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Autore: Feathers    29/12/2017    3 recensioni
A quale grande fan di Crowley non è mai venuta voglia di dare uno sguardo al passato del demone, alla sua vita umana travagliata, alle vicende che hanno formato la sua personalità? Questa storia narra le sue debolezze, i suoi sentimenti e incomprensioni, dalla più tenera età fino alla fine di tutto.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Crowley, Nuovo personaggio, Rowena, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio, Più stagioni
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      IV                                                                                                        




18 Maggio 1679


Scesero dalla carrozza che era notte fonda. Erano le tre? Le quattro? Non importava molto. Non si vedeva un granché là fuori, a parte la luna a spicchio, gli alberi inquietanti con le larghe chiome scosse dal vento, ed il casolare davanti a loro.

Il signor Ryan, un uomo alto e corpulento dalla barba scura, condusse i due ragazzi all'interno della baita. "Eccoci arrivati..." parlò per la prima volta col tono rauco di chi fumava parecchio.

Fergus sbatté le palpebre, e sbirciò l'altro ragazzino, che si era come accartocciato su se stesso, tremando dal freddo. "Hey..." Gli posò una mano sulla spalla.

Il moro si irrigidì.

"Entriamo, su... " gli intimò l'altro. E così fecero.

L'ingresso era buio e piccolo, odorava di cera.

"Non è certo un albergo, ma... ho tentato di rendere tutto più accogliente possibile. Mia moglie già dorme, ovviamente. Voi accomodatevi pure, e fate amicizia." sussurrò il signore a voce molto bassa. Accese una candela ed aprì la porta di una stanzetta dotata di due letti, un cassettone, uno specchio ed una finestrella che dava sul giardino.

Fergus annuì. "Va tutto bene, signore. Grazie tante."

"Figurati. Ci sono brocche di acqua lì, e qui qualche vestito, anche se non so se entreranno anche a te. Il bagno è proprio la porta accanto alla vostra." spiegò, indicando le varie cose man mano che le nominava. "Buonanotte. Se hai bisogno di qualunque cosa, puoi chiedere a me. E se il piccolo si sente male, avvisami, per favore." Lasciò la candela sul cassettone e la porta appoggiata, ed uscì con un sorriso.

Fu in quel momento che si creò un'iniziale situazione di imbarazzo.

Fergus squadrò per bene il giovinetto che ancora taceva, e si rese conto di quanto fosse malridotto. Gli vennero in mente i bambini dell'ospizio nel quale era stato abbandonato anni prima, e si sentì invaso da un'ondata di dispiacere. Afferrò un pacchetto di fiammiferi trovato in tasca, ne accese abilmente uno, ed illuminò la stanza con una seconda candelina. Si girò nuovamente verso l'altro. "Come ti chiami?"

Il ragazzino lo fissò, immobile. Gli occhi blu furono messi in risalto dalla piccola fiamma, così come il pallore spettrale del suo viso. "S-... Sono Scott..."

Fergus annuì, con un lieve sorriso. "Fergus..." Allungò il braccio in direzione dell'altro.

Scott ci mise un po' per capire quale fosse la sua intenzione, e subito dopo gli strinse la mano. Lo guardò a lungo negli occhi scuri.

"Tutto bene? Hai ancora freddo?"

"No no, va meglio, grazie." Scott negò scuotendo il capo. Fece dietrofront, camminando verso il proprio lettino. Si tolse le scarpe e la giacca, dandogli le spalle.

Fergus era leggermente perplesso, ma cercò di parlargli comunque, prima di andare a dormire. "Questa era... la tua stanza, no? Ho invaso il tuo territorio." disse, il tono ricolmo d'ironia amara, togliendosi alcuni indumenti anche lui.

Scott accennò un sorriso dolce senza farsi vedere. "Sono felice che tu sia qui. Mi piace stare solo, ma non sempre. A volte diventa inquietante..."

"Lo capisco."

Intanto, Fergus si era già sdraiato, affondando la testa sul cuscino. Non che fosse rilassato; non lo era affatto. Si trovava in un luogo totalmente nuovo; non conosceva nessuno, ed in quel momento non faceva che pensare alla famiglia McDevill, ai giochi con le sorelline ed il fratellino, all'affetto dei genitori che gli era stato strappato. Ad Angus. Si trattenne per non scoppiare ancora in lacrime, e si limitò a stringere il piumone tra le dita, stirando le labbra. Scott chiuse gli occhi e posò la mano sul proprio ventre, con un lungo sospiro che attirò l'attenzione del biondo.

