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Autore: Nocturnia    25/12/2017    3 recensioni
Alex solleva appena lo sguardo dallo schermo del tablet, gli riserva un'espressione curiosa - attenta.
"Che cos'è?" gli chiede, e Stuart depone il pacco rosso e oro vicino a Eve.
"Il suo regalo di Natale."
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Broken inside'
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Natale RE Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker, Chris Redfield, Claire Redfield e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Eve è invece una mia creazione personale. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"Secrets carry weight, like lead."
- M.L. Rio -



If we were villains




Dicembre, 2007

Alex solleva appena lo sguardo dallo schermo del tablet, gli riserva un'espressione curiosa - attenta.
"Che cos'è?" gli chiede, e Stuart depone il pacco rosso e oro vicino a Eve.
"Il suo regalo di Natale."
Alex socchiude la bocca, appoggia il tablet sul divano - emette un verso sottile, contraddetto.
"Non... "
Osserva Eve avvicinarsi al pacco, perdere l'equilibrio e afferrare il nastro dorato che vi spicca sopra come una stella.
"Ah." dice solo, e si alza, sedendosi poi sui talloni vicino a Eve.
"Ai bambini piacciono i giochi."
"Questa bambina..." inizia Alex, puntandole contro un dito ben curato e smaltato di rosso "... è un tyrant, Stuart. Una B.O.W. alpha. La prima nel suo genere."
Eve borbotta qualcosa, tira - si mette in bocca un pezzo di carta, lo mastica.
Stuart abbozza un sorriso, inclina la testa verso Eve.
"Ma è pur sempre una bambina."
Alex la studia in silenzio, concentrata: Eve afferra un angolo del pacco, strappa - vi picchia sopra entrambi i pugni e lo apre completamente, ridendo.
Alex si sporge in avanti, coglie un ciuffo di pelo, un collarino azzurro.
"Un peluche."
"Esatto."
"Una pantera, a voler essere precisi."
Stuart annuisce, sfiora appena la fronte di Eve, ormai completamente catturata dal pupazzo.
Alex continua a fissarla con occhi incerti, come se fosse un enigma particolarmente complicato.
"Avrà avuto anche lei un pupazzo da piccola, Master Alex, no?"
Alex aggrotta le sopracciglia, apre e chiude la susta del bracciale in perle nere e diamanti.
"Io... no. Non credo. Forse, non ricordo."
Stuart ne studia il profilo teso, le spalle curvate in avanti; nella luce artificiale del loft il viso di Alex è pallido, esangue.
Eve ride più forte, si stringe al petto quella pantera più grande di lei - negli occhi una sfumatura rossastra, che ondeggia e muta a ogni risata.
"La sua storia non è detto debba essere anche quella di Eve, Master Alex."
Alex sorride, ed è una smorfia triste, priva di consistenza.
In quel primo Natale senza Spencer il suo cuore pare un po' più leggero.


