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Autore: shiningreeneyes    04/01/2018    1 recensioni
Sequel di It Beats For Two.
Note traduttrice: la storia non è mia, è solo una traduzione.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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Una speranza

Towers - Little Mix

 

 

 

Sabato, 20 Febbraio

 

"Per l'amor di Dio, Aidan, mettiti le scarpe e sali nell'auto di tua nonna."

 

"Ma papà! Hai detto-"

 

"Ho detto che ne avremmo discusso," la interruppe, "ho parlato con lei, le ho detto di non metterti in imbarazzo e di smetterla di raccontare storie di... beh, del passato."

 

Aidan sembrava ancora sospettoso come sempre, ma si accovacciò sul pavimento e cominciò a mettersi le scarpe. "Se racconterà ancora una storia di come 'adorabilmente strano' tu-" mi fissò, "-fossi, non ci tornerò mai più da lei."

 

Harry aprì la bocca in segno di protesta, ma il campanello suonò proprio in quel momento e lo interruppe. Lanciando ad Aidan uno sguardo di rimprovero, scavalcò un paio di scarpe e aprì la porta. 

 

"Mio Dio, perché ci state impiegando così tanto?" chiese Anne mentre passava accanto ad Harry per entrare.

 

"Oh, niente," disse Harry, "qualcuno è solo un po' preoccupato che non manterrai la tua promessa e inizierai a raccontare storie 'disgustose' su di lui da bambino e su di Lou incinto."

 

"Papà!" Aidan aggrottò le sopracciglia verso Harry prima di voltarsi a guardare una Anne divertita, "scusa nonna, ti voglio bene e tutto, ma è davvero... strano. Non voglio nessun dettaglio."

 

"Beh, avresti dovuto dirmelo," disse lei con un semplice gesto della mano, "adesso datti una mossa, Connor sta aspettando in macchina."

 

"Come sta ora?" chiese Harry, un serio cipiglio inciso tra le sopracciglia.

 

"Bene," disse lei sorridendo felice, "alcuni giorni sono peggiori di altri, ma... in generale sta andando bene. I dottori hanno detto che è andato via per sempre questa volta, speriamo abbia ragione."

 

Anne e Aidan uscirono pochi istanti dopo, e quest'ultimo ci mandò uno sguardo triste.

 

Anne ci diede un bacio sulla guancia e un severo, "fate del vostro meglio per sistemare le cose, okay? Avete un figlio e non è pronto a vedere la sua famiglia divisa a metà." Sorrise tristemente. "E non penso siate pronti nemmeno voi."

 

Il silenzio che riempì l'aria intorno a noi non appena aprirono la porta e se ne andarono, fu strano. Eravamo solo io ed Harry, eravamo solo io ed Harry per un tempo indefinito. Non avevamo prenotato un volo di ritorno dal Messico quando avevamo organizzato tutto, decidendo di lasciarlo in sospeso, e dopo che Harry aveva fatto alcune telefonate, era riuscito a convincere i proprietari della villa ad affittarcela per tutto il tempo che avremmo deciso di rimanere.

 

Non gli avevo chiesto quanto avesse dovuto pagarli per convincerli. A volte vivere nell'ignoranza rendeva più felici.

 

"Immagino che dovremmo finire di fare i bagagli," dissi dopo qualche secondo, "Liam sarà qui tra un'ora."

 

"Si." Si schiarì la voce. "Si, io- la mia valigia è nella camera degli ospiti, quindi... andrò lì." Con un sorriso imbarazzato, girò sui tacchi e mi lascio lì, da solo nell'atrio con il pensiero che forse quel viaggio era stata una cattiva idea, dopotutto.

 

Ma non c'era molto che si poteva fare.

 

Verso le 17, Liam piombò in casa con il cappuccio tirato su per proteggersi dalla pioggia. Avevo appena portato la valigia giù per le scale, e fui sorpreso di vederlo lì in piedi.

 

"Sei tu in anticipo o siamo noi estremamente in ritardo?" chiesi.

 

"Un po' entrambi," scrollò le spalle, "Harry è pronto?"

 

"Harry sarà pronto tra due minuti!" urlò lui stesso.

 

Liam roteò gli occhi prima di girarsi verso di me. "Penso che sia bello che lo stiate facendo," disse con un sorriso, "avete bisogno... beh, non so di cosa avete bisogno, ma qualunque cosa sia, non la troverete qui."

 

"Si. Spero solo che funzioni," dissi, "altrimenti non so cosa succederà." Quella era una bugia. Sapevo molto bene cosa sarebbe successo se le cose non fossero migliorate. Ma non volevo dirlo ad alta voce.

 

"Ci riuscirete," disse Liam, sembrando completamente sicuro delle sue parole. 

 

Sorrisi con gratitudine, ma non dissi nulla e andai verso l'attaccapanni per prendere qualcosa per coprirmi nei brevi secondi che avremmo passato all'aperto.

 

Il viaggio verso l'aeroporto di Manchester fu piuttosto rapido, appena trenta minuti trascorsero prima di arrivare. Un rapido ringraziamento a Liam e un, "Saluta Zayn e digli che lo chiameremo una volta tornati a casa," da parte di Harry fu tutto quello che dicemmo prima di afferrare le nostre valigie e dirigerci all'interno dell'edificio. 

 

Il nostro aereo sarebbe partito alle 19, dandoci quasi un'ora e mezza di tempo per fare il check-in e sistemare tutto. Non c'erano molte persone all'aeroporto, ma abbastanza da esserci un costante ronzio nelle nostre orecchie, aiutandoci ad evitare il silenzio imbarazzante che sapevo ci sarebbe stato anche durante il volo di diciotto ore. 

 

Non sbagliai. 

 

Fu solo dopo tredici ore di volo, subito dopo essermi svegliato da un lungo pisolino, che ci scambiammo qualche parola. Tutto ciò che Harry chiese fu, "hai fame?", io annuii e poi lui mi diede una baguette con prosciutto e formaggio.

 

Quello fu tutto.

 

 

Domenica, 21 Febbraio 

 

Erano le 08.20 del mattino quando il taxi ci lasciò alla villa. Eravamo andati in una sorta di ufficio per prendere le chiavi dopo essere scesi dall'aereo poco prima delle 07.00, e quando mettemmo piede in quella benedetta casa, ero pronto a svenire dalla stanchezza.

 

"Devo dormire un po'," dissi mentre mi asciugavo il sudore che continuava ad accumularsi sulla fronte.

 

"Non riuscirai a dormire stanotte," rispose Harry mentre si toglieva la giacca e le scarpe.

 

"Non mi importa," sospirai, "sverrò qui se non dormo un po'."

 

"Non dovresti almeno mangiare prima?" chiese, "il ragazzo dell'ufficio ha detto che la cucina è ben fornita."

