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Autore: 09Chia    07/01/2018    1 recensioni
«Be’, allora buona giornata!» mi dice, mentre io salgo in sella.
Ho come l’impressione di essere spettatrice di un cortocircuito nel sistema di Matrix. Provo a immaginarmi in impermeabile nero, occhiali da sole e capelli pettinati all’indietro con il gel. Non credo che avrei lo stesso fascino di Neo. Vorrei anche chiedere al ragazzo se seriamente, alle 17.45, dopo essere stato spettatore della mia onnipresente sfiga, crede davvero che la mia giornata possa diventare buona, ma mi trattengo.
«Grazie, buona giornata anche a voi».
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E tu come stai?
E ti capita mai
di stare fermo senza respirare
per vedere com’è il mondo senza di te
per sapere se esiste qualcuno che ti viene a cercare
perché a te ci tiene.

Per gridarti io ti voglio bene.

                                                           Jovanotti

 

Buona giornata

Che la giornata sia iniziata nel modo sbagliato lo  intuisco già alle 7.47 della mattina, quando apro gli occhi e allungo la mano per prendere il telefono che strilla quella insopportabile canzoncina che ho impostato come sveglia -perché non mi decida a cambiarla, è un mistero che Stephen Hawking sta ancora cercando di risolvere- e con i miei aggraziati e calibrati movimenti colpisco la radiosveglia -che non uso da almeno un anno, ma per un mistero pari al precedente è ancora in bella mostra sulla mia mensola- e quella mi cade sul naso.

Ci metto più o meno due secondi a registrare che cosa è successo, qualche altro istante a percepire il dolore, ancora un momento a realizzare che è Lunedì e ho lezione alle 8.45 e probabilmente sono già in ritardo. Già la sento la voce del mio amato docente di letteratura latina che ricorda che “chi perde anche solo cinque minuti di una mia lezione è perduto!”.

Grazie a Merlino la mia famiglia è una famiglia di zombie fino a dopo colazione, quindi non devo parlare con nessuno mentre scendo dal letto, ingurgito latte e caffè e due biscotti, mi lavo i denti e la faccia consolandomi al pensiero che in università non mi conosce quasi nessuno e comunque sono tutti troppo occupati per pensare alle mie occhiaie e alla forma dei miei capelli. Spero.

Mi catapulto fuori di casa infagottata tra sciarpa e cuffia che neanche Geronimo Stilton in Missione in Antartide e riesco a percepire l’augurio urlato da mia mamma che suona molto come “Buona giornata!”.

Incrocio le dita, sperando che il filo di quella timida speranza che alle 8.12 una ha ancora il diritto di avere -anche se è Lunedì, c’è la nebbia e le ore previste in università sono più di quelle che ha dormito- resista almeno fino a mezzogiorno.

Lungo il tragitto mi augurano buona giornata Facebook, il conducente dell’autobus e il ragazzo che chiede l’elemosina in fondo al Corso, a cui lascio una monetina per comprarsi un caffè. Magari nel frattempo almeno la sua di giornata migliora un pochetto, sarebbe già una conquista.

In università mi augura buona giornata il ragazzo con gli occhiali della magistrale che sembra avere un’abilità per incrociarmi quando sono nella mia migliore imitazione di Mortisia Addams, quando sono di corsa, o quando manca qualche minuto prima di un esame, in quella particolare condizione in cui anche la mia migliore amica chiamerebbe un centro per igiene mentale dopo avermi parlato per cinque minuti.

Borbotto un “buona giornata anche a te” a mia volta e intravedo nelle porte dell’ascensore che si chiudono la capigliatura sbarazzina del docente di latino.

Il tempo per imprecare non c’è, e i tre piani di scale che devo fare di corsa per raggiungere l’aula prima che lui chiuda la porta mi toglierebbero comunque il fiato per farlo. Mi siedo al banco con un’espressione talmente stravolta che Claudia mi offre un cioccolatino al caffè; rifiuto e riesco appena a tirare fuori i fogli per gli appunti prima di sentire l’inevitabile “Buongiorno a tutti” che proviene dalla cattedra.

 

14.30

Ho la fronte appoggiata al vetro freddo della finestra del corridoio, in attesa che Claudia si decida ad uscire dal bagno e raggiungermi per tornare in aula. Le ore del mattino mi hanno lasciato per ricordo una quindicina di pagine di appunti, un paio di slide da riguardare perché non ci ho capito una mazza e un piacevole mal di testa.

«Chiara?»

Riconosco la voce prima di voltarmi e individuare il volto di una mia compagna delle superiori che segue corsi diversi nella mia stessa sede. Chiacchieriamo per qualche minuto mentre Claudia si avvicina e si ferma accanto a noi.

Come stai? Cosa fai? Ti piace? Io lavoro un po’. E la chitarra? E i tuoi? Scrivi ancora? Salutami tutti. Devo scappare. Eh, anche io. Buona giornata!

Mi dirigo con Claudia verso l’aula dove ci aspetta il bravissimo -terrificante- assistente di linguistica per le esercitazioni.

«E’ un po’ tardi, no?» fa Claudia dopo pochi passi.

