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Autore: EveLWilliams    05/01/2018    0 recensioni
Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gli Intrepidi, l'amicizia per i Pacifici, l'altruismo per gli Abneganti e l'onestà per i Candidi.
Theia, una giovane Pacifica, deve scegliere a quale unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia.
Prendere una decisione non è facile e il test che dovrebbe indirizzarla verso l'unica strada a lei adatta, si rivela inconcludente: Theia ha attitudini per tutte le fazioni.
Theia è una Divergente e la scelta di unirsi agli Intrepidi potrebbe costarle la vita, ma non quanto abbandonarsi ai sentimenti che prova per il più pericoloso dei capifazione degli Intrepidi: Eric.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il momento della verità si avvicina.
Siamo tutti seduti ai lunghi tavoli della mensa e i nostri esaminatori ci stanno chiamando a gruppi di dieci persone alla volta.
Anche se siamo tutti nella stessa sala, ognuno è seduto accanto ai membri della propria fazione. Io sono una dei pochi Pacifici rimasta seduta sulla sedia accanto al tavolo, tutti gli altri sono seduti in cerchio sul pavimento intenti a giocare alla variante canterina di “mano, mano”.
Il loro comportamento mi fa sentire in imbarazzo, immagino cosa staranno pensando gli altri nel vederli giocare a uno sciocco gioco da bambini di sei anni. Avrei preferito che decidessero di giocare a nascondino in modo da potermi nascondere in un posto dove non farmi trovare ed evitare gli sguardi dei nostri coetanei che hanno avuto la fortuna di nascere in una fazione meno chiassosa.
Mi guardo intorno e noto che in pochi stanno facendo caso al rumoroso gruppetto di persone vestite in giallo e arancione seduti sul pavimento.
Al tavolo accanto al mio, un gruppo di Candidi sta discutendo animatamente su qualcosa che riguarda gli animali domestici, le verdure e i diritti delle formiche, anche se dubito che siano questi i reali argomenti, ho capito solo pochi frammenti di frasi a causa del baccano che fanno gli Intrepidi.
Ai tavoli nel centro del salone sono radunati gli Eruditi. Siedono composti e non gesticolano come fanno i Candidi. Stanno discutendo di qualcosa ma in modo talmente pacato da non riuscire a sentire neanche una sillaba di quello che dicono.
Mi sporgo leggermente per cercare Caleb al tavolo degli Abneganti e i nostri sguardi si incontrano. Cerco di nascondere il nervosismo, ma lui sembra riuscire a vedere direttamente la mia anima. Mi sorride e mi fa l’occhiolino ed io inizio di nuovo a sentirmi più tranquilla, ma purtroppo la pace appena ritrovata sfuma rapidamente quando sento chiamare il suo nome.
Caleb si alza e io mi trovo a invidiare la sua calma e la sua sicurezza. Per lui è più facile, sa già quello che vuole, gli serve solo il coraggio per abbandonare la sua famiglia per seguire il suo amore per la conoscenza e trasferirsi negli Eruditi. Passano solo dieci minuti e vedo Caleb tornare al suo posto. Immaginavo di vederlo più rilassato e sereno, ma non è così, è pallido e anche da questa distanza vedo le sue mani tremare.
Sento una morsa allo stomaco e un brivido percorrere il mio corpo, come se un tornado ghiacciato si fosse formato sul mio collo e stesse scendendo lungo la mia schiena avvolgendomi con ghiaccio talmente freddo da sembrare incandescente.
Un volontario Abnegante chiama il gruppo successivo: due Intrepidi, due Eruditi, due Candidi, due Abneganti e poi me e Althea, la mia unica vera amica.
Ci guardiamo per un attimo, i nostri sguardi sono terrorizzati e io vorrei alzarmi ma i miei muscoli sembrano essersi disconnessi dal cervello. Althea mi prende per mano e mi trascina con sé fino davanti alla porta della mia saletta, la numero 8, lei si affretta a entrare nella numero 10.
Faccio un profondo respiro e apro la porta.
Le pareti della saletta sono coperte di specchi, io cerco di evitare di guardare la mia immagine riflessa che avanza titubante verso il centro della stanza, dove una poltrona reclinabile mi sta aspettando insieme a un’inquietante macchinario dal quale escono lunghi fasci di cavi.
«Non avere paura» mi rassicura l’uomo «non sono un dentista» aggiunge sorridendo, mentre mi fa segno di sedermi.
Mi siedo e sento l’uomo, un Abnegante di mezza età, canticchiare una canzone lenta e dolce che mi ricorda la ninna nanna che mi cantava mia nonna nell’inutile tentativo di farmi dormire di pomeriggio.
Canto mentalmente la stessa melodia e solo quando l’uomo mi chiede chi me l’ha insegnata, mi accorgo di aver iniziato a canticchiare a bocca chiusa.
