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Autore: Geani    04/01/2018    0 recensioni
"La stava divorando dentro, un segreto che da anni le mangiava l’anima, lacerandola in mille pezzi. Un buco nero che cresceva sempre di piu’, che non lasciava mai un momento di riposo; lo sentiva pulsare e risucchiarla man mano. La vita perfetta che faceva credere di avere, era solo un rimasuglio di cio’ che aveva buttato via. Una bella casa, una montagna di soldi, un bel uomo."
La storia nasce grazie alla sfida intitolata:“Mettiamoci in gioco” del gruppo Facebook:“Efp recensioni, consigli e discussioni”
Consegna 25: Storia di una persona che ha nascosto per anni un segreto e che alla fine lo distrugge dentro e fa una riflessione su tutto quello che è successo e sarebbe potuto succedere.
Questa storia era stata cancellata per mia disattenzione.
Genere: Drammatico, Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Consegna 25: Storia di una persona che ha nascosto per anni un segreto e che alla fine lo distrugge dentro e fa una riflessione su tutto quello che è successo e sarebbe potuto succedere. 
 


La stava divorando dentro, un segreto che da anni le mangiava l’anima, lacerandola in mille pezzi. Un buco nero che cresceva sempre di piu’, che non lasciava mai un momento di riposo; lo sentiva pulsare e risucchiarla man mano. La vita perfetta che faceva credere di avere, era solo un rimasuglio di cio’ che aveva buttato via. Una bella casa, una montagna di soldi, un bell’uomo.
Una bella casa ereditata, una montagna di soldi che non aveva nessun valore vero, un bell’uomo che tornava a casa solo quando se lo ricordava.
Sapeva perfettamente dove e quando aveva sbagliato. Molti anni prima, decidendo di porre la propria agiatezza al di sopra di tutto. Non voleva famiglia, non voleva amore, voleva solo dormire tutto il giorno e bearsi delle attenzioni di un uomo cosi’ ricco da comprarle una villa in ogni localita’ di mare e montagna. Non le importava di renderlo felice, lui doveva rendere felice lei. Non lo aveva mai ascoltato, non aveva mai prestato attenzione ai suoi discorsi. A letto era bravo, solo un punto in piu’ per tenerselo stretto. Sapeva perche’ si era dato tanto da fare, voleva un erede, lo voleva presto, lo voleva con lei; lei voleva solo i suoi soldi. Aveva scelto una vita di piaceri, senza doveri.
Non era questo cio’ che la mangiava dentro, era altro. Era un rimorso che la straziava dal profondo, la uccideva lentamente ogni giorno, il suo istinto non perdeva occasione di ricordarle quanto fosse stata spregevole, con se stessa e con gli altri. Spesso, negli ultimi tempi, si era cominciata a chiedere se ne era valsa la pena, si costringeva a credere di si’, passava ore a rammentare ogni giorno della sua vita. Come sarebbe stata in un altro mondo? Un mondo in cui lei non fosse stata cosi’ materialista; un mondo che non le avesse insegnato che contava solo cio’ che si possedeva ma anche cio’ che si provava?
Chiuse gli occhi, con un sospiro triste, affannoso : poteva sentire il suono del mare. Le onde che si infrangevano contro gli scogli piu’ alti, la sabbia bagnata e le conchiglie lungo il bagnasciuga, il vento e il tepore dei raggi solari. Poteva immaginarsi la risata di un uomo, risata che non sentiva da tempo, non quando era presente lei, almeno. Riusciva a distinguere delle voci piu’ dolci, felici, risate di gioia infantile. Una bambina e suo fratello o sua sorella, non lo avrebbe mai saputo; era stata una sua scelta.
Aveva scelto per loro. Ora si rendeva conto che non ne aveva alcun diritto, aveva agito contro la specie umana, contro la vita, contro la natura, contro la coscienza, contro la maternita’, contro dei bambini che non avevano nessuna colpa se non di essere capitati a lei; una madre che non li meritava.
Era davvero una colpa desiderare la felicita’ senza la responsabilita’? Era un peccato cercare l’agiatezza scappando da una vita difficile? Crescere senza un padre ed una madre alcolizzata non era stato facile, nulla nella sua vita lo era mai stato. Crescere, andare a scuola, lavorare, andare avanti. Nemmeno a scuola era mai stata tranquilla, aveva sempre dovuto lottare; per le attenzioni degli amici, per le borse di studio in modo da avere la certezza di un futuro migliore. Non era stupida, non era ignorante; anzi, aveva una laurea, ma riuscire a trovare un posto in cui sfuttarla era impossibile. Trovare un uomo che la amasse le sembrava impossibile, cosi’ aveva cercato un uomo che la venerasse. Era riuscita a tenerselo stretto, a uscire dalla miseria e ad avere la vita che aveva sempre sognato, si era accorta troppo tardi che la sua venerazione era diventata amore; non che le fosse mai dispiaciuto. Lui le dava le attenzioni che non aveva mai ricevuto, era bello, giovane, molte la invidiavano; lei era troppo decisa a godersi quella nuova situazione, quei privilegi, per pensare ai sentimenti, per pensare a qualcosa di piu’. Era stata maledettamente brava, anni su anni, a fingere di amare, ma non l’aveva mai fatto sul serio: si era autoconvinta che non serviva. Aveva amato sua madre, come ogni bambina, pero’ aveva ricevuto solo maltrattamenti e delusioni, cosa sarebbe potuto cambiare? Nulla.
Quando le aveva parlato di un figlio si era trattenuta dal ridere, sfoggiando la piu’ bella maschera di sorpresa e felicita’ finta. Un bambino? In modo da perdere tutte quelle liberta’ per cui aveva agonizzato una vita? No, non sarebbe successo.
Erano passati cinque anni, Christal ne avrebbe compiuti sei. Era una bella bambina, da cosa ricordava. Un piccola neonata dagli occhi azzurri come i suoi, i capelli scuri come quelli del marito; lineamenti dolci e graziosi, una vocina delicata che iniziava a farsi sentire sempre piu’ spesso. Era prossima alla sua prima parola, forse se l’avesse detta non sarebbe finita cosi’.
 
