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Autore: eliseCS    19/12/2017    1 recensioni
A quanto pare quello che ho bevuto per il brindisi del compleanno è stato sufficiente per farmi fare questa pazzia, e ovviamente non c'era nessuno che potesse fermarmi...
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Una bambina, gabbie dorate e non e Tortuga.
Oppure
L'Ombra della Doomed Destiny, la nave pirata più famosa dell'epoca, il nuovo capitano Cortès e un vecchio amico dimenticato.
In sintesi assoluta: pirati.
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Dal primo capitolo:
Non sapeva se fosse perché pensavano che fosse stupida, troppo piccola per capire o se semplicemente non gli importasse, ma Isabelle riusciva perfettamente a sentirli.
A quanto pareva stava per essere venduta.
Di nuovo.
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“Con un pezzo da otto posso darti anche da bere se vuoi, ragazzino” propose.
Isabelle si morse un labbro: prima di entrare aveva controllato, addosso non aveva assolutamente nulla di valore, per non parlare di monete o pezzi da otto!
“Io… non ho nulla…”
La donna si ritrasse: “Mi dispiace mocciosetto, ma non do da mangiare gratis, neanche ai bambini. Torna quando avrai qualcosa da darmi in cambio” disse, e si allontanò per servire qualcun altro.
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Buona lettura (spero)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII - In cui Harry scopre di non essere l’unico ad avere un’avversione per la frusta e un’isola appare all’orizzonte
 
Flashback (15 anni prima)
Quel pomeriggio come tanti altri il giovane Harry Reagan si stava recando alla villa dei Torres per andare a giocare con Isabelle.
La guardia che lo aveva accompagnato fino a lì si congedò nel momento in cui il signorino entrò nella casa passando automaticamente sotto il controllo e la protezione di guardie e servitù dell’abitazione.
Niente avrebbe potuto prepararlo alla scena a cui si era trovato di fronte non appena entrò nel salone della casa per annunciarsi.
Il padre di Isabelle si era appena scrollato di dosso la moglie, che era malamente caduta indietro, mentre continuava a brandire un frustino di cuoio verso la bambina.
Non aveva mai visto il consigliere in quelle condizioni e all’improvviso i lividi che la sua amica cercava di nascondere in quell’ultimo periodo assunsero un significato.
Le urla di Isabelle lo riscossero dal suo stato di quasi trance, trovarsi davanti a quella situazione lo aveva paralizzato: Torres aveva cominciato a colpire la figlia sulla schiena attraverso il leggero vestitino che la bambina stava indossando che ben presto si macchiò di rosso.
Senza pensarci due volte corse verso l’uomo aggrappandosi poi al braccio con cui brandiva la frusta improvvisata per impedirgli di continuare ad usarla.
“Basta! Così le fate male!” urlò mentre l’uomo cercava di toglierselo di dosso.
“Isa scappa!” esortò poi la bambina che era rimasta ferma a guardarlo con il volto rigato dalle lacrime e allo stesso tempo deformato dal dolore.
Uno schianto, il rumore di vetro che si infrange, e l’attimo dopo Torres era a terra privo di sensi.
Alle sue spalle la madre di Isabelle, il labbro spaccato e un graffio sulla guancia, teneva in mano quello che rimaneva del vaso che aveva appena rotto in testa al marito.
Ringraziò Harry per quello che aveva fatto e prese in braccio la figlia cercando di non toccare dove la frusta aveva lasciato i segni del suo passaggio.
 
Harry avrebbe sempre ricordato che durante tutto il tragitto per portare Isabelle nella sua stanza la bambina non aveva mai lasciato la sua mano, stringendo la presa quando lui aveva provato a scioglierla e accompagnando il gesto con un debole “Resta”, non accennando a lasciargliela nemmeno quando Mrs. Torres li aveva lasciati soli per andare a chiamare il medico e la bambina, sfinita, si era addormentata.
Fine flashback
 
 
 