«Me la cantava sempre la mia nonna materna per farmi addormentare.»
«Lo faceva anche mia madre ma con scarsi risultati» dice, mentre mi applica un elettrodo sulla fronte.
«Adesso, fai un profondo respiro e bevi» ordina, ma con un tono di voce così rassicurante da non farlo sembrare un ordine.
Prendo la fiala che contiene un liquido trasparente e lo bevo tutto d’un fiato, ripetendomi che prima lo faccio e prima uscirò da qui.
Sento la testa leggera e le palpebre pesanti. Gli occhi mi si chiudono.

 

Quando riapro gli occhi è passato solo un istante, ma non sono più nella saletta dei test. Sono nella mensa della scuola, è completamente deserta e regna un silenzio surreale.
Mi chiedo come può essere possibile chiudere gli occhi in un luogo e un attimo dopo riaprirli in un altro. Se tutto non fosse così reale penserei di stare sognando, ma quando guardo la mia immagine allo specchio mi riconosco perfettamente.
Una volta ho sentito dire da un ragazzo Erudito che quando si sogna ci sono cose che ci fanno capire che stiamo sognando e una di queste è la nostra immagine riflessa in uno specchio: non è mai quella reale. Non sto sognando ma mi trovo in qualcosa di simile a un sogno.
«Scegli!» sento una voce tuonare da un posto indefinibile alle mie spalle.
Guardo su uno dei tavoli della mensa. Ci sono due cesti: in uno c’è un pezzo di formaggio e nell’altro un lungo coltello.
Cerco di capire il senso di quella scelta, ma la voce non mi dà il tempo di formulare ipotesi.
«Scegli!» ripete.
«Perché? In base a cosa?» le domando, guardandomi intorno.
«Scegli!» urla la voce.
Inizio a spazientirmi. Sbuffo mentre mi incammino lentamente verso le grandi finestre, allontanandomi dai tavoli e da dove penso che provenga quella voce.
«Come vuoi» dice lei.
I cesti scompaiono. Alle mie spalle sento il cigolio di una porta che si apre.
Piccoli e veloci passi, accompagnati da un ticchettio, sembrano dirigersi verso di me. Conosco quel rumore, le unghie di un animale che picchiettano sulle mattonelle del pavimento.
Mi volto e vedo un cane. Assomiglia a un cane lupo ma è molto più grande.
I suoi occhi scuri si fissano nei miei, il suo passo rallenta e le sue labbra si sollevano mostrando denti bianchi e aguzzi. Sento un ringhio crescere nella sua gola mentre le sue orecchie si appiattiscono all’indietro. Rallenta e il suo corpo si tende, testa, spalle e fianchi sono allineati. Si sta preparando ad attaccare.
Non posso scappare, mi raggiungerebbe in un attimo e combattere è fuori questione, è troppo grosso. L’unica cosa che posso fare è mettere in pratica quello che ho imparato in sedici anni da Pacifica: scongiurare l’attacco.
Dicono che i cani siano in grado di fiutare la paura, in parte è vero, ma sono le azioni che essa ci spinge a compiere a farli sentire più sicuri o minacciati e quindi ad attaccare.
Distolgo lo sguardo. Fissarlo dritto negli occhi è un atteggiamento di sfida. Premo le braccia lungo i fianchi e chiudo dolcemente le mani a pugno mentre lentamente mi lascio scivolare sulle ginocchia ruotando leggermente il mio corpo, in modo da mettermi lateralmente rispetto al cane, ma tenendolo nel mio campo visivo. Tutto questo dovrebbe fargli capire che non rappresento una minaccia.
Sento di nuovo il rumore che fanno le sue unghie sulle piastrelle del pavimento, il suo passo è lento e regolare. Mi sta studiando.
Chiudo gli occhi anche se so che è una cosa sbagliata. Se lui decidesse di attaccare, mi coglierebbe impreparata, non avrei il tempo di reagire.
Qualcosa di umido e ruvido mi tocca la guancia sinistra. Apro gli occhi e lo vedo seduto accanto a me. Mi guarda incuriosito e continua a leccarmi la faccia.
«Mi dispiace piccolo, niente bistecca, c’era solo del formaggio ammuffito» gli dico ridendo mentre cerco di pulirmi il viso con la manica della camicia.
Quando mi volto di nuovo verso il cane, noto che non siamo più soli, in fondo alla sala c’è una bambina vestita di bianco. Lei stende le braccia e, correndo verso di noi, strilla: «Cucciolo!»
Non ho il tempo di avvertirla, il cane scatta verso di lei.
Mentre mi alzo e mi lancio sopra il cane, l’unica cosa che riesco a pensare è che devo fermarlo a tutti i costi, altrimenti la sbranerà. So esattamente cosa devo fare, come so che dopo mi sentirò un mostro, ma non ho scelta: il cane o la bambina.
