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Autore: Seleryon    02/01/2018    0 recensioni
"È un'ottima amica!"
[...] non doveva assolutamente ascoltarle quelle parole, ma lei era là, appena detrasformata, e non poteva correre via in incognito come avrebbe fatto con indosso la maschera di Ladybug. E quindi l’aveva sentito. Adrien. Il suo bellissimo, dolce, gentile Adrien che, alla domanda di Kagami “Ti piace molto, vero?”, rispose “Oh, sì, è un’ottima amica!”. [...]
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Marinette aveva la mente completamente annebbiata dagli eventi appena trascorsi. Adrien le era caduto praticamente addosso e, sì, lei aveva volontariamente fermato la caduta, il suo istinto di protezione, lo stesso istinto che le aveva dato diritto di essere la prescelta Ladybug, le aveva fatto muovere il corpo senza nemmeno pensarci, e poi era Adrien che stava cadendo quindi era d’obbligo salvarlo, ma ciò non toglie che le fosse caduto addosso, così, piovuto praticamente dal cielo (in realtà cinque gradini più su), direttamente tra le sue braccia. Poi lui l’aveva abbracciata. E l’aveva stretta. Non una stretta tipo “hey, grazie, mi hai salvato, me la sono vista brutta” ma una stretta “oh, mio Dio, mi hai salvato, e tu sei tu, e stai bene, e che bello, adoro stare tra le tue braccia!”, perché Adrien aveva effettivamente mostrato piacere nello stare tra le braccia di Marinette e aveva anche strofinato il naso sul suo collo, e le aveva detto quella frase. Adrien si era accorto dello stato d’animo della ragazza dell’ultimo periodo e si era talmente preoccupato che, alla prima occasione di assicurarsi che stesse bene, l’aveva stretta e si era avvinghiato a lei come se fosse una cima di salvataggio, spaventato, preoccupato, e finalmente sollevato. La giovane eroina non sapeva cosa pensare e dopo un primo momento in cui era riuscita a controllarsi e a non sciogliersi in un ammasso di brodo di giuggiole, il comportamento da coccole di Adrien l’aveva messa ko. Il suo cervello si era spento. Andato. Alya era dietro di lei sul gradino inferiore al suo quindi poteva solo immaginare la reazione di Marinette ad Adrien, ma uno sguardo a Nino che a stento tratteneva le risate, le disse che la sua migliore amica aveva uno sguardo assolutamente ineguagliabile. Sghignazzando, quindi, salì a due a due i gradini fino alla cima dov’era Nino e da cui era caduto il modello, e guardò Marinette: le sue aspettative non furono assolutamente distrutte. Marinette aveva i suoi enormi occhi blu talmente sgranati e stupiti da sembrare il doppio della loro normale grandezza, le iridi fisse davanti a sé e chiaramente non vedeva né percepiva niente se non Adrien, il suo peso e il suo calore su di sé. Le sue piccole labbra carnose erano dischiuse in una “o” di stupore e incapacità di pensiero, l’intero viso talmente paonazzo da far risaltare gli occhi di un blu ancora più profondo. Alya non poté fare a meno di tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei suoi jeans e iniziare a scattare foto a profusione come se stesse catturando una delle mirabolanti azioni dal vivo di Ladybug e Chat Noir perché in fondo, questo tipo di mirabolanti avventure, soprattutto quelle che involvevano Marinette e Adrien sono ancora meglio di due supereroi che salvano Parigi in calzamaglia e tute aderenti da non lasciare troppo spazio all’immaginazione. Decisamente, fare in modo che Marinette ricordasse per sempre questo giorno era la priorità per Alya. Ed evidentemente anche per Nino perché anche lui aveva cacciato il telefono e stava registrando un mini video per riprendere tutta la scena da più angolazioni, e Alya pensò che probabilmente ci avrebbe montato su una specie di film con tanto di colonna sonora mixata da lui, da bravo aspirante dj e regista quale è avrebbe fatto di sicuro un capolavoro di imbarazzanti scene e tagli e musiche strappalacrime. E se tutti e quattro fossero stati abbastanza fortunati, questo sarebbe stato il primo di una luuunga serie di video–documentari sulla Adrienette, dalla nascita fino al coronamento del loro amore, poi i pargoli, il matrimonio dei pargoli e insomma, sì, finchè morte non li avrebbe separati.
Dopo aver ripreso la splendida espressione da tabula rasa di Marinette, Alya e Nino scesero i gradini per andare a vedere quella di Adrien che nel frattempo aveva reso l’abbraccio ancora più disperatamente da orso. Il biondo alzò lo sguardo e incrociò gli occhi dei suoi amici per un breve lasso di tempo per poi rituffarsi con tutta la faccia nel collo della ragazza che aveva tra le braccia ma quel poco bastò per essere registrato per sempre e la sua espressione di assoluta beatitudine e soddisfazione sarebbe rimasta per sempre nella storia. A Nino ricordò tanto quando Chat Noir salva Ladybug da un colpo particolarmente pericoloso per poi abbracciarla sollevato di essere riuscito a trarla in salvo ma soprattutto soddisfatto per avere un pretesto di accoccolarsi a lei come il gatto che è, ma il giovane artista musicale si ridestò subito dai suoi pensieri perché nel giro di pochi secondi Adrien aveva finalmente sganciato da sé Marinette e la stava guardando negli occhi con così tanto affetto da far rimanere a bocca aperta tutti i passanti che stavano passando per le scale diretti da qualunque parte li aspettasse il loro pranzo. Non stavano parlando ma l’espressione di Adrien era talmente forte e diceva talmente tanto, e la postura rigida e scioccata di Marinette stessa parlava per lei, che si capiva che entrambi stavano avendo una qualche conversazione fatta solo di sguardi e battiti di ciglia.