Shade teneva lo sguardo fisso sulla frusta impugnata da Wilson che calava inesorabile sulla schiena di Harry.
La suggestione era così forte che poteva quasi sentire le sue cicatrici pizzicare.
Nonostante tutto era palese che il nostromo ci stesse andando piano, poteva dirlo dal modo in cui il gatto a nove code colpiva la carne del ragazzo, l’angolazione delle strisce di cuoio e il rapido movimento del polso con cui l’uomo garantiva il minimo tempo di contatto.
Delle poche volte che si era resa necessaria una fustigazione a bordo della Doomed Destiny non aveva mai visto il nostromo stare così leggero.
Eppure nonostante tutto era la prima volta che Shade rimaneva così turbata all’esecuzione di quella punizione.
Non sapeva neanche lei perché ma da quando era iniziata aveva dovuto concentrarsi per non cedere all’impulso di bloccare lei stessa il braccio del nostromo urlando “Basta!”
Qualcosa le diceva che se le posizioni fossero state invertite Harry lo avrebbe fatto per lei, e questo non aveva senso.
 
Harry… quel nome le era maledettamente familiare e quando il ragazzo si era presentato appena arrivato a bordo della nave Julian non aveva perso tempo a prenderla in giro ricordandole che quello era lo stesso nome con cui lei si era presentata a suo padre prima che la prendesse con sé in quei dieci secondi in cui l’aveva scambiata per un maschio.
Per non parlare dello sguardo perplesso e sorpreso quando aveva fatto firmare il ragazzo con il sangue il suo ingresso nella ciurma: si era mossa così velocemente quasi avesse avuto paura che Harry potesse cambiare idea e preferire il colpo di flintlock.
 
“Ventisette…”
La voce del nostromo accompagnata dal rumore del gatto a nove code che incontrava la pelle di Harry per l’ennesima volta la fecero quasi sobbalzare.
Guardare la schiena del ragazzo non fu una buona idea.
E sì che era abituata a peggio…
“Ormai ha quasi finito” le sussurrò Julian stingendole piano il braccio quasi avesse capito quello che le stava passando per la testa.
“Basta, per favore…” supplicò lei di rimando, suo malgrado senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Julian sembrò interdetto per un attimo, alla fine sospirò.
Il nostromo venne fermato prima che potesse dare il trentunesimo colpo, ma gli uomini esultarono comunque soddisfatti prima di ritornare al loro posti nonostante la punizione fosse stata accorciata.
Quel damerino aveva avuto quello che si meritava.
 
In quel momento a Harry sembrava di essere all’esterno del suo stesso corpo.
Si accorse a mala pena che qualcuno l’aveva aiutato a staccarsi dal suo appoggio per poi sostenerlo – se non l’avessero fatto sarebbe crollato a terra – ed ebbe persino difficoltà ad aprire la bocca per lasciare che gli sfilassero il pezzo di cima che aveva stretto tra i denti fino a quel momento.
Non c’era una parte di lui che gli rispondesse.
La sua mente era completamente annebbiata dal dolore, la schiena sembrava essere in fiamme come se su di lui avessero usato una frusta infuocata e non riusciva a elaborare un pensiero coerente.
Sicuramente visto da fuori doveva sembrare un caso pietoso: lo sguardo vacuo perso nel vuoto, gli occhi lucidi e le lacrime che alla fine non era riuscito a trattenere che gli rigavano le guance.
Non aveva urlato – corda in bocca a parte – aveva cercato di mostrarsi forte il più a lungo possibile, ma all’incirca verso la quindicesima frustata tutto era diventato semplicemente troppo; gemiti di dolore soffocati e lacrime erano cominciati insieme.
Lo trascinarono di peso , la punta degli stivali che strusciava sul legno del pavimento e la testa a ciondoloni in avanti, ciuffi di capelli che gli ricadevano sulla fronte.
In un unico barlume di lucidità realizzò di non essere stato portato alla sua amaca sotto coperta solo quando il suo volto in fiamme incontrò la consistenza fresca e morbida di un cuscino, il resto del suo corpo appoggiato su una superficie che di sicuro non era un pezzo di tela sospeso in aria.
Svenne.
 