Dicembre, 2008

Eve non conosce il Natale; non sa cosa sia.
Sull'isola non si festeggia una ricorrenza simile ed è per questo che quando l'ha sentita nominare da Stuart era rimasta spiazzata, interdetta.
Ha un anno e mezzo, Eve, ma si rende conto da sola di essere diversa.
I suoi coetanei si stanno ancora sbavando sul mento mentre lei cammina e articola già frasi quasi complete.
Dalla Torre riesce a intravederli in braccio alle loro madri, per terra, che giocano tra di loro.
Sente, Eve, e comprende.
La Voce le parla e non l'abbandona mai, un guscio nerissimo e privo di crepe nel quale si rifugia spesso.
Ce l'ha anche sua madre. E suo padre. Sono diversi, tuttavia.
Quello di sua madre è fragile, pieno di cicatrici e fratture - sul punto di rompersi.
Mormora, ed è un quieto brusio di sottofondo, una ninna nanna che l'accompagna nel sonno da sempre.
Quello di suo padre tace il più delle volte, ma quando si mostra è terribile e grandioso: una serpe che spalanca le fauci e gronda veleno.
Eve era arretrata la prima volta che l'aveva visto, ma poi aveva riso, allungandosi verso di lui - il suo virus, la sua coscienza.
"Eve."
Si volta, tra le braccia una pantera nera consumata dietro le orecchie, spelacchiata dal troppo stringerla.
Stuart si avvicina, le porge un sacchetto pieno di biscotti morbidi al cioccolato.
"I tuoi preferiti."
Eve ne prende uno, comincia a masticare - posa lo sguardo sull'orizzonte; il cielo livido, tumefatto dal freddo. La spiaggia grigia, i marosi che la consumano a ogni onda.
Stuart si siede vicino a lei, una sciarpa blu a coprirlo fino al naso, un cuore che Eve percepisce con una chiarezza stordente.
"Cosa vuoi per Natale, Eve?"
Eve mette in bocca un altro biscotto, assapora la vaniglia, la scorza d'arancia.
"Non lo so."
Stuart annuisce, inspira.
"Tutti vogliamo sempre qualcosa, Eve; è nella nostra natura."
Eve lo fissa da sotto in su, tace.
"Io... io vorrei andare in Africa."
Stuart alza un sopracciglio, non cambia espressione - ma sotto Eve può sentire il suo cuore mancare un battito.
"E perché in Africa, Eve? È molto lontano da qui."
Eve stropiccia il bordo del sacchetto, sfugge con lo sguardo e Stuart è veloce a coglierne la direzione - la porta chiusa dello studio di Master Alex.
"Perché..." deglutisce, si gratta il dorso della mano "Perché là..."
Qualcosa cade, s'infrange al suolo e rompe la confessione di Eve.
Stuart coglie appena un mormorio sommesso provenire dallo studio (sei un idiota, un idiota. Fallirai, e morirai, e nessuno potrà riportarti indietro) rabbioso: negli occhi di Eve la voce di sua madre è un grumo di dolore e amarezza.


Dicembre, 2009

Eve fissa una pubblicità nella quale una famiglia ride felice.
Scherzano intorno a un tavolo pieno di tutto - marmellate, cioccolata, brioche, succo d'arancia.
Fuori nevica e all'interno della casa brucia un fuoco allegro, quieto - che accoglie, e fa venir voglia di dormirci vicino.
Eve continua a tormentare con la punta delle dita il naso di Roscoe, studia quei volti sorridenti, la luce fredda che filtra dalle finestre imbiancate, il gatto che si raggomitola sulle gambe del fratello più piccolo.
Vicino a lei giace un kringle alla cannella mezzo consumato, un bicchiere vuoto.
Sushestvovanie è scossa da una neve violenta, gelida: grumi di ghiaccio che sbattono contro i vetri blindati del loft, lo percuotono con forza, rabbia.
Eve disegna con l'unghia figure immaginarie sul tappeto rosso, la pubblicità cambia e diventa quella di un divano scontato del 20%.
Porta il mento sopra la spalla, fissa il profilo di sua madre alla scrivania - spettrale, quasi trasparente.
"Mamma?" chiama, e non ottiene risposta.
Si alza, portandole il kringle rimasto.
"Mamma?" ripete.
Alex le riserva un'occhiata sfuggente, allucinata: macchie d'inchiostro sul polsino della camicia, una pupilla sottile, che vibra e si contorce nell'iride rossastra.
Eve si siede ai suoi piedi e aspetta.


