Avviso: in questo
capitolo sono presenti scene di sesso dal rating ambiguo, che
probabilmente
oscilla fra l’arancione e il rosso. Dal momento che non mi
sembrava proprio il
caso di cambiare rating all’intera storia per un pezzo di un
capitolo dalla
dubbia classificazione, se vi sentite a disagio con la cosa potete
tranquillamente saltare alla fine.
Grazie della
comprensione e buona lettura! :)
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«“Ma quanto
manca? Ma siamo
arrivati? Ma quando si mangia? Ma dov’è
l’Autogrill? Ma c’è l’acqua
calda?”:
azzardati a lamentarti ancora mezza volta e giuro che te ne do tante,
ma
talmente tante, che ti riduco in formato tascabile e ti infilo nella
saccoccia
che hai in spalla, possa sparirmi il naso se non lo faccio!»
Uno stormo di uccelli si
alzò
gracchiando come a maledire Pitch per averli disturbati con le sue urla
gutturali, e come dare torto a quelle povere bestiole? La scampagnata
padre e
figlia nei boschi del Galles non stava precisamente procedendo come
previsto.
Tutt’altro.
Ad Emily Jane quel posto metteva
i brividi, doveva ammetterlo: c’era qualcosa
nell’aria di quel luogo
dimenticavo dagli dei che la inquietava e non le permetteva di
rilassarsi
completamente; se si concentrava, le pareva addirittura di avvertire la
magia
scorrere con potenza immane in ogni sasso, in ogni foglia, persino in
ogni filo
d’erba, e non era un tipo di magia che ricordava di conoscere.
C’era qualcosa,
ma non aveva idea di cosa fosse esattamente.
“Come
Little Children
I'll
Take Thee Away
Into A
Land
Of
Enchantment”
«Come hai
detto?»
«Eh?» Pitch si
girò verso la
figlia, stranito «Non ho nemmeno parlato, io,
perché me lo chiedi?»
Non aveva parlato? Come
poteva essere possibile che non fosse stato lui a parlare? Eppure
qualcuno
aveva appena cantato, aveva distinto molto chiaramente le parole come
se le
fossero state sussurrate all’orecchio, le era parso di
avvertire anche il
calore del fiato sulla pelle!... Esattamente come era accaduto durante
l’allucinazione avuta a Tandokka, appunto.
«Niente, niente, mi era
solo
sembrato di aver sentito un rumore, probabilmente sarà stato
un qualche
animale. O un folletto che voleva sbirciare sotto la mia
gonna».
«Sì,
probabilmente sì» rise
lui tornando a fischiettare bello tranquillo, totalmente inconsapevole
di ciò
che frullava nella testa di sua figlia. Per sua fortuna, bisogna dire.
Sì, era stata solo
un’altra
allucinazione, niente di più.
“Come
Little Children
The
Time's Come To Play
Here In
My Garden
Of
Shadows”
Con la coda dell’occhio,
ad
Emily Jane parve di vedere qualcosa o qualcuno nascosto fra gli alberi,
una
figura scura accompagnata da quella che le parve una fiammella
tremolante,
forse una lanterna; si girò di scatto: non c’era
nulla.
“È solo
un’allucinazione, lo
sto sentendo solo io, lo sto vedendo solo io” si disse
mentalmente stringendo
gli occhi al riprovare quella sensazione di calore
all’orecchio “non farci
caso, non dargli corda e vedrai che passa da solo, fingi che vada tutto
bene e
comportati normalmente”.
Guardò suo padre:
continuava
a camminare imperterrito e sereno, ogni tanto si fermavano e lui si
guardava
intorno pensieroso ma poi subito ripartivano.
Dietro di loro, le sagome
nere divennero due.
“Follow
Sweet Children
I'll
Show Thee the Way
Through
All The Pain And
The Sorrow"
E Madre Natura le vide.
Pitch no, invece.
“Va tutto bene,
benissimo,
non sta accadendo nulla di male. È solo nella tua testa,
nella tua
stramaledetta testa: non è reale, non è reale,
è tutta un’allucinazione” si
ripeté nuovamente fingendo di non notare come entrambe le
ombre si stessero
affiancando a lei e suo padre; cercando di mantenere la calma, si
chiese come
fosse possibile che lui non le notasse, considerando che quelle figure
gli
stavano a cinque centimetri!
Poi si rispose da sola: era
una sua allucinazione, era ovvio
che
nessun altro oltre a lei potesse vederle o sentirle.
“Weep
Not Poor Children
For
Life Is This Way
Murdering
Beauty And
Passions”
Fece per girarsi verso una di
esse, il cuore che batteva all’impazzata come se volesse
uscirle dal petto, ma
era troppo tardi: non c’era più nulla. Esattamente
come le ombre erano
comparse, ora era svanite senza lasciare traccia alcuna del loro
passaggio.
O quasi.
Frugando con la mano nella
propria saccoccia, la giovane Pitchiner trovò quella che le
parve essere una
bambola alquanto rudimentale, se così si poteva chiamare la
figura umanoide
stilizzata ottenuta unendo dei bastoncini di legno che stava tenendo in
mano.
«Dove l’hai
presa?» domandò
suo padre svegliandola dai suoi pensieri.
Emily la guardò qualche
istante, forse per capire cosa fosse, forse per cercare di trovare una
spiegazione logica che non implicasse il raccontare delle proprie
allucinazioni.
«Deve essersi incastrata
nella mia borsa mentre camminavamo, non ricordo di aver mai avuto
niente di
simile con me» rispose mostrandogli la bambola
«forse era attaccata a qualche
albero, non saprei, ma non penso sia importante».
Pitch non parve affatto
convinto di quella versione: prese l’oggetto fra le mani,
studiandolo
attentamente per minuti che parvero eterni borbottando qualcosa fra
sé e sé.
«Di cosa si-»
«Twanas, talismani per la
magia nera» spiegò gettandolo a terra
«dobbiamo andarcene, e dobbiamo farlo in
fretta».
Emily trasalì
«Come sarebbe a
dire che-» si bloccò quando si rese conto che
stava parlando col vento: suo
padre se l’era filata da un pezzo, precisamente subito dopo
aver visto la
bambola.
Che si fosse immaginata pure
la sua voce?
Sospirando, Madre Natura si
limitò ad accucciarsi ai piedi di un albero; si
portò le ginocchia al petto e
vi poggiò la testa sopra: se i demoni fossero venuti a
prenderla, le avrebbero
solo fatto un favore.
Ma a prenderla venne solo
Black, un indefinito lasso di tempo dopo.
Ansimante e con lo sguardo
stralunato che schizzava da una parte all’altra visibilmente
preoccupato, subito
si fiondò sulla saccoccia della figlia estraendone del pane
senza che questa
potesse proferire parola o fare qualsiasi altra cosa.
Svanì fra gli alberi di
fretta e furia di nuovo, dietro di sé una scia di molliche
nemmeno fossero
nella favola di Hänsel e Gretel.
E ricomparve di nuovo poco
dopo, assolutamente delirante.
«… Non
c’è via di scampo,
siamo senza speranza, lo siamo sempre stati da quando siamo entrati,
saremo
vittime del bosco anche noi…» continuò
però a disperarsi alzando il tono di
voce incrinata dal pianto; iniziò a frugarsi nelle tasche,
estraendo ciò che
rimaneva della pagnotta di prima «Guarda! GUARDA! Avevo
lasciato delle tracce
per terra per non perdermi, eppure eccomi qui al punto di partenza! E
sai
perché?!!»
Lei scosse la testa.
«Perché
qualche demone le
avrà mangiate, ecco perché!»
«Demoni, dici?»
ripeté con
fare interrogativo Emily «Forse è stato qualche
folletto, non è una novità che
i boschi dell’arcipelago britannico siano abitati dal Piccolo
Popolo, per cui-»
«Per cui mi hanno rotto
il
cazzo, i folletti e gli animaletti fatati e tutte le fate e gli elfi
rottinculo
di questo stramaledetto posto! Ora gli faccio vedere io come si fa a
schiacciare l’erba! Glielo faccio vedere io!»
gridò furioso alzandosi di
scatto.
Come mosso da una furia
incontenibile, Pitch prese a pestare forte i piedi a terra
assicurandosi di
estirpare per bene ogni più piccolo filo d’erba,
di schiacciare ogni singolo
insetto che gli capitasse sotto tiro dando vita ad una vera e propria
caccia
ora alla formica, ora al centopiedi; pestava i piedi per terra, il
sovrano
degli incubi, e per rincarare la dose di offese al Piccolo Popolo si
mise pure
a strappare quanti più fiori e piante possibile, ortiche
comprese: con le mani
o con la bocca -nemmeno fosse un caprone al pascolo- non aveva
importanza,
voleva solo distruggere quel dannatissimo labirinto di alberi che lo
stava
facendo impazzire.
E tutto ciò lo faceva
gridando come uno scimpanzé al quale è stata
rubata la sua banana.
“Ed ecco
l’anello mancante
fra l’uomo e la scimmia”, pensò Emily
Jane scuotendo la testa allibita: era suo
padre, quello, a tratti non ci credeva nemmeno lei.
Pitch strappava, mordeva,
schiacciava.
Poi gridava, ringhiava,
grugniva.
…
Grugniva?
Un eco di voci femminili si
fece largo fra risate e applausi scroscianti.
Emily alzò gli occhi e
le
vide di nuovo, le due ombre di prima, ma questa volta avevano fattezze
femminili: davanti a lei, due donne si ergevano statuarie scrutando
incuriosite
e compiaciute la scenetta offerta da Pitch che -a causa di
chissà quali
malefici contenuti in quel bosco maledetto- si trovava con qualcosa di
ben più
raccapricciante del suo solito enorme naso.
Tipo quest’ultimo che
aveva
assunto le sembianze di quello di un maiale, con tanto di orecchie e
coda
correlati.
Una delle due donne, quella
dai lunghi ricci biondi che le ricadevano fin sopra le natiche come una
criniera, gli si avvicinò sospettosa e lo guardò
qualche istante, toccandogli
con fare confuso le sue nuove simpatiche orecchie da suino.
«Per le cento teste di
Ladone! Non è mai capitato che i miei incantesimi
fallissero, con tutti gli
uomini che ho trasformato in maiali veri!»
esclamò a metà fra il sorpreso e il divertito; si
girò verso l’altra, sfidando
lo sguardo di quegli occhi gialli cerchiati di nero dalle vaghe
reminescenze
feline «Dì, Elly Kedward, non è che ti
sei intromessa con la mia magia, eh?
Quelle tue bambole mi disturbano, lo sai».
«Prima cosa: non
azzardarti a
chiamarmi di nuovo così, o giuro che chiamo tua madre e le
dico di quando ti
sei scopata Ulisse, e pure dei due incidenti
di percorso. Che ne dici, Ecate si incazzerà di
più perché una dea è scesa
a scoparsi un mortale, o al non aver conosciuto i suoi
nipotini?» domandò
stizzita scostando il cappuccio violetto che le copriva la corta chioma
nera
«Blair, Strega di Blair, prego. Seconda cosa: secondo te, chi
è che rovina
sempre la festa -e gli incantesimi- a chiunque? Indizio: la sorella
incestella
di re Artù!»