 
Non sapeva quanto tempo era passato da quando aveva perso conoscenza: aveva ancora la guancia appoggiata al cuscino, disteso a pancia in giù sul materasso mentre la luce che entra dalla finestra della cabina gli faceva sapere che doveva essere passato almeno un giorno dalla sua punizione.
Cabina… si trovava nella cabina del capitano!
D’altronde chi mai avrebbe potuto avere a disposizione un letto vero a bordo di una nave?
Provò a muovere appena le braccia e la sua schiena protestò subito: non andava più a fuoco come prima, ma la pelle gli tirava anche solo respirando e non era affatto una bella sensazione.
Probabilmente la situazione sarebbe stata anche peggio se in quel momento non ci fosse stato qualcuno che con tocchi precisi ma delicati gli stava spalmando sulle ferite quello che sembrava essere un unguento…
Cosa?
Irrazionalmente fece per fare leva sulle braccia per tirarsi su e vedere chi fosse lì con lui, ma una mano appoggiata tempestivamente alla base del suo collo glielo impedì bloccandolo prima che potesse fare danni esercitando una pressione che per quanto lieve lo fece gemere e ricadere sul materasso, nonostante la frusta non fosse arrivata a toccarlo in quello specifico punto.
“Non vorrete rovinare il lavoro, spero?” domandò una voce mentre lui cercava almeno di girare la testa il più possibile nella sua direzione.
“Ecco, ho finito”
La sensazione della mano sulla sua schiena sparì di colpo e l’attimo dopo Shade era seduta affianco al letto, per terra, in modo da avere il viso alla sua stessa altezza.
I capelli erano raccolti in una lunga treccia che le ricadeva sulla spalla e si stava ripulendo le mani su un pezzo di stoffa.
“È un unguento che aiuta a far cicatrizzare le ferite” rispose alla sua muta domanda.
“Avete dormito per una giornata intera e ne abbiamo approfittato per sistemarvi la schiena… beh, io ne ho approfittato, mi occupo io di queste cose” lo informò con tono pratico.
Harry intanto continuava a guardarla come imbambolato.
“Grazie” fu la risposta che riuscì a mettere insieme dal momento che Shade continuava a fissarlo aspettando che dicesse qualcosa.
La ragazza annuì sovrappensiero.
 
“Adesso volete spiegarmi cosa pensavate di ottenere minacciando Matt a quel modo?” domandò alla fine tornando di colpo seria.
Harry deglutì maledicendo il fatto che nella posizione in cui si trovava non poteva distogliere lo sguardo.
Shade sospirò: “Mi avete ben tenuto testa durante il duello e ve l’ho proposto solo perché avevo già discusso con Julian riguardo l’affidarvi qualche altra mansione… cosa dovrei fare adesso?”
Il ragazzo aprì la bocca e la richiuse: non sapeva cosa dire.
Shade si rialzò in piedi con la solita grazia silenziosa che la contraddistingueva: “Vi lascio riposare. Più tardi qualcuno vi porterà da mangiare e potrete provare a sedervi” gli disse avviandosi verso l’uscita.
“E… Harry?” richiamò un’ultima volta la sua attenzione, un piede già fuori dalla cabina, nonostante dalla sua posizione il ragazzo non potesse vederla.
“Adesso fate ufficialmente parte di questo equipaggio, vedete di tenerlo presente e comportarvi di conseguenza” la porta si richiuse con un leggero tonfo.
Il ragazzo affondò il viso nel cuscino soffocando un grido nella stoffa.
 
 
 
҉
 
 
 
L’incontro con il gatto a nove code non aveva cambiato il modo in cui veniva guardato dagli uomini della ciurma, ma almeno lui non doveva più pulire il ponte della nave.
In primo luogo perché le condizioni della sua schiena non l’avrebbero permesso – non subito almeno, nonostante il miracolo che Shade aveva fatto – e secondariamente perché se avesse provato di nuovo a mettere in atto un’azione di ribellione tanto avventata non ci sarebbe stato nessuno Codice: lo avrebbero fatto direttamente camminare sull’asse.
Questo nessuno lo aveva detto esplicitamente, ma era l’unica giustificazione al fatto che da quel momento in poi nessuno ci pensava troppo prima di dargli qualcosa da fare.
 
