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Autore: blackthornssnaps    24/12/2017    3 recensioni
Headcanon di quello che potrebbe succedere quando Percy porta la sorellina a fare "dolcetto o scherzetto", la sera di Halloween, costringendo Annabeth ad andare con loro.
Dal testo:
"Era la prima volta, dopo anni, che si ritrovava a rimuginare sulle conseguenze della sua scelta di fuggire, o su tutto quello che si era persa e lasciata alle spalle.
Non ci aveva mai dato troppo peso, ma d’altronde non avrebbe mai potuto, non se avesse voluto continuare a sopravvivere. Invece ora… il pensiero le era balenato in testa.
Non che non fosse felice della sua vita, ovviamente lo era, però qualcosa nel profondo la punzecchiava.
Rimorso forse? Senso di colpa? Oppure una punta di gelosia? Era possibile?
'Gelosia… Dei, Annabeth, quanto sei ridicola. Guarda come ti sei ridotta.'
Ed ecco la sua razionalità tornare a galla e tormentarla.
'Gelosa di una bambina, non potevi cadere più in basso.' "
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Clara, con immenso ritardo, perché mi ha contagiato con le ff Percabeth e mi ha fatto tornare la voglia di scriverne una.
E alla mia Sherlock, perché sta male e spero questo le migliori la serata.
 
 
 
 
Halloween.
Che festa strana.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva festeggiata, si ritrovò a pensare Annabeth, così tanto che neanche più si ricordava se fosse mai davvero accaduto o se lo avesse solo immaginato.
Probabilmente me lo sono sognato, rifletté, ero davvero troppo piccola quando me ne sono andata di casa, non è possibile che lo abbia mai festeggiato, non come si deve almeno. E poi né mio padre né sua moglie si sarebbero mai presi la briga di portarmi in giro, visto quanto mi consideravano pericolosa.
Era la prima volta, dopo anni, che si ritrovava a rimuginare sulle conseguenze della sua scelta di fuggire, o su tutto quello che si era persa e lasciata alle spalle.
Non ci aveva mai dato troppo peso, ma d’altronde non avrebbe mai potuto, non se avesse voluto continuare a sopravvivere. Invece ora… il pensiero le era balenato in testa.
Non che non fosse felice della sua vita, ovviamente lo era, però qualcosa nel profondo la punzecchiava.
Rimorso forse? Senso di colpa? Oppure una punta di gelosia? Era possibile?
Gelosia… Dei, Annabeth, quanto sei ridicola. Guarda come ti sei ridotta.
Ed ecco la sua razionalità tornare a galla e tormentarla.
Gelosa di una bambina, non potevi cadere più in basso.
Ti sei costruita un grande futuro e sei stata bene per anni, cosa vuoi di più?
Se ti sentisse tua madre! Ti sembra un comportamento da figlia di Atena? Rimettiti in sesto!
E la sua vocina interiore aveva ragione, doveva assolutamente fare qualcosa.
Perché tra le tante cose che davvero poteva pensare su quella serata, arrivare a invidiare Estelle Blofis non sarebbe mai dovuto essere sulla lista.
Tutto questo non ha senso. Non si può essere gelosi di una bambina, che cosa mai dovresti invidiarle? Non è scientificamente possibile.
O forse sì? Potrebbe essere un qualche processo recondito del mio subconscio che torna a galla… Oh, Di Immortales! Annabeth stai zitta! Basta.
Scrollò la testa. Doveva assolutamente trovare un modo di spegnere quel suo maledetto cervello iperattivo, non poteva continuare così. Sarebbe finita rinchiusa in un ospedale psichiatrico, prima o poi, ne era consapevole.
Cercò di prendere un bel respiro e svagarsi un attimo, facendo scorrere lo sguardo su quello che la circondava, analizzando lo spazio attorno a lei, cercando di non pensare.
Si sentì subito meglio.
New York era davvero bellissima quella sera, non lo avrebbe mai immaginato.
Non aveva mai lasciato il campo in quel periodo, da bambina, e quando lo aveva fatto era stata così concentrata sullo studio, sulla guerra e… beh, sul cercare di non essere ammazzata dai mostri che la inseguivano, che non aveva mai fatto caso ad una cosa così normale come Halloween.
Le strade di Manhattan erano piene di negozi con le vetrine decorate. Lucine, zucche, teschi e ragnatele spuntavano da ogni angolo.
Anche le stesse abitazioni non erano da meno.