"Hai mangiato?" domandò Fergus, inespressivo.

"Hmm?"

"Mi chiedevo se... avessi buttato giù qualcosa per cena. Io no, per esempio."

Il piccolo ci rifletté: "No, non ho mangiato. Non avevo voglia. Tu perché no?"

"Pessima giornata. Sono stato cacciato da casa mia." Fergus si rese conto che ciò che aveva passato non era certo qualcosa da raccontare, quindi smise subito di parlarne. Non voleva farsi cacciar via pure di lì.

Con sua grande sorpresa, Scott non gli domandò altro. Bisbigliò un semplice: "Mi dispiace."

Il biondo non rispose. Continuò a fissare il soffitto per un po', gli occhi che bruciavano. Poi scese dal letto, e si piegò in ginocchio sul proprio fagotto. Tirò fuori del pane e qualche biscotto bianco. "Comunque, devi mangiare. Beh, dobbiamo. Non è proprio il massimo, ma..." Sorrise lievemente, ripensando all'uomo di cui era innamorato, a quando gli aveva fatto cambiare abitudini alimentari dopo che la sua famiglia l'aveva adottato. Fece dei passi fino a raggiungere il letto del più giovane, e si sedette sul bordo.

Anche Scott si raddrizzò. "Hai gli occhi lucidi, stai bene?"

"Certo. Ho sonno, sai..." mentì Fergus, e gli passò un tozzo di pane. "Serviti pure. È così strano mangiare a quest'ora... non lo faccio da quando ero bambino, credo."

Di colpo, il biondo notò qualcosa di bizzarro in Scott. Quest'ultimo aveva preso a fissarlo molto più attentamente di prima, come se avesse voluto dirgli qualcosa ma non stesse osando farlo.

"Fergus...?"

L'altro ridusse gli occhi a fessura. "Che ti prende?"

Nessuna risposta. Scott si passò il palmo sulla fronte ed abbassò il capo. "No, nulla... dai. Solo... credevo di averti già incontrato da qualche parte. Grazie per il pane. Sei gentile come mi sembravi."

Fergus annuì. "Non ti illudere. Potrei essere una cattiva persona." lo schernì, strappandogli una risatina silenziosa.

Scott si mise a masticare lentamente, facendo più spazio a Fergus che si sistemò proprio ai piedi del materasso. Era strano. Si erano incontrati da pochi minuti, eppure ogni gesto, ogni parola era naturale in maniera sospettosa.

"Tuo padre non ti somiglia molto." disse Fergus cordialmente, ad un certo punto.

"Oh, ma quello non è mica mio padre." Scott staccò un pezzo di biscotto.

Il più grande sollevò le sopracciglia. "Ma sul serio?"

"Il figlio naturale di Ryan e Lucinda non c'è più. Era molto piccolo quando si è perso. Non l'hanno più ritrovato..."

"Ah..."

"Ed io sono stato adottato a cinque anni." Si allungò per prendere un bicchiere d'acqua senza dover scendere dal letto.

'Okay, se dice la verità, non è all'ospizio che l'ho visto... eppure non è proprio il suo viso ad essere familiare... è qualcos'altro...' pensò Fergus, senza capire. Si chiese se fosse il caso di porgli quella domanda che tanto lo faceva fremere, e che rischiava di rimanergli in gola se non si sbrigava a pronunciarla. "...e ti, ti trattano bene qui?" Attese per qualche lungo secondo, un po' nervoso.

"S-sì, certo..." Gli occhi blu di Scott rimasero nuovamente incollati a quelli di Fergus. "Sono brave persone. Puoi fidarti."

"Allora perché non mangi...? E cosa hai qui?" Fergus posò delicatamente il palmo sul dorso graffiato della mano del ragazzino. "Scusami tanto per l'invadenza, ma me ne hanno fatte di tutti i colori in diciannove anni, e se c'è bisogno di fuggire anche da qui, ti prego di avvertirmi. Ti aiuto anche, se vuoi." mormorò nel tono più gentile che conosceva.