 

"Voglio dormire, Harry," sbottai. Sospirando, gli mandai uno sguardo di scuse. "Scusa. Sono stanco ed fa così caldo che non riesco nemmeno a pensare in modo coerente."

 

"Va tutto bene, non preoccuparti." Afferrò la sua valigia e disse, "vado... a vedere quali sono le camere da letto."

 

Come si scoprì, la villa consisteva in un piano e mezzo, nel primo piano c'era il soggiorno con un enorme divano nel bel mezzo. Le due camere da letto erano le uniche stanze nel secondo piano, ed erano più o meno identiche; piuttosto piccole, ma lucenti e con dei letti matrimoniali che non sembravano altro se non paradisiaci. 

 

Scelsi la stanza sulla sinistra, trascinai la valigia verso la porta, poi girai la testa per guardare Harry. "Probabilmente mi sveglierò tra qualche ora," dissi, "non devi, sai, aspettarmi sveglio o altro."

 

"Okay," disse, mordendosi le labbra, "potrei preparare il pranzo, però. Pensi di essere sveglio per le 15?"

 

"Se non mi sveglio io, svegliami tu," risposi.

 

Annuì, spostando i piedi avanti e indietro un paio di volte prima di schiarirsi la voce. "Allora... vai. Buon pisolino," disse.

 

Non risposi, ma mi diressi nella stanza che avevo reclamato come mia e chiusi accuratamente la porta.

 

Respirai profondamente e chiusi gli occhi, appoggiando la mano sulla valigia. Eravamo lì da dieci minuti, e stavo già iniziando a sentire la tensione insinuarsi tra noi. Eravamo lì per lavorarci, però. Avevamo tutto il tempo per parlarne, per sciogliere la tensione.

 

Almeno speravo.

 

 

Mercoledì, 24 Febbraio 

 

Il calore non era affatto diminuito, il termometro mostrava quasi trenta gradi, e così colsi l'occasione per prendere un po' di sole, mettendo un asciugamano in terra sopra le piastrelle accanto alla piscina e mi sdraiai con lo stomaco verso il basso. Non ero mai stato un fan dei segni dell'abbronzatura, però, avevano un aspetto orrendo, e onestamente, chi voleva il culo completamente bianco? E così, dato che Harry non era da nessuna parte quando mi ero svegliato alle 11 quella mattina, e dato che nessun altro mi avrebbe potuto vedere, decisi di rimanere nudo. 

 

Era stato un piano eccezionale, per un po'.

 

Sentii dei passi farsi sempre più vicini e sollevai la testa, e quasi mi nascosi con i miei boxer quando scorsi Harry in piedi ad un paio di metri di distanza, guardandomi con un'espressione illeggibile sul suo viso. Passarono alcuni secondi imbarazzanti, mentre facevo del mio meglio per sedermi in una posizione che avrebbe rivelato il meno possibile. Alla fine rimasi seduto a stile indiano con i miei boxer sulle ginocchia.

 

"Scusa," dissi, "non c'eri, quindi ho pensato-" 

 

"Niente che non abbia visto prima," mi interruppe, ma senza il luccichio provocatorio che avrebbe corrisposto perfettamente al commento. Stava solo affermando un fatto, quello era tutto.

 

"Beh, si, ma non-" mi fermai, aggrottai la fronte e poi mi morsi il labbro, "no, non lo so. È... è passato un po' di tempo, immagino. È solo quello."

 

Annuì, come se stesse considerando qualcosa. "Ti ho visto a malapena ieri," disse dopo qualche  secondo.

 

Abbassai lo sguardo, prima di annuire rigidamente. "Scusa," dissi, "ero... occupato. Avevo del lavoro da fare."

 

"Oh," disse, come se stesse mostrando comprensione anche se il suo viso diceva il contrario, "non hai nemmeno trovato il tempo per cenare con me?"

 

"Non avevo fame."

 

"Appena ho finito di mangiare sei venuto in cucina e hai mangiato," sottolineò con un lieve sospiro, "stai cercando di evitarmi?"

 

"Certo che non sto cercando di evitarti," dissi, "quanti anni credi che abbia?"

 

"So perfettamente quanti anni hai," disse calmo, "so anche perfettamente che hai la tendenza a minimizzare le cose quando qualcosa ti turba, e che invece di confrontarti con me, scegli di evitarmi." Incrociò le braccia e alzò un sopracciglio verso di me. "Allora, cosa c'è che non va? Perché non vuoi passare del tempo con me? Pensavo che fosse il punto centrale di questa vacanza."

 

"Era- lo è," dissi immediatamente.

 

Sbuffò con impazienza. "Allora cosa ti passa per la testa, Lou? Puoi dirmelo? Per favore."

 

"Io- non lo so," dissi, "è solo difficile, beh, sapere cosa dire o fare intorno a te. Non dirmi che credi che sia facile."

 

"Certo che non è facile," disse, "ma rimandarlo solo perché è spiacevole non aiuterà affatto, peggiorerà solo le cose. Lo sai bene tu come lo so io."

 

"Si, lo so," dissi. Mi sistemai un po', cercando di essere il più discreto possibile, prima di continuare tranquillamente, "da dove suggerisci di iniziare?"

 

"Che ne dici di venire dentro, vestirti e fare una buona colazione da mangiare insieme?" disse, "e dopo possiamo uscire un po'. Discutere sarebbe bello. Magari non oggi, però."

 

"No, possiamo aspettare per quello," concordai, sentendomi sollevato.

 

"Dobbiamo parlare prima o poi, però," disse, guardandomi con occhi seri.

 

"Lo so. Solo forse non subito, okay?" Sorrisi. "Che cosa dicono? Si deve imparare a camminare prima di poter correre?"

 

Mi restituì il sorriso, forse un po' contenuto. "Si."

 

Abbassai lo sguardo sul mio grembo dove ero ancora coperto dal piccolo pezzo di tessuto dei boxer e tossii. "Pensi che potresti forse, entrare? Così posso vestirmi."

 

La sorpresa balenò sul suo viso, immediatamente rimpiazzata dalla realizzazione. "Si, certo. Sarò in cucina," disse.

 

Dopo essermi fatto una doccia veloce nel piccolo bagno del piano inferiore e aver indossato un paio di pantaloncini corti e una canotta molto ampia, andai in cucina e trovai Harry in piedi vicino al bancone, impegnato a tagliare un ananas in sottili fette.

 

"Hai bisogno di aiuto?" chiesi mentre mi avvicinavo a lui, fermandomi ad un metro di distanza. 

 

Alzò lo sguardo e sorrise quando i suoi occhi si posarono sui miei capelli. "Bell'aspetto," disse.

 

Passai una mano tra i miei capelli ancora fradici, quasi gocciolanti, e roteai gli occhi. "Fa caldo, si asciugheranno presto," dissi, "quindi, hai bisogno di aiuto?"

