non una tortura!» si affrettò a rispondere, sperando di essere riuscito a persuadere Julia da quella visione del tutto errata che aveva nei suoi confronti.
«Beh, per i sadici la sofferenza è un piacere.»
«Senti, Fernandéz, sono un sadico nel Beyblade, non a letto. Ed ora chiudiamo qui il discorso.»
«Lui è più cinico, che sadico.» intervenne Mao, con finto disinteresse.
La spagnola annuì concorde. «Giusto, tu sei cinico.»
Boris allargò le braccia esasperato.
«Mi spiegate come potrebbe aiutarci a risolvere la situazione descrivere la mia persona?!»
Julia scrollò le spalle. «Beh, se è il sesso che vuole, daglielo. Dubito che ti schifi.»
«Quella mi vuole molestare, in tutti i sensi! L'ultima volta si è presentata con un divaricatore. E qui mi fermo.»
Mao fu attraversata da un fremito. “Ma che gente c'è al mondo?” pensò, alzandosi dal divano ed avvicinandosi ai due. Si appoggiò alla parete adiacente, incrociando le braccia al petto. Doveva ammettere che la disperazione di Boris la divertiva.
«Hai provato a chiamare Yuri? Magari ha delle idee migliori delle nostre.» propose infine, rivolgendosi a Julia. Questa scosse la testa in segno di diniego. Il peso del pancione cominciò a renderle faticoso stare in piedi, così, avvertendo la schiena dolorante, andò a sedersi sulla poltrona.
«No, ma si può sempre tentare...»
Afferrò il cordless sul tavolino di fronte, digitando il numero del marito.
Ma...
Il suo viso sbiancò.
«E'... isolata.» disse con il cuore che prese a picchiarle violentemente in petto, «Quella pazza ci ha staccato la linea.»
«Ma dai, ma come è possibile?!»
Mao proprio non riusciva a capacitarsi di come una persona potesse arrivare a tanto solo per un uomo che non ricambiava i suoi sentimenti – ammesso e non concesso che quella ne provasse. Vista la dinamica di quanto stava accadendo e il tipo di donna che si era rivelata, stentò a crederlo. Comunque la situazione era assurda, inconcepibile. Cose del genere si vedevano solo nei film americani, demenziali e al limite dell'incredibile.
«Si vede che ha messo da preventivo che avremmo potuto chiamare la polizia...» susseguì Julia, iniziando a preoccuparsi seriamente.
«Hey, per l'amor del cielo!» esclamò l'orientale, spazientita. «Toglietevi quelle facce da funerale, per favore! Fortunatamente hanno inventato i cellulari, quelli nessuna pazza squinternata può isolarli.»
E così dicendo, estrasse il proprio dalla tasca dei jeans. I due la guardarono come se si fossero appena svegliati da un lungo sonno profondo.
«Vedete? Non c'è motivo di spaventarsi in questo modo, adesso chiamo la polizia.»
Boris, per la terza volta, provò a dirle che sarebbe stato inutile, ma la cinese non lo ascoltò e nemmeno gli diede il tempo di aprire bocca.
«Non me ne frega un accidenti di chi sia suo padre, c'è un limite a tutto. La legge è uguale per tutti, lei l'avrà infranta una decina di volte nel giro di un'ora.»
Rimase per qualche istante in attesa, poi una voce annoiata rispose con sufficienza.
«Polizia.»
«Sì, salve. Una sconosciuta si è introdotta in casa del mio fidanzato e continua a minacciarlo senza decidersi ad andarsene. Potete fare qualcosa?»
Boris si scambiò un'occhiata vacua con Julia.
Il mio fidanzato? Aveva detto proprio così?
«Mi dia l'indirizzo, mando una pattuglia.»
Un sorriso prese forma sulle labbra di Mao, rallegrando il suo viso fino a poco prima imbronciato.
«Oh, grazie! Mi attenda solo un secondo...» coprì il microfono del telefono con una mano, si voltò in direzione di Boris e gli disse: «Dammi l'indirizzo.»
«Protochny Pereulok 25.[*
Lei aggrottò la fronte, chiedendosi per quale ragione la lingua russa fosse così tanto difficile da pronunciare. D'altro canto stava parlando con il poliziotto in inglese, dunque ipotizzò che questi avesse intuito di essere in contatto con una straniera. Non si preoccupò più di tanto e provò a replicare il nome della via.
Il risultato fu pessimo.
«Ehm... paratuscini pere...perelum?..»
Sentì il suo interlocutore esitare, rimanendo in silenzio per una manciata di secondi.
«Come, prego?» susseguì a domandare, confuso.
Boris si schiaffò una mano in fronte.
«Pra-tu-scni.» scandì, incitando Mao a ripetere. E così fece, leggendogli anche il labiale per conferma. «Pe-re-li-uk.»
«Ah, ok!» esclamò l'altro, trattenendo una risata. «Mandiamo subito qualcuno.»
Sorrise grata al russo, bisbigliando: «Mi ha capita.» poi tornò a parlare con l'agente, rispondendogli: «Grazie, buona serata!»
Chiuse la telefonata e si voltò, annegando nella limpidezza di due occhi che avevano preso a scrutarla con attenzione: nessuno dei due disse niente, rimasero in silenzio in quel contatto di sguardi che li unì in modo insolito ed inaspettato. Boris, per contro, si sentì strano: non gli era mai successo di avvertire certe emozioni, confutabili ad un'attrazione che andava oltre a quella fisica. C'era qualcosa in Mao che lo spingeva sul procinto di desiderarla. Forse il suo modo di essere così energica, così spontanea... senza maschere, senza timore di mostrarsi per quello che realmente era.
Fin da bambino, gli era stato insegnato che lasciarsi toccare nell'intimo, scoprendo tutte le sfaccettature che componevano la sua persona, era sinonimo di debolezza e vulnerabilità. Una debolezza che, inevitabilmente, gli si sarebbe rivoltata contro. Perché chiunque avesse osato scavare così a fondo, poi avrebbe usato tutto quello che ne avrebbe tratto per ferirlo. E così aveva imparato a chiudersi in se stesso, senza mai lasciarsi andare del tutto, negandosi di vivere sino in fondo.
Julia si accorse di quella tacita conversazione che stava avvenendo tra i due. Sorrise e si alzò dalla poltrona, dicendo che sarebbe andata in bagno. Diede ad entrambi il modo di restare un po' da soli, sperando che quello scambio di sguardi avrebbe fruttato qualcosa di solido tra i due. O perlomeno l'inizio di un qualsiasi cosa. L'importante era che per una volta non si limitassero a litigare come di consueto, imbastendo una relazione più matura e priva di rancore.
Si richiuse la porta alle spalle, incrociando le dita.
Mao, tesa e a disagio, cercò di calmarsi. Non vi era nulla per cui agitarsi.
«Ti ho salvato il culo, dovresti ringraziarmi.» disse schernendolo e sorridendogli in modo furbo, come se avesse avuto in mente di rinfacciargli quanto accaduto per il resto della vita. Boris suo debitore per l'eternità. Il solo pensiero l'appagò.
«Fossi in te aspetterei a cantare vittoria...»
Ed ecco che la melodia della canzone che stava ascoltando prima le tornò in mente, così come le parole incisive risuonarono nella sua testa con fare quasi assordante.
I am tired, I am weary. I could sleep for a thousand years, a thousand dreams that would awake me different colors made of tears.”
Uno strano tepore la valicò, poi venne sostituito da una frequenza infinita di brividi freddi che si intersecarono sulla pelle della sua schiena. Era questo l'effetto che le suscitava il suo sguardo, la sua voce... la sua sola e semplice presenza.
Shiny, shiny... Shiny boots of leather.”
Ma per quale motivo doveva collegare a lui una canzone che parlava del lato più oscuro e discusso del sesso? In cuor suo, la risposta la conosceva, ma voleva negarla a tutti. Persino a se stessa. Boris rappresentava tutto quello che segretamente aveva desiderato da sempre, non facendone parola con nessuno. Dentro di lei si celava un desiderio carnale che andava oltre gli schemi, che solo lui avrebbe potuto esaudire e comprendere al tempo stesso.
Il basso ventre divenne caldo ed impaziente, attendendolo. I suoi occhi ambrati scintillarono di malizia. Lui lo vide, se ne accorse. Non lo disturbò.
L'intento fu quello di avvicinarsi, di cingerla a sé e di baciarla, ma l'urlo di due uomini provenire dall'esterno lo bloccò.
«Ma che diamine...»
Aprì un poco la porta, sbirciando oltre e vedendo due poliziotti correre in direzione delle scale. Sui loro volti era dipinto il terrore. Poco più indietro, vi era la valchiria armata di frusta. L'agitava in aria, manco fosse stata un cowboy.
Boris si paralizzò, allibito. Era un incubo! Eppure lui lo aveva detto che non sarebbe servito a niente a chiamare la polizia.
«Vi spedirò davanti alla corte marziale!» gridò Irina, minacciosa e con uno sguardo iniettato di sangue. Si accorse prontamente della sua presenza, mormorando sottovoce qualcosa di criptico e balzando in sua direzione. Riuscì a chiudere la porta appena in tempo.
«Merda!» ringhiò, rabbioso. «Quella pazza è ancora in casa mia!»
Dei tonfi fecero tremare la porta. «Non puoi nasconderti lì dentro per sempre!»
E seguirono altri colpi, sempre più forti. Il moscovita, attraverso lo spioncino, scoprì che la stava prendendo a calci.
Julia, allertata, corse fuori dal bagno. «¿Todavía ella?»
Boris stava impazzendo, letteralmente. Non ne poteva più di quella situazione.
Il suo sguardo divenne freddo, Mao lo riconobbe: era lo stesso del giorno in cui per poco non spedì all'altro mondo Rei. Rabbrividì.
«Yuri ha una pistola, vero?» domandò con voce bassa, velenosa. «So che ce l'ha. Dov'è?!»
Un sorriso sinistro, del tutto insano, increspò le labbra sottili del russo. Accorciò la distanza che lo separava da Julia, raggiungendola ed afferrandola per le braccia.
«Dove la tiene?» ripeté, a distanza millimetrica dal suo viso.
«Cálmate, Boris!» gli ordinò lei, fissandolo severamente. «Estás loco!»
«Non la voglio ammazzare, voglio solo spaventarla.»
«Non mi sembra una buona idea, non sei lucido attualmente.»
«Non me ne frega un cazzo, peggio per lei!»
Julia strattonò la presa sulle sue braccia, riuscendo a liberarsi. Gli puntò un dito contro, cominciando la predica: «Mi avevi promesso che non ti saresti più fatto prendere da queste botte d'ira, quindi vedi di darti un cazzo di calmata Boris.»
Si zittì, ma ancora sull'orlo della follia. Non tollerava questa invasione da parte di una donna a momenti sconosciuta. Camminò nervosamente per l'intero spazio della sala, avanti ed indietro, borbottando frasi incomprensibili.
Era giunto il momento di chiedere consiglio sul da farsi a Yuri.