Dicembre, 2010

Eve si chiede se sia possibile per una persona spezzarsi: ridursi a un cumulo di macerie e rovine, sentimenti rotti, speranze divelte.
Sua madre è danneggiata, incrinata in più punti.
Il suo virus debole, affranto: una bestia che si sta lasciando morire.
Eve la osserva porgerle un pacchetto argentato, semplice nella sua assenza di decorazioni.
"Cos'è?" le chiede, raccogliendo Roscoe da terra.
"L'altra Voce, Eve." mormora Alex, sfiorandole appena i capelli "Tuo padre."
Eve sbatte le palpebre una, due volte: scarta il pacco in fretta, strappando la carta lucida, il nastro in raso.
Lo apre, e dentro vi trova documenti, foto, ricordi.
Posa lo sguardo su Alex, lo trova rivolto al fascicolo che tiene in mano - occhi pieni, infettati da qualcosa simile alla nostalgia.
"È tutto quello che ho."
"Potresti parlarmene tu."
Alex preme le labbra in una linea sottile, si allontana.
Anni dopo Eve capirà che tutto in suo padre faceva male e feriva: persino essere ricordato.


Dicembre, 2011

La sua nuova famiglia è allegra, sincera.
La sua nuova famiglia ha un gigantesco albero di Natale in soggiorno, fili d'oro che s'intrecciano lungo i suoi rami fino alla punta, dove una stella brilla pacchiana.
La sua nuova famiglia la chiama Megan, e le ha regalato un pupazzo nuovo - una foca, per l'esattezza.
Eve la fissa in quegli occhi stupidi e tondi, abbozza un sorriso - pensa a Roscoe e ai suoi ciuffi di pelo mancante, alla sua espressione intelligente.
Quel peluche era vecchio, le dicono, l'abbiamo messo in garage nel caso lo volessi ancora.
Si chiude la porta metallica alle spalle in silenzio, stringe Roscoe al petto - inizia a salire le scale quando qualcosa attira la sua attenzione, si ferma.
Sul tavolo in cucina sono rimasti dei biscotti - al cioccolato - e Eve allunga la mano, la ritrae.
Puoi prenderli, le mormora la Voce, non ti succederà nulla.
Non è per quello, ribatte Eve, aggrottando le sopracciglia, so che posso prenderli. Posso prendere tutto.
Non ancora, la corregge la Voce, e non adesso.
Eve si siede sullo sgabello, si sistema Roscoe in grembo, prende un biscotto - lo morde, e sospira.
Mastica per un po' lo stesso boccone, deglutisce - rimette poi a posto il dolce, chiudendo gli occhi.
Non hanno lo stesso sapore, singhiozza, asciugandosi le lacrime con l'orlo del pigiama.
Non lo avranno mai più, Eve, sussurra la Voce, e Eve inspira con forza, raddrizza le spalle - imita una posa con la quale sua madre aveva affrontato persino la morte.
Accarezza Roscoe, rimane seduta sul piccolo sgabello fino a quando l'alba di quel Natale non infrange la notte, accartocciandola tra le sue dita pallide.
Il Progenitore galleggia in un vuoto che le toglie il respiro.


Dicembre, 2012

Le hanno fatto costruire un presepe in plastilina.
Le hanno detto di decorarlo con colori allegri, pieni di vita.
Li hanno incoraggiati a essere originali, divertenti: hanno ricordato loro che il Natale è una festa in cui si omaggia una nascita importante, quella del Signore e dell'Uno e Trino.
Eve aveva alzato un sopracciglio a sentir parlare di quel fantomatico dio - un profeta giunto a salvare tutti loro, che aveva raccolto sulle proprie spalle i peccati dell'umanità.
"Perché?" aveva chiesto all'insegnante mentre modellava un cane nerissimo e dai denti snudati.
"Perché cosa, Megan?"
"Perché ci ha salvati?"
Karen l'affianca, studia il suo lavoro preoccupata - una distesa di terra brulla e coperta di neve, cani dal cui costato protundevano ossa biancastre e spezzate.
"Per darci una possibilità di riscatto."
Eve annuisce, fissa il cane nella terra con uno stuzzicadenti - aggiunge un po' di muschio artificiale ai lati della Torre.
"Ma non la meritate."
Karen si siede sui talloni, la fissa interdetta.
"In che senso non la meritiamo, Eve?"
Eve si scrolla nelle spalle, la ignora.
Sotto le sue mani prende forma un dio spietato e dagli occhi di sangue.