 

"Puoi sbucciare quel mango, se vuoi," disse, indicando due mango posti tra un mucchio di frutta.

 

"Come mai tutta questo frutta?" sbuffai mentre afferravo uno dei mango ed un coltello iniziando a tagliare la buccia verde, "è un modo per dirmi che ho bisogno di perdere peso?"

 

"Certo che no," disse lui, agitando pericolosamente il coltello vicino al mio viso, "semmai, dovresti prenderne un po'. Sei diventato più magro."

 

Il mio sorriso svanì e guardai il mango mentre rispondevo, "si, beh, il mio appetito si è ridotto da... beh, lo sai."

 

Sentii i suoi occhi  su di me, calcolatori e calmi, facendomi pizzicare la pelle del collo. C'era silenzio, a parte i rumori che facevo io pulendo il mango, poi disse qualcosa, e quando lo fece, la sua voce era bassa e cauta, come se stesse parlando con qualcuno sul letto di morte. "Da quando... da quando i bambini-"

 

"Si," lo interruppi, senza guardarlo. "Si. Da quel momento."

 

Non volevo sentirglielo dire ad alta voce. Non volevo sentirlo dire da nessuno ad voce alta, e non capivo come riuscisse a farlo. Due bambini erano morti per ragioni sconosciute mentre erano dentro di me, e ciò che avevano lasciato era una voragine nel mio cuore, che non sembrava avere fondo. Era una voragine piena di rabbia, senso di colpa e disperazione che era ancora lì dopo tre anni dalla perdita dell'ultimo bambino; meno esplicito, meno acuto,  ma ancora abbastanza presente da sentirlo ogni volta che tutto diventava troppo silenzio intorno a me.

 

"Stai ben-"

 

"Non chiedermi se sto bene, cazzo!" Gridai, gettando il coltello e il mango contro il muro, facendo un passo indietro.

 

I suoi occhi si spalancarono, scioccati dalla mia improvvisa esplosione. "Che cosa-"

 

"Non iniziare a parlare con me di quello!" Lo interruppi, il mio respiro che si faceva sempre più pesante, "non dopo che hai passato così tanto tempo con la bocca chiusa." Era incredibile quanto l'atmosfera era cambiata tra di noi; cinque minuti prima era tutto perfetto, quasi divertente, e in quel momento... in quel momento era con occhi scuri e labbra serrate  che lo guardavo, una specie di rabbia, quasi tristezza in un certo senso, che bruciava sul mio petto.

 

Con occhi più larghi che mai, fece un piccolo passo verso di me. Però feci lo stesso movimento indietro, e si fermò. "Lou, per favore. Cosa sta succedendo?" chiese, le sopracciglia aggrottate per la confusione e la tristezza.

 

Aprii la bocca, pronto a dirgli di andarsene a quel paese, ma mi fermai in tempo. Stringendo i denti, gli mandai un'ultima occhiataccia prima di borbottare, "Non ne parleremo," e lo spinsi per poter andare nella mia stanza.

 

Non andai molto lontano prima che lui mi inseguisse, bloccandomi il braccio per fermarmi. 

 

"No, Harry," mormorai, fissando i miei piedi pallidi, pensando a quanto facessero contrasto con il pavimento di legno scuro.

 

"No, Lou, io-" si fermò, esitando, "suppongo che meno di un'ora fa avessimo detto che non avremmo parlato dei problemi oggi, ma... è uscito fuori. È ovviamente c'è qualcosa di cui dobbiamo parlare. Non credevo ci fosse qualcosa di cui parlare, per quanto riguarda... quello."

 

"'Quello'," ripetei piatto.

 

"Si, quello," disse, "intendo i nostri due bambini morti."

 

Feci una smorfia, perché il modo in cui l'aveva detto lo faceva sembrare così superficiale, poco importante. Era tutto tranne che quello. "Non voglio parlarne," dissi mentre liberavo il braccio dalla sua presa e mi voltai per guardarlo in faccia, "io- possiamo parlare di qualsiasi altra cosa, ma non di quello."

 

"Se sei disposto a parlare di tutto tranne che di quello, significa che quello è ciò di cui abbiamo più bisogno di parlare." La sua voce era gentile, e anche i suoi occhi, ed era passato così tanto tempo da quando mi aveva parlato e guardato in quel modo che non ero abbastanza sicuro di come reagire. E così non reagii. Rimasi lì e incontrai il suo sguardo finché non fu lui a spezzare il contatto. "Per favore, Lou," disse, "parlami."

 

Scossi la testa. "Non so come-" 

 

"Dimmi solo cosa ti passa per la testa," mi interruppe, "dimmi perché hai dato di matto in quel modo prima."

 

"Io-"

 

"Louis."

 

Chiusi gli occhi e passai una mano sul mio viso per nascondere il fatto che mi stessi mordendo il labbro per non farlo tremare. Aprii di nuovo gli occhi e lo guardai, poi mormorai, "Non mi hai mai nemmeno chiesto se stessi bene."

 

Quello chiaramente non era ciò che si aspettava, perché la preoccupazione sul suo volto scomparve per dare spazio alla sorpresa. "Cosa?"

 

Scossi lentamente la testa e lo guardai con occhi vitrei. "Io- ho perso due bambini in meno di un anno," sussurrai, "e non mi hai mai chiesto se stessi bene."

 

La sua mascella si spalancò leggermente. "Io- non volevo-"

 

Alzai una mano per fermarlo. "Lasciami solo finire, altrimenti non lo farò mai," dissi con voce rauca. Ingoiai una volta e poi continuai, "non mi hai mai guardato, non mi hai parlato, non hai passato del tempo con me. Le uniche volte in cui siamo stati nella stessa stanza per un periodo di tempo abbastanza lungo è stato quando dormivamo, ma anche lì mi voltavi le spalle. So che tutti si comportano in modo diverso quando succede una tragedia, ma-" mi fermai per respirare profondamente, cercando di controllarmi, "ma il modo in cui tu lo affrontavi era ignorandomi completamente e facendomi sentire come se tu mi stessi incolpando per ciò che era successo."

 

"Oh Dio, Lou, non ti ho incol-"

 

"Mi hai lasciato completamente solo ad affrontare il fatto che due bambini che avevo in grembo, sono morti," mi interruppi, "mi sentivo in colpa, mi sentivo come se io avessi ucciso i miei figli e tu hai fatto tutto il possibile per rendere quella sensazione cento volte più forte!"

 

"Non volevo," disse con voce tremante, "non mi sono accorto di averlo fatto."