Ma Scott si affrettò a scuotere il capo. "No. Non temere nulla. Questo..." Si indicò le mani. "... siamo stati a raccogliere frutta prima di andarti a prendere, ed io sono parecchio imbranato. E... e soffro di inappetenza e di qualcos'altro che... che ancora cerco di capire, per questo a volte non mangio."

Fergus rimase con lo sguardo assente, ad analizzare il viso di Scott, la sua postura. Non dava evidenti segni di star mentendo. Il ragazzino prese il suo spazzolino e si pulì i denti meglio che poté.

"Ora scusa, ma voglio dormire. Il mio problema mi fa venire molto, moltissimo sonno. Sempre."

"Va bene. Io sono nottambulo, invece, ma non ti disturberò. Buonanotte." disse Fergus, e sorrise.

Scott si arrotolò per bene fra le coperte. "A te."

Il più grande spense le candele.

Non dormì bene quella notte. Il materasso era troppo morbido, ed un cane abbaiava e si lamentava là fuori. Ma non erano certo quelli i veri problemi che lo tenevano sveglio.


---


14 Settembre 1682


Di giorno, la casa di Ryan e Lucinda pareva completamente diversa. Era una comune fattoria di campagna, e pareva una minuscola chiazza di marroncino in mezzo ad uno di quei dipinti verdi di Monet.

Il signor Ryan amava suonare i suoi strumenti musicali - in particolare l'armonica - e possedeva un frutteto fuori dalla casetta. Sua moglie preparava spesso dolci alla cannella, e di solito portava i capelli grigi raccolti in uno chignon. Il canto degli uccellini iniziava a farsi sentire all'alba, e cessava solo sul tardi. E Raf era il loro cagnolino, un vivacissimo terrier di quattro o cinque anni.

Erano poveri ma così allegri, proprio come i McDevill, ma a differenza di questi ultimi - tutti musicisti - gli Anderson erano sarti. Non avevano molto successo, ma riuscivano a guadagnarsi da vivere e questo bastava. E adesso avevano due mani in più che potessero aiutarli a trafficare con stoffe, forbici e chi più ne ha più ne metta. O meglio, quattro mani, perché prima che Fergus si unisse a loro, Scott non riusciva a concentrarsi in nulla. Stava quasi sempre a letto, malato, e non aveva forze. Sembrava che il nuovo arrivato l'avesse risvegliato piano piano, che l'avesse salvato.

E Ryan e Lucinda erano infinitamente grati, perché fino a quel momento avevano fatto di tutto per riparare quel ragazzino problematico. L'avevano trovato per strada a cinque anni, privo di memoria. Nessuno sapeva cosa gli fosse accaduto di preciso, né cosa nascondesse, ma Fergus era deciso a scoprirlo. Dopotutto, il loro rapporto si faceva più confidenziale ogni giorno che passava. Parlavano tutto il tempo, di qualunque argomento passasse loro per la testa - eccetto le loro famiglie naturali. Uscivano a fare compere insieme, lavoravano, e cercavano di pagare le spese di scuola a Scott, che ci era finalmente ritornato dopo la ripresa economica della famiglia.

Quel giorno di metà Settembre, Fergus andò a prelevare Scott dall'istituto, e lo portò al parco per pranzare su una panchina prima di rincasare. C'era un bel po' di strada fra la scuola e la loro sartoria, e ogni tanto gli Anderson preferivano chiedere a Fergus di portargli qualcosa all'orario di uscita. Ai ragazzi non dispiaceva, dato che approfittavano per rilassarsi e chiaccherare un po' in disparte.

Peccato che quella volta non fossero poi così soli. Quattro occhi li stavano spiando da lontano. Erano due uomini sulla quarantina, alti e ben vestiti, che fumavano due pipe.

"Lo vedi? È lì... " mormorò il più vecchio all'altro.

"Lo abbiamo trovato allora..."

"Non fissare troppo a lungo in quella direzione, o se ne accorgono."

"Scusami! Ma chi è dei due?"

"Quello scuro e piccoletto. È pericoloso. Bisogna andarci piano però... secondo me la gente che ha attorno non ha idea di come sia. Credono sia normale, passeremmo per degli assassini ingiustificati. Dovremmo cancellare le tracce del delitto, e non farci vedere."

"La cosa peggiore è che è costantemente scortato da quel biondino... ma sarà suo fratello?"

"Ma che fratello e fratello, non si somigliano affatto."