Aveva ucciso la loro bambina, col tempo pensarci era diventato insopportabile. Aveva ucciso i loro figli. Abortire non era stato difficile, appena scoperto aveva preso un appuntamento in clinica e via, nessuno avrebbe mai saputo nulla. Uccidere una bambina, nella culla in cui sarebbe dovuta essere al sicuro, era stato piu’ difficile; gia’ allora sapeva che ne avrebbe pagato le conseguenze. Non sarebbe mai dovuta nascere pero’ si era resa conto di essere incinta troppo tardi, quando era stato suo marito a chiederle se non fosse altro che un’indigestione il suo malessere. Aveva dovuto fare un test con lui e non aveva trovato nessuna via d’uscita. Sentirla dentro di se non era stato cosi’ terribile come credeva, aveva immaginato di avvertire un fastidio continuo ma non era stato cosi’. Si era perfino proposta e imposta di provarci, di impegnarsi e crescere quella sua creatura. I problemi erano arrivati poco dopo, quando non ne poteva piu’ delle notti in bianco, di stare a casa e di rinunciare alle solite uscite e i soliti privilegi. Quel piccolo fagotto le stava portando via la sua vita, lo amava ma amava ancora di piu’ lo svago. Era tutto sembrato un incidente, poteva capitare che una bambina provasse a scendere dal lettino, peccato che era caduta battendo la testa troppo forte per riprendersi. Ricordava perfettamente quella punta di dolore nel vedere la sua piccola a terra, inerme, pero’ non era stato cosi’ terribile come sarebbe dovuto essere. Il dolore era arrivato dopo, quando si era resa conto di essere sola. Davvero sola, senza piu’ un marito che la volesse, come se avesse capito che non era stato un incidente. Non le era mai pesata la sua mancanza, solo allora aveva capito che si era affezionata a sua volta, che si era innamorata, che amava quell’uomo che aveva fatto soffrire.
 
Si passo’ una mano fra i capelli, facendola scendere sulle guance per asciugarle. Avrebbe potuto creare un nuovo mare con tutte le lacrime versate in quegli anni, in giorni come quelli; giorni in cui tutto tornava a galla e premeva su di lei come un enorme macigno. Che senso aveva avuto tutto? Nulla era tornato come prima: c’erano ancora i suoi giocattoli in casa, i suoi vestitini, il suo profumo. Non aveva perso solo una figlia, aveva perso tutto. Era facile fingere ancora, fingere di essere felice durante le uscite con le solite persone, fingere di essere forte con chi veniva a sapere della storia; fingere era diventato un mestiere. Pero’ quando tornava a casa, ed era sola, non c’era piu’ bisogno di indossare una maschera. Non appena si chiudeva in una stanza tutto vorticava e lei si accasciava a terra, fra i singhiozzi. Ogni tanto andava a prendere una delle ultime tutine che le aveva fatto indossare e ci nascondeva il viso, cercando di soffocare i singhiozzi, i sensi di colpa e se stessa.
In momenti come quelli si immaginava come sarebbe stata la sua vita se non avesse fatto tutte le scelte sbagliate. Si prendeva un attimo, distaccandosi dal mondo e perdendosi nelle sue fantasie. Si lasciava cullare dall’illusione di essere stata una brava madre, di aver imparato qualcosa dalla sua esperienza di figlia maltrattata. Faceva finta di svegliarsi una mattina e andare a controllare i bambini, immaginandosi di trovarli a giocare insieme, per terra. Immaginava che lei avrebbe sorriso, prendendo in braccio la piu’ piccola e le avrebbe portate a lavarsi e a fare colazione. Mentre loro avrebbero mangiato, suo marito sarebbe sceso, l’avrebbe baciata e lei si sarebbe sentita amata, completa, felice.
 