Gli aeroporti non gli piacevano: troppo affollati, troppo rumorosi. Gli riducevano il respiro ad un soffio a labbra socchiuse, fornendogli una sensazione insopportabile di claustrofobia. Quando ancora non godeva di una stabilità relazionale con Julia, il momento di accompagnarla al gate lo metteva a disagio. Perché quel luogo rappresentava per lui un arrivo ed, inevitabilmente, un addio. E quando la vedeva pronta ad imbarcarsi, percepiva un'impressione d'abbandono. Decise, quindi, di rimanere all'esterno dell'edificio, attendendo l'arrivo di Kai. Dopo poco individuò la chioma argentea dell'amico. Alzò una mano verso l'alto per farsi notare. Questi gli si avvicinò, il volto contratto in un'espressione apatica e consueta. La mano stretta sulla maniglia di un piccolo trolley da viaggio: era stato chiaro in merito, poteva trattenersi solo per pochi giorni. Gli affari della Hiwatari Corporation urgevano di costante controllo e l'idea di lasciare tutto in mano ad Hilary – sebbene nutrisse fiducia in lei – non lo entusiasmava più di tanto.
«Ciao, Yuri.» fece, accennando un sorriso. «Quanto tempo...»
«Cinque anni.» puntualizzò, «Sono contento che tu sia riuscito a trovare un posticino per me nella tua agenda che straripa di impegni, signor Hiwatari.» lo schernì infine, stringendogli la mano in un saluto cordiale. Nessuno dei due era propenso ad abbracci o ad effusioni spropositate. Un lieve e contenuto saluto poteva bastare.
Kai si soffermò a guardarlo in faccia: lo sguardo stanco, ma felice. L'ombra delle rughe d'espressione ai lati della bocca gli conferivano un aspetto maturo, ma affascinante. Yuri era da sempre stato un bel ragazzo con quei suoi occhi magnetici e freddi, ma ora, il trascorrere del tempo, lo aveva reso senz'altro un uomo attraente. Non si stupì dell'incontrollabile attrazione che la focosa Fernandéz bramava per lui fin dai tempi del campionato. Chiunque avrebbe pagato oro pur di passare una sola notte con lei, ma questa aveva riservato le sue attenzioni solamente al blader russo.
Ebbene, il motivo era più che lampante.
«Allora? Come va?» chiese poi il nipponico, aprendo il bagagliaio dell'auto senza attendere il permesso del proprietario. Lui era fatto così.
Yuri scrollò le spalle. «Abbastanza bene, dai. Tralasciando che Julia si comporta come una bomba ad orologeria.»
«Gli ormoni, amico mio. Colpa degli ormoni.»
Accese il motore, aspettando che Kai gli si sedesse accanto. Azionò il riscaldamento ed ingranò la retromarcia, iniziando ad uscire dal parcheggio.
«E poi Boris, eterno bambinone, rende il tutto più... come dire? Ingestibile
«Questo avresti dovuto metterlo da preventivo: sai come è fatto.»
Yuri annuì, concorde. «E' mio fratello, Kai. E comunque, al di là di tutto, ci è stato vicino in questi mesi. Non ci crederai, ma Julia è riuscita a farlo disperare. Ogni giorno lo spediva a comprarle questo e quello, per non parlare che si è dovuto sopportare tutti i suoi sbalzi d'umore.»
«Chiamasi giustizia divina.» rispose Kai, sarcastico. «Quindi dove sarebbe il problema?»
«Il problema è che dispettoso come una scimmia. E tu lo sai.»
Oh, sì. Hiwatari lo sapeva bene. Durante la sua breve permanenza al Monastero, non era riuscito a chiudere occhio decentemente nemmeno una volta. Il caro Boris si divertiva a fargli trovare ogni tipo di bestia strana esistente al mondo nel letto. Non poteva dimenticarsi la volta in cui si ritrovò uno scorpione zampettargli allegramente su un braccio. Al solo pensiero di quanto accaduto quella notte, sentì la rabbia ribollirgli nel sangue.
«E vuoi sapere l'ultima?» proseguì Yuri, svoltando a destra e mescolandosi al traffico cittadino. «Indovina un po' chi è venuta a trovare Julia.»
Kai ci mise poco a capire di chi stava parlando.
«Ahia!» esclamò, semplicemente. «Credi che si odino ancora? Dopo tutti questi anni?»
«Boris no, anzi... secondo me se la farebbe ancora, senza problemi.»
«Beh, Rei ha chiesto il divorzio. Non credo che ci sia qualcosa che la trattenga dal lasciarlo fare.»
«Che si scopino o si ammazzino non m'interessa, basta che stiano lontano da casa mia quando e se decideranno di arrivare ad un dunque.» concluse il discorso Yuri, fermandosi in prossimità di un semaforo.
«Parliamo di te, adesso.» decise Kai, dandogli una piccola gomitata sul braccio. «Come procede la vita coniugale?»
Il russo si prese qualche secondo per riflettere. Si appoggiò sul finestrino alla sua sinistra, sbuffando sommessamente. «A volte mi domando se sia giusto tutto questo.»
L'altro, incapiente, aggrottò la fronte. «Che cosa intendi?»
Yuri sorrise, ma senza allegria. «Avanti... io padre? Non credo che questo bambino si meriti di crescere con un genitore incapace di fare persino una carezza. Ho ancora problemi a dimenticare il passato.»
«Yuri...» pronunciò Kai, cercando di essere il più delicato possibile. «Non potrai mai dimenticarlo, ma questa tua paura è infondata. Hai mandato avanti la squadra, ti sei preso cura di Boris e gli altri. Hai molto da dare, non pensare il contrario.»
Il russo stentava a credere alle proprie orecchie. Si voltò completamente a guardare l'amico, spalancando gli occhi. «Tu mi stai consolando? Davvero?»
«Non farci l'abitudine.» tagliò corto, «Sai, ultimamente anche Hilary sta parlando di avere dei figli... dovrei preoccuparmi?»
Il telefono squillò nella tasca dei jeans. Yuri guardò il nome di Julia lampeggiare sullo schermo, poi rispose alla chiamata. Il chiacchiericcio di più voci sovrapposte lo costrinse ad allontanare il cellulare dall'orecchio, chiedendosi cosa fosse successo da creare una discussione tanto infervorata. Distinse sua moglie parlare in inglese, sfumando i discorsi con qualche termine spagnolo; la pronuncia simpatica di Mao e quella tipicamente russa di Boris. Gli sembrò di ricordare che in uno dei suoi incubi vi fosse un mescolarsi di voci simile a quello che stava ascoltando al momento. Si sentì sollevato nel pensare di non essere in mezzo a quel caos di urla, volgendo uno sguardo grato a Kai.
Scattò il verde, così mise il vivavoce ed appoggiò il cellulare sulle ginocchia. Ingranò la prima e partì.
«Smettetela di parlare tutti insieme!» ordinò, spazientito. «Che cosa sta succedendo?!»
Fu Julia a rispondergli: «Devi tornare SUBITO a casa!»

