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Autore: Gojyina    08/01/2018    1 recensioni
Questa è la mia versione della stagione 4. Stanno registrando ora il telefilm ma è quasi certo che non sarà presente il personaggio di Zero. Ho "rimediato" scrivendo questa fanfiction.
Genere: Angst, Commedia, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jude Kinkade, Un po' tutti, Zero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi con il nick Gojyina ad affacciarmi su un nuovo fandom. Dopo Slam Dunk e Queer as Folks ho trovato un nuovo amore: la coppia Zero-Jude (Zude). Come al solito la voglia di scrivere di loro mi è venuta quando ho scoperto che la nuova stagione non sarebbe stata come avevo sperato, quindi… eccoci qui con la “mia” Season 4.

Spero che vi piaccia! Un abbraccio, Viviana

 

Hit The Floor 4

Ch1

Gojyina

 

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Caty Sullivan guardò l’ora sul computer prima di rivolgere un sorriso gentile al nuovo arrivato.

– Signor Zero! – Salutò con un garbato cenno del capo.

Lui roteò gli occhi. – Zero va più che bene, te l’ho già detto! – Andò a sedersi sulla scrivania e incrociò le braccia. – Riunione straordinaria? – Le domandò indicando con un cenno del capo la porta dell’ufficio, stranamente chiusa.

Caty ricominciando a digitare sulla tastiera del computer. – Appuntamento urgente.

Il giocatore annuì lentamente. – Ha pranzato?

La segretaria scrollò le spalle. – Ho tentato, ma il capo è testardo come il mio Simon, buon’anima. – Sbottò stizzita. – Non c’era verso di farlo riposare o prendere una pausa, quasi se ne vergognasse.

– Stasera mi toccherà punirlo. – Commentò, facendole l’occhiolino.

La donna sbuffò un sorriso. Aveva imparato da tempo che Zero utilizzava l’ironia come uno scudo. Spesso lo aiutava a celare i suoi veri sentimenti. In quel momento, la stava usando per nascondere l’irritazione.

Stava per farglielo notare, quando la porta dell’ufficio si aprì.

– Buona giornata. – Li salutò un uomo alto ed elegante, dai folti capelli castani e gli occhi verde chiaro.

Zero si limitò ad un cenno del capo, mentre lo guardava raggiungere l’ascensore. Non lo aveva mai incontrato prima, eppure gli sembrava vagamente familiare. Forse era un attore o qualcosa del genere.

– Si chiama Michael Harrison, – lo mise al corrente Caty, una volta rimasti soli, – si è presentato come un vecchio amico di famiglia.

– Ma?

– È un uomo d’affari che ha vissuto per anni in Europa. Moda, Network, Finanza: dove ci sono denaro e glamour lui è sempre presente. È soprannominato Re Mida, per la sua incredibile bravura. – Esitò un istante, prima di azzardare la sua ipotesi. – Forse vuole acquistare i Devils. Strano però che non sia andato direttamente dalla signorina Howard.

Zero saltò giù dalla scrivania. – Vado a vedere come sta il boss. – Bussò leggermente e attese qualche istante prima di entrare, preoccupato quando non ricevette alcuna risposta. – Jude? – Trovò il compagno seduto alla sua scrivania, gli occhi quasi vitrei rivolti verso le finestre. – Ehi! – Si allarmò andandogli vicino. – Che diavolo è successo?! – Chiese, scuotendogli le spalle.

– Che cosa?! Chi? – Balbettò Jude, rendendosi finalmente conto della sua presenza. – Gideon, cosa ci fai qui? Che ore sono? – Domandò disorientato.

– Ehi, ehi! Va tutto bene. – Zero gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. – L’allenamento è finito e sono passato a prenderti come al solito. Raccogli le tue cose e torniamo a casa.