«Fatela finita, voi due,
che
senza il mio labirinto non sareste nemmeno riuscite a fare la
metà delle cose
che avete fatto a questi due poveri disgraziati, la Dea Madre abbia
pietà di
loro» intervenne una terza figura che uscì
direttamente dal bosco, una donna i
cui capelli bluastri erano raccolti in sottili dreadlock che
fuoruscivano dal
cappuccio del mantello che portava «e comunque non sono stata
io a fermare il
tuo incantesimo, Circe, mettiti il cuore in pace su questo».
Pitch passione Babe maialino
coraggioso ebbe come un’illuminazione: Circe? Quella
Circe?
Inutile dire che bastò
quella
parola a risvegliare in lui la rabbia di prima, con la sola differenza
che ora
le sue grida erano più simili a grugniti suini, che a
qualcosa di umano.
«Brutta figlia di una dea
a
tre teste, se ti metto le mani al collo ti-»
«Le unghie,
più che altro»
precisò indicandogli che da maiale aveva pure le zampe.
Black non si scompose
più di
tanto «Le unghie te le ficco negli occhi finché
non te li cavo, se non ti muovi
a riportarmi alla normalità! E tu, oh! Tu!»
indicò l’altra donna dai capelli
neri, che intanto si era messa a ridere sonoramente «Strega
di Blair di
stocazzo o no, giuro che le tue bambole di merda te le infilo su per il
culo
una per una, maledetta megera!»
«Oh-oh, questa brucia, letteralmente» intervenne
l’incappucciata delle tre prendendo in mano l’uomo
stilizzato fatto di
legnetti, che si dissolse in cenere dopo che venne avvolto da una
sottile
fiammella comparsa sul suo palmo.
«E brucio pure te! Cosa
credi, Morgana, di essere esente da colpe? Dannata strega incestuosa,
non mi
fotti un’altra volta con i tuoi stramaledetti incantesimi,
una mi è bastata e
avanzata» le indicò gli alberi dietro di
sé «quello è un fottuto labirinto, un
labirinto: io so orientarmi in questo bosco, mi sembrava ben strano non
riuscirci questa volta, e infatti ecco di chi è la
colpa!» le alzò il medio, furibondo
«E ora qualcuno mi faccia tornare normale, oppure-»
Detto fatto: Pitch tornò
lo
stesso di prima in uno schioccare di dita.
“Per fortuna o per
sfortuna
non saprei proprio dirlo, quel naso era sempre meno inquietante di
quello che
ha solitamente”, pensò Emily tenendosi per
sé quella riflessione, temendo anche
che una di quelle donne la leggesse nella mente, dal momento che
praticavano
tutte la magia nera.
Ma non la praticava
l’uomo
sulla cinquantina che era appena apparso davanti a loro: capelli
brizzolati
tenuti in un ordinato ciuffo piegato di lato, barba e baffi corti e
curati
dello stesso colore, occhi di un viola-bluastro tendente al nero, Madre
Natura
non ricordava di averlo mai visto o che suo padre gliene avesse mai
parlato.
A chiarirle le idee,
tuttavia, pensarono le streghe poco dopo.
«Merlino infame, per te
soltanto rane!» gridò la Strega di Blair evocando
una pioggia di rospi sulla
testa del collega, evidentemente furibonda.
Con eleganza innata,
l’altro
fece comparire un ombrello per ripararsi.
«Desolato, signore mie,
ma ho
ritenuto opportuno che interrompere il vostro sollazzo fosse la cosa
giusta da
fare: non si accoglie così un amico, ve l’ho detto
più volte» le rimproverò
tranquillo, poi si girò verso Pitch «ti chiedo di
scusarle, Black, sai come
sono fatte».
“Oooooh, il mago Merlino!
Ora
è tutto più chiaro!” si
illuminò la giovane Pitchiner.
Ora ricordava il perché
non
lo aveva riconosciuto: aveva sentito pronunciare quel nome da suo padre
solo un
paio di volte in tutta la sua esistenza nel post-Befana, e per ognuna
di esse
era accompagnato da epiteti non molto gradevoli, qualcosa come degli
insulti.
E delle bestemmie.
E imprecazioni varie ed
eventuali.
E pure un paio di
maledizioni.
Forse anche una minaccia di
querela.
E tutto perché era il
migliore amico della sua fidanzata.
Pronto ad impugnare
un’ascia
di guerra mai sotterrata, Pitch non lo ringraziò per
l’aiuto e, anzi, gli
lanciò un’occhiata di sprezzo e disapprovazione.
«Tsk, stavo riuscendo a
liberarmi da solo, il tuo intervento è stato inutile e
superfluo come lo è
sempre» asserì quasi schifato dall’aiuto
dell’altro.
Merlino -che ben conosceva i
suoi polli, o maiali- sorrise tranquillo «Oh, ho visto come
stavi risolvendo da
solo, ho visto eccome» ridacchiò nascondendo le
labbra con il cappotto che
teneva sulle spalle «comunque figurati, non
c’è di che. Stai andando da
Gwenllian, immagino».
«Non sono cazzi tuoi dove
sto
andando, immagino».
«No, hai ragione, non lo
sono, perdonami per la domanda fuori luogo» si
scusò con un breve inchino «ma,
dato che sappiamo entrambi che la risposta alla domanda e
sì, vi consiglierei
di andare sopra quella roccia laggiù»
indicò un masso alto poco lontano che si
innalzava nel bosco, in una zona con poche piante
«sarà più semplice prendere
il vostro passaggio aereo, direi».
L’Uomo Nero
trasalì «NO EH!
Non di nuov-…!!!»
Cinque secondi netti dopo,
Pitch ed Emily Jane stavano sorvolando gli alberi sospesi agli artigli
di
un’aquila albina gigante, che sbatteva le ali furiosa come se
volesse farli
cadere. Teoria che forse per Black aveva pure un certo fondamento.
E il Signore degli Anelli
poteva accompagnare solo.
---
E pure il voltastomaco poteva
accompagnare solo.
Il tempo di riprendersi
dall’aver vomitato la vita, l’universo e tutto
quanto, Pitch trovò la forza per
raddrizzarsi e guardarsi intorno; tirò un sospiro che doveva
essere di
sollievo, ma che non riusciva a nascondere un velo di agitazione: erano
arrivati, dunque.
Per chiunque non fosse
pratico del posto, l’abitazione della Befana sarebbe sembrato
tutto tranne che
la dimora di una strega del calibro di Gwenllian Jenkins Pendragon: in
mezzo ad
una radura d’erba verde e fiori delle più svariate
specie che sbocciavano
rigogliosi emanando mille profumi differenti -e protetta
tutt’intorno dagli
alberi del bosco, che formavano una vera e propria barriera naturale-
c’era la
sua casa, una sorta di capanna di legno e pietra di modeste dimensioni
che
pareva essere direttamente uscita dalla Contea, a giudicare da come se
ne stava
accucciata sotto una collinetta d’erba che fungeva sia da
tetto, sia come
prolungamento del vastissimo prato tutt’intorno.
Prato che era anche il nido
delle sue aquile, o almeno di quelle che non erano in giro a volare
libere per
il Galles, per la Gran Bretagna, per dove solo gli dei sapevano,
esattamente
come lo era la loro padrona; complice il castello di suo padre e la
porta per
Ognidove, infatti, fin da piccolissima Gwenllian era stata abituata a
girare
letteralmente il mondo in lungo e in largo, per terra e per mare e pure
per
aria.
Dovunque ci fosse un nuovo
luogo da visitare, c’era anche una giovane Pendragon sempre
dietro a mamma e
papà per unirsi all’avventura, avventure che -da
più cresciuta- l’avevano
portata a scovare nidi e nidi dei suoi fidati rapaci nascosti negli
angoli più
remoti del mondo, enormi aquile che si narrava fossero nate
dall’unione del Roc
con l’uccello del tuono.
E la prima aquila dalle
candide piume bianche da lei incontrata era lì a qualche
metro da Pitch,
intenta ad afferrare col becco una carcassa equina facendola poi
scivolare
intera giù per la gola, con vicino dei teneri pulcini
-grandi quanto il torso
dell’Uomo Nero, fra l’altro- che le zampettavano
intorno per rubarle il cibo
incuranti delle enormi zanne di quella bestia. Kya, questo era il suo
nome, non
pareva farci troppo caso, ma fece invece caso eccome a Pitch poco
lontano; gli
lanciò un’occhiataccia terribile, penetrante,
facendogli capire che mal lo
sopportava tanto ora quanto quando lui stava con Gwenllian, e che ci
avrebbe
messo poco a farsi scivolare nella gola lui, anziché un
cavallo.
Black notò perfettamente
quello sguardo rosso rosato che incontrava il proprio, ma era troppo
preso a
vagare nei ricordi per spaventarsi: non aveva mai più
cercato contatti con lei,
con la sua donna, dal giorno in cui le loro strade si erano separate,
ma
occasionalmente tentava di interessarsi a come stesse -da leggersi
“se avesse
una relazione con qualcuno”- per vie traverse: forse per
semplice curiosità,
forse perché si sentiva ancora in dovere di proteggerla o,
più semplicemente,
forse perché l’amava ancora.
Senza il forse, però.
L’Uomo Nero
guardò di nuovo
la piccola capanna, nostalgico: il fumo che usciva dal comignolo, i
vasi di
fiori appesi ai davanzali, l’edera sul muro di pietra, il
legno coperto di
soffice muschio, persino le goccioline di rugiada gli ricordavano i
migliori
anni della sua vita, anni passati al fianco della Befana e di
nessun’altra nel
mondo.
Senza sforzo alcuno, nella
nuvola grigiastra che usciva dal tetto a Pitch parve di rivedere le
mattine in
cui lui cucinava la colazione per entrambi: quasi sempre frittelle o
pancakes,
che si premurava di condire nei modi più disparati per poi
portarli a letto,
dove sarebbero stati consumati; per quanto lo riguardava, ancora
più dolce
della colazione in sé c’erano solo i gridolini
entusiasti di Gwenllian
nell’assaggiare la combinazione di marmellata e frutta del
giorno che da lì a
poco avrebbe annegato nello sciroppo d’acero, quando Black
non lo usava per
rendere più dolci al palato ben
altre zone
del corpo della sua amante.
Rivide lei che -ancora mezza
addormentata- gli faceva segno di mettergliene una forchettata in
bocca, rivide
anche se stesso che si destreggiava -posata alla mano- in mezzo a
quella
cascata di capelli color cioccolato, facendole borbottare qualcosa
quando i
pancakes erano talmente caldi da scottarle la lingua.
Ma anche allora non c’era
nulla che un bacio non potesse risolvere, Pitch aveva imparato anche
quello
stando con lei; uno, due, dieci, cento, mille baci: non aveva
importanza quanti
fossero, non sarebbero mai stati abbastanza, e nessuno dei due si
sarebbe mai
lamentato che fossero troppi.
Specie perché buona
parti di
essi era riservato a zone particolari.