Seduti al tavolo della cucina, decisero di unire le forze per escogitare un piano che permettesse loro di sbarazzarsi della valchiria una volta per tutte. Non solo per il bene dell'equilibrio mentale di Boris (il quale, a detta di Yuri, si sarebbe meritato di essere castigato dallo suddetta donna solo per averli trascinati in quella situazione), ma anche per conferire più tranquillità a Julia, nervosa e in completa balia degli ormoni impazziti che la spinsero a dire oscenità in spagnolo. La madrilena aveva una pazienza infinita, ma quando questa giungeva al termine era meglio mettersi al riparo.
Ed ovviamente la colpa era confutabile esclusivamente ed unicamente a Boris, dannato donnaiolo che non mancava mai d'occasione di piantare grane ovunque andasse. Ma la cosa che mandava più in bestia Yuri era che, da sempre e anche questa volta, sarebbe stato lui quello a spremersi le meningi per risolvere i problemi dell'amico. Fin dal Monastero, era la consueta e solita storia di anni ed anni di sopportazione e di linciaggi scampati in extremis. Huznestov era una causa persa in partenza, una sorta di calamita per le situazioni imbarazzanti e a rischio di vita al tempo stesso.
Decideva di frequentarsi con una ragazza con intenzioni serie? Nel giro di una settimana si sarebbe ricreduto, scaricandola con la delicatezza di un elefante impazzito dentro ad una cristalleria. Ergo: a rimetterci sarebbe stato Yuri,ritrovandosi la carrozzeria della macchina rigata. E dopo un'attenta osservazione, avrebbe constato che quelle righe avevano una logica e un perché: formavano la parola “stronzo”.
Boris decideva di passare una serata tranquilla tra amici? Dopo due ore sarebbe sparito, per poi rispuntare dal nulla terrorizzato dalla paura di essersi preso una malattia venerea per aver fatto sesso con una prostituta. Ad accompagnarlo in ospedale, ovviamente, ci avrebbe pensato ancora Yuri.
Decideva di uscire con una ragazza conosciuta su internet? Ebbene, questa, si sarebbe rivelata una psicopatica-sadomasochista, folle sino al midollo e – come se non bastasse – ex istruttrice di systema[**] nell'esercito russo e figlia di un ufficiale dell'aeronautica militare. Alias La Valchiria. Ciliegina sulla torta: la perfida Venere in Pelliccia, attualmente, si trovava nell'appartamento accanto – nonché casa di quel disgraziato di Boris, in attesa di attuare la sua sanguinaria vendetta.
Inutile dirlo, Yuri era stato strappato via dalla sua rilassante passeggiata con il buon vecchio Hiwatari Jr. per risolvere, ancora una volta, i problemi dell'amico.
E a proposito di Kai, menefreghista come pochi, propose: «Diamole quello che vuole, così lascerà tutti quanti in pace.»
Yuri si sentì tentato dall'idea, ma lo sguardo da cucciolo bastonato di Boris lo fece ricredere: era questo il potere di quel bastardo. Sapeva controllare alla perfezione la sua mimica facciale, facendola passare da spietato omicida ad animaletto dolce ed innocente. Della serie: Gatto con gli stivali di Shrek, spostati. Levati proprio.
Si prese la testa fra le mani, sospirando. “Perché tutte a me?” si chiese mentalmente, intuendo che la sfiga si fosse fusa a lui. Un solo corpo, una sola anima e una sciagura senza precedenti. Un essere oscuro, brutto, che rompeva gli specchi al solo passaggio dinanzi ad essi. Una creatura abominevole che cospargeva sale solo respirando. Ecco come si sentiva. Persino i gatti neri avevano paura di lui.
«Sei il solito figlio di una buona donna, Hiwatari.» replicò Boris, risentito.
Il nipponico, tuttavia, non colse la provocazione, liquidando il discorso con un'indifferente scrollata di spalle e un “tsk” che mandò i nervi di Yuri in crisi.
Quei suoi fastidiosi versi, simili al sibilare di un serpente, gli avevano causato un'avversione atroce già dai tempi del Monastero, per poi appurarne l'astio in continua crescita durante l'ultimo campionato di Beyblade.
«Smettetela tutti, adesso.» proferì poi, massaggiandosi le tempie. «Forse ho un'idea.»
I quattro si voltarono in sua direzione, guardandolo impazienti di ascoltare cosa avesse da proporre. Si inumidì le labbra con la lingua e domandò a Boris: «Sai dove abita suo padre?»
«No, ma so dove lavora.»
«Ancora meglio.»
Julia lo fissò intensamente, chiedendosi che cosa avesse escogitato quella sua mente diabolica. «Cosa c'entra suo padre?»
Le labbra del russo si curvarono all'insù, originando un sorriso sinistro che prometteva poco di buono.
«Sapete qual è la cosa più umiliante al mondo per una donna? Far vedere al proprio padre cosa può essere capace di fare per un uomo.»