Aveva sempre visto gli addobbi nei film, in stradine di paesini molto più isolati e meno abitati della Grande Mela, perciò aveva dato per scontato che in una città così caotica come quella non avrebbe mai trovato tutto questo entusiasmo.
Si era sbagliata, invece.
Probabilmente, ritornò a riflettere razionalmente, è tutta una trovata di marketing. Insomma, tutto serve a rendere commerciale una credenza popolare così da sfruttarla per vendere e fare soldi.
Questo non le impedì, però, di guardarsi attorno meravigliata mentre scorgeva, mano a mano che avanzava, i portoni dei grattacieli e gli attici tutti addobbati.
Addirittura aveva trovato decorazioni anche sui vetri di alcune finestre.
E poi c’era la folla.
Neanche lei sapeva bene che cosa si stupisse a fare della gente per strada, insomma, viveva in una metropoli!
New York non era mai deserta, a qualunque ora del giorno e della notte la si trova caotica e in movimento.
Però quella sera era diverso.
Le persone non erano più solo i pendolari stanchi che tornavano a casa dal lavoro, gli imprenditori avvolti nei loro cappotti costosi, con la 24 ore in mano e un cellulare sempre attaccato all’orecchio nell’altra. E non erano nemmeno i ragazzi della sua età, che cercavano un pub o un locale dove passare la serata in compagnia, o i turisti.
Per le strade, a fare compagnia al traffico, c’erano orde di genitori che portavano in giro i figli, tutti rigorosamente travestiti.
Camminavano affianco a lei tranquillamente bimbi racchiusi in spessi mantelli svolazzanti, con dei canini finti ben in vista, altri ricoperti di carta o stoffa ingiallita come bende di mummie, bambine con cappelli a punta e una bacchetta magica in mano.
E i bambini non erano i soli.
Vi erano i ragazzi dei college, travestiti e truccati nei modi più stravaganti possibili, che ridevano e scherzavano mentre si avviavano verso le varie feste a tema organizzate.
E poi ancora, alcuni genitori temerari avevano preso sul serio la serata travestendosi insieme ai propri figli e sfilando tutti insieme per le strade, con grossi sacchetti carichi di dolci.
Ma che cosa ci faceva lei in tutto questo?
Lei con la sua mente analitica era come un pesce fuor d’acqua in una situazione come quella. (O, almeno, così ripeteva a se stessa.)
Peccato che quell’idiota del suo ragazzo aveva preso sul serio il suo ruolo di fratello maggiore preferito – si ostinava a negare il fatto che essendo l’unico fratello maggiore di Estelle non sarebbe potuto essere altrimenti – e aveva accettato di accompagnare la sorellina a fare “dolcetto o scherzetto”.
E ovviamente aveva coinvolto anche lei.
Si sentiva davvero una stupida, perché non riusciva mai a dirgli di no?
Non avrebbe mai imparato.
Ed eccola lì, quindi, immersa in un mondo quasi surreale ai suoi occhi decisamente troppo razionali.
Si era tenuta un po’ in disparte rispetto a Percy ed Estelle, che camminavano qualche passo avanti a lei, così da poter restare ad osservarli per bene.
Faceva un certo effetto guardare Percy con i suoi pantaloni aderenti blu (non era riuscita a trattenere le risate quando lo aveva visto, lo avrebbe preso in giro per anni), legati in vita da una fascia spessa rossa che gli stringeva la camicia bianca da pirata sulla vita.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma stava proprio bene vestito così. Se per la sua naturale indole ad essere un marinaio, in quanto figlio del dio del mare, o solo per il fisico che si ritrovava, Annabeth non avrebbe saputo dirlo.
C’era da dire che ovviamente anche Estelle era molto carina.
Annabeth non aveva la più pallida idea di come – o dove – Percy si fosse procurato il costume della bambina, né tantomeno riusciva a immaginare come fosse riuscito a convincere la madre a lasciarglielo fare. Non poteva, però, negare che avesse fatto davvero un ottimo lavoro.
Estelle indossava un semplice vestito blu, con una morbida e lunga gonna svolazzante di un colore più scuro, e con già cucito, nella parte superiore, il corpetto nero, così che somigliasse il più possibile all’abito indossato da Ariel nel classico film Disney, durante la famosa scena della gita in barca con Eric.
Portava, addirittura, una bellissima parrucca rossa, così simile ai capelli della sirenetta, che poi Sally, la madre, aveva accuratamente acconciato con un grosso fiocco azzurro.