L’idillio fu prontamente rotto da Chloè che, chissà quale forza santa l’avesse trattenuta, si era comportata bene fino a quel momento, quando si frappose tra i due e tirò a sé Adrien per andare a pranzo. Il ragazzo non distolse lo sguardo da Marinette, che nel frattempo si era ripresa quel tanto che bastava per girarsi a guardarlo, e i due rimasero con gli occhi incollati l’uno all’altro finchè lui non sparì definitivamente dalla vista. Solo allora Marinette si rese conto di Alya che la sorreggeva e Nino che le dava colpetti affettuosi sulla spalla, e la povera aspirante fashion designer si ritrovò a guardare entrambi i suoi amici, andando avanti e indietro dall’uno all’altro viso, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce, incapace di formulare qualunque pensiero di senso compiuto che avesse potuto passare dalle sue labbra. Tutto ciò che riuscì a formulare furono solo piccole sillabe di “oh”, “uh” “eh?!”, e prima che potesse rendersene conto, aveva raggiunto la boulangerie di famiglia, aiutata e trascinata dai suoi amici che si sarebbero fermati per pranzo e per prenderla un po’ in giro, oltre che assicurarsi che avesse fatto ritorno a scuola con abbastanza presenza mentale da seguire almeno le ultime lezioni della giornata. Anche i signori Dupain–Cheng si accorsero dell’eccessiva imbranataggine della figlia di quel pomeriggio, ma un’occhiata di Alya, che ancora rideva con Nino, fece capire loro che sì, qualcosa era successo, qualcosa di bello ma imbarazzante e che la loro adorata figlia non ne avrebbe mai parlato non per mancanza di voglia ma perché le risultava difficile già solo processarlo e crederci.
Il pranzo fu consumato in fretta e c’era ancora abbastanza tempo per bighellonare o anticipare un paio di compiti per il giorno dopo, ma i tre amici decisero che sarebbe stato meglio tornare prima a scuola in modo da far calmare meglio Marinette. La ragazza si era ripresa. Era ancora scioccata e incredula ma era vigile. Il suo volto era ancora rosso d’imbarazzo ma quella particolare sfumatura a metà tra rosso e rosa le dava una bellissima luminosità che la rendeva ancora più carina e Alya pensò che Adrien avrebbe dovuto vederla in quel momento per cadere subito ai suoi piedi.
Quando tornarono in aula fortunatamente non era ancora tornato nessuno della loro classe, così i tre poterono parlare tranquillamente e senza interruzioni. Nino tirò fuori il video e lo mostrò alla sua amica di infanzia e Marinette si rese conto di quanto tutta la situazione fosse davvero come un qualche film d’amore per teenagers, rivedendosi sullo schermo con quella espressione da ebete e Adrien bellissimo che sembrava un principe che aveva appena salvato lei e non il contrario. – Marinette, tesoro, non vorrei spaventarti ma Adrien è assolutamente cotto di te! Insomma guarda con che espressione si ritrova! Oh, Marinette, è fantastico! – Alya saltava sulla sua parte di panca come se avesse vinto la lotteria. Blaterava e sghignazzava e sarebbe sembrata una folle con iperattività ad un occhio esterno. La sua amica, però, oltre a sembrare imbarazzata, non aveva detto ancora niente e la sua espressione era più mortificata che felice. La brunetta dai capelli ricci si accorse del mood della ragazza al suo fianco e, incapace di capire perché non stesse già programmando la data del matrimonio, si addrizzò gli occhiali sul naso e scosse Marinette per una spalla. – Hey, tu, perché sei così malinconica?! Non è stupendo? Adrien ha una cotta per te! – ma Marinette invece alzò lo sguardo e fissò gli occhi ambrati di Alya con una strana espressione, scuotendo leggermente la testa a destra e sinistra in una piccola forma di diniego. – No, Alya, – cominciò – Adrien non è innamorato di me.
– Ma come no?! Riguarda il video, dai! È chiaro come il sole! – ma qualunque cosa Alya dicesse, portando prove e facendo ripartire la registrazione di Nino, Marinette rimase ferma su quel punto. Fu allora che capì lo strano comportamento dell’amica delle ultime settimane. – Ti sei dichiarata?! E non me l’hai detto?! E lui ti ha rifiutato?! Oooh, io lo ammazzo, prima ti rifiuta e poi ti abbraccia come se fossi il suo tesoro più prezioso, no, non glielo permetto! Nino! – si girò di scatto e Nino sobbalzò sul suo posto come se gli avessero teso un agguato alle spalle. Guardò la sua fidanzata con un misto di terrore e incomprensione e Alya lo prese per il collo della maglia, portando il viso a un palmo dal suo e guardandolo con ferocia. – TU! Lo sapevi?! Adrien ti ha detto niente?!