 

"Ma l'hai fatto," dissi, "avevo bisogno di te più di quanto ne avessi mai avuto, e tu non eri lì. Mi hai ignorato completamente per così tanto tempo. Ho cercato di farmi guardare da te almeno quando andavamo a letto, ma ogni volta mi hai mandato via." Un singhiozzo doloroso mi lacerò la gola. "Mi hai respinto, Harry. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare e qualcuno che mi consolasse, ma tu- tu  non volevi essere quella persona per me. Sono innamorato di te da quando avevo diciotto anni, mi hai dato la cosa più preziosa che ho in questo mondo, sei stato lì con e per me, ma quando è arrivato il momento in cui avevo bisogno di te più che mai, non eri lì. Hai scelto di non essere lì."

 

"N-no, non ho scelto-"

 

"Si, hai scelto. Sono sicuro che non è stato intenzionale, ma questo è sempre stato il tuo problema: fai tante così involontariamente che finisci sempre con il far male a qualcuno."

 

"Io... stavo così male in quel momento. Lou, per favore capiscimi," disse supplichevole, "so che non ho gestito la situazione nel modo giusto, e io odio averti fatto passare tutto quello, ma per favore non pensare mai, mai, che ti abbia incolpato per ciò che è successo."

 

"Avresti dovuto dirmelo allora. Mi avrebbe risparmiato tanto dolore e angoscia."

 

"Ti avrebbe davvero aiutato? Se te l'avessi detto, ti avrebbe aiutato?"

 

"Mi sarebbe stato d'aiuto perché era una cosa che veniva da te," dissi mentre mi asciugavo una lacrima, "tutto quello che volevo da te erano delle parole gentili e una spalla su cui piangere, niente di più. E ti avrei dato lo stesso se me lo avessi chiesto."

 

All'inizio non disse nulla, ma allungò una mano per accarezzare gentilmente il dorso della mia mano che era ancora posata sulla mia guancia. Inghiottii e chiusi gli occhi, intrecciando le dita con le sue. 

 

"Mi dispiace," disse con cautela, "sono così, così dispiaciuto. Non avrei mai voluto farti sentire così, non importa quanto fuori di senno fossi, non avevo intenzione di farti del male." Ci fu silenzio per un po' mentre stavamo lì, lui muovendo il pollice in delicati cerchi sulla mia guancia e io aggrappato alla sua mano come se fosse linfa vitale. "È troppo tardi per darti quella spalla su cui piangere?" chiese alla fine.

 

Strinsi ancora più forte gli occhi, e ci volle tutto l'autocontrollo del mondo per non gettarmi tra le sue braccia e piangere. "Io... penso che ho bisogno di dormire un po'," dissi mentre indietreggiavo e gli lasciavo la mano. 

 

"Oh." La sua mano cadde mollemente lungo il suo fianco.

 

Feci un sorriso tremolante. "Nessuno ha detto che sarebbe stato facile e veloce."

 

"No, lo so," disse velocemente, "ho solo pensato che forse- no, non importa. Sei sicuro di non voler mangiare niente prima di andare a dormire?"

 

"Sto bene," dissi, "ma... svegliami alle 16 se non mi sono svegliato da solo. Possiamo pranzare insieme."

 

 

*

 

 

Il giorno successivo fu trascorso principalmente in silenzio. Non avevo evitato Harry, e non pensavo mi stesse evitando neanche lui, ma non avevamo trascorso più di qualche minuto nella stessa stanza. Io ero in cucina, lui era fuori; io ero nel soggiorno, lui era nella sua camera da letto; io ero fuori, lui era in soggiorno e così via. Era bello il fatto che avessimo parlato dei nostri errori, davvero, ma c'erano ancora così tante domande rimaste senza risposta, e ora che avevamo avuto quella conversazione, mi sentivo come se dovessimo girarci intorno per tirare fuori le altre cose. Nessuno dei due era disposto a sollevare il discorso, per timore di aprire le ferite che erano nelle nostre anime da alcuni anni. Avevamo bisogno di parlare, lo sapevamo entrambi, ma una cosa era parlare del problema quando usciva fuori senza pensarci. Un conto era cercare di tirarlo fuori.

 

E così entrambi aspettammo.

 

 

Sabato, 27 Febbraio 

 

 

Quel venerdì mattina mi svegliai con il suono di Harry che sguazzava nella piscina. Mi alzai e mi diressi verso la finestra da dove avevo vista sulla piscina, sul prato e su alcune delle palme circostanti. In lontananza, sopra la cima degli alberi, potevo vedere l'oceano e la luce del sole che rifletteva.

 

Voltando lo sguardo verso la piscina, osservai Harry nuotare avanti e indietro, ogni tanto calciando un po' di più con le sue gambe, facendo schizzare l'acqua intorno a lui. Non ne ero sicuro al cento per cento, ma sembrava che non indossasse niente. Il pensiero mi fece saltare lo stomaco e, beh, quanto ero patetico?

 

Probabilmente non così patetico come quando all'improvviso, senza preavviso, si tirò fuori dall'acqua, sollevandosi con le mani dandomi una visuale molto chiara del suo corpo nudo. La mia bocca si asciugò completamente e sentii come se il mio cuore stesse ballando la Macarena contro le mie costole. Mentre rimanevo lì, Harry si diresse verso l'interno, ancora nudo, non sembrando aver notato che stessi guardando (o forse 'spiando' era un termine più corretto). Appena fu fuori dalla mia vista, indietreggiai e mi affrettai ad afferrare gli abiti che indossavo il giorno prima dal pavimento, e me li misi .

 

La cucina era vuota quando entrai, cosa di cui ero piuttosto grato dato che l'immagine di Harry nudo era ancora molto presente nella mia mente, facendomi aumentare il flusso del sangue. Mi presi il tempo per preparare la colazione, tagliando la frutta e mettendola in una ciotola, feci una semplice frittata con delle uova che erano in frigo, tostai quattro fette di pane e poi le misi sul tavolo da pranzo insieme alla marmellata, al succo e ad una bottiglia di acqua che era stata in frigo tutta la notte.

 

Mi sedetti al tavolo e mi appoggiai sui gomiti, sbadigliando leggermente. Anche se apprezzavo il caldo e il bel tempo, non potei fare a meno di sperare che almeno un giorno piovesse, perché il mio corpo non era assolutamente abituato ad affrontare quel tipo di temperatura e il sole forte per periodi troppo lunghi. Dormire era diventato difficile, e se non bevevo per mezz'ora iniziavo a sentirmi svenire. In quel momento stava succedendo, quindi mi versai un bicchiere di acqua e lo buttai giù tutto in una sola volta, riuscendo a rovesciarmene un po' sul mento e sulla maglia.

 

Ovvio, era proprio in quel momento che Harry decise di apparire. Gettò uno sguardo veloce al tavolo e poi mi sorrise. "Hai preparato la colazione," dichiarò.