Dicembre, 2013

Roscoe ha perso un orecchio, la coda gli pende molliccia, quasi del tutto staccata.
Eve la ricuce con calma, mormora parole in una lingua dura e fredda.
Fuori, qualcuno sta cantando.
Eve si sporge appena, nota un coro sulla soglia della porta - berretti rossi e ridicole giacche verdi.
Chiude gli occhi, si abbandona a una voce che conosce da sempre - l'unica, invero, che custodisca ancora in sé quella di sua madre, di suo padre.
Sistema Roscoe, fissa il piatto con la fetta di torta di mele che sua finta madre le ha lasciato sul letto.
Nel cuore un rivolo nero di sangue e rabbia.


Dicembre, 2014

Non sa cosa sia cambiato.
Non sa quando, ma qualcosa è mutato - sotto la pelle, nella coscienza.
Il Progenitore uggiola, e gratta.
Eve si piega in avanti, una sensazione viscida tra le dita, lungo la schiena.
Cerca di mettere a fuoco il profilo del suo finto padre, il panettone che sta tagliando la sua finta madre.

Cosa...?

Il Progenitore si agita, inquieto.
Brucia, ed è come ingoiare vetro - schegge microscopiche che le si impigliano in gola, sotto la lingua.

Chi...?

Qualcosa la tocca - una spirale di potere e forza che riconosce e allo stesso tempo non le è mai sembrata più estranea.

Madre...?

Il Progenitore si avvolge attorno ai suoi pensieri e urla.


Dicembre, 2015

Sono morti tre bambini.

Macellati. Spolpati come dalla peggio bestia.

Sono morti, e la polizia ha aperto un'inchiesta sulla scuola.
Hanno detto che la trasferiranno.
Per la sua incolumità. Perché questo istituto non è più sicuro.
Che non è posto per nessun bambino un luogo in cui è possibile entrare indisturbati e uccidere tre alunni.
Ma non sono stati semplicemente eliminati, uhm?
No, oh no: sono stati massacrati - viscere esposte, lanciate sui muri come grottesche stelle filanti.
Teste staccate, mandibole disarticolate - braccia strappate, organi gocciolanti sui lavandini candidi, mollicci e senza più forma.
La sua finta madre la stringe al petto, le mormora che va tutto bene, che dopo Natale la iscriveranno in una nuova scuola - una in cui mai più dovrà ricordare gli orrori della guerra in Edonia.
Eve si fissa nello specchio adiacente e incontra il sorriso da lupo di suo padre.


Dicembre, 2016

A volte fa male.
A volte il dolore è una dimensione così grande da schiacciarla - ridurla a un esserino piagnucolante sul bordo del letto e lì dimenticarla.
Stropiccia Roscoe tra le dita già più affusolate - stai crescendo in fretta, Megan - aspetta che il timer finisca il suo conto alla rovescia.
Fissa i biscotti lievitare, le gocce di cioccolato, la scorza d'arancia che s'intravede nell'impasto.
"Li hai fatti tu?" le chiede Allison, questo il nome della sua finta madre.
Eve annuisce, tace - una risposta a cui entrambe si sono abituate in fretta.
"Sembrano molto buoni: hai imparato a scuola?"
"No." ribatte Eve, ed è adulta la sua voce - più simile a quella di suo padre di quanto possa ricordare.
"Dopo possiamo mangiarne un po' insieme, cosa ne dici?"
Eve sta per risponderle di no quando il Progenitore interviene - blandisce, e le ricorda le parole di sua madre.

"Non dovrai mai mostrati per quello che sei: mai.
Nasconditi, e cresci. Il Progenitore ti dirà cosa fare."

Stira le labbra sui denti, annuisce: dentro, il Progenitore dipinge per lei scene di sangue e morte.


Dicembre, 2017

Nessuno la vuole; semplice.
Nessuno l'ha mai voluta.