Boris, alla fine, fu spinto fuori dall'appartamento.
«Fai come ti ho detto.» gli disse Yuri, appoggiato allo stipite. «Noi arriveremo entro poco.»
«Non mi fido di voi, mi lascerete lì!»
Ivanov non disse nulla, richiuse la porta e lasciò l'amico da solo sul pianerottolo. Questi sentì il cuore salirgli in gola. “Dai, Boris, fatti coraggio...” pensò, afferrando la maniglia ed entrando in casa propria. Notò delle candele sul tavolino di fronte al divano; le fiamme oscillavano in balia della corrente d'aria, proiettando la propria ombra sul televisore. Respirò a fondo, cercando di combattere contro la paura di essere sodomizzato dalla valchiria. Lei, alla fine, era pur sempre una donna: in quanto a forza fisica, avrebbe sicuramente avuto la meglio in caso di bisogno. Con quella convinzione, riuscì a destarsi un lieve sollievo. Si addentrò all'interno, lasciando socchiusa la porta e iniziando a cercare Irina con lo sguardo.
«Avanti, vieni fuori.» disse a gran voce, muovendosi con cautela. «Giochiamo.»
E a quell'ultima parola, la donna venne allo scoperto. Julia aveva visto bene, perché ora riuscì a contemplare la sua silhouette giunonica avvolta in una stretta tuta di lattice. Lo schiocco della frusta picchiare sul pavimento lo fece sussultare. Aveva brutti ricordi in merito ed inevitabilmente il viso di Vladimir Vorkof prese forma tra i suoi pensieri. Una sequenza di immagini dolorose, confuse perché sbiadite dal tempo trascorso. Il sangue che scivolava lungo la sua schiena, i lividi e le ferite... strinse i pugni, imponendosi di stare calmo.
«Finalmente ti sei deciso a tirare fuori le palle.» disse lei, avvicinandosi a lui. Il ticchettio emesso dai tacchi a spillo che indossava irritò Boris. La distanza che li separava si ridusse drasticamente. Avvertì il pericolo e d'istinto si preparò a difendersi. Poi si ricordò di quanto prestabilito con Yuri, dunque dovette fare uno sforzo disumano per non metterle le mani al collo. Doveva lasciarla fare, trarla in trappola.
«Sì, sono qui.»
«E quindi vuoi giocare?»
La voce di Irina era incrinata, risuonava quasi distorta. In lei si celava la follia. Boris fu scosso da un fremito, poi accettò la sfida.
«Sì, giochiamo.»
E senza neanche accorgersene, si ritrovò seduto in terra. La valchiria lo aveva spinto, rivelando di possedere una forza impensabile. Poi aveva tirato fuori dal nulla delle manette, come una prestigiatrice. Boris non ebbe il tempo di realizzare, perché si ritrovò con entrambe le mani legate dietro la schiena. Sgranò gli occhi, incredulo.
Provò a liberarsi, ma più si agitava e più i polsi gli dolevano.
Con irruenza, in seguito, gli coprì la bocca con del nastro isolante.
Legato ed imbavagliato.
Benissimo. Dannò Yuri e i suoi stupidi piani. Lo sapeva che sarebbe finita male per lui!
«Adesso mi divertirò con te.» disse Irina, inginocchiandosi dinanzi a lui ed armeggiando con la cerniera dei suoi jeans. «Dopodiché di farò pentire di avermi usata.»
Gli mostrò un paio di forbici scintillare alla luce soffusa emessa dalle candele, sventolandogliele vicino al viso. Il cuore del russo mancò di un battito.
Merda, merda, merda!!!”