– Ferma, Alya! – si intromise Marinette. La stretta sulle spalle di Alya era forte e d’ammonimento, e la riccia lasciò andare Nino con una spinta. La sua faccia esigeva chiaramente spiegazioni e attese che l’amica si calmasse e prendesse un paio di respiri profondi per cominciare finalmente a sentire il perché della sua infinita tristezza che ultimamente l’aveva trasformata in un crogiolo di malinconia. L’eroina in incognito si sistemò con la schiena dritta sul suo posto a sedere, diede una veloce occhiata ai suoi due amici occhialuti, e prese un altro respiro profondo. – Qualche settimana fa, non ricordo di preciso – Marinette non poteva di certo dare troppi indizi – sentii Adrien parlare di me con qualcuno, e disse che per lui sono un’ottima amica, dolce, gentile, altruista e ottimista ma un’ottima amica. È per questo che ultimamente non ero me stessa, mi sentivo un po’ giù, semplicemente dovevo processare il fatto di non avere speranze con lui. – concluse con un sorriso. Alya la guardò con gli occhi tristi, e anche Nino si sentì quasi in colpa. Sui tre cadde un silenzio spezzato solo dal vociare lontano degli altri studenti che intanto stavano rientrando dal pranzo. Mancavano ancora pochi minuti all’inizio delle lezioni pomeridiane e di lì a breve non avrebbero avuto più la possibilità di parlare liberamente, così Alya fece l’unica cosa che le venne in mente. Abbracciò Marinette, la strinse in una morsa mozzafiato e le disse, con tutto l’ottimismo che riuscì a mettere nelle sue parole – Non preoccuparti, tesoro, i gesti indicano ben altro! – e rimasero abbracciate, sotto lo sguardo protettivo di Nino per la sua amica d’infanzia e la sua fidanzata, finchè la classe non si fu riempita nuovamente e oltre. Solo quando Adrien fece la sua comparsa e vide le due amiche abbracciate le due si sciolsero ma rimasero comunque vicine e coi fianchi incollati come due siamesi. Adrien intuì che avesse qualcosa a che fare con quello che era successo prima di pranzo ma ci passò su. Andando a sedersi sorrise a Marinette e lei gli rispose brevemente prima di distogliere lo sguardo, di nuovo rossa in viso.
Per Marinette, le ultime lezioni pomeridiane passarono così veloci ma allo stesso tempo così lentamente che non si capacitò come si ritrovò nuovamente a casa, stesa sul letto con la faccia sepolta nel suo cuscino–gatto a ripensare, per l’ennesima volta, a quell’abbraccio, e a quanto potesse essere ridicola a farsi ridurre così da una semplice manifestazione d’affetto solo perché veniva dalla sua cotta. Cotta che la considerava una ottima amica e nulla più. Tikki le si era seduta sulla nuca e mangiucchiava un biscotto spargendo piccole briciole sui capelli della sua detentrice. Gongolava, però, Tikki. Ridacchiava e sghignazzava e l’eroina sotto le sue divine natiche pensava fosse perché effettivamente era ridotta a un unico pezzo di molle gelatina, soprattutto le ginocchia, e anche lei si unì alle risatine, e pensò che avrebbe dovuto schiarirsi assolutamente le idee. Fortunatamente quella notte avrebbe avuto un altro appuntamento con Chat Noir per un’altra ronda notturna, e magari sarebbe stata abbastanza fortunata da chiedergli consiglio. Dopotutto, nonostante Chat Noir continuasse a professare il suo profondo amore per lei, erano dapprima migliori amici, e Chat sarebbe sempre stato l’unico con cui avrebbe potuto parlare senza sentirsi in imbarazzo. Niente cose che involvessero troppe informazioni sulle rispettive identità, avrebbe potuto togliersi un peso dallo stomaco e Chat avrebbe capito e l’avrebbe aiutata anche se ci sarebbe rimasto un po’ male. Marinette si sentiva in colpa nei suoi confronti, avrebbe potuto benissimo starsene con la bocca chiusa e non dire niente, ma il suo compagno la legge sempre come un libro aperto, e sarebbe inutile nascondergli qualunque cosa perché con un paio di domande ben piazzate sarebbe capace di estorcere tutta la verità senza che lei se ne renda conto, quindi meglio andare subito con la verità. Veloce e indolore. Quasi.
La mezzanotte non le sembrò mai così lontana come quella sera.
 
***
 
Il vento tra i capelli, l’adrenalina delle cadute libere. Parigi illuminata a festa in una normalissima notte, la luna alta nel cielo, splendente, eterea, circondata da stelle. Nessuno direbbe mai che la città dell’amore sia puntualmente l’obbiettivo di uno dei peggiori cattivi della storia. Ladybug rimette a posto tutto ciò che va storto durante le battaglie e Chat Noir si sente così attratto dalla sua partner che quasi gli fa male fisicamente. È una sensazione ben più forte dell’amore, del desiderio o del destino che li unisce. Sente il suo cuore esplodergli nel petto a ogni suo respiro, a ogni sua risata, ogni sua parola. E quando lei lo guarda con i suoi immensi e profondi occhi blu che riflettono la notte stellata, lui sente che potrebbe benissimo passare la sua vita a guardarla senza dire una sola parola. I loro sguardi parlerebbero per loro, e Ladybug è così espressiva anche senza profferir parola che si meraviglia ogni volta di essere l’unico a capirla solo osservando il moto delle sue spalle e delle sue mani.