Avevano fatto scalo una volta, e due avevano requisito il carico di navi mercantili che trasportavano alcolici: fosse mai che la ciurma rimanesse senza.
Lo scambio si era svolto tutto sommato abbastanza pacificamente: Julian aveva dato ordine di abbordare la nave ma aveva altresì garantito che non avrebbe torto una capello a nessuno se avessero collaborato.
L’unica cosa che voleva era il carico nella stiva.
Probabilmente i due capitani si erano accorti che in realtà mancavano anche i dobloni frutto dei loro guadagni quando ormai la Doomed Destiny era già sparita all’orizzonte.
Di quello se ne era ovviamente occupata Shade mentre Cortès e il capitano di turno erano impegnati nella trattativa.
 
 
Fu una settimana dopo l’ultimo abbordaggio che l’urlo di Matt fendette l’aria mattutina.
“Terra!”
Nel giro di pochi secondi quasi tutti gli uomini erano sul ponte, Harry incluso, si erano affacciati al parapetto per guardare nella direzione indicata dal ragazzo.
Aveva ragione: all’orizzonte, tanto lontana da sembrare quasi sfocata, una striscia scura spiccava sul filo dell’acqua.
Julian e Shade, al timone con cannocchiale e bussola alla mano, si stavano sorridendo complici.
Harry si era spesso chiesto a cosa sarebbero servite le mappe che avevano rubato ad Antigua, a quanto pareva stava per scoprirlo.
Per l’ora di pranzo la striscia di terra si era trasformata in un’isola: adesso si poteva anche distinguere la vegetazione che vi cresceva.
Trovatosi momentaneamente sprovvisto di un compito – aveva già aiutato a servire il cibo e poi a ritirare le poche stoviglie che c’erano – Harry si era fermato a osservare l’isola.
Un fruscio gli fece capire che Shade era appena arrivata al suo fianco.
“Non mi lascerete scendere a terra, vero?” domandò mestamente.
La ragazza si sedette sul parapetto con un salto e piegò la testa di lato, scrutandolo.
“E perché mai non dovremmo?” chiese divertita.
“Non avete paura che scappi?” ribattè lui.
Shade scosse la testa: “L’isola è deserta, se volete provarci fate pure…” lo provocò “E comunque pensate che il capitano vi lascerebbe scappare così come se niente fosse? Pensavo che le frustate fossero servite a qualcosa…”
Harry lasciò perdere l’isola e si girò a fronteggiare la ragazza.: “Nemmeno voi sembrate molto a vostro agio con la frusta, dico bene?”
 
Non che avesse avuto modo di fermarsi a parlare con lei, ma aveva notato che ogni volta che frusta o gatto a nove code venivano chiamati in causa – la maggior parte delle volte nelle storie che i pirati più vecchi raccontavano dopo cena – la ragazza tendeva a irrigidirsi.
Anche quella volta la sua voce aveva tremato appena quando aveva pronunciato la parola frustate.
 
Forse però era stato più impertinente di quanto si sarebbe dovuto permettere perché l’espressione della ragazza si fece seria all’istante.
“Non capisco come questo potrebbe interessarvi” fu la sua secca risposta prima che scendesse dal parapetto e lo lasciasse da solo.













Buon pomeriggio a tutti.
Ecco finalmente il ricordo che torna in mente ad Harry, ricordo che più avanti troveremo di nuovo, però forse nella testa di qualcun altro...
Ma non dimentichiamoci che a quanto pare Julian e Shade sono riusciti ad arrivare alla loro tanto agognata "isola del tesoro", se così vogliamo chiamarla, che era anche il motivo per cui avevano deciso di tenersi il figlio del governatore a bordo.
Chissà cosa ne sarà di Harry adesso che hano raggiunto il loro obiettivo e non gli serve più... si accettano scommesse.
Appuntamento con il prossimo capitolo martedì 2 gennaio (caspita, saremo già nel 2018!).
E.

 
   
 
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