L'altro sospirò, sbirciando dietro un albero il giovane duo che discorreva. "Sembra così tranquillo però, e buono-"

"Va fatto fuori." lo interruppe il collega. "Non hai idea di che cosa gli ho visto fare..." L'uomo disse qualcosa all'orecchio dell'altro, e quello lo fissò.

"È un mostro."

"Hai colto il punto. E come ti ho detto, va eliminato."

Ci fu una lunga pausa di silenzio, prima che l'altro potesse rispondere: "Sarà fatto, signor Ketch."


---


24 Dicembre 1682


"Passami quella forchetta, Fergie!" disse Scott, mettendo assieme tutto ciò che serviva per preparare il dolce di Natale.

"Ti ho detto di non chiamarmi così, scemo." Il ragazzo gli passò l'utensile, e lo pizzicò delicatamente su un fianco, facendolo ritrarre.

"Ti sta benissimo. Dai, ti do il permesso di chiamarmi Scotty, anche se lo odio." Ammiccò.

"Non esiste." Fergus si sistemò sulla propria sedia, lasciando scorrere lo sguardo sulle scodelle, i coltelli, la farina, la frutta secca. Bevve un sorso di brandy e guardò Scott in grembiule che prendeva gli ingredienti poco a poco e li amalgamava. Il suo viso era più rosa a causa del calore del camino acceso, gli occhi sereni. Si versò un altro bicchiere.

"Hey... non esagerare, non vorrai sentirti male?"

"Il mio fegato regge molto bene l'alcol." replicò il biondo.

"Ed io non reggo te da ubriaco." Scott gli tolse la bottiglia di brandy, e la posò accanto a sé. "L'ultimo e poi la smetti, e magari mi dai una mano a fare la torta."

Fergus ruotò gli occhi, e sorrise sotto i baffi. "Che rompipalle."

"Mi importa di te e della tua salute, semplicemente, tutto qui. Tu non fai che dirmi di mangiare di più, ed io ti dico di scolarti meno di quella roba."

Il più grande cedette e si alzò. Si mise a sgusciare la frutta secca in un piatto bianco.

Continuarono a seguire passo passo la ricetta scritta da Lucinda, facendo attenzione alle quantità e al resto, finché l'unica cosa rimasta da fare non fu attendere che la mince pie cuocesse. A quel punto, si sedettero davanti al camino, col loro cane che dormiva in una cesta.

Fergus socchiuse gli occhi, tendendo le mani livide verso la fiamma scoppiettante. Forse era giunto il momento di capire cosa ci fosse di così strano in Scott, il momento di vederci chiaro. Non c'era nessuno in casa a parte loro, Ryan e Lucinda erano usciti per qualche ora quel pomeriggio tardo. "Sai una cosa, Scott?" iniziò a dire a bassa voce. "Io non... non mi sono mai fidato di nessuno ciecamente, intendo... al cento per cento. Ma forse di te comincio a..."

"Mi fa onore. Io mi sono sempre fidato troppo, invece... di tutti."

"Ma ci sarà qualcosa di cui non hai parlato a nessuno, no?"

Scott si tese un poco, e si voltò. "Mmh?"

"Andiamo. Un segreto di quelli indicibili. Io ne ho addirittura uno che potrebbe causare la mia morte." Fergus si passò una mano fra i capelli chiari, tentando di ravviarli.

Il moro sbatté le ciglia. "Ne ho... anche io uno che mi ucciderebbe." confermò, e si raddrizzò sulla sedia, stirandosi la schiena.

Fergus gli rivolse un sorriso compiaciuto. "Okay. Che ne diresti allora di confessarci i nostri segreti peggiori? Uno ciascuno, così ci fideremo totalmente l'uno dell'altro. Però..." Si alzò per un secondo, il tanto che bastava per girare la sedia verso l'amico. "...cominci tu. O niente."

Scott parve contrariato. "L'idea è stata tua... perché dovrei cominciare io?"

Fergus fu sorpreso dal modo in cui il ragazzo gli tenne testa, ed ammiccò con una scintilla furba negli occhi: "Come vuoi, lasciamo perdere, Scotty..."

"No, no, no... la mia era solo una battuta!"

Fergus scoppiò a ridere. "Sei buffo da morire... allora, confessa un po', peccatore. Che avresti fatto con quella faccia da angelo?"