Chat Noir è un tipo dinamico, sempre in movimento, mai fermo, vuoi per scaricare l’eccessiva stasi accumulata nella sua vita civile, vuoi per la felicità di essere libero e con la sua amata, ma Chat si muove tanto da bastare anche per Ladybug. Lei, infatti, è più calma, con la testa sulle spalle, una pensatrice. Ladybug è la mente, Chat Noir il corpo. E insieme formano un corpo perfetto capace di tenere testa ai nemici più disparati. Quando è pensoso Chat Noir si ferma e rimane immobile. Quando è pensosa Ladybug misura a grandi passi i tetti su cui si sono fermati a riflettere. Guarda ovunque, osserva, cerca il filo giusto per sbrogliare la matassa dinnanzi a loro. E Chat osserva lei. Le sue spalle gli indicano che la soluzione al problema è vicina. Le sue gambe che percorrono a grandi falcate la lunghezza del tetto gli dicono che non riesce ancora ad aggrapparla. Le mani gli parlano di prossimità. Le braccia gli indicano di lasciarla pensare in pace. E Chat aspetta. Vede le rotelle nella testa di LB che si muovono e mettono a posto un puzzle complicato.
Nella sua vita civile, Chat Noir è stato educato a pensare e a fare piani, creare strategie per proteggersi dagli altri che vogliono entrare a far parte della sua vita in malo modo, proteggersi dal suo stesso padre, pensare sempre almeno un passo avanti al “nemico”, mai lasciar trasparire un’emozione, mai mostrarsi deboli: tutti vogliono approfittarsi di un Agreste, mai lasciare che accada. È per questo che quando è Chat Noir si rimette completamente nelle mani di Ladybug. Spegne il cervello, non pensa, è calibrato solo per proteggerla. Se lei ha bisogno del suo cervello allora lui lo accende, altrimenti il pilota automatico lo tiene concentrato abbastanza solo da sentire tutti i pericoli prima che possano sfiorare la sua partner, concentrato abbastanza da leggere i suoi sguardi e mettersi in linea con la sua strategia d’attacco e difesa. In battaglia lei deve essere sempre vigile per sconfiggere il nemico, lui sempre vigile per far sì che il nemico non la sfiori neanche con lo sguardo. Durante le ronde entrambi sono attenti a ciò che accade intorno a loro ma sono tutti e due rilassati e giocosi. Spesso si ricorrono sui tetti, giocano com’è giusto che due adolescenti giochino. E ogni volta che Chat Noir, con il suo udito avanzato, percepisce il lieve “zac” della stringa dello yoyo di Ladybug che si avvicina, e il conseguente soffice “thump” di quando atterra alle sue spalle, è sempre una sensazione di gioia pura. Ogni volta lui si volta, lei gli sorride, e l’Adrien sotto la maschera da supereroe si sente protetto e a casa. Chat Noir invece sorride col suo solito sorriso tutto su un lato e si inchina a lei, la tratta da regina, la Lady che è, la sua Lady, la sua signora, l’unica da cui prende volentieri ordini, ordini che salvano il deretano più spesso a lui che ai parigini, perché, come dice sempre la sua amata, “Ladybug non sarebbe nessuno senza Chat Noir e Parigi non sarebbe più Parigi senza lui che la difende”.
La libertà di poter essere se stesso non è nulla per lui in confronto alla sensazione di sicurezza e serenità che Chat Noir prova accanto a Ladybug.
 
Zigzagando e saltando da un tetto all’altro col suo magico e indistruttibile yoyo, Ladybug finalmente riuscì a liberare la mente dagli eventi della giornata, ma sapeva benissimo che sarebbe bastato poco per aprire l’argomento col suo micio preferito. Quella sera si sarebbero incontrati su un edificio alto ma riparato di fronte alla Senna. Solitamente si incontrano alla Torre Eiffel ma una volta a settimana la vista della Senna è d’obbligo. Non tutti i giorni hanno la possibilità di fare le ronde. Si erano messi d’accordo qualche mese prima, più o meno dall’attacco di Volpina, che avrebbero dovuto tenere d’occhio la città anche di notte, per il bene di Parigi e anche per rafforzare ancora il loro legame per essere migliori in battaglia, ma non sempre potevano farlo. La maggior parte delle volte o l’uno o l’altro sono troppo occupati, a volte lo fanno singolarmente, ma preferiscono sempre essere insieme perché risparmiano tempo e perché, in caso di necessità, basterebbe uno squillo sulle loro armi–cellulare e si ricongiungerebbero immediatamente. E poi, a loro piace fare le ronde insieme perché insieme si divertono e amano la loro dinamica e la compagnia che deriva dai loro incontri. Ladybug non lo ammetterebbe mai ma il tempo che passa con Chat Noir al di fuori dalle battaglie per lei è importante e prezioso, e spesso si ritrova a rimpiangere la sua regola sulle identità segrete, perché non è raro che desideri trascorrere del tempo in sua compagnia nella tranquillità dell’uno o dell’altra casa, tra un film e un gelato, una pizza e una chiacchierata che non involva akuma, Papillon e il suo possibile nido.