Eh, pure il meraviglioso
sesso che faceva con lei gli mancava eccome, ma non era mai stato al
primo
posto nei suoi pensieri di allora come di oggi: gli mancava lei, non il suo corpo e nemmeno i suoi
gemiti.
Gli mancava lo svegliarsi e
rendersi conto di quanto fosse un uomo fortunato ad avere vicino una
donna che
lo amava per ciò che era, fregandosene di ciò che
gli altri dicevano sul suo
aspetto e sulle dimensioni del suo naso.
Gli mancava stringerla fra le
braccia e sentire il calore delle sue mani che si posavano sulle
proprie guance,
per poi accarezzargliele con dolcezza infinita sussurrandogli quanto lo
amasse.
Gli mancava il poggiare la
propria fronte alla sua per perdersi in quegli occhi nocciola
dall’eterocromia
anulare azzurra, che rendeva la sua damante ancora più
speciale di quanto già
fosse per il solo fatto di essere lei.
Gli mancava, eccome se gli
mancava, ma non poteva farci niente di niente: la loro storia era
finita, lui
non aveva saputo tenersela stretta ed era tornato solo, solo con la sua
speranza -di cosa non lo sapeva nemmeno lui- come un cane che attende
il
padrone standosene accasciato al ciglio della strada. Il che rendeva
pure
piuttosto bene l’idea di come fosse messo Pitch appena
mollato, intento com’era
ad ubriacarsi acciambellato in un angolino a piangere e maledire il
mondo per
la sua miseria.
«Oh, siete arrivati! Vi
stavo
aspettando, benvenuti!»
Quella
voce.
L’avrebbe riconosciuta
fra
mille altre voci, Pitch Black, sarebbe stato capace di distinguerla fra
altre
milioni che gridavano tutte all’unisono l’aveva
ascoltata talmente tante volte
da conoscere a memoria ogni pausa, ogni sospiro, ogni singolo cambio
d’intonazione che corrispondeva ad una differente sfumatura
del suo umore.
Avrebbe voluto girarsi, ma
una parte di sé lo bloccava: se l’avesse vista di
nuovo, non sarebbe mai
riuscito a lasciarla andare, non lo
avrebbe permesso.
Un’altra parte di
sé, quella
più razionale, gli gridava invece di tornare con i piedi per
terra e guardare
in faccia la realtà: tra loro era finita da un pezzo, cosa
si crogiolava a fare
nell’illusione che potesse esserci un lieto fine anche per
lui? Era l’Uomo
Nero, non ci sarebbe mai stato nulla se non l’amaro sapore
della sconfitta ad
accompagnarlo nei suo trascinarsi nel cammino della vita eterna:
perché
lagnarsi tanto, dunque?
Senza che potesse pensare ad
altro, una sensazione di calore lo pervase.
“Cwtch”.
Nella sua mente, le parole
dette dalla strega in una di quelle mattine passate a coccolarsi
risuonarono
con violenza inaudita.
“Esiste
una parola gallese che non può essere tradotta
in nessun’altra lingua, ‘Cwtch’. Cwtch
è l’abbraccio della persona amata, il
porto sicuro in cui fare ritorno quando tutto non va e il mondo cerca
di farti
cadere, è il luogo dove niente ti può rattristare
o ferire o raggiungerti,
niente se non l’amore. È un posto speciale che
puoi trovare solo fra quelle
braccia, quelle che ti stanno
stringendo quando lo dici: non braccia qualunque, bada bene! Le braccia
di quella persona, la tua persona. Ecco, il mio Cwtch sei
tu”.
E ora Gwenllian Jenkins
Pendragon non era solo un volto scavato in un ricordo, no, era
lì che lo
abbracciava -dopo aver fatto lo stesso con Emily Jane, o almeno averci
provato
dato che lei l’aveva liquidata con un secco e sterile
“ciao”- per salutarlo. Lo
abbracciava!
Staccatasi
dall’abbraccio, la
donna lo guardò perplessa dandogli un buffetto sulla guancia
come per
svegliarlo.
«Hai freddo o sei solo
felice
di vedermi, Pitch?» domandò la strega
all’Uomo Nero.
L’altro la
guardò perplesso
«Come?»
«Your meat popsicle, my
dear»
diede delucidazioni Gwen dopo qualche istante, indicandogli
distrattamente i
pantaloni.
Dai quali faceva capolino una
fin troppo vistosa erezione.
Non si seppe se fece più
rumore il facepalm di Emily Jane -che già si preparava
mentalmente un elenco
delle figuracce che gli avrebbe fatto fare suo padre-, il respiro
affannoso di
quest’ultimo che cercava disperatamente di far rientrare
l’anaconda alla base o
le risate della gallese, fatto stava che fu lei infine a riderci sopra
ed
invitare gli altri due a seguirla in casa propria.
«Appena avete ritirato
l’artiglieria, venite pure... anche in quel
senso, se proprio volete, dei fazzoletti li ho in giro»
scoppiò a ridere di
nuovo avviandosi verso la capanna, padre e figlia che la seguivano a
ruota.
Si preannunciava una giornata
dura.
Durissima.
Ma mai quanto il pene di
Pitch.
Si sarebbe potuta ricercare
la somiglianza di Gwenllian con i suoi genitori nei capelli, guardando
quella
treccia di ciocche bluastre e argento -rispettivamente ereditati da
Howl e
Sophie- che spiccava particolarmente nella chioma color cioccolato, ma
sarebbe
bastato mettere piede in casa sua per capire che con suo padre aveva
ben altro
in comune.
Il caos più assoluto.
Esattamente come il castello
errante del mago di Ingary, anche casa della Befana era piena di ogni
sorta di
oggetto possibile immaginabile: montagne di libri che formavano vere e
proprie
torri, manuali di magia con mille segnalibri che spuntavano dalle
pagine come
fiori in un campo, misteriosi artefatti e congegni -se fossero magici o
semplici ninnoli non era dato a sapere- dalle forme più
bizzarre, animali di
pezza variopinta sparsi un po’ ovunque, ampolle e vasi
riempiti con erbe e
pozioni e polveri e solo gli dei sapevano cos’altro, fiori e
piante di specie
sconosciute e tante, troppe, altre cose incomprensibili ai semplici
umani.
Emily Jane sbuffò
sonoramente,
assicurandosi che gli altri la sentissero; persino uno di quei volatili
fuori
dalla porta avrebbe capito che quella calma piatta, quel silenzio
irreale
smorzato solo dalla forchetta che affondava tanto
nell’impasto quanto nella sua
anima, era più falso di una moneta d’oro di
cioccolato, per non parlare del
fatto che ricordava bene quanto il motivo della visita fosse ben poco
di
cortesia.
Appunto, lei lo ricordava, ma
le sembrò più di una volta che suo padre lo
avesse scordato, invece.
Irritata, Madre Natura fece
per prendere la parola, ma l’altra la interruppe appena le
vide muovere il
labbro per pronunciare ciò che aveva da dire.
«Immagino che questa non
sia
una visita di cortesia» asserì seriosa Gwen
standosene appoggiata al muro
vicino alla cucina, le braccia incrociate al petto e lo sguardo
tagliente di
chi sa già perfettamente dove vuole andare a parare.
Pitch venne colto di sorpresa
e si interruppe con la forchetta a mezz’aria, lo sguardo che
si abbassava su
quel boccone per non guardare la sua interlocutrice.
«No, appunto, la nostra
non è
una visita di cortesia» confermò senza alzare gli
occhi, ormai fissi a
contemplare quel pezzo di cibo che aveva davanti al naso.
La strega sospirò
«Posso
sapere il motivo per cui siete venuti, dunque? Non ho molto tempo da
perdere,
per cui se non dovete dirmi nulla» indicò una
porta di legno intarsiato che si
intravedeva dal tavolo in cui li aveva fatti accomodare «io
torno a fare ciò
che stavo facendo. L’alchimia è una scienza che
non dorme mai, nel caso in cui
non lo sapeste».
«Lo sappiamo, lo
sappiamo»
convenne Black con aria seccata «anche perché se
dormisse non avresti quella»
additò una piccola pietra rossa che svettava su di un anello
al dito della donna,
lanciando sfumature del colore delle fiamme dell’inferno. Si
alzò in piedi,
avvicinandosi e ponendosi davanti a lei con le mani dietro la schiena
«Quanto
tempo hai impiegato per ottenere la pietra filosofale? Più
di quanto ne hai
impiegato per tornare a camminare dopo che Merlino te lo ha sbattuto
nel culo,
eh?»
Gwenllian alzò gli occhi
al
cielo: eccolo che iniziava con le scenate di gelosia.
Sapeva fin troppo bene come
si sarebbe evoluta la questione, la giovane strega, ricordava
perfettamente
tuuuuutte quelle che avevano contribuito alla sua -non facile- scelta
di lasciarlo,
e questa era solo l’ennesima di tante.
Che coinvolgevano quasi tutte
Merlino, fra l’altro: non ne capiva il motivo, ma fin dal
primo istante in cui
lei glielo aveva presentato come “il mio migliore amico,
anche se ormai lo
considero un fratello maggiore” l’Uomo Nero era
stato accecato dalla pura
gelosia. Il semplice parlare fra la sua fidanzata e il mago si
trasformava in
un tentativo di abbordaggio, gli abbracci erano sempre e solo per farle
sentire
“la bacchetta magica”, e guai quando restavano da
soli! In quel caso lo stava
cornificando di sicuro!
Poi dettagli, se magari lei e
Merlino erano dalla sua maestra Suliman per apprendere le ultime
scoperte in
campo magico che una maga di Ingary era tenuta a conoscere, per Pitch
gli stava
comunque mettendo le corna.
Per un po’ Gwen aveva
pure
sopportato, lo aveva fatto in nome dell’amore profondo che
provava per
quell’uomo e di tutti i loro momenti felici, i migliori che
avesse mai provato
nella vita immortale che le apparteneva:
“passerà”, si ripeteva.
Ma non era passata, e allora
si era resa conto che non c’era più nulla di sano
nella loro relazione, né
qualcosa per cui valesse la pena continuare a struggersi inutilmente:
pedinamenti 24 ore su 24 sette giorni su sette, domande insistenti come
fosse
costantemente sotto la luce di una sala per gli interrogatori, lui che
addirittura si rifiutava di fare sesso con lei insistendo che non
voleva
trovarsi lo sperma di Merlino sul proprio membro.
E ora non solo non gli era
ancora passata l’incazzatura-disperazione-quellocheera da
rottura, veniva pure
a fare le scenate di gelosia senza che
stessero insieme! Era follia, pura follia.
E Pitch era decisamente
folle, ora.
Resasi conto di come il
discorso stesse cambiando repentinamente, la giovane Pendragon si
smosse e si
mise davanti al proprio ex dritta e col petto in fuori, come a
fronteggiarlo.
«Sicuramente meno di
quanto
tu ne stia impiegando per metterti il cuore in pace» rispose
secca,
piantandogli addosso uno sguardo freddo capace di penetrare la carne
tanto
quanto lo erano gli artigli di Kya «non ti è
ancora passata, vedo»
«A te immagino di
sì,
invece».