Yuri strinse l'ultimo nodo, completando una sorta di corda improvvisata creata unendo qualche calzino. Si assicurò che fosse abbastanza resistente, facendo poi segno a Kai di seguirlo. Questi, a malavoglia, lo raggiunse sul pianerottolo.
«Dobbiamo proprio?» chiese, «Potremmo lasciarlo lì, facendo finta di niente...»
Il moscovita, per tutta risposta, lo incenerì con lo sguardo. Il nipponico alzò le mani in segno di resa. «E va bene... salviamo il coglione.»
Si accostarono alla porta, aprendola leggermente. Yuri riuscì ad intravedere Boris legato come un salame e la valchiria troneggiare su di lui, premendogli la testa contro il seno prosperoso. Dovette ammettere che, vista in quel modo, non sembrava una tortura, anzi... Lui stesso aveva usato le manette con Julia, sebbene la cosa inizialmente non lo avesse entusiasmato granché. Tuttavia la situazione, in questo caso, era ben diversa: quella che avevano davanti agli occhi era una svitata sanguinaria, capace di tutto pur di farla pagare a Boris.
Senza perdere di vista la donna, si intrufolò nell'appartamento, chinandosi sulle ginocchia e appostandosi dietro al divano. Mosse una mano in direzione di Kai, facendogli capire di attendere un suo segnale prima di agire. Si mosse lentamente alle spalle di Irina, facendosi notare da Boris che lo guardò. Un barlume di speranza si accese in lui.
Yuri, a quel punto, scattò in avanti, afferrandola per le braccia e trascinandola poco più distante dall'amico – lasciato in mutande, con i pantaloni alle caviglie.
«Kai, ora!»
Il nipponico, al richiamo, corse in direzione del russo, aiutandolo nell'impresa di immobilizzare la valchiria. Questa, però, riuscì a liberarsi, alzandosi in piedi e gridando in preda ad una collera distruttiva. Si avventò contro Yuri, colpendolo con dei calci. Afferrò il telecomando e colpì Kai sulla testa.
«NON IMMISCHIATEVI!!!»
Kai la placcò, spingendola sul divano e mettendosi a cavalcioni su di lei. Yuri ne approfittò per legarle i polsi e i piedi ben stretti, premendo una mano sulla sua bocca cercando di coprire le sue urla. Se qualcuno li avessi visti o sentiti, avrebbe avuto tutto il diritto di pensare cose orribili. Si vergognò.
«Mhpff... mhpff...» mugugnò Boris, come a volere far notare che era ancora imbavagliato.
«Taci, a te penseremo dopo.» lo liquidò Yuri, senza degnarlo di uno sguardo.
Raccolse il nastro adesivo dal pavimento, per poi strapparne un pezzo e appiccicarlo sul viso di Irina. Questa gli rivolse uno sguardo stracolmo d'astio.
«Bene, adesso portiamola in macchina.»
Mao e Julia, rimaste in disparte, guardarono la scena da lontano. Un sorriso divertito prese forma sulle labbra della prima, mentre la seconda non riuscì a fare a meno di controllare che nessuno dei vicini di casa si fosse accorto di quanto stava accadendo.
Yuri e Kai la sollevarono, uno dalla testa e l'altro dai piedi, avanzando in direzione dell'ascensore.
«Julia, premi il tasto.»
«Yuri, per l'amor del cielo, fate piano!» rispose lei, preoccupata. «Se ci scoprono...»
Lui non le diede il tempo di portare a termine la frase, perché l'ammonì dicendo: «Non è il momento!»
L'ascensore giunse al piano e le porte si aprirono. «Vieni con noi e porta la macchina vicino al portone.» disse infine, schiacciando il pulsante del piano terra.
La madrilena annuì. «Va bene.»
Mao, invece, rimase ferma dov'era a fissare Boris con due occhi che estraniavano a pieno quanto la divertisse vederlo in quello stato. Le braccia incrociate al petto ed un ghigno sulla labbra. Si piegò sulle ginocchia e gli strappò il nastro isolante dal viso senza alcun preavviso, strappando qualche residuo di barba.
«Ah!» esclamò lui, dolorante. «Stronza!»
«Non sei più tanto minaccioso, adesso.»
«Non inferire!» sibilò, a denti stretti. «Liberami invece di fare la cretina.»
Continuando a ridacchiare, si sedette dietro di lui. Le manette gli avevano ferito superficialmente i polsi. Le studiò accuratamente, notando che vi era una piccola serratura tra i due bracciali metallici.
«Ehm... c'è un problema.»
«E quale sarebbe?» domandò Boris, esasperato.
«Ci vuole la chiave.»
A malapena riuscì a trattenere una bestemmia.