Il suo tono perentorio, convinse Jude ad obbedire senza porre ulteriori domande. Riposti alcuni documenti, chiuse la valigetta e lo seguì fuori dall’ufficio, dove Caty li stava aspettando accanto all’ascensore fermo al loro piano.

La donna notò preoccupata il pallore sul viso del giovane vicepresidente. – Da domani in poi, quando deciderà di saltare il pranzo, chiamerò il suo fidanzato.

Zero sbuffò un mezzo sorriso. – Sono abituato a fare la sexy wifey!

Jude arrossì suo malgrado, riacquistando così un po’ di colore. – Potresti smetterla di dire cose così sconvenienti sul posto di lavoro?

Il biondo inarcò un paio di volte le sopracciglia. – Significa che altrove posso?

– Rinuncio a parlare seriamente con lui! – Annunciò rivolgendosi alla segretaria, che gli sorrise comprensiva.

Arrivati al parcheggio, la donna li salutò prima di raggiungere la sua auto. – Si riguardi signor Kinkade, arrivederci signor Zero.

– Sai, capisco perché l’hai scelta come segretaria, – disse il giocatore, raggiungendo la loro macchina, – è cocciuta quanto te. – Sentenziò mettendosi al volante.

– Non sono affatto cocciuto! – replicò Jude, mentre si allacciava la cintura. – Sono concentrato, è diverso!

– Sul serio? – Inarcò le sopracciglia, immettendosi nel traffico di Los Angeles. – Allora concentrati e pensa a cosa vuoi per cena.

L’ex manager allentò la cravatta. – Fa lo stesso, sei tu quello fissato con la dieta.

– Non è una fissazione, è un obbligo morale! – Replicò stizzito.

Jude eruppe in un sospiro rassegnato. – Ancora con la storia che il tuo corpo sia un tempio?

– Il mio corpo è davvero un tempio. – Gli lanciò un’occhiatina maliziosa. – Ci sono parti di me che adori. – Sogghignò, abbassando il tono della voce. – Mi piace quando sei in ginocchio di fronte a me.

Jude scoppiò a ridere, mentre le luci dei lampioni cominciavano a illuminare la città.

 

Mentre Zero chiudeva la porta alle loro spalle, Jude sentì il peso della giornata scivolare via.

Non era abituato a rilassarsi. Era il tipo di persona che si perdeva nella propria mente, che calcolava i pro e i contro di qualsiasi decisione, che rimuginava, rifletteva, ponderava. Nella loro nuova abitazione, invece, si sentiva talmente a proprio agio, al sicuro, protetto e amato, da riuscire a lasciare fuori i problemi.

Quella nuova tranquillità non era sfuggita a chi lo conosceva bene. Lionel lo aveva subito notato la prima volta che era passata a trovarli.

Ovviamente Zero si era preso il merito con motivazioni ai limiti della pornografia. Qualcosa del tipo “È più rilassato perché prima di andare a dormire lo stanco per bene!”.

Jude posò la valigetta nello studio, arrossendo al ricordo della replica di Lionel.

“Peccato non averlo saputo prima.” Aveva detto, sorseggiando il vino. “Avrei potuto prendergli un paio di gigolò. Lui si sarebbe divertito e io non lo avrei avuto pomeriggi interi in uno stato di ansia continua!”

Jude posò la giacca sulla poltrona e sfilò del tutto la cravatta. – Mi circondo di persone che hanno molto in comune, – si rese finalmente conto, – deve esserci qualcosa di sbagliato in me.

– Jude? – La voce di Zero lo riscosse dai suoi pensieri.

– Arrivo!

Uscì dallo studio e attraversò velocemente l’entrata e l’ampia sala per raggiungerlo in cucina, dove lo trovò con la testa nel frigorifero.

– C’è l’insalata di pollo avanzata ieri.

Jude incrociò le braccia al petto. – Stai cominciando a prendere troppo seriamente la faccenda wifey.

– Sul serio? – Zero chiuse il frigorifero e lo affrontò. – Devo controllare che tu non muoia di fame, signor Sono-troppo-concentrato-per-pranzare.