La cura con cui Percy aveva scelto i costumi per far contenta la sua sorellina fece venire voglia ad Annabeth di piangere, tanto da stupirsi di se stessa. Di solito era brava a controllare le emozioni, aveva avuto anni di pratica per imparare.
C’era, però, qualcosa di così genuino in quel gesto che le fece notare ancora una volta l’immensa bontà d’animo di quel ragazzo.
Quel ragazzo che nel profondo sarebbe sempre rimasto un po’ bambino, nonostante fosse ormai cresciuto e cambiato rispetto al dodicenne problematico che aveva incontrato anni prima, ma che non aveva mai perso il suo insensato concetto di umorismo o la sua idiozia innata e che, proprio per questo, era riuscito a rubarle il cuore.
Mentre lo guardava fare il solletico alla bambina, facendola ridere e ridendo anche lui a sua volta, Annabeth si ritrovò a pensare che sembrasse davvero un principe di una terra lontana, venuto fin qui per nave e rimasto rapito dal fascino della bella sirena.
Riusciva a vedere la purezza dei gesti di Percy, mentre rifletteva su quanto fosse difficile trovare un ragazzo che prendeva così a cuore prendersi cura della sorellina, tanto da arrivare a farlo di sua spontanea volontà, invece di lamentarsi perché costretto dai genitori e finendo poi con non occuparsene minimamente.
Persa nei suoi pensieri, si ritrovò a sorridere senza neanche accorgersene, sentendosi così fortunata ad avere un fidanzato come lui.
Fidanzato che, però, pur camminando davanti a lei concentrato su Estelle, non aveva smesso di assicurarsi che Annabeth fosse sempre lì con loro e che, perciò, si accorse del suo sorriso improvviso.
Annabeth imprecò sotto voce.
Ora sì che sono finita. Non me la farà passare liscia, questa volta. Non doveva vedermi sorridere, maledizione.
Percy si voltò verso di lei, infatti, con un ghigno inconfondibile stampato in faccia.
Prima ancora che potesse aprire bocca, Annabeth gli scoccò un sguardo di fuoco.
Non ti azzardare a dire una sola parola, diceva la sua espressione, ma naturalmente Percy la ignorò.
«Ehi Sapientona! Ti stai divertendo, alla fine?» chiese.
Okay Annabeth, calma. È un idiota, ma questo già lo sapevi. Devi solo fare quello che fai sempre e rispondergli come se non ti importasse di niente.
«Assolutamente no, Testa d’Alghe. Anzi, continuo a non capire l’utilità di tutto questo. E neanche cosa ci faccio io qui.» rispose lei, incrociando le braccia al petto.
Percy la guardò divertito.
Di Immortales, se non si toglie quella smorfia compiaciuta dalla faccia da solo, glielo farò fare io a forza.
Oh, ma me la pagherai, Testa d’Alghe. Eccome se lo farai.
«Davvero? E allora quel sorriso che avevi poco fa per cos’era? Non provare a negarlo, Annie, l’ho visto.» continuò il ragazzo, deciso a farle ammettere quanto in fondo la cosa le facesse piacere.
«Non era un sorriso di felicità, quello. Stavo solo ripensando a quanto sei ridicolo conciato così. È impossibile trattenersi, guardandoti.» ribatté, sfidandolo. Poi sembrò rendersi conto di qualcos’altro, perché si affrettò ad aggiungere: «E comunque, non chiamarmi Annie! Lo sai che lo detesto!»
A quel punto Percy si mise davvero a ridere, Annabeth era troppo comica quando si arrabbiava, e lui adorava farla diventare matta.
Lei non la prese altrettanto bene, perché il suo sguardo si infiammò ancora di più per la frustrazione.
Entrambi parvero dimenticarsi della presenza di Estelle lì con loro, presi dalla discussione com’erano.
La bambina li fissava incerta, passando lo sguardo dal fratello alla sua ragazza, non capendo se stessero litigando davvero o solo per gioco.
Sapeva che a volte lo facevano, si stuzzicavano a vicenda finché uno dei due non avesse ceduto – di solito Percy – e non avesse cercato di farsi perdonare tra abbracci, solletico e baci.
Però non era mai facile capire quando era uno scherzo e quando litigavano sul serio.
Decisa a farli smettere, tirò debolmente la manica della camicia di Percy, che sembrò riprendersi abbassando lo sguardo su di lei e sorridendole.