Mi hanno abbandonata, in fondo, no?

Eve si tormenta il bordo della maglietta, strappa piccoli pezzi della sua fetta di pizza alle verdure.
Cindy ha gridato che no, lei non la voleva alla sua festa di Natale: che era già tanto se l'aveva invitata a quella di compleanno.
Rachel si era intromessa sgridandola; dicendole che era una bambina maleducata, irrispettosa.
Allison le aveva accarezzato la nuca, osservandola stringere più forte Roscoe.
"Megan, mi dispiace: sai, a volte i bambini sanno essere crudeli, e il semplice fatto che tu non lo sia ti espone di più a individui simili."
Eve aveva annuito, togliendo un peperone dalla sua fetta e scartandolo di lato.
Allison apre la bocca, la richiude - incerta.
"Sai, è difficile capirti, perché non parli mai: né con noi, né con gli altri."
Eve chiude le dita a pugno sul pelo consunto di Roscoe, digrigna i denti.
"La dottoressa Ofenbach dice che è normale; che spesso le vittime di guerra si chiudono il loro stesse e buttano via la chiave. Isolano tutto quel dolore in un'unica parte del loro animo e lo ignorano, fino a quando non diventa troppo grande e allora scoppia - infetta tutto quello che trova, per il quale hanno tanto combattuto."
Eve inspira con forza, si costringe a mettere in bocca una forchettata di mozzarella e zucchine.
Allison sospira, china il capo.
"Vorrei solo renderti felice, Megan."
Eve infila i rebbi della forchetta nella crosta della pizza e preme.


Dicembre, 2018

Ha undici anni, e quello è il primo Natale che festeggia davvero con la sua finta famiglia.
Ha cucinato con Allison, ascoltato le ridicole barzellette di Thomas, si è persino commossa davanti a un giubbotto nuovo della Moncler.
Ne sono stati felici; orrendamente contenti.
Eve esce del bagno, rimane immobile in mezzo al corridoio - luci dorate lungo gli zigomi, tra i capelli.
"Ti sento." mormora, ed estende il Progenitore davanti sé - lo spinge a infilarsi in ogni anfratto, ogni crepa visibile e non.
"Non so cosa tu sia."
Il Progenitore studia - circoscrive.
Eve assottiglia gli occhi, preme le labbra in una linea pallida, contratta.
"Non so chi tu sia."
Il virus analizza quella nuova presenza - un nucleo di forza che le scalda la punta delle dita, risale lungo le braccia, la raggiunge al cuore.
"Ma non puoi prendermi."
Il Progenitore ringhia, lo colpisce - brutale, feroce: si lancia in avanti e...

Plotch.

Eve si porta i polpastrelli alle narici, li ritrae sporchi di rosso.
Sgrana gli occhi, richiama il Progenitore - soffoca un grido furioso, spaventato.
Dall'altra parte qualcosa si schiude in una corolla di veleno e sangue.


Dicembre, 2019

Ha dodici anni, Eve.
Ha dodici anni, e Roscoe ha perso un occhio, ormai anche il secondo orecchio.
Si è rassegnata a lasciarlo sulla poltrona in angolo, protetto dalle sue mani e dal tempo.
Sta crescendo, e ormai la somiglianza con suo padre è crudele - una ferita che non smette mai di sanguinare.
Iridi artiche, zigomi affilati: sono vuoti i suoi occhi, trasparenti.
Possiede la bocca generosa di sua madre, e forse quando crescerà avrà anche le sue forme sottili, ma per adesso è la copia sputata di un padre che è morto in un'esplosione di fuoco e polvere.
Eve piega il capo prima a destra, poi a sinistra: richiama il Progenitore, osserva gli occhi tingersi di rosso, la pupilla assottigliarsi.
Il suo corpo si tende, pronto all'attacco: le sue sinapsi bruciano, il cuore accelera - l'adrenalina cresce, i muscoli si contraggono.
Eve diventa un'arma e snuda i denti - un riflesso involontario.
Dal piano di sotto sale l'odore del pudding di Allison - brandy e cannella.
Il respiro di Thomas, il frullare d'ali di un uccellino fuori dalla finestra: il cigolio della giuntura metallica del forno che sta per rompersi, la vividezza delle luci di Natale - scatti rossi e verdi e oro.
Eve respira - un sibilo rauco, feroce.
Tutto diventa rumore e preda del Progenitore.