 

"Dobbiamo mangiare, no?" dissi, fingendo di non sapere che in realtà si riferiva al fatto che avessi fatto la colazione per entrambi e non solo per me stesso.

 

Non rispose, e per qualche minuto mangiammo in silenzio. Non era un silenzio scomodo, non lo stesso tipo di silenzio a cui mi ero abituato ultimamente, ma non era nemmeno un silenzio sereno. Ero a metà della mia porzione di omelette quando Harry parlò.

 

"Allora, come stai?" chiese, la sua mano che stringeva il suo bicchiere, "dopo mercoledì, dico."

 

Ingoiai il cibo che avevo in bocca e poi feci spallucce. "Stavo bene quando me l'hai chiesto ieri, Harry. Non ho avuto problemi durante la notte." Sembrava un po' sorpreso, e sospirai, posando la forchetta prima di aggiungere, "Scusa. Sto ancora bene, ma grazie per avermelo chiesto."

 

Annuì. "Bene. Se vuoi parlarne, io-"

 

"No," dissi, agitando la mano, "Sto bene. Penso di aver detto tutto ciò che volevo dire."

 

Annuì di nuovo e disse un tranquillo, "Okay," prima di riprendere a mangiare il suo toast.

 

Sbattei le palpebre. "Tu... vuoi parlarne?" chiesi esitante.

 

Con una scrollata di spalle poco convinta, inghiottì il toast e si pulì una briciola dall'angolo della bocca. "Non lo so," disse, "Forse. Se ti va bene, voglio dire. Non ho molto da dire o altro, voglio solo dirti la mia versione della storia. Solo se non ti dispiace, io-"

 

"No, no, va bene," lo interruppi, "possiamo parlare quando abbiamo finito di mangiare." A dire il vero sentii una sorta di sollievo perché lui voleva parlare, aveva qualcosa da dire, almeno quello significava che non ero il solo ad avere pensieri repressi che chiedevano di uscire.

 

Mangiammo il resto del pasto in silenzio, e quando finimmo, lavammo i piatti fianco a fianco. Non c'era una lavastoviglie, così lo facemmo a mano, e anche se non era una cosa che amavo fare a casa, lì mi piaceva. Ci dava l'opportunità di stare insieme senza la pressione di dover dire qualcosa, rendendo le cose imbarazzanti.

 

Il sole sembrava essere ancora più alto nel cielo quel giorno, più di quanto non fosse stato da quando eravamo arrivati, perciò invece di uscire fuori per parlare ci sedemmo sul divano del soggiorno, pur mantenendo le doppie porte che portavano al retro del cortile aperte, permettendo al sole di splendere attraverso le sottili tende bianche. 

 

Non eravamo seduti vicini, ma non eravamo nemmeno seduti sui lati opposti del divano. Non ero sicuro che fosse una sua decisione, ma non glielo chiesi. Fu silenzioso per un po'. Una leggera brezza stava soffiando tra le foglie delle palme all'esterno, suonando come onde che si infrangono contro le enormi rocce sulla riva della casa in Inghilterra durante la primavera. Era rassicurante, in un certo senso. Rilassante. Sicuro. La primavera in Inghilterra mi ricordava cose belle. Aver avuto Aidan, per esempio, o girovagare per il parco con Harry, senza fiato per le troppe risate.

 

"Penso che la delusione mi abbia attaccato più di ogni altra cosa," disse improvvisamente Harry, riportandomi alla realtà. Non dissi niente, lo guardai negli occhi come per dirgli di andare avanti. Le sue palpebre svolazzarono ed un'espressione simile a vulnerabilità passo nel suo viso prima che parlasse di nuovo. "Ovviamente perdere i bambini è stato terribile, ma io- io non ero quello che li aveva in grembo, non so come ci si sente a sentire una vita crescere dentro di se, quindi non ho avuto l'opportunità di legarmi a loro. Se fosse successo più tardi, in modo che potessi sentirli scalciare o altro, sarebbe stata una storia diversa, ma... il fatto è, quella che ho dovuto affrontare è delusione."

 

"Per cosa?" chiesi, forse un po' sorpreso da quello che stava dicendo.

 

"Non aver avuto l'opportunità di fare tutto nel modo giusto," disse, "quando abbiamo avuto Aidan, tutto era un tale casino. Non stavamo insieme, non ti conoscevo nemmeno, ero con un'altra persona, non volevo ammettere che ero attratto da te, ho dovuto... beh, entrambi, abbiamo dovuto fare i conti con il fatto che tu riuscissi a rimanere incinto per prima cosa, e tutto era confuso e terrificante più di ogni altra cosa."

 

"Si, ricordo. Ero lì."

 

Sbuffò una risatina prima di continuare. "Vedi, non sapevo se anche tu fossi interessato ad avere un altro bambino con me perché non me ne avevi mai parlato, e alla fine sono dovuto scendere a patti con il fatto che probabilmente non ne avremmo più avuto. Ma poi sei rimasto incinto, due volte, ed entrambe le volte ero così felice, non hai idea-"

 

"No, penso di avercela," lo interruppi, ripensando a come quasi mi aveva spinto a terra con uno strillo e delle lacrime quando gli avevo dato la notizia.

 

"No, davvero, perché non posso nemmeno esprimere quanto fossi felice; di avere un altro bambino, di averlo con te, di dare finalmente un fratellino ad Aidan, e di riuscire a farlo nel modo giusto, stare con te fino in fondo, prendermi cura di te, darti ciò di cui avresti avuto bisogno, non perdermi nulla e non avere una ragazza rompiscatole in mezzo. Non vedevo l'ora, ma poi è stato... strappato via da noi, completamente senza preavviso, due volte, e io... non sapevo nemmeno cosa avrei dovuto sentire. Non sapevo come avrei dovuto reagire, ed ero così immerso nei miei pensieri che non pensavo a come ti sentissi, mi è sfuggito completamente dalla mente, e so che questo mi rende il peggior fidanzato della storia, ma per favore, Lou, per favore non pensare che ho smesso di preoccuparmi di te o del tuo benessere."

 

"Non penso che tu abbia smesso di preoccuparti," dissi, "è solo che erano passati anni da quando avevamo avuto problemi nell'esprimere i nostri sentimenti, e poi nel momento in cui avremmo dovuto farlo più che mai, tu semplicemente... non l'hai fatto. E tu non eri lì per lasciarlo fare a me."

 

Lui deglutì e annuì. "Lo so. E mi dispiace."

 

"Bene." Mi misi un po' più vicino a lui e posai una mano sul suo ginocchio. Non reagì in modo negativo, però; anzi, il contrario, prese la mia mano con entrambe le sue, stringendola. "Per favore, promettimi che non permetteremo che accada di nuovo," dissi, "io- non penso che nessuno di noi, o questa relazione, possa gestire una cattiva comunicazione."