Quella sera, quindi, Marinette indossò la maschera di Ladybug più per motivi personali che non per scovare il detentore del Miraculous della farfalla.
Raggiunse il palazzo di fronte alla Senna nel giro di pochi minuti e il tragitto da casa al loro quartier generale per quella notte era libero e senza pericoli. Atterò, come sempre, alle spalle di Chat Noir. Anche se cerca sempre di fare il più piano possibile, si accorge sempre di Chat che avverte la sua presenza da come le sue orecchie da gatto guizzano sulla sommità della sua bionda capigliatura, e i riccioli biondi danzano nel vento sempre così meravigliosamente attorno al suo viso quando si gira e le regala uno dei suoi sorrisi da Stregatto. E anche quella notte, Ladybug non potè fare a meno di sorridere e ridacchiare, raggiungendolo in due grandi falcate sul ciglio del tetto. Chat Noir, come sempre, l’accolse col suo solito inchino e un bacio sulle nocche. – Ladybug, Milady, le tue mani sono soffici come sempre. Peccato non poterle stringere senza la nostra scintillante armatura come qualche giorno fa. – sospirò Chat. Sin da quando avevano affrontato Dark Howl, la versione akumizzata del preside Damocles, in ogni ronda Chat Noir non aveva fatto altro che tessere le lodi delle sue mani. Ladybug sbuffava e cambiava argomento ogni volta, ma mai il gatto nero aveva fatto accenno al fatto di ripetere nuovamente quel pericoloso gioco come all’interno di quel container. Quel giorno furono costretti dalle circostanze e dal piano di LB ad agire in quella maniera, sciogliere le loro trasformazioni e pregare che le loro carte non fossero svelate prima che avessero potuto ricaricare i loro Kwami e riprendere le trasformazioni. Nessuno dei due aveva sbirciato l’identità dell’altro, fedeli l’uno all’altra, soprattutto Chat Noir, che nonostante alludesse continuamente a quel particolare akuma e a quel particolare giorno, non aveva avanzato nessuna pretesa, nessuna richiesta. E di questo Ladybug gliene era grata. I loro Kwami avevano sicuramente visto, e lei di sicuro aveva tenuto per sé la sua curiosità, anche a causa del fatto di avere ben altro per la testa. Di Chat non poteva essere sicura non avesse chiesto almeno qualche indizio, ma di certo non aveva chiesto un identikit completo o direttamente la sua identità semmai l’avesse conosciuta nella sua versione civile. – Fidati, gattino, non ti piacerebbe avere a che fare con la me dietro la maschera. – ribatté lei con leggerezza. Lui la guardò dapprima sorpreso, poi comprensivo. Chat Noir ricordava bene come fosse LB al loro primo akuma. Insicura, timorosa, ma pronta a farsi carico del grave fardello che era stato posto loro sulle spalle. Lui sapeva che in quel momento era la Ladybug senza maschera che parlava, che era la ragazza dietro quel costume rosso sgargiante che aveva paura di affrontare qualcosa di più grande di loro. E lui l’aveva aiutata, le aveva dato coraggio e l’aveva sostenuta. Il ragazzo sotto la tuta di pelle nera e le sembianze da gatto si era innamorato della ragazza dietro la maschera, ma Ladybug, fedele a se stessa e alle sue insicurezze, aveva scisso le sue due identità, quella civile e quella da eroe, distinguendo perfettamente quella che le piaceva e quella che detestava. Di tutto ciò che Ladybug potrebbe mai fare per ferirlo, il fatto di non accettare la parte di sé che non ha niente a che fare con Kwami, cattivi da sconfiggere e una città da proteggere, è e sarà sempre la cosa che più gli farà male. Magari quella sera sarebbe stata la volta giusta per dirglielo. – Ho… bisogno del tuo aiuto, My Lady. – disse invece per spezzare quel breve momento di tensione e silenzio che seguirono la frase di lei. L’eroina capì l’intento del cambio di mood e si comportò di conseguenza. Inclinò la testa da un lato e fece un cenno di assenso. – Ecco vedi… nella mia vita normale c’è una persona con cui vorrei essere amico. Più che amico. Cioè, LB, non più che amico in quel senso, direi più come un super migliore amico. Ma non so come fare. Questa persona è un’ottima amica ma è timida e non si apre facilmente. O almeno con me. Che dovrei fare secondo te? – il sorriso timido e imbarazzato di Chat era impagabile. La ragazza sorrise e gli appoggiò una mano sulla spalla, l’altra volò tra i suoi capelli ad accarezzarlo e a dargli piccoli colpetti affettuosi che lui ricambiò con un piccolo e sommesso rombo alla base della gola per cui si imbarazzò ancora di più. Non era ancora abituato all’idea di essere abbastanza gatto da fare le fusa, ma almeno succedeva solo in presenza di Ladybug e non c’era nulla di cui imbarazzarsi. Forse. Il sorriso di Ladybug divenne più ampio al sentire le fusa e rise amabilmente. – Oh, mon petit chaton, mon minou, sii te stesso. Con le persone timide ci vuole solo tempo ma stai tranquillo, diverrete presto amici. Ottimi amici, da ambo le parti. – ridacchiò e, il ridicolo di quella situazione, le fece tornare in mente le parole di Adrien, ma prima che potesse esprimere qualunque pensiero circa questo proposito Chat continuò il suo discorso. – E’ questo il problema, Milady, non sono me stesso quando non indosso la maschera. Non posso. Non che menta o mi comporti in maniera totalmente diversa, è solo che… non sono così aperto e rilassato. Solo tu conosci il vero me. Lei, cioè, quella persona, non sa che ho anche un lato da cattivo ragazzo. – guizzò le sopracciglia e Ladybug, ridacchiando, lo allontanò con un buffetto sul naso. Chat Noir cattivo ragazzo? Oh, sì, se è un “bad boy” con la suit, senza, se è più calmo e pacato… beh, un angelo. Decisamente. Pensiero avvalorato anche dalla sua postura in quel momento: orecchie appiattite su quei selvaggi capelli biondi, coda avvolta attorno al corpo, testa chinata e spalle ricurve. Il ritratto dell’insicurezza. Ma nei suoi occhi verdi, luminosi come fari nella notte a causa della sua trasformazione, Ladybug lesse anche una sorta di sfida. Le stava preparando una piccola bomba. – Beh, sai, vero che non sono me stesso dall’altro lato del ponte ma, come dire?, non mi piace essere un bravo ragazzo ma fa parte di me e lo accetto tranquillamente. A differenza di te. – eccola, la bomba.