– Melodrammatico. – Borbottò apparecchiando la tavola.

– Ti ho sentito. – Zero si appoggiò al frigorifero, con aria di sfida. – Preferisci che ti chieda di quel Michael Harrison? – Sentendo il suo nome, a Jude scappò di mano una forchetta, che cadde malamente sul pavimento di marmo italiano. – Come immaginavo!

– Non volevo nasconderti nulla, – si affrettò a precisare il giovane, passandosi una mano tra i capelli scuri, – è solo che… – lottò per cercare le parole adatte, – è solo complicato. – Ammise, accasciandosi sulla sedia più vicina.

Zero gli si inginocchio di fronte, prendendogli le mani. – Non ti ha fatto del male, vero? – Chiese con urgenza, cercandolo con lo sguardo.

– No, no. – Si affrettò a tranquillizzarlo. – È stato, anzi, molto gentile. È solo che non mi aspettavo… non… – scosse la testa, incredulo. Stava per aggiungere altro, quando il cellulare squillò. – Scusa un attimo. – Mormorò andando in soggiorno. – Signor Harrison. Ah, sì! Michael. – Si corresse, sorridendo imbarazzato.

Zero si appoggiò allo stipite dell’arcata che divideva salone e cucina, incrociando le braccia al petto. Jude stava arrossendo come una scolaretta e questo non gli piaceva.

– La cena è pronta. – Annunciò alzando di proposito il tono della voce, così da farsi udire anche da Harrison.

– Ah, sì, scusami. No, no, va bene domani. Grazie! – Jude posò il cellulare sul mobile più vicino e rivolse al compagno un’occhiataccia. – Che modi sono?! Hai idea di chi fosse?

– Non mi interessa!

– Gideon!

– Ora ti telefona anche dopo l’orario d’ufficio? – Indagò ironico. – L’appuntamento di oggi deve essere stato molto personale!

Impreparato a quell’attacco, Jude fece un passo indietro. – Pensi che ti abbia tradito con lui? – Domandò ferito.

– No, stupido! – Si affrettò a tranquillizzarlo, afferrandolo per la vita. – Ma quel tizio potrebbe avere un interesse nei tuoi confronti che va ben oltre il lavoro.

L’ex manager esitò un istante prima di guardarlo negli occhi. – Era un amico di famiglia, si è trasferito in Europa poco prima che io nascessi. – Spiegò, passandosi una mano tra i capelli scuri. Fece un respiro profondo, prima di proseguire. – Gideon, forse è lui il mio vero padre.

– Cosa?!

 

Zero avvolse Jude in un morbido plaid e lasciò che posasse la testa sulla sua spalla.

Avevano deciso che il loro ampio divano fosse il luogo più adatto per parlare.

– Che ne dici di cominciare dall’inizio? – Propose il giocatore, passandogli un braccio attorno alle spalle.

– Non so molto, – lo avvertì con un lieve sospiro. – La segretaria di Harrison ha chiamato stamattina per fissare un appuntamento. Dalla sua insistenza era chiaro che fosse importante ma, conoscendolo di fama, credevo fosse qualcosa relativa alla squadra.

Zero annuì pensieroso. – Cosa ti ha detto di preciso?

– Che lui e Oscar erano stati amici fraterni sino a quando non si sono innamorati entrambi di mia madre.

– Classico.

– Già. Lei è stata molto combattuta. Da un lato Harrison che le offriva una vita in giro per il mondo e dall’altra Oscar che già aveva ottenuto il denaro necessario per fondare i Devils.

– E sappiamo chi ha scelto alla fine.

– Mia madre voleva una famiglia e la vita da nomade di Harrison non le garantiva stabilità. – Sbuffò ironico. – Non che un matrimonio fatto di tradimenti e menzogne sia stato migliore.