 

"No, lo so," disse, "le cose tra noi erano già incerte quando c'è stato il primo aborto, e quando abbiamo dovuto attraversarne un secondo, meno di un anno dopo il primo, ci ha... spinto al limite. Lo so questo. Se dovesse succedere di nuovo una cosa del genere e la gestissimo allo stesso modo, ci separerà per sempre."

 

Spostai la mia mano, liberando due dita per afferrare una delle sue. "Non posso più vivere come abbiamo fatto negli ultimi due anni," dissi, "ti amo e riesco a malapena a sopportare il pensiero di separarci, ma... ciò che stiamo facendo ora è la nostra ultima occasione. Non posso vivere la mia vita in uno stato di totale solitudine come ho fatto, perché..." mi fermai, chiusi gli occhi e inspirai profondamente, rabbrividendo, preparandomi per l'umiliazione che stavo per infliggermi, "mi fa sentire come se fossi tornato alle superiori, e quella non è una parte della mia vita che voglio rivivere. L'ho affrontato in quel momento perché, beh, non avevo molta scelta, ma non ero felice, Harry. Ero solo, insicuro, per un po' ho pensato che avrei finito per passare il resto della mia vita da solo, ma poi sei arrivato tu e anche se c'erano più bassi che alti, le cose sono andate molto meglio, e sono andate bene per molto tempo, ma ultimamente tutto è tornato come prima e... non va bene."

 

Mi fermai, perché la realizzazione lo fece rabbuiare e c'era colpa nei suoi occhi. "È... è per quello che stavi piangendo a San Valentino?" chiese, con voce cauta. 

 

Sorrisi senza umorismo. "Dovrebbe essere un giorno pieno di romanticismo e amore, no? E tu non c'eri, eri in giro con qualcun altro, e mi ha semplicemente riportato indietro a prima che ti incontrassi. Sai quanto mi piaccia San Valentino, credo che mi sia sempre piaciuto, l'idea di avere un giorno da passare con il tuo fidanzato o la tua fidanzata o qualcuno che ti piace, ma non ho mai avuto nessuno con cui passarlo, ero sempre da solo e... non lo so, non è stato bello pensare che tutti gli altri erano fuori con una persona che amavano mentre io ero seduto nella mia stanza con la tuta, guardando un film sdolcinato, chiedendomi se qualcuno mi avrebbe mai voluto, e mi chiedevo quale fosse la ragione. Perché ero troppo brutto? Troppo stupido? Troppo strano? Troppo patetico? Troppo noioso? Non hai idea di quante volte mi sia fatto quelle domande, e mai-"

 

"Lou, per favore." Mi guardò con angoscia, "è doloroso da ascoltare."

 

"Già, beh, è stato doloroso viverlo," dissi con un debole sorriso, "il punto, comunque, è che ha fatto schifo, ma quest'anno e l'anno prima ha fatto più schifo, perché ero abituato ad avere qualcuno che mi comprava fiori e cartoline, che mi portava fuori a cena e poi a letto. Un anno fa almeno c'eri per guardare un film con me, ma quest'anno mi hai lasciato da solo, e so che è soprattutto colpa mia perché non ti ho detto che non volevo andassi, ma io... non voglio davvero restare ancora da solo per San Valentino." L'ultima parte uscì con una vocina che sembrava piuttosto patetica anche alle mie orecchie. 

 

"Allora ti prometto che non ti lascerò mai più da solo a San Valentino," disse con fermezza, "anche se... anche se le cose non dovessero funzionare tra di noi, ti terrò compagnia. O ti farò incontrare qualcuno."

 

"Preferirei davvero che mi tenga tu compagnia," dissi, accigliandomi leggermente, "o che noi, sai, riuscissimo a risolvere le cose."

 

"Sarebbe preferibile, si."

 

"Si." Abbassai lo sguardo sulle nostre mani, la mia ancora avvolta in entrambe le sue, e sorrisi. "Bene," dissi allora, "suppongo che abbiamo un problema fuori dai piedi."

 

"Fuori dai piedi," ripetè.

 

"Okay, non del tutto, ma almeno ne abbiamo parlato." Lo guardai con occhi attenti. "Possiamo chiamarlo progresso, no?"

 

Comparve un sorriso e annuì. "Sicuramente si. Sono abbastanza sicuro che abbiamo parlato di più nell'ultima mezz'ora che negli ultimi due mesi."

 

Feci una leggera smorfia. "Non rovinare le cose ora."

 

"Scusa," disse, "che cosa suggerisci di fare ora? Basta conversazioni pesanti per oggi."

 

"Si," dissi, "basta."

 

Le ore successive furono spese a guardare alcuni DVD che Harry aveva portato con se quando aveva fatto le valigie (ne ero grato perché tutto ciò che riuscivamo a trovare in tv erano le notizie messicane). Non parlammo molto e non ci toccammo, ma condividemmo alcune risate e un paio di commenti di tanto in tanto, e tutto sommato mi sentivo piuttosto felice quando ci mettemmo affianco durante la cena alle 18 in punto. 

 

"Sai cosa mi chiedo?" chiese Harry dopo aver inghiottito un boccone di riso, "il perché non siamo riusciti a sederci e parlare a casa. Siamo qui da meno di una settimana e abbiamo già parlato di due cose abbastanza importanti."

 

Scrollai le spalle. "Liam mi ha detto che non avremmo trovato ciò di cui avevamo bisogno in una vita stressante, e penso avesse ragione. E credo che tutto quello che abbiamo a casa, le nostre cose, la nostra vita, tutto, è... non so, credo che in qualche modo sia collegato ai nostri problemi."

 

Alzò un sopracciglio. "Penso che tu abbia intrapreso la professione sbagliata. Saresti dovuto diventare uno psichiatra, non un funzionario dei prestiti."

 

"Sono abbastanza sicuro che serva una laurea per diventare uno psichiatra," dissi.

 

"Non hai intenzione di andarci, ho capito."

 

"All'università?" scossi la testa, "Ho abbandonato quel piano almeno dieci anni fa, perché sono certo che tu ti ricordi di aver passato un'ora ad urlarmi."

 

Non sembrava particolarmente dispiaciuto e disse, "solo perché pensavo che potessi fare di più. E lo penso ancora."

 

"Ho quasi trentacinque anni, Harry, e ho un lavoro che mi piace davvero, non importa quanto tu possa pensare sia noioso," dissi, "per non parlare del fatto che credo davvero di averne abbastanza senza dover tornare a studiare."

 

"Lo so," disse, e sentii un tono di scuse nella sua voce, "finché sei felice."

 

"Lo sono," confermai, "sono orgoglioso di te per aver preso la laurea e aver ottenuto un lavoro che ami così tanto, ma non penso che nulla del genere fosse nei miei progetti. Inoltre, se avessi preso una laurea e fossi diventato uno psichiatra, dubito che sarei potuto venire qui con un preavviso così breve."