Lasciarono la valchiria davanti all'ingresso della caserma militare, con un biglietto appiccicatole in fronte che recitava il seguente testo: “Papà, mi piace il sadomaso. Ho cercato di importunare un ragazzo e questa è la mia punizione.”
Senza perdere tempo, ripartirono a tutta velocità. Yuri alla guida, Julia seduta accanto e Kai sui sedili posteriori. Tutti e tre sollevati.
«Sono qui da poche ore e mi avete già stancato.» esordì il nipponico, incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi. Aveva bisogno di rilassarsi, tutto quel trambusto lo aveva innervosito e non poco.
«L'importante è che sia finita...» gli rispose Julia, accarezzandosi il pancione e guardando i profili dei palazzi attraverso il finestrino. «Secondo voi tornerà?»
«In tal caso, fammi il favore di starne fuori.» le disse Yuri, accostandosi davanti ad una pizzeria gestita da un uomo italiano sulla sessantina. Lo aveva conosciuto per caso e aveva scoperto, con gran piacere, che la sua pizza era la più buona di tutta Mosca. Il signor Franco, inoltre, era sempre contento di rivederlo, concedendogli il lusso di qualche sconto proficuo ad ogni acquisto.
«Pizza?» domandò, slacciandosi la cintura di sicurezza.
Kai annuì, senza aggiungere altro. Julia, invece, prese il telefono dalla tasca della giacca. «Chiamo Mao e chiedo che pizza vogliono lei e Boris.»
Ma dopo aver ascoltato il segnale acustico che sembrò protendersi all'infinito, non ottenne alcuna risposta. Un cipiglio di confusione prese forma sul suo viso.
«Che c'è?»
Julia si girò verso Yuri. «Non risponde.»
Calò il silenzio. Provarono sul numero di Boris, ma niente. Ai tre sorse lo stesso dubbio.
«Quei due...»
Kai lasciò volutamente la frase in sospeso, lasciando spazio all'immaginazione.
Yuri scese dall'auto, poi attese che lo seguissero anche loro. «Allora speriamo che abbiano finito al nostro ritorno.»
 