– Credi davvero che possa essere tuo padre? – Domandò, chinando il viso per poterlo guardare negli occhi.

– Non lo so. Ma spiegherebbe tante cose. Perché Oscar mi abbia sempre ignorato, ad esempio. Perché, le rare volte in cui mi ha guardato in faccia, ha sempre avuto una diffidenza, un odio, che non ho mai compreso. Biasimavo me stesso, pensando di essere una delusione come figlio, ma forse il problema non ero io.

– Non lo sei mai stato! – Replicò subito Zero, detestando ancora di più Oscar Kinkade. Si grattò il mento, ripensando a Michael Harrison. – Mi era sembrato vagamente familiare, – ammise, – ma forse è stato il suo look da uomo d’affari.

– Faremo il test di paternità. Dobbiamo sapere la verità. – Si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.

Amava il loro grande salone. Le ampie vetrate che davano sul giardino, le pareti bianche e il bellissimo pavimento in marmo, rendevano la stanza elegante e luminosa. Mentre il camino e il bel divano ad elle pieno di cuscini color panna, gli donavano un profondo senso di calore e protezione.

– C’è dell’altro, vero? – Indagò Zero, accarezzandogli i capelli.

Jude nascose il viso sulla sua spalla prima di rispondergli. – Se si scoprisse che non sono un Kinkade, sorgerebbero seri problemi sia con gli sponsor che con gli azionisti.

Zero comprese al volo il problema. Di base, i Devils erano a conduzione familiare. Gli azionisti erano stati i primi soci in affari di Oscar e le loro quote erano vincolate da un ferreo contratto. Non erano vendibili ad estranei. Tutto doveva rimanere all’interno della famiglia Devils.

Nonostante l’arresto di Oscar e il caos dei mesi successivi, tra Lionel, Terence e Jelena, la presenza di Jude, l’ultimo Kinkade era una garanzia di stabilità e di continuità dell’attività di famiglia.

Il Consiglio, Marcus Douglas in primis, aveva lui come punto di riferimento, cosa che mandava Jelena su tutte le furie ovviamente. Ma c’era poco da fare: poteva anche sedere sulla poltrona di Oscar, ma non sarebbe mai stata una Kinkade.

– Ehi, qualunque cosa accada, l’affronteremo insieme. – Lo rassicurò il giocatore, posando la fronte contro la sua. – Siamo il Team Zude!

Jude allontanò il viso e sollevò un sopracciglio scuro. – È un nomignolo ridicolo.

– Lo hanno scelto i nostri fans!

– Io non ho dei fans! – Protestò imbarazzato.

– Certo che li hai! Siamo la coppia più hot di Los Angeles.  – Gli ricordò, baciandogli una tempia. – Coppia che non ha ancora cenato. – Lo aiutò ad alzarsi in pieni e lo prese per mano. – Andiamo a mangiare. I problemi possono aspettare sino a domani.

Jude annuì, sorridendogli. Era grato a Zero per tante cose, soprattutto per il suo supporto incondizionato. Lo faceva sentire più forte e più stabile, capace di affrontare qualsiasi problema. Parlare con lui lo aiutava a mettere tutto nella giusta prospettiva.

– Grazie. – Sussurrò, entrando in cucina con il suo uomo.

Zero gli rivolse il suo sorriso più peccaminoso. – Mi ringrazierai per bene sotto la doccia. E in camera da letto. E anche su questo tavolo.

Jude strinse le labbra cercando di rimanere serio. – In quale ordine?

Scrollò le spalle. – Qualsiasi! – Tagliò corto, riempiendogli il piatto. – Adesso mangia, al resto penseremo più tardi.

Il giovane annuì, prendendo la forchetta. Anche se aveva saltato il pranzo non aveva molta fame. Continuava a pensare a Michael Harrison, ai lineamenti del suo viso, alla sua altezza, al colore degli occhi, appena più chiari dei suoi. Era anche castano, proprio come lui. Certo, milioni di persone erano castane, però quell’uomo aveva dei modi gentili e garbati. Lo aveva guardato in un modo strano. Con stupore, misto ad altro. Speranza? Non ne era sicuro.