 

"Beh, questo è il bello di essere il capo," disse con un ghigno, "in realtà posso partire ogni volta che voglio."

 

"No, non puoi," sbuffai, "hai delle responsabilità, più di chiunque altro, in quell'azienda dimenticata da Dio."

 

"Sai, fino ad oggi sono abbastanza sicuro che tu non abbia idea di cosa faccia io in 'quell'azienda dimenticata da Dio'," disse secco.

 

"Hai ragione, non lo so," dissi, "tutto ciò che so è che ha qualcosa a che fare con la gestione e il capire quali tessuti utilizzare nell'abbigliamento sportivo o qualcosa del genere, ma è anche tutto ciò che ho bisogno di sapere."

 

"Penso che potresti aver frainteso un po' le cose," disse, "ma ti lascerò continuare a crederci. Penso che sia più semplice."

 

"Buona idea," approvai.

 

 

Lunedì, 1 Marzo

 

Rimasi sorpreso quando arrivai al piano inferiore domenica (tecnicamente lunedì), trovai Harry seduto sul divano da solo, a guardare quello che ero certo fosse un video di molto anni prima. 

 

"Hai portato i vecchi nastri?" chiesi, la voce un po' intontita. 

 

Lui saltò un po' e sorrise quando mi vide fermo lì. "Scusami, ti ho svegliato?" chiese.

 

"No, tranquillo," dissi mentre lo raggiungevo sul divano, "perché stai guardando questo? E perché lo stai guardando alle 2 del mattino?"

 

"Non riuscivo a dormire," disse con noncuranza, "e non lo so, credo di sentirmi un po' nostalgico."

 

"Da portarli persino qui," canticchiai.

 

"Ho messo tutto su un DVD qualche mese fa," disse, "non hanno preso molto spazio in valigia, e ho pensato che se tutto fosse andato di merda qui, avrei voluto qualcosa per, sai, dimenticare. Ricordarmi dei tempi migliori."

 

Allargai gli occhi con orrore. "Ho fatto qualcosa di sbagliato?" chiesi, cercando di pensare a qualcosa di brutto che potessi aver fatto negli ultimi giorni, ma non mi venne niente in mente. "È per questo che tu-"

 

"No, no," mi interruppe, "non hai fatto niente. Come ho detto, non riuscivo a dormire. Ed è bello vederli. Non lo faccio da tempo."

 

Rilassandomi di nuovo, girai lo sguardo verso la tv. "Cosa stiamo guardando ora?" chiesi, vedendo un giovanissimo Aidan, abbastanza grande da poter camminare, mentre sorrideva alla telecamera.

 

"Nessuna occasione speciale," disse, "penso che sia stato quando abbiamo comprato la prima fotocamera e volevamo provarla."

 

"Non penso che dovresti premere quel pulsante," sentii dire. Un attimo dopo l'intero schermo fu completamente bianco e nero e l'Harry del video mormorò delle scuse.

 

"Si, penso tu abbia ragione," dissi, sorridendo allo schermo.

 

L'immagine cambiò, e il bagno di Anne e Robin apparve. Era di nuovo Harry a reggere la macchina fotografica, o almeno così immaginai dato che nello schermo c'eravamo io e Aidan. Aidan, che non aveva nemmeno un anno, era disteso a pancia in giù nella vasca da bagno, apparentemente estasiato dall'acqua che a malapena raggiungeva i gomiti su cui era appoggiato. Io, d'altra parte, continuavo a guardare irritato la telecamera.

 

"Perché insisti a filmarlo nella vasca da bagno?" dissi.

 

"Perché è carino, ecco perché," disse Harry, e sentii il ghigno nel suo volto, "e anche tu."

 

Aidan scelse quel particolare momento per emettere un grido ed iniziare a schizzare intorno come se non ci fosse un domani, con le braccia e le gambe grassocce che si muovevano. Ero seduto sul bordo della vasca e metà dell'acqua mi venne schizzata su tutto il mio stomaco e le mie gambe. Uno sguardo omicida da parte mia e l'immagine cambiò di nuovo.

 

"Non è divertente, lo sai," disse Harry in tono acido alle urla che Aidan stava liberando.

 

Stando lì seduto, tanti anni dopo, dovetti essere d'accordo con lui. Non riuscivo a capire perché io, diciannovenne, avessi pensato che fosse necessario filmare Harry mentre cambiava il pannolino ad Aidan.

 

"So che non lo è, ma è bello ricordare anche le cose brutte, non solo le belle," dissi.

 

"Non sono d'accordo con te," mormorò Harry, e poi la sequenza finì. 

 

Era inverno quella volta. Aidan un po' più grande, era seduto su una slitta e mi ricordai quel Natale particolarmente nevoso. 

 

"Che ne dici, Aidan? Ti piace la tua nuova slitta?" chiese Harry da dietro la telecamera.

 

"Neve!" Esclamò Aidan, saltando su e giù con la sua tuta e le gambe corte e paffute. Continuò così per alcuni secondi prima che improvvisamente cadesse di lato, atterrando di faccia nella neve. Un urlo uscì prima che lo prendessi e iniziassi a pulirgli la neve con movimenti attenti, ma frenetici. Con occhi grandi, umidi e tristi, Aidan guardò dritto nella telecamera e disse, "Neve," anche se quella volta molto meno eccitato.

 

Harry e io ridemmo, sia nel video che nella realtà, e l'attuale Harry mise il video in pausa, con un'immagine di me con della neve sulla fronte che Aidan mi aveva piantato con un felice, "Neve!"

 

"Se ricordo bene, subito dopo aver smesso di filmare, aveva deciso che immergere la telecamera nella neve sarebbe stato divertente," disse Harry.

 

Risi quando mi venne in mente il ricordo, "Si, e tu gli hai urlato contro, così ha iniziato a piangere, e tutti gli altri genitori nel parco ci hanno mandato sguardi cattivi."

 

"I genitori ci mandavano sempre degli sguardi cattivi," disse, alzando gli occhi al cielo, "sono quasi sicuro che pensavano l'avessimo rapito."

 

"No, sono abbastanza sicuro che ci mandavano sguardi cattivi perché siamo sempre riusciti ad incasinare qualcosa quando eravamo in pubblico con lui, e perché tutti pensavano che fossimo gli inutili fratelli maggiori ," lo corressi.

 

"Oh." Si accigliò. "Si, anche questa è una possibilità."

 

"Quindi c'è di più?"

 

"Di più?"

 

"Nel nastro," dissi, indicando lo schermo, "c'è dell'altro?"

 

"Non su questo disco," disse, "ne ho altri nella mia valigia se vuoi guardare."