Dicembre, 2020

"Un pupazzo."
"Lo rivoleva indietro."
Wesker alza un sopracciglio, posa lo sguardo su di una pantera senza un occhio e spelacchiata.
"Gliel'aveva regalato Stuart il suo primo Natale."
"Ah."
Alex si scrolla nelle spalle, lo supera - appoggia il peluche sul tavolo dello studio.
Si volta, incrocia le braccia al petto.
"Sarà difficile."
Wesker scivola con il pollice sulla testa dell'aspide, assorto.
"Non ci conosce, Albert. Non più."
"Non mi ha mai conosciuto." puntualizza, posando lo sguardo sulla libreria vicina.
"Non gliene hai mai dato la possibilità."
"Non volevo."
Alex si appoggia con i fianchi al bordo del tavolo, inclina il mento nella sua direzione.
"Era una situazione diversa."
"Non ho mai voluto essere padre."
"Lo so."
Wesker la fissa in tralice, sposta il peso da un piede all'altro - il bastone dalla mano destra alla sinistra.
"Non lo voglio tuttora."
"Ma lo sei."
Tace, Wesker - raddrizza le spalle, la schiena.
"È unica nel suo genere, Albert. È nata da due tyrant. Due B.O.W. alpha."
"Era impossibile."
"Eppure eccola lì, davanti a te la prova vivente: una ragazzina che ti assomiglia così tanto da chiedersi se non sia un clone invece di una figlia."
Wesker storna lo sguardo, cerca Eve - un profilo rannicchiato sotto una coperta azzurra, i capelli biondi sparsi sul bracciolo del divano.
Il Progenitore le si avvicina, cauto: sfiora il suo - più piccolo, diverso.
Non ha nulla di umano, Eve.
Il suo genoma è perfettamente integrato al virus - non ne fa solo parte: Eve è il virus.
Ogni creatura infettata con una stringa di materiale derivante dal Progenitore si piega al suo volere - la imitano, all'improvviso docili come cagnolini ammaestrati.
"Sei preoccupato."
"Sono... curioso." ribatte Wesker, intrecciando le dita sulla testa del serpente.
Alex lo affianca, si sporge oltre il bordo del divano.
Eve mormora qualcosa nel sonno, si distende sotto la mano di sua madre - ripete un gesto che ha compiuto mille volte quando era ancora una neonata.
"Vorrà delle spiegazioni."
"Le avrà." ribatte Alex, accarezzandole la tempia con la punta delle dita.
"Il suo Progenitore mi oppone resistenza."
"L'hai detto tu stesso: non ti conosce, Albert."
Alex allunga il Progenitore verso quello di Eve, viene accolto da un suono sorpreso, infantile.
"Nessuno deve sapere della sua esistenza."
Wesker tace, ascolta.
"Non diventerà una seconda Eveline."
Eve si preme un lembo della coperta sulla guancia, sospira.
"Non le accadrà quello che è successo a noi."
Wesker azzera la distanza che li separa, le solleva il viso - le cerca gli occhi, la bocca.

Promette.

Il Progenitore di Eve è un quieto ronzio di sottofondo che nessuno dei due ha mai dimenticato.




"I'm a witch and witches burn.”
- Josephine Angelini -




Note dell'autrice: per chi fosse interessato, L'(E)nigma del torrone", storia natalizia nel fandom di "Batman."
A tutti voi, che ancora vi aggirate per Raccoon City e i suoi fantasmi, buon Natale e grazie.

   
 
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