«Ovviamente» lo
rassicurò
sorridendo senza dare corda a quel suo atteggiamento provocatorio
«a differenza
tua, non mi ostino ancora a vivere nel ricordo di un passato che
sì, è stato,
ma che non potrà più essere. E non certo per
colpa mia» alzò e allargò le
braccia come a negare il suo coinvolgimento «guardati, Black:
non sei in grado
di voltare pagina, di andare oltre, di raccogliere la
dignità che ti è rimasta
e uscire da casa mia. Perché è ciò che
ti invito a fare, se sei venuto qui solo
per ossessionarmi con le tue scenate di gelosia o per pregarmi di
tornare con
te».
Gli si avvicinò
all’orecchio,
indicandogli con un cenno del capo Emily Jane, ancora impegnata a
punzecchiare
il proprio muffin.
«Fallo per lei,
più che per
me: in quanto padre, abbi la decenza di non farti vedere da tua figlia
nelle
condizioni pietose in cui ti riduci quando mi preghi di darti
un’altra
possibilità. E non lo dico per schernirti, è
solo-»
«Non è quello
il motivo per
cui sono venuto qui. Stai pure certa che ne avrei fatto volentieri a
meno, se
avessi potuto».
La strega parve sorpresa da
quell’affermazione, e c’era pure da capirla: a
parte il tormentarla con gelosie
morte e sepolte riguardo la loro relazione -altrettanto morta e
sepolta-, non
c’era proprio nulla che potesse vederla legata
all’Uomo Nero.
Ma se si era scomodato tanto
non era certo per qualcosa di piacevole, di quello Gwenllian ne era
assolutamente certa.
Restò il silenzio a
lungo,
poi si girò verso Emily Jane, che poverella pareva
più a disagio lei di tutti
gli altri presenti in quella stanza.
«Vai fuori» le
intimò
semplicemente.
«Non prendo ordini da
lui» la
giovane Pitchiner indicò suo padre «figurati se li
prendo da te».
«Lo dico per il tuo bene:
vai
fuori, Emily».
«Altrimenti?»
si alzò in
piedi, tentando inutilmente di tenere testa alla Befana «Cosa
mi fai, se non
esco? Mi trasformi in un rospo, forse? Un maiale come ha fatto la tua
collega
con mio padre? O forse preferisci-»
«Fa come dice. Vai
fuori» si
intromise Pitch.
Lei lo guardò in
cagnesco per
alcuni secondi che parvero infiniti, ma si limitò a
dirigersi verso la porta
aprendola e facendo per uscire, con grande sorpresa di tutti: Emily
Jane non
era assolutamente il tipo di persona che si lasciava scappare
un’ occasione del
genere per lamentarsi, quel comportamento non era proprio da lei!
“Vado fuori, vado fuori:
l’ultima volta che l’ho fatto, mamma si
è buttata da una rupe e l’hanno
raccolta con un cucchiaino, spero in bene che ora sia il tuo
turno” fu il suo
ultimo pensiero, poi si chiuse la porta alle spalle.
Che si scannassero da soli,
quei due.
«Finalmente ci ha
lasciati
soli, quella dannata palla al piede» esordì
l’Uomo Nero appena sparita la
figlia.
«Avete sempre un rapporto
molto stretto, da quel che vedo».
«Sicuramente
più stretto
delle tue gambe, Pendragon».
Gwen sospirò,
dirigendosi
verso il frigorifero.
«L’ho detto e
lo ripeto: se
vuoi toccare l’argomento, non aspettarti che io sia clemente,
e nemmeno che ti
dia conferme o smentite varie. Cosa faccio con le mie gambe sono solo
affari
miei, e anche se fossero pure tuoi non verrei certo a raccontartelo
né oggi, né
domani, né mai» tirò fuori due birre
ghiacciate e le aprì, passandone una a
Pitch «smettila di girarci intorno, Black, perché
non sono certo una stupida:
cosa vuoi da me? Hai detto che non è una visita di cortesia,
quindi cosa
dovrebbe essere questa sceneggiata?»
L’altro bevve un lungo
sorso
«Da quanto sapevi che stavo venendo qui, uh?»
La donna sorrise «Da
quando i
miei aquilotti hanno mangiato il pane che lasciavi per terra,
ovviamente» rise
lei vedendo l’espressione sorpresa di Pitch «e se
te lo stai chiedendo no, non
ho organizzato io il tuo comitato di benvenuto» lo
anticipò «anche perché fra i
due sono io quella che ha meno voglia di vederti bazzicare intorno a
casa mia,
o intorno a me in un raggio di svariate migliaia di chilometri in
generale.
Ringrazia la clemenza di Merlino, perché se ci fossi stata
io al suo posto ti
avrei lasciato trasformare in maiale da Circe per poi cuocerti allo
spiedo. Kya
e le altre ne sarebbero state contente».
Pitch posò la bottiglia
vuota
sul tavolo «E tu?»
Lei lo imitò
«Io? Io voglio
solo che tu ti decida a tagliare corto, perché -come ho
già detto- non ho tempo
da perdere: ho appena finito la mia birra e mi sto dirigendo al
laboratorio,
fai te due conti» rispose stizzita, poi prese a dirigersi a
lunghe falcate
verso la porta di prima, aprendola e invitando l’altro a
seguirla «ho un
preparato di cui occuparmi, hai tempo di spiegarti finché
non l’ho completato».
A vedere le porte del
laboratorio alchemico di Gwenllian Jenkins Pendragon aprirsi, Black
riuscì a
stento a trattenere l’emozione: se dall’esterno
quella pareva una modesta
casetta sperduta nella foresta, allora all’interno era un
enorme labirinto
fatto di scaffali e librerie colme di qualsiasi oggetto che un uomo
potesse
immaginare, tutto perfettamente sistemato e catalogato per colore,
dimensione e
nome, non aveva nulla a che fare col caos targato Pendragon della
stanza
accanto. Ed era proprio lì che avveniva la magia: Befana
quando serviva, strega
di nascita e alchimista a tempo pieno, Gwenllian era straordinaria
anche per
gli standard dei maghi.
Quel posto gli era mancato
come pochi altri, doveva ammetterlo.
Mentre la donna era alle
prese con la pozione alla quale aveva accennato poco prima, Pitch ne
approfittò
per fare un tour di quel luogo a lui così famigliare; non
era cambiato di una
virgola dall’ultima volta in cui lo aveva visto, un numero
indefinito di anni
prima, differenziava solo per la quantità immane di
esperimenti e solo gli dei
sapevano cosa che riempiva ogni singola parete e tavolo e mensola
là dentro
-decisamente aumentati da quando ricordava-, e forse pure per qualche
nuova
scala a chiocciola che spuntava qua e là per accedere ai
piani superiori.
E per la pietra rosso rubino
che troneggiava fiera la stanza, dall’alto del suo
galleggiare a mezz’aria
brillando di luce propria, anche per quella.
Si avvicinò incuriosito,
alzando il naso e osservandola compiaciuto: alla fine era riuscita a
crearla,
dunque. C’erano alchimisti che spendevano tutta la vita a
cercare di creare un
frammento di grandezza infinitesimale della pietra filosofale, magari
pure
senza riuscirci, e là dentro ce n’era una grande
quanto un cocomero.
“Meglio non farla
arrabbiare”, pensò l’Uomo Nero: se
possedeva magia e conoscenze sufficienti per
un lavoro del genere ad un’età come la sua, allora
con Gwenllian sarebbe stato
meglio non abbassare la guardia.
«Di cosa volevi parlarmi,
allora?
Ti ricordo che il tempo stringe» gli fece notare
l’altra, senza staccare gli
occhi dal ciò che la stava impegnando.
Pitch si avvicinò
lentamente
a lei «La farò breve: qualcuno ha mandato delle
creature a sbranare i miei
Incubi, e con “sbranare” intendo che ci si sono
fiondati sopra come un
viandante nel deserto su un bicchiere d’acqua. Leoni, per la
precisione, leoni
neri dagli occhi rossi».
«Leoni, dici?»
ripeté lei
mentre armeggiava con delle provette.
«Leoni, sì.
Inizialmente li
avevo scambiati per altri Incubi con nuove forme, ma quando si sono
avvicinati
ho notato che -più che di sabbia nera- parevano essere
costituiti da… vediamo,
a cosa potrei paragonarlo… oh, ecco: pura
oscurità, il termine giusto è
questo».
«E quindi?»
«E quindi credo che tu
possa
saperne qualcosa, Pendragon. Se non addirittura essere stata la
mandante di
quella mattanza» si accostò al tavolo, posandoci
con violenza un palmo sopra
«non conosco altre persone che possono volermi morto, con le
quali ho questioni
in sospeso o che vogliano danneggiarmi in qualche modo. Nessuno, tranne
che te» vedendo che non
gli dava la benché
minima attenzione, le afferrò un polso per fermarla nel suo
operato «non
provare a prendermi per il culo, Gwenllian, o giuro che-»
L’Uomo Nero si
lasciò
scappare grido soffocato di dolore. Si guardò la mano:
sanguinava.
E il suo sangue gocciolava
anche dagli artigli della strega, la cui mano si era ricoperta di
spesse squame
argentee iridescenti, un sottile strato di piume dello stesso colore
che le
fuoriuscivano dalla pelle dell’avambraccio a monito dei
poteri ereditati da suo
padre.
«Non giurare di nuovo,
perché
potresti non trovarti più la bocca per farlo»
ringhiò lei fulminandolo con lo
sguardo, gli occhi ridotti a due fessure scure nei quali si intravedeva
appena
la sottile pupilla azzurrognola.
Pitch sorrise appena.
«Oh-oh, qualcuno qui
graffia,
da quel che vedo» si saggiò la ferita che partiva
dal pollice e percorreva il
palmo fino al polso, massaggiandosela sorridendo «non
è così che si trattano i
propri ospiti, Gwen, no no. Mamma e papà non ti hanno
insegnato le buone maniere?»
«Mamma e papà
mi hanno
insegnato che se uno sconosciuto mi importuna prima devo avvisarlo di
non farlo
ancora» gli indicò il taglio «poi devo
staccargli il braccio a morsi. E stai
sicuro che lo farò ben volentieri». La Befana si
decise a lasciar perdere il
proprio esperimento, dando la schiena al banco di lavoro e girandosi
verso
l’altro -allontanatosi di qualche passo dopo
l’attacco- che la guardava senza
perdere quel suo sorrisetto.
Con fare malizioso, Gwenllian
si leccò il sangue dagli artigli.
«Sei delizioso, sai?
Esattamente come ricordavo che fossi, forse pure meglio».
«Non è buona
cosa restare col
dubbio» le fece notare l’uomo avvicinandosi
cautamente, fino a trovarsi a pochi
centimetri da lei «sai, sarebbe certamente meglio toglierselo
finché se ne ha
la possibilità» le accarezzò i capelli,
le dita che scorrevano fluide in quella
cascata color cioccolato con un ritmo quasi ipnotico «specie
perché potrebbe
succedere che poi non si abbia l’occasione di toglierselo in
futuro, quello
spiacevole dubbio» pose l’altra mano sul suo
fianco, sfiorandole appena il
corsetto di pelle.