La prese in braccio, poi, prima di riportare la sua attenzione su Annabeth che, avendo anche lei visto la bambina preoccupata, decise di lasciar perdere la discussione e ora sembrava più tranquilla.
«Lo sai, magari la cosa continuerà a non piacerti, però sarebbe molto più divertente se ti unissi a noi, invece di stare da sola lì dietro.» le disse, prima di girarsi e rimettere a terra la sorellina, senza smettere di sorridere.
Oh Dei. Ora lo uccido sul serio.
Annabeth sapeva che la stava solo provocando, o forse stava solo cercando di farla cedere.
Sapeva, anche, nel profondo di quanto lui avesse ragione. Prendeva le cose troppo sul serio, avrebbe davvero dovuto iniziare a vivere più leggera, lasciandosi coinvolgere da Percy nelle sue idee.
Probabilmente, si ritrovò a riflettere, era questo lo scopo fin dal principio.
Annabeth guardò di nuovo il suo ragazzo, con questa nuova consapevolezza nel cuore, e lui si girò a sua volta verso di lei, come se sentisse la sua presenza.
Aveva ufficialmente abbassato tutte le difese e Percy se ne accorse, perché i suoi occhi si scurirono carichi di preoccupazione.
Prima che potesse parlare, Annabeth si mise a ridere e lui si rilassò.
Sei davvero carino quando sei preoccupato, gli mimò lei con le labbra, certa che non avrebbe capito, invece lui lo fece. Alzò le spalle e le sorrise.
E il cuore di Annabeth fece una capriola.
Percy le fece segno di avvicinarsi ancora una volta, poi si chinò verso la sorellina e le disse qualcosa sottovoce. La bambina sorrise e guardò Annabeth a sua volta, tutta contenta, allungando la manina come per invitarla.
Il cuore di Annabeth si strinse ancora, non abituato a tutto questo, nonostante lei e Percy stessero insieme da anni.
Non si era mai sentita accettata dalla sua famiglia e vedere che quella del suo ragazzo, invece, la amava così tanto, ancora le faceva un effetto strano.
Si avvicinò, allora, mandando all’aria tutte le sue convinzioni troppo razionali, e prese la manina tesa di Estelle, che ricambiò la stretta con un mega sorriso sdentato e gli occhioni luccicanti.
La gioia della bambina contagiò anche Annabeth, la serata era diventata tutto uno scambio di sorrisi.
Anche Percy si avvicinò, alla fine, e Annabeth si sentì rassicurata dalla sua presenza. Il fatto che lui accettasse di lasciare che fosse lei a tenere per mano Estelle voleva dire grande fiducia, e Annabeth era felice di questo.
«Perché non ti piace Halloween, Annabeth?» la vocina della bimba la riscosse.
«Uhm? Oh, no non è che non mi piace, è che io non l’ho mai festeggiato. La mia famiglia… beh non era come la tua e non ha mai amato questo genere di cose.» rispose, cercando di non sembrare troppo dispiaciuta dalla cosa. Non poteva scaricare tutta la sua amarezza su una bambina di 5 anni.
La bambina rimase in silenzio per un po’, poi sembrò distrarsi da una vetrina e lasciarono cadere l’argomento. Percy diede un bacio sulla tempia ad Annabeth, prima di seguire la sorellina.
Annabeth li lasciò fare sorridendo, finché non vide Estelle correrle incontro. Vedeva anche Percy guardarle da lontano confuso, ma non disse niente.
Si chinò alla stessa altezza della bambina – le aveva portato un dolcetto! – e le sistemò la parrucca, che le stava scivolando per la corsa appena fatta.
Improvvisamente Estelle la abbracciò, cogliendo Annabeth di sorpresa.
Ricambiò la stretta, allora, e la piccola si staccò per dirle qualcosa all’orecchio prima di correre via tutta contenta.
«Mi dispiace che tu non abbia mai festeggiato Halloween, ma non preoccuparti. L’anno prossimo se vuoi Ariel puoi farla tu.»
 



Bonus:
 
Avevano ripreso a camminare.
Ora che Annabeth era lì accanto a lui, Percy si sentiva decisamente meglio.
Sapeva che in fondo la sua ragazza avrebbe adorato passeggiare per la città con lui e Estelle, mentre facevano “dolcetto o scherzetto”, così come sapeva che non lo avrebbe mai ammesso e avrebbe continuato con la sua aria di sufficienza.