Guardo l’orologio confusa «Mancano ancora cinque minuti».

«Ma no, intendevo per il  “Buona giornata”» spiega «alle due e mezza o la tua giornata è già iniziata bene, o le probabilità che diventi buona sono davvero, davvero scarse, no?»

Faccio un rapido calcolo delle ore che rimangono prima di mettermi nel letto e, dopo un lieve capogiro al pensiero delle cose che ho ancora da fare e da preparare, deduco che sì, le probabilità che questa giornata migliori in maniera sensibile da qui a sera sono piuttosto limitate. Se (se!) tutto dovesse andare per il verso giusto, senza imprevisti, senza contrattempi, senza messaggi in grado di scatenare crisi esistenziali della durata media di due ore, forse potrebbe saltarne fuori una giornata accettabile; per trasformarla in “buona”, dovrebbe almeno arrivare un messaggino insperato, una notizia carina, una manciata di cfu caricati per errore sul mio libretto, insomma qualcosa del genere. Non mi spingo più in là: immaginare quello che dovrebbe succedere per trasformarla in una “Bella Giornata” (con B e G maiuscole, attenzione), per poi realizzare quanto siano scarse le probabilità che avvenga, potrebbe essere demoralizzante. Quindi evito di farlo.

Sta di fatto che quando il professore chiude la lezione con il suo solito, educato «Buona giornata e buona settimana a tutti, ci vediamo Lunedì prossimo» io e Claudia ci scambiamo un’occhiata e la sua espressione è una simpatica miscela di divertimento e rassegnazione. E probabilmente è anche molto simile alla mia.

Ci salutiamo all’uscita -naturalmente augurandoci una Buona Giornata!- e io lancio un’occhiata all’orologio per capire quanti secondi ho prima che passi l’autobus.  Riesco per qualche strana combinazione astrale a prenderlo al volo e mentre torno a casa ricevo due telefonate e quattro messaggi che mi ricordano che

1.      Pandina ha ancora su le gomme estive, se voglio usarla per andare in montagna, forse è il caso di cambiarle.

2.      Mi servono 27 buste di carta, possibilmente carine, per preparare le lettere del gruppo scout.

3.      Devo passare in copisteria a far stampare e plastificare i fogli per l’oratorio.

4.      Serve il cordino per i braccialetti.

5.      Sarebbe davvero il caso di controllare le date degli esami di Gennaio e preparare un programma di lavoro. Sarebbe davvero il caso.

Rimando il punto 5 al giorno seguente, mandando giù il leggero senso di colpa che si fa largo nel mio cuoricino. C’è tanto tempo da qui a Gennaio. Giusto? Giusto.

La signora anziana a cui lascio il posto un momento prima di scendere davanti al supermercato mi ringrazia e mi augura Buona Giornata. Ricambio l’augurio, ma dall’occhiata che mi lancia il mio sorriso non deve essere uno dei più riusciti.

 

 

Alle 17.40 sono fuori dal supermercato, con una (sì, una! Una sola) busta da lettere tra le più brutte che io abbia mai visto. Cioè, probabilmente è una normalissima busta da lettere, ma in questo frangente mi appare davvero, davvero raccapricciante.

Non c’è cordino per braccialetti al supermercato, in caso ve lo steste chiedendo: ci sono quindici tipologie diverse di scooby-doo di corda per cani, ma una dannata bobina di filo nero sottile no.

E nella cartoleria dentro il centro commerciale niente buste di carta. Mi servivano tante buste piccoline, di quelle carine che si usano per i pacchetti regalo…. La commessa ne avrà tirate fuori almeno sei, tutte giganti e fatte per la posta. E poi costano decisamente troppo per comprarne ventisette. A questo punto però come facevo a dirle che la busta color sabbia in carta di riso e sticavoli che mi stava mostrando da cinque minuti non mi serviva a nulla? Niente, ho pagato i miei 2,50£ per la bustina inutile e me ne sono andata. La terrò in macchina -che ha ancora le gomme estive, in tutto ciò-. Sia mai che mi venga voglia di inviare una lettera e non ne abbia una a disposizione.

Quindi, niente cordino, niente buste, niente gomme. Riesco a passare in copisteria, ma il file che ho salvato su chiavetta è in un formato illeggibile. Naturalmente.

Arrivo alle colonnine di bicimia, cercando una bicicletta della misura giusta per tornare a casa. Passo la tessera, stacco la  bici. Nel frattempo si avvicinano due ragazzi che stanno lasciandone giù una e uno mi fa un cenno mentre sto per partire; mi accorgo dopo una ventina di metri del perché: la gomma dietro è completamente a terra e sto facendo una fatica folle. Scendo, giro la bici, torno alla colonnina, la lascio giù e prendo quella accanto.

«Ho cercato di dirtelo, ma non hai capito» dice il ragazzo, indeciso se sorridere o meno, mentre il suo amico litiga con il lucchetto.

«Già, grazie comunque» rido, perché alla fine, in qualche strano e imbarazzante modo, è tutto piuttosto esilarante.  

L’amico del ragazzo ha finito di litigare con il lucchetto e anche io sono pronta ad andare.