Riapri’ gli occhi, guardando il soffitto bianco, vuoto. Gli occhi che bruciavano mentre le estremita’ del suo campo visivo si offuscavano sempre di piu’. Si alzo’ a fatica, andando in bagno e guardandosi allo specchio. Non era rimasto nulla di cio’ che era stata anni prima: gli occhi rossi, vuoti e spenti. I capelli raccolti in maniera disordinata, la carnagione cadaverica. Apri’ l’armadietto in cerca degli antidepressivi: erano l’unica ragione per cui non l’aveva ancora fatta finita. Cambio’ idea prima di prendere le pillole, bloccandosi a guardarle, con aria assente, indecisa. Che senso aveva una vita del genere? Non era cio’ che aveva desiderato. Aveva avuto una vita perfetta e aveva rovinato tutto, non c’era piu’ motivo di andare avanti, non in quel modo. Prese le le pillole e le lascio’ cadere a terra, con il resto, cercando, fra i frammenti di vetro e gli oggetti sparsi sul pavimento, una delle lamette da cambio per il rasoio del marito. Una volta preso non fu difficile passarla sul polso, assaporare il dolore e guardare davanti a se, lasciando cadere l’oggetto insanguinato. Con un gesto fulmineo della mano butto’ tutti gli oggetti presenti sullo scaffale per terra, guardando con soddisfazione le bottigliette di profumo scontrarsi con il pavimento e disintegrarsi in mille pezzi, spandendo il contenuto per terra. Svuoto’ allo stesso modo tutto l’armadietto, urlando per il dolore quando una scheggia le si conficco’ del palmo.
 
Scivolo’ a terra, guardando il sangue scorrere. Il bruciore le pareva quasi piacevole, finalmente il dolore interno era stato sommerso da un dolore concreto, fisico. Pareva quasi che portasse via tutta quella nube di sofferenza che aveva sempre avuto sopra la testa. Non avrebbe piu’ sofferto, avrebbe chiesto scusa per tutti i suoi peccati.
Una piccola figura la guardava, tutto era sfumato, ma non il suo viso. Accenno’ un sorriso, finalmente.
-Piccola mia...- Mormoro’ appena, a fatica.
-Shh, mi sei mancata, mamma. Va tutto bene. Ti perdono.
Senti’ un calore avvolgerla, chiuse gli occhi dopo aver abbracciato quella bambina, di circa sei anni. Cosi’ delicata con i suoi occhi azzurri e i suoi boccoli castani. Le era mancata piu’ di quanto aveva immaginato.  Il dolore non c’era piu’.
 
Quando si sveglio’ un dolore atroce le attanagliava il cranio, aprire gli occhi non era mai stato cosi’ difficile. Dopo alcuni minuti buoni riusci’ a riconoscere il viso dell’uomo, con cui aveva scelto di condividere la propria vita, stagliarsi contro uno sfondo bianco; un odore di disinfettante le fece capire che era stata portata in ospedale. Lo guardo’ e non vide nessun dispiacere sul suo viso, non lo vedeva esprimere emozioni da quel dannato giorno in cui aveva posto la propria felicita’ avanti ad una vita. Non poteva piu’ andare avanti cosi’.
-Devo dirti una cosa.- Incomincio’, attirando la sua attenzione.
 
La sua cella era fredda, spoglia, come la sua anima. Non poteva lamentasi della sua situazione, non ne aveva nessun diritto. Si era creata un muro intorno, distruggendo tutto cio’ che aveva amato, che aveva avuto.  Non poteva dargli torto, lei stessa si sarebbe denunciata se mai ne avesse avuto il coraggio. Ora lui aveva la possibilita’ di rifarsi una vita, essere felice. Lei si sarebbe tenuta dentro tutto il dolore,  il segreto di quel primo bambino che non era riuscita a confessare. Se solo non avesse mai abortito sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe potuto imparare ad amare. Era troppo tardi ormai, il muro grigio le si parava davanti come indistruttibile, insormontabile. La poca luce che filtrava le ricordava cio’ che aveva perso: la liberta’. Aveva ucciso per averla, aveva ottenuto l’effetto contrario. Lacrime non ne aveva piu’, di sentimenti ne aveva anche troppi. Desiderava sempre piu’ spesso di morire pero’ non aveva piu’ il coraggio’ di provarci, non piu’.
Forse era impazzita, forse aveva perso ogni speranza, l’unica cosa che le dava sollievo era una delle bambole che una delle domestiche si era presa la briga di portarle. La trattava come fosse la sua bambina, parlandole e portandola sempre con se.
Era la sua bambina. 

 
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