Lei lo guardò fingendosi
afflitta «Oh, capisco. La mia è proprio una brutta
situazione, vero? Non so
proprio come potrei tirarmene fuori, proprio no» gli
afferrò il mento con la
mano artigliata, creando nuovi solchi nella pelle grigio cenere
dell’altro «e
dimmi un po’, re degli incubi, conosci forse un modo per
rimediare alla mia
condizione? Magari un modo che comprenda-»
E Pitch la baciò.
Un bacio vorace, intenso,
appassionato, che solo un uomo disperato dal ritrovare la donna che
aveva amato
e che ancora amava poteva dare: glielo avrebbe dimostrato, che era
ancora sua,
le avrebbe fatto capire che il suo cuore gli apparteneva, che non
poteva fare a
meno tanto dei suoi morsi sulle labbra quanto del suo corpo che premeva
sul
proprio, che -senza di lui- la sua vita non sarebbe stata completa come
lo era mai
stata tempo addietro.
Da parte sua, la sorpresa
iniziale di Gwenllian durò ben poco. Subito, si perse ben
volentieri in mezzo
alle loro labbra che si cercavano l’una con l’altra
come se ne avessero bisogno
per sopravvivere, persino la parte di sé che le diceva di
spaccargli la testa contro
il muro aveva lasciato posto ad una passione irrefrenabile, la stessa
che
animava le loro lingue che si intrecciavano freneticamente facendole
morire il
respiro in gola: se proprio avesse dovuto morire soffocata, quella
sarebbe
stata un’ottima occasione per farlo.
Interminabili minuti dopo, si
staccarono l’uno dall’altra.
«Il ficcarti la lingua in
bocca? Sì, questo lo conosco» scherzò
l’Uomo Nero poggiando la propria fronte a
quella della donna, ancora ansimante «allora, ho lo stesso
sapore o no?»
Ridendo, la strega si
leccò
le labbra «Sai che non credo di averlo capito per
bene?»
E ora fu lei a baciarlo di
nuovo, con la stessa intensità e fervore di poco prima. Gli
prese fra la testa
fra le mani e lo strinse a sé, spingendogli la lingua
all’interno della propria
bocca cogliendolo impreparato.
«Sì, hai un
sapore
decisamente migliore» sentenziò infine
soddisfatta, continuando nel mentre a
dargli piccoli baci su viso e collo «ma sai che cosa
è ancora più dolce in te,
Pitch?»
«Che cosa?»
chiese languido.
«Il
tuo sangue sul pavimento».
Poi iniziò una lotta
furiosa.
Approfittando della guardia
abbassata dell’altro, ancora troppo impegnato a fantasticare
su quel bacio
furbescamente rubatole per ragionare come si deve, la strega
impiegò poco per
trasformare ulteriormente il proprio corpo facendosi comparire -oltre
all’altra
mano artigliata- un paio di possenti ali dalle soffici piume marrone
nerastre,
azzurro turchese e bianco argentee; subito, la loro sola comparsa sulla
sua
schiena bastò per scaraventare l’Uomo Nero contro
uno degli scaffali alle
pareti, che finì inevitabilmente per crollargli addosso
insieme a tutto ciò che
conteneva.
Gwen gli si avvicinò a
piccoli passi totalmente incurante di vetri e cocci sparsi a terra,
complici
anche gli arti inferiori -che avevano assunto fattezze simili a quelle
delle
zampe di un rapace- ora coperti da squame dure e spesse, le ali ed una
lunga
coda dello stesso colore di queste ultime che si trascinavano per terra.
Si appollaiò per terra
vicino
al punto dove aveva impattato l’altro, osservando con
soddisfazione il rivolo
di sangue che colorava le schegge trasparenti: morto? Nah, non sarebbe
bastato
così poco per ucciderlo, tanto più che si
trattava di un immortale.
E infatti ne ebbe la
dimostrazione qualche secondo dopo.
Nel mentre che si apprestava
ad alzarsi, un’improvvisa ventata accompagnata da
un’ombra nera le passarono
rapide di fianco sfiorandole il corpo ed una delle ali, che
d’istinto fece
scomparire per evitare di trovarsela tranciata; si guardò
intorno pronta a
scattare: sapeva fin troppo bene quali trucchetti fosse capace di
mettere in
atto Pitch sfruttando il suo nascondersi negli anfratti bui, e per
questo non
si permise di abbassare la guardia. O almeno ci provò.
La seconda sferzata la
colpì
in pieno su di un fianco, ma almeno riuscì ad afferrare la
falce dell’altro
trascinandoselo a qualche centimetro dal volto. Sorrise.
«Funziona una volta, ma
la
seconda non mi fotti».
«Sicura?»
domandò lui
sghignazzante indicandole il corsetto e la maglia sottostante.
O ciò che rimaneva,
comunque,
dal momento che l’ultimo colpo lo aveva praticamente
squarciato in due
lasciando la strega a seno scoperto.
«Dannato man-»
tentò di
imprecare lei, ma fu questione di attimi prima che Black si premurasse
di
manipolare l’oscurità com’era solito
fare in quanto sovrano degli incubi.
Agì velocemente, facendo
fuoriuscire dall’ombra della strega dei veri e propri
tentacoli di sabbia nera
e grondante un liquido dello stesso colore, che le si avvolsero tanto
ai polsi
quanto alle caviglie per ridurre la sua mobilità a qualcosa
che si avvicinava
pericolosamente allo zero: più tentava di divincolarsi,
più quelle cose stringevano.
E lei lo stava capendo
tardi, a giudicare da come si stava inutilmente agitando.
Ridacchiando, Pitch la
strinse a sé, con ancora addosso quel suo sorrisetto da
prendere a schiaffi; da
lui Gwenllian si aspettava di tutto,
ma per ora l’Uomo Nero si stava semplicemente limitando ad
osservare e seguire
col dito le linee di ogni singolo tatuaggio che copriva il corpo di
quella che,
un tempo, era stata la sua amante: sapeva a memoria la posizione di
ogni singolo
simbolo, ogni significato che esso poteva avere, avrebbe saputo
disegnare una
vera e propria mappa dei segni presenti su quella pelle candida che lui
aveva
baciato, accarezzato, posseduto, per anni interi, esplorandone ogni
angolo.
La guardò negli occhi
solo un
istante, quello che gli bastò per capire che sarebbe stata
sua complice, che
aveva voluto esserlo fin dal primo momento in cui lo aveva rivisto.
Senza tanti complimenti,
l’Uomo Nero fece scivolare le labbra vicino al collo della
strega iniziando a
baciarlo avidamente una, due, tre volte, salì fino
all’orecchio dove rimase
qualche istante, conscio di quell’insignificante punto
sensibile del quale
ricordava bene la posizione; il corpo della donna fu scosso da un
brivido che
le incendiò la pelle, i muscoli, persino ogni più
piccola terminazione nervosa:
sentiva la bramosia dell’altro di averla, di reclamarla, di
possederla ancora
una volta, non riusciva nemmeno più a ragionare da quanto
quel fuoco le stesse
avvampando la mente, oltre che il corpo. Era sbagliato, tremendamente
sbagliato.
Ma non gliene fotteva
assolutamente un cazzo.
Non ebbe nemmeno il tempo di
farsi ulteriori domande su quanto ciò fosse giusto o meno,
che Pitch era già
sceso con la bocca sui suoi seni nudi, prendendo a torturarglieli come
solo lui
sapeva fare. Inizialmente si accontento di lambirle appena la pelle,
provava un
certo piacere nel sentirla mugolare come a implorarlo di darle di
più, e lo
aveva fatto sfiorandole delicatamente il capezzolo roseo e turgido con
la
lingua per farla gemere di nuovo, e poi ancora, e ancora, fino a quando
non era
crollata in un gemito sordo.
Mentre l’aveva fra le
braccia, la sentiva fin troppo chiaramente dimenarsi e inarcare
faticosamente
la schiena in un tormento costante, senza fine, una muta richiesta -non
poi
così tanto muta, considerando i gridolini che lanciava- di
andare oltre, di
darle di più, era come
uno spasmodico
desiderio carnale che le bruciava dentro mentre chiedeva solo di essere
soddisfatto, risvegliato, accolto.
Allora, e solo allora, aveva
iniziato a suggerle il seno in modo avido, rude, quasi selvaggio,
pareva
volesse divorarla da quanta passione ci stesse mettendo, dai segni
rossi che i
morsi gli stavano lasciando sulla pelle ad ogni suo affondo. Un grido
di
piacere scappò dalle labbra della strega, ormai in completo
visibilio a causa
di quel comportamento a metà fra l’umano e
l’animalesco che pareva svegliare in
lei istinti dimenticati da tempo immemore, istinti che ora ruggivano
ogni volta
che i denti di Black si serravano prepotenti intorno alla propria
areola: per
la dea, quanto gli era mancato quel maledetto disgraziato dal naso
abnorme!
Pitch stava giusto per
spostarsi sull’altro seno quando, in modo totalmente
inaspettato, Gwenllian gli
affondò le dita fra i capelli e gli trattenne la testa
lì dov’era spingendolo
più a fondo sul suo petto, come ad invitarlo a suggerla con
maggior vigore.
Sorpreso, la guardò qualche istante come per dirle
“Come e quando ti saresti liberata i
polsi?”, ma nel momento in cui
la sua bocca fu pronta a pronunciare quelle parole si trovò
bloccato da un
bacio caldo e profondo, le dita che gli scavavano la pelle fino a
lacerargli la
veste.
Non aveva importanza come
avesse fatto, non più, ormai.
Le mani -ancora trasformate-
della strega gli strinsero le proprie, guidandogliele prima sui
fianchi, poi
giù sulla vita e infine vicino all’orlo dei
pantaloni; Gwen gli sorrise.
Abilmente e con la calma di chi vuole farsi desiderare fino in fondo,
guidò
abilmente con le proprie mani le dita dell’altro fin dentro
gli abiti,
accompagnandolo fino a sfiorargli gli slip sottili che lasciavano
scoperti suoi
glutei.
Ancora una volta, i freni
inibitori dell’Uomo Nero andarono a farsi benedire:
esplorò le sue natiche in
lungo e in largo, strinse con non poca forza la carne soda come un
gatto che si
aggrappa ad un cuscino per farsi le unghie, e -similmente a come faceva
il
felino- anche lui piantò le proprie, di unghie, nelle carni
della donna
facendola gemere tanto di piacere quanto di dolore. Non smise nemmeno
un
secondo di costellarle il fondoschiena di segni rossastri che
rasentavano
lividi veri e propri, lei del resto non si stava certo opponendo, e non
lo fece
nemmeno quando le dita di Pitch finalmente si insinuarono sotto gli
slip per
cercare le sue zone più intime.
No, non si oppose, gli
piantò
solo una ginocchiata nello stomaco che ci mancava poco gli facesse
sputare
tutti gli organi interni.