– Che vuoi dire, Chat? – la ragazza incrociò le braccia al petto in difesa. Non le piaceva parlare di sé. Sarebbe stata ore ad ascoltare Chat Noir e del bravo ragazzo che è, ma odiava quando la conversazione ricadeva inevitabilmente su di lei.
– Ci penso sin dal giorno in cui ci siamo incontrati, Milady. Tu non vuoi rivelare le nostre identità più per una questione personale che di sicurezza.
– Ma cosa…? No, Chat! Se sapessimo chi siamo nella vita di tutti i giorni, chi ci assicura che non ci faremmo scappare i nostri nomi in battaglia? Papillon potrebbe capirlo e prendere come ostaggio la mia o la tua famiglia, i nostri amici! Chat Noir, ragiona! – in un moto di stizza, Ladybug puntò i piedi e inarcò la schiena come a prepararsi a colpire. Il suo partner la guardava senza nessuna particolare espressione, scuotendo il capo e sospirando pesantemente. – No, – riprese lui – è perché tu hai paura di ciò che potrei pensare della ragazza che non è Ladybug. – lei fece per rispondere ma lui prima alzò le mani in segno di silenzio e poi la prese per le spalle, dolce ma fermo nella sua presa, e la guardò dritta negli occhi. – tu non capisci che tutto ciò che sei da civile lo riporti nella te eroina. Tu sei tu, con o senza la maschera. Sei insicura? Chi non lo è! Sei impaurita, spaventata, e ti senti una nullità? Certo, è normale. Sei umana. Ti senti travolgere ogni volta più forte da tutte queste responsabilità che ci hanno scaricato addosso? Beh, siamo in due.
– Tu non mi conosci, Chat.
– Ladybug, rispondimi. Eri tu quando combattevamo contro Dark Howl, no? – lei assentì, confusa. Chat la guardava con fierezza e pazienza, come se stesse insegnando qualcosa a un bambino particolarmente testardo nel non voler capire la lezione. – Ed eri tu anche quando abbiamo rilasciato le trasformazioni? – a questo punto Ladybug si irrigidì. Si sentiva come se fosse totalmente nuda di fronte al suo partner, una sensazione che solitamente trova piacevole perché sentirsi capiti e amati nel modo in cui lo fa Chat Noir è come trovare la metà dell’anima che ti manca per sentirti completa, ma in quel momento, la sensazione di trovarsi con l’anima sotto un riflettore non era delle migliori. Tutto ciò che passava nella mente della ragazza era solo come trovare una via di fuga, scappare e rifugiarsi di nuovo nell’oscurità della sua stanza, e riprendere a pensare al fatto di non essere abbastanza per Adrien. Invece Chat Noir la teneva stretta e inchiodata lì dov’era, incatenata. Ma probabilmente, anche se non l’avesse tenuta fisicamente, l’eroina non avrebbe trovato la forza necessaria a sfuggire al suo sguardo di fuoco. – Rispondimi, LB. – Incalzò Chat. – Eri tu. Non trasformata, ma eri tu. Vero? – la risposta verbale che voleva non venne mai. Ne ebbe un’altra, fisica, però. Ladybug gli aveva portato una mano sul petto, l’altra su un suo braccio. Assentì, mordicchiandosi il labbro e lui sorrise. – Questa è la prova che sei tu anche senza maschera. Mi hai chiuso il pugno sul mio Miraculous e ho sentito lo stesso tocco gentile dei tuoi buffetti, hai pensato al piano per ingannare Papillon con lo stesso cervello che hai usato per aiutare il preside Damocles a sentirsi un supereroe, e le repliche dei tuoi orecchini e del mio anello le avevi sulla te civile, repliche che hai sicuramente costruito nei tuoi panni dietro la tua apparenza magica. E tu eri lì, non è che hai smesso di pensare e progettare una volta dismessa la maschera. Dico bene? – sorrise, e anche lei rispose al sorriso. Parlare con Chat Noir è sempre come se le rimettesse a posto il sale in zucca. Non che si sentisse diversa e perdesse i dubbi che le attanagliano il cuore, ma ogni volta si sente un po’ più amata della precedente. La realizzazione di quel pensiero le fece capire che non c’era altro modo di formulare la frase per spiegare come si sentisse. Era amore quello che sentiva provenire da Chat, ed è il suo amore che ogni volta la fa sentire meglio quando ha dubbi su se stessa, ma allo stesso tempo la fa sentire come una sporca, infida traditrice. Il cuore di Ladybug è il cuore di Marinette e il cuore di Marinette è completamente votato ad Adrien. Certo, con Tikki ha ammesso che se non fosse stato per Adrien avrebbe amato Chat Noir e chiunque si nasconda sotto la sua maschera, ma anche con questa consapevolezza non avrebbe mai potuto negare ancora oltre che, in una qualche strana forma, anche il sentimento nei confronti di Chat Noir è amore. Non amicizia, non amore nel senso stretto del termine (per quanto la possibilità di una trasformazione del sentimento è innegabile), quanto più un sentimento di reciprocità, come un pilastro