Ma in fondo anche quello era uno dei motivi per cui si era innamorato di lei. Quel suo dannato orgoglio non glielo avrebbe tolto nessuno, e a Percy stava bene così.
Si era, però, preoccupato quando avevano iniziato a discutere e aveva visto il viso di Annabeth poco dopo. Aveva davvero pensato di aver esagerato. E se si fosse sbagliato e Annabeth non stesse recitando, ma fosse stata convinta di quanto tutto questo fosse ridicolo? E se l’avesse fatta arrabbiare davvero, o peggio, se l’avesse ferita?
Sono stati solo pochi attimi, ma il panico si era insediato dentro di lui lo stesso. Fortunatamente lei però aveva sorriso e lui era tornato a respirare.
E adesso lei era lì, accanto a lui, mano nella mano con la sua sorellina.
Erano riusciti a procurarle anche un cappello da pirata e l’avevano convinta ad indossarlo.
Doveva ammettere che, in momenti come quello, lui stesso dubitava di chi fosse il bambino tra lui ed Estelle, però non ci aveva mai dato troppo peso. Annabeth aveva sbuffato quando si era presentato davanti a lei con quel ridicolo cappello, - scordati che io mi metta quella “cosa”, Testa d’Alghe, - ma alla fine lo aveva indossato e ora camminava a testa alta, come se ne andasse fiera.
Ad un certo punto l’aveva vista rabbrividire e, quasi d’istinto, le aveva messo un braccio attorno alle spalle, così che lei potesse scaldarsi un po’. Non se ne era nemmeno reso conto, erano reazioni che gli venivano naturali, ormai, dopo anni passati con lei.
Stavano camminando così, tranquilli e abbracciati, quando Estelle vide un enorme cane – un peluche che cammina! – aveva gridato, e gli corse incontro tutta felice.
Percy imprecò mentalmente, richiamando la bambina, ma quella ovviamente non lo ascoltò.
Le corse incontro a sua volta, mentre Annabeth, rimasta indietro, rideva sotto i baffi.
Te la faccio pagare dopo, Sapientona.
Estelle nel frattempo stava accarezzando il cane sorridendo allegramente, come se niente fosse.
Riuscì a riportarla indietro senza troppi sforzi, alla fine, anche se fu costretto a prometterle che avrebbe chiesto alla mamma di prenderle un cucciolo il prima possibile.
Sempre se non mi uccide prima. Questa è la volta buona che mi fa fuori, lo sento. Altro che mamma migliore del mondo perché non si arrabbia mai, sta volta è la fine.
Quando tornarono verso Annabeth, Percy vide che stava allegramente conversando con qualche passante che aveva assistito alla scena. Perché è così che funziona a Manhattan, la gente attacca bottone con te a caso.
«I bambini sono difficili da gestire eh, specialmente quando vedono un qualche animale» stava dicendo una signora, ridendo.
«Già» le rispose cordialmente Annabeth. «Ha proprio ragione.»
«Specialmente quando sono pestiferi come questa qui.» si inserì, allora, nel discorso Percy, indicando Estelle e prendendola in braccio. «Altro che principessa sirena, dovrebbe essere la strega del mare, piuttosto.» aggiunse, facendole il solletico.
«Beh, però Ariel non è esattamente lo stereotipo della figlia ubbidiente. Ricordati che disubbidisce a suo padre e scappa.» precisò invece Annabeth, guadagnandosi un’occhiataccia da Percy.
Seriamente, Annie? Vuoi davvero metterti a far la precisina su un film Disney? Da che parte stai?
Venne però liquidato con un gesto esasperato della mano.
I signori che si erano fermati a conversare con loro, si misero a ridere, iniziando però a congedarsi.
«Ah, si vede che siete proprio alle prime esperienze, d’altronde siete così giovani! Imparerete presto cosa vuol dire avere un figlio, siete già molto fortunati ad avere una bella bambina come lei» dissero, poi, prima di salutarli del tutto e sparire nella folla da dove erano venuti.
Percy e Annabeth si guardarono confusi per un mezzo istante.
Ma… hanno davvero pensato che Estelle… oh, miei Dei.
 
***
 
Riportarono Estelle a casa, contro tutte le sue proteste, non appena Percy vide che stava iniziando a tremare. Non aveva nessuna intenzione di farle prendere l’influenza, e poi si stava facendo tardi per una bimba di 5 anni.
Sua madre non lo uccise per l’idea del comprare alla sorellina un cucciolo, ma nulla gli tolse l’occhiataccia che Sally gli lanciò.