«Eh! Voleeeeeeevi! Guarda
che
faccia, non se lo aspettava!» gli gridò la strega
dall’altra parte della
stanza, alzandogli il medio da entrambe le mani e facendogli il gesto
dell’ombrello senza pudore alcuno, soddisfatta
com’era.
Pitch non perse tempo:
conscio che la falce fosse un’opzione da scartare -dal
momento che Gwenllian
sapeva già come lottava e si muoveva con essa-,
ripiegò sul farsi comparire fra
le mani due sottili ma lunghi pugnali affusolati, che gli avrebbero
certamente
permesso di gareggiare in agilità con l’altra.
Ignorando il dolore che
ancora gli ruggiva nello sterno, le si lanciò addosso ad
armi dispiegate con
tutta la forza che trovò in corpo, cercando di sfruttare i
punti ciechi che gli
venivano offerti dagli scaffali interposti fra lui e la strega.
Funzionò un
po’, quel che bastò per non farsi notare mentre si
avvicinava guizzando da un
angolo all’altro, ma Black non aveva tenuto conto della
presenza di vasi e
ampolle che riflettevano la sua immagine.
Avendolo visto in anticipo
con la coda dell’occhio, la donna riuscì a
bloccarlo all’ultimo, quando i
pugnali erano incrociati a mezz’aria a pochi centimetri dal
suo volto madido di
sudore nel reggere quel confronto di forza immane: dire che stava
lottando
contro un orso inferocito rendeva perfettamente l’idea di
quanto lei si stesse
sforzando per non cedere sotto il peso di Pitch, che pareva essersi
totalmente
riversato nei propri arti superiori a giudicare da come si stesse
protraendo
quel braccio di ferro.
Fortunatamente per lei,
però,
il colpo di genio la raggiunse in tempo: una formula in una lingua
sconosciuta
ai mortali, e poco dopo la lunga coda piumata le ricomparve addosso;
attese un
istante solo, quello per constatare che l’uomo non aveva
notato quella sua
piccola trasformazione, poi finalmente la scostò vicino alle
sue caviglie...
per fargli il solletico.
Oh beh, con i tempi che
correvano doveva pure ingegnarsi in qualche modo, se voleva uscire viva
da quel
confronto.
Per quanto l’idea
sembrasse
stupida, però, sortì l’effetto sperato.
Colto di sorpresa, l’istinto dell’Uomo
Nero che gli suggeriva di scansarsi a quella sensazione pruriginosa
ebbe la
meglio, dando all’altra tutto il tempo per ritirare
l’ingombrante piumaggio,
voltarsi verso la scrivania e prepararsi a saltare il mobile per
allontanarsi
il prima possibile da lui, così da potersi prendere qualche
metro di vantaggio.
Solo che tutto ciò
avrebbe
avuto effetto se Pitch non avesse fatto caso alla coda di Gwenllian, e
lui
l’aveva notata eccome.
Non gli
avesse mai dato le spalle.
Pochi istanti prima che le
piume svanissero, Black gliele afferrò brutalmente
costringendola a bloccarsi
nel mentre che scavalcava il tavolo, tirandola poi verso sé
e sbattendola di
prepotenza sullo stesso senza risparmiarle un gridolino di dolore per
il colpo
ricevuto; la strega tentò un paio di volte da divincolarsi
da quella presa, ma
ogni suo movimento fu reso inutile quando dalla scrivania fuoriuscirono
gli
stessi dannatissimi tentacoli di prima: la puntarono fin da subito
quasi la
desiderassero, la pretendessero, e glielo dimostrarono decisamente bene.
Fu questione di attimi, e
-prima ancora che Gwen potesse riprendere fiato- si trovò
costretta così, mezza
nuda e piegata ad angolo retto sul bancone, i polsi e le caviglie che
le
pulsavano per la stretta infernale peggio di quanto facesse il suo
volto avvampato,
che l’Uomo Nero si assicurava di tenere ben premuto sul legno
grezzo mentre la
osservava particolarmente compiaciuto.
Le si avvicinò ad un
orecchio
per baciarglielo, scendendo sul collo e finendo sul tatuaggio della
triplice
Luna sulla sua nuca, che morsicò piano per lunghi istanti.
«Qualcuno sembra in
difficoltà, a quanto sto vedendo»
sghignazzò lui mentre posava con decisione le
mani sui fianchi della donna, continuando a scendere lento ma
inesorabile verso
la cintola «io ti avevo avvisato con largo anticipo, di non
sfidare né la mia
pazienza né la mia buona volontà di venire a
parlarti di persona, anziché
accusarti senza prove nelle mani, e tu cosa fai?» come a
seguire un suo ordine,
i tentacoli di sabbia nera che le serravano le caviglie le spalancarono
le
gambe, facendole morire le lamentele in gola «tenti di
ammazzarmi. Anzi: prima
di limonarmi, poi di usarmi per il tuo piacere personale, e infine di
ammazzarmi, per essere più precisi» Pitch le
afferrò le braghe con decisione,
sorridendo.
La baciò di nuovo
esplorandole la schiena con fare premuroso, come ad assaporare i
brividi che le
percorrevano il corpo.
«Non prendiamoci in giro
ancora, Gwen, lo facciamo da anni ormai: sappiamo entrambi cosa
vogliamo
veramente» quando le strappò i pantaloni insieme
agli slip quasi impalpabili con
brutalità inaudita e animalesca, il rumore della stoffa che
si lacerava, si
dilaniava, si smembrava, riempì la stanza come un tuono
«e quel “qualcosa” io
intendo dartelo, su questo puoi contarci» ora fu lui a
togliersi la cintura
lasciando cadere i propri, di pantaloni, a terra.
Il tempo che quelle appendici
nere svanissero lasciandogli campo libero, e subito Pitch la
penetrò con
un’unica spinta vigorosa che lo fece affondare in lei: fu un
gesto veloce,
furioso, a tratti brutale, ma il bisogno l’uno
dell’altra era troppo intenso
perché potesse essere trattenuto, come anche lo era la
necessità di scoparla a
fondo e assaporare quel momento come se fosse stata la loro prima
volta. E con
Gwenllian era sempre la prima volta.
Ed
era sempre perfetta.
A sentirsi riempire rudemente
in un solo colpo, la strega gridò: il dolore che la
investì fu intollerabile,
una violenta scossa che le percorse il corpo dal fondoschiena pulsante
fino
alla testa dove esplose come una lama affilata.
Ma ben presto a quella fitta
che l’aveva lacerata dentro si trasformò in
un’esplosione di ardente passione,
un fiume in piena di puro e tumultuoso piacere che la lasciò
senza fiato,
spingendola ad aggrapparsi con gli artigli al tavolo per non farsi
trascinare
solo gli dei sapevano dove da quella frenesia incontrollabile, ora che
era come
una foglia in balìa del vento.
Avrebbe potuto sottrarsi a
tutto ciò fin dal primissimo istante, Gwenllian Jenkins
Pendragon, del resto i
suoi poteri glielo permettevano: le sarebbe bastato trasformarsi
completamente
come faceva suo padre ai tempi della guerra fra Ingary e il regno
vicino, e
allora dell’Uomo Nero non sarebbe rimasto nulla se non uno
scheletro nel suo
stomaco. Semplice e veloce.
Ma non lo aveva fatto, non ci
aveva pensato nemmeno mezzo secondo fin da quando l’aveva
baciato: voleva che
lui la possedesse, voleva possederlo lei, volerla farsi scopare
finché non
avesse dimenticato come si cammina correttamente.
E non aveva nessun timore ad
ammetterlo.
Con le poche forze che
riuscì
a ritrovare in corpo, Gwen tentò di sollevarsi quel che le
bastava per trovare
il corpo dell’amante che premeva sul proprio in quella
perfetta comunione che
-tempo immemore dopo- era tornata a crearsi, ma Black la
anticipò facendo
scivolare una mano in mezzo alle sue cosce morbide che pareva lo
implorassero
di dare loro attenzione, iniziando a lavorare anche su altre zone
particolarmente sensibili.
Di nuovo in preda ai gemiti,
Gwen non poté fare altro che accasciarsi nuovamente sul
tavolo, a riflettere
sull’amara consapevolezza che quel meraviglioso sesso
selvaggio gli era mancato
quasi quanto l’ossigeno: amava come la faceva sentire
completa, amava come i
suoi respiri in sincronia con i propri le riempivano la mente, amava
come la
possedeva in ogni singola spinta, amava come la facesse gridare in un
misto fra
piacere e dolore, lo amava e basta.
«S-sei un
da-dannato…
b-ba-bastardo» si lasciò scappare sorridendo, il
desiderio pulsante che la
indusse ad abbandonare ogni resistenza rimasta fra loro due, a
rilassarsi più
di quanto stesse già facendo, a protendersi inarcando la
schiena per poterlo
accogliere meglio dentro di sé.
Stringendo i denti, Pitch
spinse più a fondo per accontentarla.
«Ma tu mi ami
comunque»
ridacchiò mentre le sue dita esploravano sapientemente la
femminilità della
donna, saggiandola come se avesse già in mente qualcosa.
«Potresti pure avere
ragione»
convenne la strega, chiudendo gli occhi per assaporare fino in fondo
l’ennesima
sferzata che le dilaniò l’anima, oltre che il
corpo.
L’altro si
fermò improvvisamente
«Potrei avere ragione?»
«È
ciò che ho detto».
«“Potrei”»
sottolineò lui quasi offeso.
«Non credo che sia il
momento
opportuno per stare qui a polemizzare sul mio uso dei tempi
verbali» gli fece
notare indicando con una mano dietro di sé «sai
com’è: mi stai scopando il
culo, io vorrei pure avere un orgasmo, tu anche, per cui-»
«Per cui non intendo
muovermi
di un millimetro, se non sei nemmeno sicura di amarmi».
La giovane Pendragon
restò
interdetta qualche istante, poi scoppiò a ridere
«Avanti! Non puoi essere
serio!»
«Sono
serissimo» concluse
l’Uomo Nero, incrociando le braccia al petto.
Le sembrava di impazzire:
fino a poco prima stava godendo come mai in vita sua, trascinata
dall’ardore
col quale l’altro stava facendo l’amore col suo
corpo e con la sua mente, a
giudicare da come lui stesse sapientemente sfoderando una dopo
l’altra tutte le
sue tecniche per compiacerla nei modi che sapeva le piacevano
maggiormente, si
stava addirittura pentendo di non essersi incontrata con lui tempo
prima, mentre
ora… ora si era tutto fermato, bloccato, svanito.
«…
Pitch» sussurrò la strega
poco dopo, incapace di sopportare oltre la mancanza del corpo del suo
amante a
contatto col proprio.
«Sì? Vuoi
dirmi qualcosa,
forse?»
Lei si strinse nelle spalle,
sospirando «… Avanti, sai benissimo cosa vorrei
dirti, dai…»
Black si finse pensieroso
«Non ne ho la minima idea, spiacente».
«Come sarebbe che
non…?
Pitch, ti prego, ti prego».
«“Ti
prego” di fare cosa, di
preciso?» domandò incuriosito,
facendo scivolare le mani a stringerle i seni con decisione
«Qualcosa tipo questo,
intendi?»