Non era abituato ad essere guardato con affetto. Dopo la morte di sua madre, solo Lionel e Zero, si erano dimostrati sinceramente affezionati a lui.

– Jude? – La voce del suo uomo lo riportò al presente. Zero indicò il suo piatto ancora intonso. – Fai da solo o vuoi che ti imbocchi?

Jude scosse la testa, ridendo. – Perché qualsiasi cosa dici, ha delle implicazioni sessuali?

Il biondo inarcò le sopracciglia indicando se stesso con le mani. – Mi hai guardato bene?

– Non posso risponderti, le dimensioni del tuo ego vanno tenute sotto controllo. – Scherzò, cominciando finalmente a mangiare.

Zero sogghignò. – Ah! Per la cronaca, – guardò in basso, prima di proseguire, – dovresti controllare anche altre mie dimensioni. – Gli fece l’occhiolino e ascoltò la bella risata calda del suo ragazzo.

Obiettivo wifey raggiunto: far tornare il buonumore al suo maritino.

Increspò la fronte. Forse Jude non aveva torto, la faccenda wifey gli stava sfuggendo di mano.

 

Jude si allacciò l’asciugamano in vita, raggiungendo la camera da letto a piedi nudi. Era curioso di sapere dove fosse Zero. Era strano che non lo avesse raggiunto sotto la doccia.

Infilati i pantaloni della tuta, si affacciò alla scala che conduceva al piano inferiore.

– Gideon?

– Inserisco l’allarme e arrivo. – Rispose subito l’altro. Quando Zero entrò in camera, lo trovò già sotto le coperte, con il cellulare in mano. – Assolutamente no. – Decise, sfilandoglielo dalle mani, non senza le sue vivaci proteste. – Ora resti qui, steso e ti rilassi, chiaro?

– Ma le e-mail…

– Possono aspettare fino a domani. – Sentenziò il giocatore, facendogli posare la testa nell’incavo tra la spalla e il collo.

Con le sue belle e grandi mani, gli massaggiò lentamente la schiena, trovando non poca tensione.

Tutto quello stress non faceva bene a Jude. Adesso era ancora giovane e il suo corpo aveva un eccellente recupero, ma doveva assolutamente cambiare il suo stile di vita.

Lo sentì sfregare il naso contro la sua pelle con un sospiro soddisfatto.

– Mi stai viziando. – Mormorò Jude, con le palpebre già pesanti.

Zero sogghignò. – Potrebbe piacermi. Ora chiudi gli occhi, sono qui con te. Andrà tutto bene.

– Non mi avevi promesso fuoco e fiamme? – Lo prese in giro, accoccolandosi meglio sul suo corpo caldo.

– Quando avrai riposato, così da poterti stancare per bene! – Promise, smettendo di massaggiarlo solo quando lo ebbe profondamente addormentato tra le sue braccia.

Detestava vedere Jude sempre preoccupato, sempre coinvolto nei problemi causati da altri. Prima Oscar e, a seguire, Lionel e Jelena. Ci mancava solo la vita privata della madre a completare il quadro.

Almeno nella loro casa voleva che si sentisse al sicuro e protetto, che fosse la loro oasi di pace.

Spegnendo la luce della lampada, si ripromise di controllare che Jude smettesse di saltare il pranzo e che quel nuovo problema non lo stressasse più del necessario.

Erano una famiglia, avevano cura l’uno dell’altro.

 

– Quindi Harrison è tornato! – Lionel lo salutò così, sedendosi accanto a lui al bancone del bar.

Zero sollevò un sopracciglio. – Ti fanno ancora entrare all’Arena?

Lei scrollò le spalle. – Sono poche le porte di Los Angeles che trovo chiuse. – Replicò, guardandosi attorno. – Jude?