In verità, Mao e Boris, erano impegnati in un'attività decisamente meno piacevole del sesso. Seduti sul divano, l'orientale stava cercando in ogni modo di far scattare la serratura delle manette con l'ausilio di una graffetta di metallo. Il russo, nel frattempo, aveva lasciato che lo sguardo gli scivolasse sulle cifre digitali del decoder posto al di sotto del televisione: era passata una mezzora ed ancora non era riuscito a liberarsi. Stava cominciando a perdere le speranze, rassegnandosi all'idea di dover dirigersi da un ferramenta ammanettato così com'era e sprofondando nella vergogna.
La fronte di Mao si imperlò di sudore, le dita cominciarono a farle male.
«Dannazione...» mormorò, al limite della pazienza.
Boris cercò di stare il più comodo possibile sul divano. Tanto, di quel passo, non si sarebbe schiodato di lì presto. Osservò con la coda dell'occhio la ragazza accanto a lui, ritrovandosi a pensare che fosse molto più bella di come la ricordasse.
Che fosse per il colore dei capelli o per altro, non faceva differenza. Era una donna attraente, con quelle curve mozzafiato e il viso dai lineamenti dolci ed intriganti al tempo stesso. Si accorse di non sapere pressoché niente di lei, di cosa aveva fatto negli ultimi anni... ed incredibilmente capì di voler compensare quelle lacune.
«Come va?» chiese, impacciato. Non era abituato ad interessarsi così di una persona che non fosse Yuri – unico essere vivente sulla terra per il quale avrebbe ceduto la propria vita, se fosse stato necessario.
«Male, come puoi ben vedere.» rispose lei fraintendendo, ma senza distogliere l'attenzione da quell'aggeggio infernale che tanto la stava facendo disperare.
«No, non mi riferivo a questo.»
Si fermò, alzando lo sguardo quel poco che bastava per poter incontrare gli occhi di Boris. Questi proseguì: «Intendevo dire: tu come stai?»
Rimase interdetta, non si aspettava di ricevere una domanda così spontanea da parte sua. Non glielo chiese neppure quando finirono a letto insieme.
«Io... sto bene, credo.» rispose, senza dilungarsi in inutili spiegazioni che sicuramente non avrebbero avuto alcun peso per lui.
Ed invece la stupì, ancora una volta.
«Cosa hai fatto in questi anni? Lavori?»
Serrò le labbra, sentendosi completamente spiazzata. Dove stava l'inganno?
«Lavoro nel marketing di una compagnia telefonica. Mi occupo di pubblicità, per farla breve.»
«E Rei? Come sta?»
Si irrigidì. Eccolo l'inghippo.
Bastardo.
Gli occhi ambrati di Mao si assottigliarono, divenendo sospettosi.
«Dove vuoi arrivare?»
«Da nessuna parte.» le rispose, scrollando le spalle. «Visto che siamo costretti a stare qui...»
Lei tornò a concentrarsi sulle manette.
«Sta bene, è fidanzato con un'altra. Ora stai fermo e zitto, altrimenti non ne usciamo più.»
Finalmente avvertì la leggera pressione delle dentature del chiavistello, così spinse delicatamente verso l'interno e...
Niente.
Sospirò sconsolata, ma senza darsi per vinta.
«Senti, ma Mao è il tuo vero nome? Sul serio?»
Lo graziò di un'occhiata malevola.
«Finiscila.»
«Era solo curiosità...» si giustificò Boris, sbuffando.
«Avresti dovuto interessarti ai tempi che furono, adesso è inutile.»
«Alt!» esclamò lui, bloccandola. «Non farti strane idee. E poi smettila di essere così rancorosa, sono passati dieci anni come minimo.»
«Dodici, per l'esattezza.»
«Ecco, quindi...»
«Quindi un cazzo!» ringhiò lei, rabbiosa. «Ho passato dodici anni a patire l'incrinatura della mia relazione con Rei per aver perso la testa per te. Sono arrabbiata con me stessa per averti permesso di rovinarmi la vita.»
Boris, a quel punto, non disse nulla. Rimase in silenzio a sostenere lo sguardo di Mao. Non avrebbe mai immaginato di averle arrecato tutta quella sofferenza... in fondo, sebbene non lo volesse ammettere, si sentì un po' in colpa.
Per aver perso la testa per te.
E lui neppure se n'era accorto.
«Quindi stai dicendo che è colpa mia? Vi siete lasciati per quello che è successo tra di noi?»
tra di noi. Quelle tre e semplici parole le riecheggiarono in testa.
C'era stato un “noi”, dunque?
Un brivido le attraversò la schiena.
«Mettiamola così: lui non si fidava più di me ed io ho cercato di convincermi di amarlo ancora. Sei contento adesso?»
Percepì un clic e le manette si aprirono. Ci era riuscita!
Le afferrò e le sfilò dai polsi del russo, sfiorando involontariamente la pelle delle sue mani con le dita.
Boris si massaggiò i polsi, cercando di non badare al bruciore delle ferite.
«Hai un futuro come scassinatrice, sappilo.» le disse con l'intenzione di deviare il discorso, in modo da alleggerire la tensione.
Lei arguì il tentativo e gliene fu grata.
«Mi avrebbero già arrestata, ci ho messo troppo tempo.»
«Quanto ti fermi qui?»
La spiazzò ancora una volta.
Si chiese chi fosse veramente l'uomo che aveva davanti; non poteva essere Boris, non lo ricordava così.
«Una settimana, perché?»
Sorrise con fare enigmatico, lasciando intendere il tutto e il niente contemporaneamente.
«Così.»