«S-sì, sì»
ansimò speranzosa «questo e-e p-poi…
poi-» non fece in tempo a
finire che lui tornò con più forza e vigore di
prima dentro di lei,
strappandole l’ennesimo di tanti, troppi, gemiti che le
morivano in gola
trasformandosi in gridolini strozzati, in mezze parole, in impalpabili
sospiri
che gridavano solo solo una cosa: che lei, l’Uomo Nero, non
aveva mai smesso di
amarlo.
A Black non serviva
sentirselo dire da lei, non aveva bisogno che la strega gli confermasse
ciò che
lui aveva capito fin dal primo sguardo, si accontentava delle conferme
che le
stava dando il suo corpo abbandonato a quel loro infuocato delirio che
pareva
non avere fine. Lasciò che la passione cancellasse il suo
autocontrollo, che la
parte di se stesso che la desiderava da impazzire prendesse il totale
controllo, che fosse il suo desiderio di possederla notte e giorno a
guidarlo:
non la risparmiò nemmeno un istante nel penetrarla a fondo,
non voleva essere
né gentile né tenero con lei, ben conscio che la
tenerezza e la gentilezza non
erano ciò che Gwenllian stava cercando da lui e che ora
chiedeva, bramava,
aveva bisogno, di ben altro.
E lui glielo diede volentieri,
ciò di cui aveva bisogno.
Riprese ad avanzare una, due,
tre, un numero indefinito di volte, poi si ritrasse nella stessa
maniera fin
quasi a lasciare il suo calore per allungare ogni istante di quella
preziosa
tortura, lei che conficcava le unghie nel legno scarnificandolo e
dilaniandolo
proprio come il piacere stava facendo col suo corpo inerme; con una
mano Pitch le
afferrò i polsi bloccandoglieli dietro la schiena, con
l’altra invece fece lo
stesso con capelli tirandoli a sé e costringendola ad
inarcarsi faticosamente,
mentre con inesorabile lentezza rientrava nel suo corpo fremente per
farle
assaporare ogni centimetro della sua erezione che affondava in lei.
Un grido di piacere si levo
alto dalla gola di Gwen, gemiti pregni di gioia e sollievo che lo
invitavano
chiaramente a proseguire con ardore devastante, urla che
però adesso avevano
una sfumatura diversa da prima, come segnate da un sentimento
dimenticato da
entrambi che ora faceva capolino per rendere quell’amplesso
unico, speciale,
diverso da qualsiasi altro. Quello non era solo sesso, non era solo
fare
l’amore finché i loro corpi fossero stati in grado
di reggere la sfida, non era
nemmeno una sveltina -poco svelta- e via per tornare alle proprie vite.
Era una conseguenza
dell’essersi
ritrovati faccia a faccia, corpo a corpo, era un nuovo inizio, il
ritentare di
costruire qualcosa per la seconda, indimenticabile, volta.
Quella consapevolezza lo
spinse a dare il massimo, come obiettivo ultimo il darle il paradiso in
terra
mentre lui possedeva lei e lei possedeva lui, assecondando i suoi
movimenti con
la stessa forza che l’Uomo Nero stava mettendo nel farle
raggiungere le vette
del piacere rubandole il fiato; le lasciò i polsi, adesso,
preoccupandosi
invece di chinarsi per baciarle la spina dorsale visibile sotto la
pelle
tatuata, come a confortarla dalle scosse che le percorrevano
implacabili il
corpo per guidarla verso il traguardo al quale ambivano entrambi.
«Sei un bastardo, e su
questo
non ho dubbi…» riuscì a mugolare la
strega fra un gemito e l’altro, cercando il
volto dell’altro e tirandolo a sé, per poi
baciarlo «… ma ti amo lo stesso,
sempre, s-semp-» si interruppe improvvisamente gettando
indietro la testa.
In quel preciso istante,
l’unico
suono che riempì la stanza fu il nome di Pitch Black gridato
da Gwenllian nel
pieno di un orgasmo, pure schegge di piacere che le sconquassarono il
corpo mentre
il seme del suo amante si riversava dentro di lei prepotente
svuotandole i
polmoni tutti d’un colpo, un calore intenso che
l’aveva riempita fino a farla
crollare esausta sul tavolo senza più forze in corpo.
L’altro lo
imitò e le si
accasciò sulla schiena per riprendere fiato, il cuore che
galoppava nel petto
talmente veloce che gli pareva di udirlo echeggiare fra le pareti
insieme ai
gemiti convulsi della compagna; passarono interi minuti
così, stesi su quel
pezzo di legno freddo ad attendere che i loro respiri si
normalizzassero e che
i loro corpi smettessero di fremere mossi da chissà quale
forza nascosta.
Nonostante fosse madido di sudore e stanco quanto lei, l’Uomo
Nero trovò comunque
le forze per darle un’infinità di baci sulla nuca
ben sapendo quanto lei li
apprezzasse, godendosi ogni singolo gridolino roco proveniente da
quella gola
che mormorava il suo nome ancora, e ancora e poi di nuovo, come a
volersi
imprimere nella mente la persona che le aveva appena fatto toccare con
mano qualcosa
che temeva di non poter provare mai più, da quando loro due
si erano amaramente
lasciati.
Con una delicatezza che nulla
aveva a che fare con la belva affamata di sesso di qualche istante
prima, Pitch
la sollevò piano prendendola in braccio e poggiandola sul
bancone, per poi
stringerla in un abbraccio pieno di piccoli baci sulla fronte, sul
collo, sulla
punta del naso, mentre lei, tremante, gli si abbandonava addosso
poggiandosi al
suo petto.
A Gwenllian ci volle ancora
un po’ per riprendersi, ma appena lo fece ricambiò
le tenerezze dell’altro
facendosi comparire nuovamente le sue grandi ali piumate sulla schiena,
che
utilizzò subito per avvolgere se stessa e l’amante
in un bozzolo caldo che li
isolava dal mondo, dai vetri rotti, dagli scaffali distrutti, persino
dal
sangue per terra e sui muri.
Non c’era niente oltre a
loro
due, non più, erano soli in mezzo ad una stanza vuota che
stavano riempiendo e
avrebbero riempito in eterno con i loro gemiti, le loro urla, i loro
dannatissimi orgasmi che avrebbero fatto sciogliere anche i ghiacciai,
da
quanto infiammavano il corpo e l’anima di entrambi.
Avvampata ancora da quella
passione, la strega approfitto di quell’abbraccio per
baciargli prima il petto,
poi le spalle, salendo su per il collo e afferrandogli infine il volto
fra le
mani per scambiarsi uno sguardo veloce, fugace, esattamente
com’era stato il
brivido che lui le aveva fatto provare mentre le piume svanivano
lentamente; affondò
le dita lunghe e sottili nei suoi capelli neri spingendolo sempre
più verso di
sé, gli aggredì la bocca in un bacio impetuoso
come a fargli capire che non
scherzava, che lo desiderava ancora, che voleva sentire il suo sapore
mentre le
loro lingue si intrecciavano impazienti.
Gwenllian gli si
strofinò
addosso il corpo nudo per godere ancora una volta di quel contatto
infuocato
fra le loro pelli ancora umide, una mano che afferrava sapientemente
quella di
Pitch posandola senza tanta delicatezza sul suo seno bianco che
brillava delle
piccole gocce di sudore che lo imperlavano, provocando impalpabili
sussulti
quando quest’ultime le sfioravano i capezzoli rosei ormai
completamente in
balìa delle dita dell’Uomo Nero.
Era certa che avrebbe
tranquillamente potuto raggiungere nuovamente l’apoteosi del
piacere
semplicemente così, ma non le bastava. Mentre con una mano
si aggrappava alle
spalle di lui per non crollargli di nuovo ansimante fra le braccia, con
l’altra
gli afferrò senza esitazione il membro ancora turgido
guidandolo fino alla sua
intimità e premendolo sulla stessa, in attesa.
Pitch le lanciò
un’occhiata come
a chiederle conferma, ben sapendo che le cose si stavano facendo
decisamente
più serie di quanto lo fossero state fino ad ora.
Se gli si fosse concessa
anche ora, se avesse deciso di
darle
nuovamente quella parte di sé insieme alla propria fiducia,
allora lui avrebbe
dovuto cambiare una volta per tutte: niente più scenate di
gelosia, niente
dubbi che non stavano né il cielo né in terra e
nemmeno per mare, niente di
niente che potesse portargliela via di nuovo solo e soltanto per colpa
sua e
del suo stramaledetto atteggiamento di possessione.
«Vuoi?» le
domandò infine.
Lei sorrise
«Voglio».
Guardandola negli occhi e
continuando ad accarezzarla piano, Black iniziò ad
affondarle dentro
lentamente, spinta dopo spinta, centimetro dopo centimetro: voleva
essere assolutamente
certo di sentirla rilassata e pronta ad accoglierlo prima di esplorarla
più
profondamente, ora non poteva fare tutto di fretta e furia come prima.
Gwenllian trasalì stringendosi nelle sue braccia quando lo
sentì farsi strada
nel suo ventre riempiendola con delicatezza: abbandonò le
mani prima sulle
spalle e poi sulla schiena a cercare la sua spina dorsale e scendere
giù,
sempre più, fino a conficcargli le unghie nelle natiche per
stringersi a lui e
premere il proprio bacino su quello del suo uomo.
Un ultimo affondo, e questa
volta la riempì completamente. Gwen lanciò un
urlo, che si premurò subito di
soffocare premendo la testa nell’incavo fra il collo e la
spalla dell’altro, il
piacere le esplodeva dentro diramandosi come una fitta lancinante.
Una smorfia di preoccupazione
apparve per qualche istante sul volto dell’Uomo Nero, ma
dovette ricredersi
subito quando lei cercò avidamente la sua bocca per serrarla
in un lungo bacio
di gratitudine: fu lì che comprese che non si sarebbe mai
accontentata, che
voleva di più, che voleva tutto. Con rinnovata passione e
ormai tranquillizzato
dai gemiti strozzati dell’altra, si ritirò un poco
e tornò a penetrarla a fondo
con ritmo sempre crescente, sempre più incalzante e serrato,
il piacere che
pervadeva entrambi in un’ondata calda mentre i loro corpi
fradici si univano in
uno solo, un insieme di muscoli che fremevano e si contorcevano in una
sinfonia
assolutamente perfetta.
Boccheggiando per riempirsi i
polmoni d’aria, la strega si strinse forte alle sue spalle e
gli cinse i bacino
con le gambe in un intimo abbraccio che le permettesse di assecondare
ogni suo
movimento, seguendolo in quella danza sollevando e abbassando
ritmicamente i
fianchi, contraendo e rilassando i muscoli al ritmo del loro amore.
Intrappolato com’era nel
suo
stretto calore, Pitch non poté fare altro che seguire il
desiderio di perdersi
in quel vortice di passione caldo e accogliente tuffandosi in lei
ancora e
ancora, un baratro senza fine che pareva risucchiarlo inesorabilmente
ad ogni
singolo movimento, salvo farlo esplodere in violenti sussulti ogni
volta che sentiva
i muscoli della donna stringersi in una stretta prepotente e al
contempo dolce
intorno al suo sesso, come se lei volesse trattenerlo dentro di
sé il più
possibile.