«Io direi che il tuo cane può bastare, Percy. Specialmente considerato che è più grosso del mio soggiorno.»
E, a questo, sapeva di non poter ribattere. La Sig.ra O’Leary era davvero enorme, essendo un segugio infernale.
Sapeva anche di dover riportare a casa Annabeth, ma senza Estelle con loro, si rifiutava di uscire conciato come un idiota in pantaloni attillati – Annabeth non aveva ancora smesso di prenderlo in giro per questo, ancora di più ora che si vergognava improvvisamente di uscire vestito così – per cui si cambiò il più velocemente possibile, indossando semplici jeans e una felpa, e la raggiunse.
Appena fuori casa, Annabeth gli prese la mano e, sporgendosi verso di lui, gli stampò un bacio sulla mandibola. Di solito evitavano effusioni in pubblico, specialmente quando nei paraggi c’era Estelle, perché Percy sapeva che faceva sentire la sua ragazza a disagio. La lasciava, perciò, sempre fare quando invece era lei a prendere iniziative, a lui non poteva che far piacere.
«Lo sai, quasi quasi ti preferivo com’eri prima. Eri ridicolo, certo, però quei pantaloni attillati non ti stavano poi così male, in fondo. Inizio a rimpiangerli.» gli disse, scoppiando poi a ridere.
Percy le fece un sorrisetto sghembo, nascondendo però il viso e sperando che lei non notasse che fosse arrossito. Ovviamente Annabeth se ne accorse e gli diede un altro bacio sulla guancia.
«Felice di vedere che la cosa ti diverte, Sapientona. Magari li metterò in altre occasioni.» ribatté allora lui, ritrovando coraggio.
«Oh, ma io lo spero.»
Avanzarono per un po’ in silenzio, sorridendo ogni tanto persi nei propri pensieri.
Percy adorava anche solo stare in sua compagnia, dopo tanti anni non erano necessarie le parole.
Quando arrivarono verso casa di Annabeth, però, un pensiero gli balzò in testa. Doveva anche aver assunto un’espressione strana perché Annabeth lo guardò stranita. “Che c’è?”, diceva il suo sguardo.
Lui scosse la testa. «Mi è solo venuto in mente quello che ha detto quella signora, prima, alludendo a mia sorella come se fosse nostra figlia. È stato… non lo so, strano.»
«Già» concordò Annabeth. «Sono d’accordo. Chissà poi perché lo ha pensato. Insomma, noi non siamo certo dei genitori, cosa glielo ha fatto pensare?»
Potresti essere sua madre, sai. Sei brava con lei, ti ascolta. In genere non lo fa.
«Non lo so. Però, alla fine Estelle è quasi sempre con noi. Voglio dire, mamma eviterebbe pure di farmi sempre occupare di lei se quella peste glielo permettesse, invece fa di tutto per stare con me quando ci sei tu…»
«Oh, per favore. Percy, tua sorella fa di tutto per stare con te. Ti adora!» lo interruppe Annabeth, con il suo solito fare.
«Sì, lo so, però adora anche te, e se ci pensi la maggior parte del tempo lo passa davvero con noi. Forse siamo un po’ i suoi genitori, no?» pronunciò l’ultima frase quasi come se non la volesse dire, come avesse paura che Annabeth la prendesse male.
Lei, d’altro canto, aspettò un attimo prima di rispondergli, come se ci stesse riflettendo su.
«Sì. Sì, hai ragione. In fondo Estelle è sempre stata un po’ la nostra bambina.» gli sorrise e Percy vide che anche lei stava arrossendo ora, una delle poche volte in cui gli era concesso notarlo.
Percy la strinse a sé, allora, fingendo di non aver visto niente, e stampandole un bacio tra i capelli, felice di averla accanto, non potendo desiderare nient’altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
HELLO SWEETIES!
Penso di essere l’unica persona al mondo così tanto malata di mente che a Natale scrive una storia su Halloween, però dettagli.
Mi serviva una scusa per finirla, o non l’avrei mai fatto, e questa faceva al caso.
Non doveva nemmeno finire così, ma non sapevo più come continuarla. Quel “bonus” non era nemmeno previsto originariamente… vabbè.
In ogni caso, spero vi piaccia.
E grazie a tutti quelli che arriveranno fino in fondo alla storia, sappiate che mi fa molto piacere!
Beh, ho finito, vi lascio in pace. Buone feste, gente!
 
Rebs.
   
 
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