Punto i piedi a terra tenendo ben stretta la testa del cane. Lo sollevo e lo sento guaire mentre scalcia nel vuoto. Cerco di non andare in pezzi. Raccolgo tutta la forza che ho e chiudo gli occhi, ma quando ruoto le mani per spezzare l’osso del collo dell’animale, mi ritrovo a stringere il nulla.
Non è sparito solo il cane, anche la mensa. Adesso sono nella saletta dei test che è completamente vuota. Faccio un sospiro di sollievo.
La stanza è più buia di quando l’ho vista l’ultima volta, ma non abbastanza per non notare che la mia immagine non si riflette in nessuno degli specchi.
Mi domando se tutto sia solo un sogno, ma il fatto di esserne cosciente senza avere la capacità di gestirlo è la prova che non è un normale sogno.
Decido di fare un tentativo. Mi avvicino alla porta, chiudo gli occhi e immagino di essere davanti alla portafinestra della mia camera. Quando aprirò questa porta sarò fuori dalla mia stanza, a pochi passi dal bosco.
Varco la soglia e quando riapro gli occhi mi ritrovo su un autobus. Tutti i posti sono occupati e le persone sembrano non fare caso a me, tutte tranne una.
È un uomo e stringe in mano un giornale. Noto che le sue mani sono coperte di cicatrici.
«Conosci questo tizio?» mi chiede picchiettando nervosamente con un dito la fotografia in prima pagina.
Riesco a leggere solo il titolo: Finalmente arrestato brutale assassino!
Sotto c’è una grossa fotografia di un giovane con la barba, un viso anonimo, ma ho l’impressione di averlo già visto da qualche parte. So di averlo già visto ma non ricordo né dove né quando. L’unica cosa ben chiara nella mia testa è che sarebbe una pessima idea dirlo all’uomo seduto di fronte a me.
«Ebbene?» la sua voce è carica d’ira «Sì o no?»
Il mio istinto mi dice di mentire ma c’è qualcosa che mi blocca. Non ho mai avuto problemi a mentire e la sensazione di essere in pericolo di vita dovrebbe aiutarmi a mentire meglio, ma non riesco a farlo e non ne capisco il motivo.
«Sì o no?» ripete lui.
Mi volto dall’altra parte, sperando che qualcuno abbia notato la scena, ma nessuno sembra essersi accorto di nulla, come se io e l’uomo fossimo due fantasmi.
«Ebbene?» incalza.
«No, non so chi sia» in fondo è la verità, mi è familiare ma non ricordo niente di lui.
«Stai mentendo!» afferma l’uomo.
«Ho detto che non ho idea di chi sia» inizio a non sopportare più la sua insistenza.
«Stai mentendo. Te lo leggo negli occhi.»
Mi ha stancata. Lo fisso dritto negli occhi, anche se non posso vederli perché indossa occhiali scuri, non importa, voglio che lui veda il mio sguardo risoluto.
«Se lo conosci» insiste lui abbassando la voce «Puoi salvarmi. Tu puoi salvarmi!»
Sento vacillare la mia sicurezza. Davanti a me c’è un uomo disperato e malconcio e pare che la sua vita dipenda dalla mia sincerità. Purtroppo anche la mia vita sembra dipendere dalla risposta che gli darò, se mento sarò salva ma se dico la verità sento che potrebbe accadere qualcosa di terribile.
Cosa potrebbe accadermi? Tutto questo non è reale.
È soltanto un sogno un po’ diverso dagli altri e forse c’è un modo per modificare luoghi e avvenimenti, devo solo capire come.
Ho bisogno di pensare, devo liberare la mente, smettere di concentrarmi su singoli avvenimenti e guardare tutto da una prospettiva diversa, avere una visuale più ampia.
Ho focalizzato la mia attenzione sullo scenario che stavo vivendo e ho escluso quelli già vissuti perché non avevo il tempo di pensare ad altro, ma qui non ci sono cesti che scompaiono e cani enormi che attaccano tutti, qui c’è solo un uomo che aspetta una risposta.
Faccio un profondo respiro e chiudo gli occhi cercando una connessione logica tra tutte le cose che ho vissuto in questo bizzarro sogno. Le immagini delle varie stanze scorrono velocemente nella mia mente fino a fermarsi nella mensa dove avrei dovuto fare una scelta che non ho fatto. Tutto inizia ad avere un senso.
Il coltello e il formaggio, crudeltà o gentilezza, Intrepidi o Pacifici, ma potrebbe essere anche intelligenza e quindi Intrepidi o Eruditi.
La bambina e il cane, sacrificarsi al posto suo, Abneganti.
L’uomo davanti a me, dire la verità o mentire, Candidi.
È un test a esclusione.
«Sì, l’ho già visto ma non ho idea di chi sia» gli dico, agitando la mano in segno di saluto. Mi dirigo verso l’uscita dell’autobus e tiro il freno di emergenza.

   
 
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