«Be’, allora buona giornata!» mi dice, mentre io salgo in sella.

Ho come l’impressione di essere spettatrice di un cortocircuito nel sistema di Matrix. Provo a immaginarmi in impermeabile nero, occhiali da sole e capelli pettinati all’indietro con il gel. Non credo che avrei lo stesso fascino di Neo. Vorrei anche chiedere al ragazzo se seriamente, alle 17.45, dopo essere stato spettatore della mia onnipresente sfiga, crede davvero che la mia giornata possa diventare buona, ma mi trattengo.

«Grazie, buona giornata anche a voi».

 

 

23.25

La luce cade sulle pagine del libro con una perfetta angolazione. Ci è voluto del tempo per brevettare la posizione in cui mettere la lampada nuova per evitare ombre e riflessi, ma dopo qualche settimana sono altamente soddisfatta del risultato.

Finisco il capitolo e appoggio il romanzo sulla mensola, accanto alla radiosveglia che ho per precauzione spostato di qualche centimetro verso il muro -ma ancora non l’ho buttata, notatelo-.

Da dopo l’avventura al supermercato nessuno mi ha più augurato buona giornata; ho avuto solo qualcuno che mi ha chiesto com’è andata, a cui però ho risposto piuttosto vagamente. Sarà che, mentre tornavo in bicicletta, mi sono chiesta perché considerassi quella di oggi una brutta giornata: non ho avuto nessuna tragica notizia, nessun particolare stato d’ansia pre-esame, niente improvvise lavate di pioggia o schizzi di fango sollevati dagli autobus; anche al telegiornale non hanno dato notizia di nessuna strage, niente omicidi né persone disperse.

Dovrebbe allora essere una giornata carina. Non bella, forse, ma perché non carina?

Se dovessi darle un colore, probabilmente sceglierei un azzurrino sciatto. Azzurro polvere, un po’ freddo, come un velo leggero tra me e il resto dell’universo.

Certo, ho avuto giornate rosso scarlatto, verde foglia, rosa antico. Ma ho anche avuto giornate grigio topo e qualcuna probabilmente nero pece. Non capisco perché un azzurro polvere dovrebbe darmi così tanto fastidio. Magari perché se una giornata inizia nero pece, poi sai che non puoi migliorare: ti auguri di arrivare in fondo, di uscirne senza danni permanenti e senza insultare pesantemente nessuno.

Se invece una giornata fino a metà si mantiene azzurro polvere, hai sempre la speranza che il colore muti un pochino, no? Basterebbe così poco per trasformarlo in un azzurro cielo, o in un verde acqua… è questione di un minuto, o anche meno: è sufficiente un sorriso, la riga di un libro che sembra scritta apposta per te, un esametro da scandire che ti esce al primo colpo, un…

Ding.

La schermata del mio cellulare si illumina e appare una piccola busta gialla -proprio come quelle che mi servirebbero per l’attività scout- con accanto una finestrella bianca e poche lettere. 

                                             C: Hei! Com’è andata la giornata?

Posso quasi vederlo, il colore del velo che lentamente cambia e trasforma tutto quello che ho attorno, come le lampade che da piccola mettevo sul comodino per paura del buio.

Mi sento un po’ infantile mentre rispondo alla velocità della luce e vedo che tutto sfuma. Rimane azzurro, ma si sposta verso il colore del cielo -quell’azzurro che ricorda la copertina dell’album di Ed Sheeran e che quindi è bello per forza- e poi, un messaggio dopo l’altro, diventa azzurro cupo, azzurro mare, azzurro-cielo-prima-del-tramonto che poi chissà che colore è ma è bellissimo e il mio preferito.   

Mi trovo immersa in quest’ultimo colore quando un inaspettato sbadiglio mi costringe a controllare l’orario.

Riguardo gli ultimi messaggi e mi rendo conto di aver scritto che è stata una giornata “ok”.

Be’, da dieci minuti a questa parte di sicuro.

E poi “ok” mi sembra abbastanza positivo, ma non troppo compromettente, quindi ci sta.

                                             C: Buonanotte, a domani!

L’azzurro si scurisce ancora un po’, diventando di una tonalità accogliente, tranquilla, vicina al blu. E’ una tonalità che sembra fatta apposta per addormentare e, mentre chiudo gli occhi, mi scappa un sorriso nel riflettere su quanto sia bello e utile augurare una buona notte: è sufficiente l’augurio per renderla definitivamente migliore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Breve delirio prima di entrare ufficialmente nella frenesia della sessione invernale.

La riflessione sul “Buona giornata” mi girava nella mente da un po’, spuntata in una giornata molto simile a quella raccontata. In realtà è un saluto che mi piace un sacco, ma bisogna ammettere che detto alle 17.45 può far sorridere.

L’ultimo pezzo non era previsto, me lo sono ritrovato tra le dita a fine storia, spero non stoni troppo. E poi senza quello sarebbe stata davvero una storia grigio topo.

Fatemi sapere, è la prima volta che mi cimento in qualcosa in cui c’è cosi tanto Chiara e così poca fantasia : )

Grazie a tutti….

                                                           buona giornata

                                                            Chia

   
 
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