La mattina seguente Julia si alzò non appena le lancette dell'orologio scoccarono le dieci in punto. Stiracchiandosi un poco, si issò sulle proprie gambe – sbilanciata leggermente dal peso del pancione – e si infilò la vestaglia addosso e le pantofole ai piedi. Scostò le tende ed aprì le persiane, ammirando il paesaggio fuori dalla finestra: in cielo splendeva un sole caldo e luminoso. Nel giardino condominiale sottostante correvano gioiosi e spensierati dei bambini accompagnati dai propri genitori. Una ragazza stava passeggiando allegramente con il proprio cane. L'anziana vicina di casa dell'appartamento accanto aveva cominciato a cucinare qualcosa dal profumo invitante. Sorridendo, camminò in direzione della porta, varcandone la soglia e percorrendo il piccolo corridoio sino a raggiungere la cucina. Lanciò un'occhiata sbrigativa a Mao, assopita sul divano con la coperta tirata sin sopra le spalle.
Yuri sedeva al tavolo, sorseggiando caffè e leggendo il quotidiano con disinteresse.
«Buongiorno.» la salutò, senza scostare lo sguardo dalle pagine di carta ed avvicinandosi la tazzina di ceramica alle labbra.
Lo baciò su una guancia. «Buongiorno a te, amore. Ti sei alzato presto, stamattina.»
«Diciamo che con quello che è successo ieri, mi sono venuti gli incubi.» rispose lui con voce impastata, dimostrando chiaramente di non essere ancora del tutto cosciente e vigile. «Ti ho preparato il cappuccino.» aggiunse poi, indicandole una caraffa posata vicino ai fornelli. «E in quel sacchetto hai una brioche alla marmellata.»
«Come mi vizi..!»
Pedro zampettò vicino a lei, strofinando la testolina pelosa sulle sue gambe ed emettendo un “pruah!” in segno di saluto. Poi balzò sulle ginocchia di Yuri, accomodandosi su di esse. Il russo si irrigidì.
«Il tuo gatto è ossessionato da me.» commentò, rifilandogli uno sguardo seccato. Non si osò neppure di fargli una misera carezza.
Julia alzò gli occhi al cielo. «Non è ossessionato, ti vuole semplicemente bene.»
«I gatti non hanno sentimenti, non sono capaci di mostrare affetto. Sono opportunisti e ruffiani. Fa così perché vuole qualcosa.»
«Ma smettila!» lo ammonì la spagnola, dando un morso alla brioche e sedendosi di fronte al marito. «Quando tuo figlio verrà a chiederti di considerarlo penserai la stessa cosa?»
«Ovviamente!» esclamò lui, sicuro e determinato del suo pensiero. «Bambini e gatti viaggiano sulla stessa linea.»
«Sembri Boris quando parli così.»
Yuri, a quel punto, le sorrise di scherno.
«Lo stavo imitando, infatti.»
«Aha-ah...» fece Julia, fingendosi divertita. «Sei di buonumore oggi.»
Il russo gongolò. Girò pagina e sembrò interessarsi all'annuncio che sponsorizzava l'apertura di un nuovo cinema in centro. Poi scese con lo sguardo sull'oroscopo, accanto, un paragrafo intitolato “curiosità del mese”, mostrava raffigurata in primo piano la rappresentazione grafica di Diana, la dea greca della caccia. E a quel punto gli occhi di Yuri si illuminarono di un bagliore d'ispirazione.
«Diana.» pronunciò in un sussurro appena percettibile.
Julia rimase in silenzio con la tazza a mezz'aria, confusa. Un cipiglio di gelosia prese forma sul suo volto.
«Chi è?»
«La dea della caccia.»
Aggrottò la fronte, ancora incapiente. «Quindi?»
«Se è femmina, mi piacerebbe chiamarla così. Diana.»
«E' un bel nome.» si ritrovò concorde lei, annuendo e pensandoci su. «Sì, direi che Diana sarebbe perfetto.» concluse, accarezzando il ventre tondo e sempre più sporgente. Poi, di colpo, si bloccò, sussultando.
«Yuri, presto!»
Questi si alzò, incuriosito. Si lasciò prendere una mano dalla madrilena, la quale l'accompagnò a posarla sul pancione. Premette leggermente, sorridendo e sentendo le lacrime dovute alla gioia del momento salirle agli occhi. Un lieve tepore le avvampò le guance.
«Credo che questo sia un piedino.»
«Ne sei sicura?»
«Certo! Sentilo!»
Ed incredibilmente anche gli occhi di Yuri divennero lucidi. Una sensazione di calore gli attraversò il petto, spingendolo a pensare di aver ritrovato – dopo tanti e lunghi anni di solitudine e sofferenza – la felicità. Quella vera, quella a cui tutti ambiscono sin dal primo giorno di vita. Alzò un poco lo sguardo, incontrando quello di Julia.
Senza saperlo, gli aveva appena donato il regalo più bello al mondo.

 

[*]Проточнии переулок (Protochny Pereulok) non è davvero il nome di una via, in realtà significa “corsia fluente”. Ho scelto di scrivere queste due parole perché, quando ho iniziato a studiare russo, la pronuncia delle suddette mi ha fatto disperare ç_ç... credo di averci messo un giorno intero a dirle come si dovrebbe. Atroci ricordi.

[**]Systema: da Wikipedia, Systema (in russo Система, letteralmente il Sistema) è il metodo di combattimento derivato dalle scuole autoctone di arti marziali russe.
Tale sistema comprende:

  • Combattimento a mani nude;

  • Prese;

  • Combattimento con frusta;

  • Combattimento con armi da taglio;

  • Combattimento con armi da fuoco;

  • Esercizi e lavoro di coppia con o senza forme predefinite.


La canzone che sta ascoltando Mao si intitola “Venus in Furs” dei Velvet Underground.

NdA: Eccoci qui, giunti alla conclusione di questa fase 4.
Ora ci aspetta l'ultima, la più terribile... e penso che tutti voi possiate tranquillamente immaginarvi di che cosa tratterà XD. Tra Mao e Boris, alla fine, non è successo niente. O meglio, qualcosa c'è stato: un riavvicinamento. Il russo sembra aver dimostrato interesse nei suoi confronti... staremo a vedere che cosa succederà!
In verità sto preparando il terreno per un'altra piccola Long che vedrà gli stessi protagonisti di questa, ma sarà centrata maggiormente su Boris e Mao. Queste due fasi sono servite per introdurre questa storia parallela che mi auguro avrete piacere di seguire=).
La Valchiria, finalmente, è stata sistemata ù_ù! Ma non è detto che non rifaccia la sua comparsa in futuro, ancora assetata di vendetta XD.
E Julia e Yuri, FORSE, sono riusciti a mettersi d'accordo sulla questione del nome. Speriamo che duri questo tacito accordo, va!
Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita fino a qui.
Ragazze, non mi stancherò mai di ripeterlo, siete fantastiche *___*! Non so proprio cosa farei su EFP se non ci foste voi :'D.
Spero che questa seconda parte della fase 4 vi sia piaciuto e di avervi strappato almeno un sorriso ^w^.
Ci risentiamo al prossimo aggiornamento!
Un abbraccio,
Pich ora Kseniya.

 

   
 
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