Scott fece ruotare gli occhi. "Il mio segreto va guardato. Non raccontato. Osserva attentamente ciò che faccio."

Fergus fece un sorriso sghembo di curiosità, allettato dalle sue parole. "Mmmh. Mi farai un trucco di magia o che?"

L'altro ridacchiò. Tese la mano verso il tavolo. Gli utensili ammassati presero a fluttuare in aria lentamente, e raggiunsero vari punti della stanza, prima che Scott richiudesse il pugno e li lasciasse cadere al loro posto. Non sbirciò la reazione del più grande. "E non è tutto... Ryan e Lucinda arriveranno esattamente tra... " Indicò l'orologio al muro. "Dieci minuti e cinquantaquattro secondi. Porteranno frutta e dolcetti e credo anche vino. E... sta per piovere molto forte. E lui dirà 'Oh, siamo sfuggiti alla pioggia per un pelo'..." farfugliò.

Finalmente sollevò il capo e guardò l'amico, il quale era sorprendentemente sereno e impassibile.

"Sei il primo che non mi fissa come se fossi un mostro." disse Scott.

"Mia madre era una strega. Ne ho viste di molto peggiori,"

"Non ti stupisce quasi nulla. Buon per me, perché sono un tipo bizzarro. E non sono uno stregone, sono un sensitivo. Devo ancora capire quante capacità ho, a parte vedere il futuro e smuovere roba."

"Figo." Fergus sentì il cuore palpitare sul petto all'idea di dovergli dire quel segreto tremendo che tanto gli pesava dentro. "Mi auguro che tu non resti troppo scioccato o spaventato da ciò che sto per dirti."

"Cosa!? Il segreto non era il fatto che tua madre fosse una strega?!"

Fergus sbuffò. "Non me ne frega un cazzo di tenere segreto ciò che combinava Rowena con quegli intrugli. Per quanto mi riguarda, spero tanto che l'abbiano presa, quella maledetta bastarda. Se lo merita."

Scott era sconvolto. A quanto pareva, avevano più cose in comune di quanto credesse.

"...comunque... il mio segreto è che..." Sospirò, smettendo di guardare l'altro ragazzo. Ci mise molto a parlare. "Prima che mi cacciassero da casa McDevill... mi sono fatto... scopare da un uomo. E mi è piaciuto."

Dopo mezzo minuto di silenzio tombale, due lacrime scesero dagli occhi di Fergus, il quale fece di tutto per non contrarre il viso. Scott era arrossito completamente, e lo stava fissando ad occhi spalancati. "Ah..."

Fergus sorrise, e si asciugò una guancia. "Non scappare, eh? Non sono tossico."

"Non scappo. Non ho motivi." lo tranquillizzò Scott. Gli posò una mano sulla spalla e lo abbracciò timidamente, lasciando che il più grande poggiasse il capo sulla sua clavicola. "Va tutto bene. Sei il mio migliore amico, ed io ti voglio bene, tantissimo." sussurrò Scott. "Anche se a volte sei cinico... e un pochino stronzo."

Il risolino di Fergus fece tremolare entrambi. "Grazie per il uhm... complimento...?"

"Lo è." Scott si staccò da lui, ed i loro occhi si incontrarono. Le dita di Scott accarezzarono la guancia di Fergus. "Dieci, nove, otto, sette, sei..."

"Che stai-"

"Cinque, quattro, tre, due, uno..."

La porta si aprì, e i ragazzi sentirono qualcuno entrare in corridoio. "Oh! Siamo sfuggiti alla pioggia per un pelo. Indovinate... ho portato i dolcetti, le mandorle, il vino... tanta roba insomma. Bisogna festeggiare - hey, che avete?"

"Wow, sono impressionato." mormorò Fergus a Scott.

Ryan alzò un sopracciglio. "Impressionato?"

"Sì dalla quantità di leccornie che avete portato!" rispose pronto Scott, per mascherare l'imbarazzo del suo amico.

Mangiarono tutta la sera accanto al fuoco del camino, si scambiarono gli ultimi regali a mezzanotte. Si raccontarono fiabe popolari e, per una volta, riuscirono a non pensare a nulla di triste o doloroso.

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Angolo dell'autrice:
Fuffy wayyyyy! Qualche gioiuzza ed un amico sincero per Fergie ci volevano, alla prossima!
   
 
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