fondamentale nel suo cuore, che avrebbe custodito a costo della vita. Chat Noir non è mai stato solo un semplice migliore amico, non un semplice partner o suo eguale, non un amante. Qualcosa di ben più profondo che trascende qualunque forma di etichetta terrena. Non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti a causa dell’amore che prova nei confronti di Adrien ma per lui non ci penserebbe due volte a sacrificarsi più di quanto non faccia lui stesso in battaglia. Ma Chat Noir non dovrà mai sapere di questi suoi pensieri, il suo ego potrebbe ingigantirsi al punto da diventare noioso come un bambino che si attacca alle sottane della mamma. Ladybug ridacchiò. Un risolino acuto e colpevole e si strinse un po’ di più al suo compagno. – E’ vero. Ero io. Con o senza la maschera sono io, ma ciò non toglie che questa è la versione di me che conta davvero, non l’altra. – ammise sommessamente. La fronte appoggiata al petto di Chat Noir, gli occhi chiusi e un sentimento di sconfitta che traspariva dalla sua voce. – C’è un ragazzo di cui sono innamorata. È dolce, a volte è buffo, è intelligente e coraggioso. È gentile, e prima di innamorarmi di lui, quando ancora non avevo sentito la sua risata così sincera e timida, pensavo che mi avesse fatto un dispetto e me la sono presa con lui senza sapere la verità. Quando ci siamo chiariti, lì, in quel momento, quando ha riso, non capii subito di essermi innamorata, ci misi un po’ ad ammetterlo anche a me stessa, ma da quel giorno non sono stata più in grado di parlargli e da fuori sembra che io lo eviti o che abbia ancora qualcosa contro di lui, e la cosa mi irrita perché non riesco a parlargli e a dirgli che balbetto e divento ancora più imbranata perché lo amo e non perché non sopporti la sua presenza. Qualunque cosa succeda la mia testa si annebbia e il pilota automatico è un idiota. – Ridacchiò e lasciò il suo posticino sul petto di Chat Noir per guardarlo nuovamente negli occhi. – So che mi vuole bene, l’ho sentito mentre lo diceva a qualcuno, tempo fa. E sono contenta perché significa che, anche se non come voglio io, ho un posto nel suo cuore e mi basta. Ma ciò che non mi basta è che non possa interagire con lui quanto e come vorrei. A volte mi ricorda te, e quelle volte vorrei che fossi tu per parlargli apertamente così come faccio con te ma non ci riesco neanche immaginandolo con tutta me stessa. Ed è questo che odio di quella me dietro la maschera. Perché so di essere io quando difendo un mio amico da un bullo. So di essere io quando invento o penso. So di essere io quando uso queste mani per mettere in piedi qualcosa dal nulla. Ma non mi sento me quando c’è lui. Non rispondo di me. Faccio e dico cose incoerenti e come potrei mai essere abbastanza per lui quando non può vedere ciò che vedono gli altri, non può conoscere la me che conoscono gli altri, perché io mi annullo in sua presenza? – a quel punto, tutte le lacrime che aveva tenuto per sé in quelle settimane salirono finalmente in superficie, scorrendo libere sulle guance, rotolando giù dagli occhi e facendo brillare la trama a nido d’ape della sua maschera. Chat Noir l’osservava come se la vedesse per la prima volta perché era la prima volta che Ladybug parlava volutamente di sé, lasciando che la sua paura più grande prendesse finalmente forma attraverso le sue parole e pugnalando dritto al cuore il suo ascoltatore. Chat non era ferito perché lei amava qualcun altro, c’era da aspettarselo che una ragazza così vera amasse già qualcuno, e dalle sue parole questo qualcuno era degno del suo amore anche se non la ricambiava, ma ciò che lo feriva in quel momento non era quanto lei si sentisse piccola e inutile comparata a questo misterioso ragazzo, ma il fatto che la grandezza dei suoi sentimenti la sopraffacesse talmente tanto da impedirle di pensare e comportarsi normalmente, come se al mondo non esistesse altro, come una specie di essere divino che con la sua presenza le incuteva timore. E, per la prima volta, vide Ladybug così come lei stessa si vedeva, come se la vedesse attraverso i suoi stessi occhi, piccola, minuta Ladybug, una ragazza dolce e insicura che tira fuori le unghie all’occorrenza, ma di base delicata e gentile come un fiore in boccio, impacciata e maldestra, con la testa fra le nuvole ma attenta e creativa quando richiesto. Una ragazza che nasconde la sua vera essenza inconsapevolmente perché troppo impegnata ad aver paura del possibile giudizio degli altri, che non combatte mai per difendere se stessa ma per chi viene offeso sfodera tutte le armi in suo possesso. Chat Noir ha sempre saputo delle sue insicurezze ma non l’aveva mai vista esposta