E probabilmente era proprio
così, a giudicare da come la tensione fra i loro corpi si
stesse
intensificando.
Seguendo un istinto
primitivo, Black le afferrò saldamente i glutei e la
sollevò dal tavolo,
tenendola stretta a sé, mentre Gwenllian -intenzionata ad
assecondarlo- gli si
agganciò ai fianchi stringendo la presa delle proprie mani
dietro il collo
dell’altro; ora non c’era più la
sicurezza della scrivania ad accogliere i loro
corpi durante l’amplesso, ma a nessuno dei due amanti
importava: avrebbero fatto
l’amore così, aggrappati l’uno
all’altra tanto nella carne quanto nell’anima, e
così avrebbero raggiunto le vette del piacere una volta, poi
due, tre, dieci,
cento, altre mille volte, se solo lo avessero voluto.
E loro lo volevano eccome.
La giovane Pendragon gli si
avvinghiò addosso come uno scoiattolo al proprio albero,
offrendogli nuovamente
il seno morbido e inerme da toccare e suggere e tormentare per
l’ennesima volta,
i suoi gemiti e i mugolii che ripagavano Pitch di tutte le attenzioni
che la propria
bocca riservava a quel corpo nudo che pareva essere stato modellato
appositamente per lui, dal modo in cui aderiva perfettamente alle sue
labbra.
Un rivolo di sangue prese a scorrere sulla pelle grigia della schiena
dell’Uomo
Nero, quando le unghie della strega gli si conficcarono nelle carni con
violenza immane mentre lei gemeva disperata preda di un incendio sempre
crescente.
Ma non era un semplice
incendio, quello, era una vera e propria tortura, un circolo vizioso,
un girone
infernale studiato per trascinarla fino al proprio limite di continuo,
quanto
avvertiva l’ingombrante presenza dell’altro dentro
di sé che le squarciava il
ventre partendo da un punto indistinto nelle proprie viscere, e che poi
la
rigettava inesorabilmente indietro quando si sentiva svuotarsi tutta
d’un colpo
per poi venire riempita e completata di nuovo. E si ripeteva di
continuo,
adesso, si ripeteva fino a farla impazzire.
E impazzì davvero,
qualche
istante dopo.
Un’altra spinta profonda,
poi
un grido gutturale si levò alto dai loro corpi ancora uniti,
pulsanti,
intrappolati in un incastro perfetto. L’ennesimo orgasmo di
quella giornata
travolse entrambi con ondate di abbagliante piacere che si riversarono
lente
fra le gambe serrate di Gwenllian, ormai accasciata fra le braccia
dell’amante
stremata e priva di forze, ma pienamente soddisfatta proprio come il
suo partner.
E così l’Uomo
Nero e la
Befana erano andati avanti ancora e ancora e poi di nuovo, a fare
l’amore per
ore ed ore fino a perdere ogni cognizione del tempo e della
realtà che li
circondava, decisi a non fermarsi nemmeno quando i loro corpi
imploravano una
pausa.
Non avrebbero frenato la loro
passione per un paio di crampi, non avrebbe smesso di cercarsi
l’una con
l’altra nemmeno se fosse crollato il mondo: si erano persi
una volta,
permettere che accadesse di nuovo sarebbe stato un crimine contro i
loro stessi
sentimenti appena ritrovati.
Nell’ultimo di quei rari
momenti di pausa post-orgasmo durante quegli amplessi così
intensi, Gwenllian
si arrampicò dall’inguine dell’altro
fino al suo petto, riempiendolo di baci
durante il tragitto e fermandosi quando incontrò le sue
labbra.
Prima di baciarlo, però,
si
scostò lentamente le ciocche di capelli blu e argento e gli
mostrò un punto
dietro l’orecchio destro, quello che lui aveva baciato per
primo quando avevano
iniziato la loro lunga e stancante avventura di quella giornata; il
tempo di
evocare la propria magia, e un piccolo tatuaggio le si
disegnò sulla pelle, un
cuore con una serratura al proprio centro. Senza staccarle lo sguardo
di dosso,
Black le prese delicatamente la mano e se la poggiò sullo
stesso punto, ma
sull’orecchio apposto.
«Rwyf wrth fy modd i chi.
Ti
amo» le sussurrò appena nella sua lingua, prima di
abbandonarsi al pizzicore
provocato dalle dita della compagna che si posavano su di lui.
Gwenllian gli sorrise, la
magia che fluiva lenta disegnando i contorni di una chiave.
«Rwyf wrth fy modd i chi
hefyd, fy nghariad» ricambiò lei baciandolo con
dolcezza.
A sentirsi chiamare
“amore
mio” ci mancò poco che Pitch svenisse: gli era
mancato come ossigeno sentirsi
chiamare così da lei, e ora lo aveva appena fatto, glielo
aveva detto per
davvero! Aveva pronunciato quella parola!
Lacrime di gioia iniziarono a
rigargli il volto.
«Non ti lascio andare mai
più, mai più» le promise affondando la
testa in quella cascata color cioccolato
per non farsi vedere in viso «ti giuro che-»
«Ehi, c’era la
porta aperta.
Anche se ovviamente non avrei bussato in ogni caso, perché
me ne sbatto altamente
se mi vogliate dentro o meno. Comunque mi servirebbe un attimo il
bagno,
mangiare tutte quelle bacche non è stata-… oh».
“Oh”, appunto.
In quel preciso istante,
Emily Jane desiderò con tutta se stessa che lo spettacolo
dinanzi ai suoi occhi
fosse solo l’ennesima delle sue deliranti allucinazioni.
Avrebbe chiuso gli occhi e,
una volta riaperti, non ci sarebbe stato più suo padre
stretto come un polipo a
quella sgualdrina di casa Pendragon, non avrebbe più visto non voleva nemmeno sapere quale genere di liquidi
sparsi per terra
e sul tavolo e da mille altre parti in quella stanza o sul corpo della
strega,
non ci sarebbe nemmeno stata lei immobile sull’uscio del
laboratorio in attesa
che tutto ciò svanisse dalla sua vista, dalla sua mente, dai
suoi ricordi.
Chiuse gli occhi, riaprendoli
poco dopo: era ancora tutto lì.
«Vedo che hai ben
riempito la
calza della Befana» si limitò a commentare Madre
Natura in modo meccanico,
senza provare nulla del pronunciare quelle parole, nemmeno quel
profondo senso
di schifo che la
turbava dentro riusciva
a raggiungerla.
Emily incrociò lo
sguardo
dell’Uomo Nero solo per un secondo, un dannatissimo secondo
che bastò per farle
capire una cosa che si ripromise di ricordare in eterno: che ora il suo
mondo,
il suo “Cwtch”, era fra le braccia di Gwenllian.
E lei, sua figlia, in quel
mondo non era compresa.
Si avvicinò ai due
amanti
ancora impegnati a stringersi l’uno con l’altra,
entrambi troppo occupati ad
amarsi per essere particolarmente turbati dal suo arrivo. Emily Jane
avrebbe
voluto dirgli tante cose, a quell’uomo che per lei era ormai
un completo
estraneo, ma fu solo una frase quella che riuscì a proferire
senza nemmeno
sentire le labbra muoversi.
«… Non hai
saputo proteggere
mamma da viva, e non sai nemmeno preservare il suo ricordo da
morta» disse
rivolta a suo padre indicandogli con un cenno la strega, poi
uscì e scomparve.
Pitch stava per risponderle,
ma rinunciò in partenza preferendo lasciare sua figlia a
sbollire nel proprio
brodo: era stanco di rincorrerla in lungo e in largo per tentare di
costruire
qualcosa con lei, specie perché indietro non riceveva
nemmeno uno straccio di
gratitudine che fosse tale, al diavolo lei ed i suoi squallidi metodi
per farlo
sentire in colpa!
Intenzionato a lasciarsi alle
spalle quell’entrata infelice da parte di sua figlia, Black
riprese a dedicarsi
a Gwen per regalarle l’ennesimo di tanti -ma mai troppi-
orgasmi che
l’avrebbero fatta crollare esattamente come tutti gli altri.
L’afferrò
svelto per i
fianchi e si scambiò con lei la propria posizione,
bloccandola sotto di sé
mentre le baciava la fronte e scendendo sul seno, prendendosi di
rimando una
marea di gridolini entusiasti; ormai pronto per affondarle dentro di
nuovo, si
rese però conto che ai piani bassi
c’era un piccolo problemino.
Letteralmente piccolo.
Inizialmente cercò di
non
dare a vedere la sua espressione sconvolta nel vedere che
l’erezione che aveva
retto fino ad ora era bella che andata, ma Gwenllian ci mise ben poco a
notarlo
da sola sentendo chiaramente la mancanza di qualcosa che premeva sulla
sua
pelle morbida.
La strega sospirò,
nascondendo
alla bene e meglio la seccatura nei confronti della giovane Pitchiner
che era
venuta solo per rovinare la festa ad entrambi.
«Pitch, va bene lo
stesso» lo
rassicurò accarezzandogli il volto, l’ultima cosa
che voleva era che si
sentisse lui colpevole di qualcosa che -a conti fatti- era accaduto da
solo
quando si era fatto cenno alla sua defunta moglie e non prima.
Lui però non era
intenzionato
a darsi per vinto, tutt’altro.
«Dammi un attimo, ci
riesco
eh!»
«Pitch».
«Non ti mando in bianco,
promesso!»
«…
Pitch».
«Aspetta
ancora-»
«Pitch!» tuonò
afferrandogli una mano per bloccarlo dal suo masturbarsi come un
forsennato.
Lui si fermò, sconsolato.
«Vado a preparare una
tisana
per entrambi, è meglio» gli sorrise lei dandogli
dolcemente un bacio sulla
fronte.
Gwenllian si sfilò da
sotto
di lui scivolando fra le coperte come burro, si infilò la
prima camicia che
trovò a portata di mano e si dileguò in cucina,
lasciando lui sul divano a
contemplare il proprio meat popsicle
da stallone che gli giaceva ormai inerme e inutilizzabile in mezzo alle
gambe.
Mille pensieri frullavano
nella mente dell’Uomo Nero guardando quella scena pietosa, ma
il fischio del
bollitore li mise tutti a tacere: meglio prendersi una tisana,
sì.
_______________________________________________________________
Angolino dell’autrice
Buon
Natale a tutti! Lo so, lo so, il capitolo
è
più lungo del meat
popsicle di Pitch :’D
I dovuti avvertimenti sul
probabile rating rosso sfiorato con le scene sessuali qui
l’ho fatto all’inizio
e non mi dilungo oltre. Vorrei cercare di essere regolare e aggiornare
almeno
un capitolo ogni due settimane, e sperando in bene vedrò di
impegnarmi per farlo :3
E quindi niente, ciò che
dovevo
dire l’ho detto, non mi resta che lasciarvi con delle
immagini trovate su
Internet di (partendo da sinistra) Morgana e Merlino sopra, e Circe e
Blair sotto.
Alla prossima! :)