 

Guardai l'orario sul lettore DVD, notando che erano quai le 2.30 e scossi la testa. "Credo che tornerò a letto, si sta facendo tardi. Non voglio sprecare tutta la giornata di domani a dormire."

 

Mi gettò un'occhiata pensierosa, sembrando che stesse meditando.

 

"A cosa stai pensando?" chiesi.

 

"Niente di speciale," disse, stringendo le labbra pensieroso, "sto solo pensando che voglio fare una nuotata."

 

"Adesso?" chiesi sorpreso, "certo, se ne hai voglia, vai pure."

 

C'era qualcos'altro che voleva dire a giudicare dal suo sguardo, e un momento dopo disse, "vuoi unirti?"

 

"Unirmi?" dissi, considerando se fosse una buona idea stare vicino ad un Harry mezzo nudo e fradicio, considerando se sarei stato in grado di non lanciarmi su di lui come una ragazza ubriaca alle scuole medie. La mia conclusione fu che no, probabilmente non ne sarei stato in grado, quindi scossi la testa. "No, sono... stanco," dissi mentre mi alzai in piedi sopprimendo uno sbadiglio, "Penso che andrò a letto."

 

Si alzò anche lui e scrollò le spalle. "Okay," disse, "sarò fuori se dovessi cambiare idea." Spense il televisore con il telecomando e poi si voltò per uscire.

 

Guardai la sua schiena, mordicchiandomi distrattamente il labbro, pensando. Mentre stava per aprire la porta, dissi, "Ehi, aspetta."

 

"Hai già cambiato idea?" chiese dopo essersi voltato.

 

Scuotendo la testa, mi avvicinai a lui, mordendo nervosamente l'interno della mia guancia. "No, andrò a letto," dissi, fermandomi di fronte a lui.

 

"Allora... cosa?" chiese lentamente.

 

Abbassai lo sguardo quando sentii il mio viso scaldarsi, il che, okay, era ridicolo. Non era come se stessi per chiedere qualcosa di assurdo. Ancora senza guardarlo negli occhi, ma piuttosto la sua spalla, allungai una mano e lasciai che la punta delle mie dita entrassero in contatto con il suo petto. Sentii i suoi occhi su di me, curiosi e interrogativi, ma non in modo negativo.

 

"Lou?" disse.

 

Sorridendo un po', soprattutto nel tentativo di calmarmi, dissi, "voglio solo... posso-"

 

"Fai quello che vuoi," mi interruppe dolcemente, "non ti respingerò." Il 'di nuovo' rimase inespresso.

 

Annuii ancora una volta più a me stesso che a lui, e non esitai un momento di più prima di avvicinarmi e avvolgergli le braccia intorno al corpo, posando la testa sotto il suo mento. Il suo corpo si tese per un momento, ma poi si rilassò e sentii un piccolo sospiro fuggire dalle sue labbra. Le sue braccia si avvicinarono per afferrare la mia vita, e chiusi gli occhi inspirando profondamente, tremando. Forse mi rendeva patetico, ma pazienza; non potei fare a meno di assaporare la sensazione di avere un contatto con lui che mi sembrava di non aver avuto da una vita. 

 

Rimanemmo lì così, un minuto dopo l'altro, in un salotto buio di una villa a troppe miglia lontana da casa, tenendoci l'un l'altro solo per il gusto di farlo, qualcosa che non avevamo fatto da troppo tempo. Mi sentivo bene, incredibilmente bene, e mentre la mano di Harry si avvicinava al mio collo e iniziava a giocare con i miei capelli, pensai che era quello di cui avevo bisogno quando avevamo perso i bambini. Niente di complicato, solo quello; una  silenziosa conferma che fosse lì.

 

"Sei diventato piccolo," mormorò nel mio orecchio mentre continuava ad accarezzarmi su e giù la nuca. Cercai di tirarmi indietro prima di rispondere, ma a quanto pare non gli andava bene dato che mi strinse più forte e disse, "Non farlo. Per favore."

 

E così non lo feci. Strinsi il pugno nel tessuto sottile della sua maglia di flanella e risposi, "non così piccolo."

 

"Più piccolo di prima," disse, "so che il tuo corpo non ti è mai piaciuto, ma tu non... non stai evitando il cibo, vero?"

 

Ancora con gli occhi chiusi, sorrisi. "No, sto mangiando."

 

"Prometti?"

 

"Mi hai visto mangiare più volte al giorno da quando siamo qui, Harry," ridacchiai sommessamente, "non preoccuparti, non ho un disturbo alimentare."

 

Lo sentii annuire. "Okay. Bene."

 

"Harry?"

 

"Hm?"

 

"Non dovevi andare a farti una nuotata?"

 

"Può aspettare."

 

 

*

 

 

 

Il sole a Puerto Vallarta non mostrava nessuna pietà con il passare dei giorni. Mentre ci addentravamo dentro Marzo, sembrava solo diventare più caldo e umido, e si arrivò ad un punto in cui non potevo sopportare di indossare qualcosa in più di un paio di boxer e una canottiera. Un giorno, verso la metà del mese, andammo in città per comprare un po' di cibo, e per dare un'occhiata in giro visto che non ero mai stato fuori dalla villa da quando eravamo arrivati. Pranzammo in una piccola e pittoresca caffetteria dove servivano piatti tradizionali messicani, oltre a quelli un po' più familiari per noi, e anche se stavo sudando come un maiale e mi sentivo piuttosto disgustoso per tutto il tempo, fu una bella giornata. Era bello allontanarsi da casa, anche se solo per poche ore, e andare in giro senza sentire il bisogno di riempire il silenzio con qualche chiacchiera.

 

Non si poteva dire che le cose non fosse migliorate, perché lo erano. Anche se si verificavano ancora, i silenzi imbarazzanti erano diminuiti drasticamente, il che era un grande sollievo. C'erano ancora, ma ero più rilassati. Non erano confortevoli, ma non mi facevano prudere dappertutto e non mi davano l'impulso di rannicchiarmi e sparire dalla terra.

 

Il contatto fisico era praticamente assente, però, tranne che per un breve abbraccio ogni tanto prima di andare ognuno nelle rispettive stanze da letto. E non è che fossi, beh, frustrato. Non proprio. Eravamo sempre uno intorno all'altro, parlavamo di più, ma senza mai avvicinarmi abbastanza per sentirmi bene. Non avevo bisogno di tanto, solo un bacio sarebbe stato carino. Anche solo sulla guancia. O sulla fronte. O sul naso. Solo qualcosa che avrei preso come un segno del fatto che ci fosse ancora qualcosa più che amicizia tra noi.

 

 

Note traduttrice:

Ed ecco il secondo capitolo, scusate il ritardo ma sapete, le feste. 

Come le avete passate voi? Qualche regalo che vi è piaciuto in particolare?

A presto, Fra. ♥️

 
 
   
 
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