come in quel momento. L’immagine di Marinette fece la sua apparizione nella mente del ragazzo, come un flash, la luce guizzante di un lampo in lontananza, e subito via, scomparsa e dimenticata, perché la ragazza tra le sue braccia non era la dolce e timida Marinette ma la gentile e insicura Ladybug, e in quel momento Chat sentì di amarla come non l’aveva mai amata prima. Ma il suo amore ancora una volta rimase chiuso e taciuto all’interno del suo cuore. Avrebbe protetto Ladybug e le sue insicurezze e avrebbe fatto sì che nessuno le scoprisse. Si sarebbe trasformato in belva feroce a difesa della sua signora. Se necessario avrebbe costruito un castello con un ponte levatoio e l’avrebbe difeso a costo della vita perché dentro avrebbe custodito lei, la sua preziosa Lady. Di nuovo, lo stesso moto di protezione nei confronti di Ladybug lo ebbe contemporaneamente anche per Marinette e in cuor suo giurò di proteggere anche lei come avrebbe fatto con la sua partner. Le due stelle più brillanti nel cielo altresì oscuro della sua notte non avrebbero mai smesso di splendere della loro calda luce bianca finchè lui avesse avuto vita.
Strinse Ladybug fin quando lei non prosciugò i suoi occhi e i singhiozzi che la scuotevano non si calmarono in un lento e ritmato sommesso pianto, intervallato da piccoli e delicati sbuffi per riprendere fiato. E ancora la strinse fin quando non fu lei a sciogliere l’abbraccio. I suoi occhi erano gonfi e rossi, il nasino dello stesso colore della sua maschera e le guance rigate di piccoli asciutti rivoli salati. D’istinto il ragazzo le cancellò le tracce delle lacrime coi polpastrelli, sfregando dolcemente la pelle sensibile e reattiva come solo dopo un pianto di quella portata. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa per alleggerire il carico dal suo cuore ma nulla di ciò che pensava sarebbe stato adeguato in quel momento, così si limitò a sorriderle un po’ impacciato, tentando di convogliare nei suoi gesti e nella sua espressione tutto ciò che provava per lei. Ladybug sorrise ma non lo guardò negli occhi. Con una mano coprì quella di Chat sulla sua guancia destra e premette quella guancia ancor di più nella sua mano poi stretta nella sua, come se volesse approfondire quel tocco già così intimo. La sua mano sinistra era ancora sul suo petto sin da prima e non aveva abbandonato ancora il suo posto se non per tentare di asciugare le lacrime che lei gli aveva riversato addosso sulla sua scintillante armatura di pelle. – Vedi, da brava imbranata che sono, sono stata capace di rovinare una suit magica. – ridacchiò, e con lei Chat. – Sapevo della tua sbadataggine sin dall’inizio. O hai dimenticato di quando ci hai appeso come salami al mio bastone il primo giorno? – Chat Noir tentò di mantenere un’espressione neutrale ma esplose in una risata quando Ladybug stessa scoppiò a ridere. Le lacrime ricominciarono a scendere dagli occhi di lei ma stavolta perché ricordare quel disastroso primo giorno da eroi era davvero esilarante. Quando finalmente le risate cessarono, entrambi i ragazzi si tenevano in piedi sorreggendosi l’uno con l’altro mentre erano piegati in due dagli ultimi spasmi di risa. Una volta calmati, per ancora un po’ rimasero abbracciati senza profferir parola, crogiolandosi nella reciproca presenza. La mezzanotte che segnava l’inizio del loro incontro era ormai passata da un pezzo e si resero conto di dover rientrare nel tepore delle loro case solo quando i primi raggi di sole fecero capolino all’orizzonte. Rimasero accoccolati fin quando l’alba si trasformò in giorno, e poi, si separarono. Prima di filare via dietro al suo yoyo Ladybug si girò un’ultima volta e sorridendo, disse a Chat Noir – Per quanto riguarda la tua amica, dalle tempo e falla abituare gradualmente alla tua presenza. Poi magari puoi sempre tastare il terreno anche con il vero te stesso, ma non subito, sennò potrebbe fare due più due! – e così volò nelle prime luci del giorno, lasciando un confuso Chat Noir a domandarsi cosa volesse dire.
Più tardi, dopo un paio d’ore di sonno e lungo la mattinata scolastica, quando Adrien vide Marinette e il suo sorriso, il significato dietro le parole di Ladybug lo colpì con tutta la potenza di un fulmine a ciel sereno. Marinette avrebbe dovuto abituarsi alla sua presenza come Adrien nella sua vita, e una volta messa abbastanza a suo agio con la sua versione tranquilla e pacata come figlio di un Agreste, tastare il terreno e vedere se avrebbe potuto accettare anche il suo lato da aperto, chiacchierone e pieno di battute squallide e giochi di parole come Chat Noir.
   
 
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