– A pranzo con Harrison.

– Come sta?

– Cosa ti ha detto?

Lionel controllò che nessuno li ascoltasse, prima di rispondergli. – Che potrebbe essere più di un semplice amico di famiglia.

Zero non ne fu sorpreso. Matrigna o no, era la migliore amica di Jude, era normale che si fosse confidato con lei. I problemi sorti tra loro quando avevano lavorato insieme non avevano offuscato l’affetto reciproco.

– Se la strega dell’ovest lo scoprisse, la vostra posizione non sarebbe più stabile. – Lo avvertì, finendo il Martini.

– Fammi indovinare, tu eri la strega di Biancaneve? – Scherzò Zero. – Sappiamo a cosa andremmo incontro.

– Saperlo e affrontarlo, sono due cose diverse. Jude farebbe qualsiasi cosa pur di proteggerti. – Gli ricordò, con una velata accusa.

– Lo stesso vale per me. – Replicò prontamente. – La sua salute è una mia responsabilità. – Sentenziò, posando la bottiglia di birra sul tavolo.

– Ed è compito mio controllare che tu faccia il tuo lavoro. – Lionel gli puntò un dito contro. – Ho sentito dire che Derek sta per tornare.

– Tsk. Non temo la concorrenza.

Lionel non si lasciò impressionare dalla sua sicurezza. – Sei stato il gallo del pollaio per quasi due anni, conoscendoti dubito che lo accoglierai a braccia aperte.

 – Sei forse preoccupata per me? – La prese in giro, indicando se stesso con entrambe le mani.

– Quando gelerà l’inferno. – Disse, ordinando un altro Martini. – La gente come noi ha le spalle larghe. È di Jude che mi preoccupo. – Abbassò il tono della voce. – Sa essere freddo e calcolatore con gli estranei, ma quando vengono coinvolti i suoi pochi affetti, diventa ferocemente protettivo. Senza contare che non è mai stato capace di pensare a se stesso e alla propria sicurezza.

– Te l’ho già detto, badare a lui è compito mio. – Si voltò verso di lei, affrontandola apertamente. – Tergiversare non è il tuo forte. Mi spieghi il vero motivo della tua visita?

– Non sottovalutare la questione Harrison. – Lo avvertì, sospirando spazientita. – Jude ha passato tutta la vita cercando di farsi amare da Oscar. Pensava di essere lui il problema. Di non essere abbastanza intelligente, o sportivo, o etero. Se non ti avesse incontrato, sono sicura che avrebbe finito con lo sposare la figlia di qualche pezzo grosso della finanza, solo per compiacere Oscar e avvantaggiarlo negli affari. – Sputò velenosamente. – Ha rischiato più volte di finire in galera per lui. Hai idea di cosa significherebbe scoprire che avrebbe potuto avere un’altra vita, con un padre diverso?

– Oscar gli ha fatto del male in decine di modi diversi e questo non può cancellarlo. Ma ultimamente mi sembra più tranquillo, come se avesse accettato il passato. Non lo so. – Borbottò, ricominciando a bere la sua birra.

– Non si tratta di averlo accettato o meno. Siete tu e la vostra casa. Gli hai dato un posto dove sentirsi davvero al sicuro, un posto in cui poter essere se stesso, certo di essere accettato al cento per cento. Chi lo avrebbe mai detto! – Scherzò. – Ero sicura che avrei dovuto investirti, prima o poi!

Strinse le spalle. – Potrei rovinare tutto in qualsiasi momento.

– Ecco perché ho ancora un’auto. – Finì il suo Martini e si alzò con estrema grazia. Il vestito rosso che indossava le fasciava delicatamente le curve, dandole un aspetto sexy ma non volgare. – Devo andare, ho un provino con Tarantino. Ti affido Jude, abbine cura! – Gli intimò, puntandogli un dito contro.

– Signorsì signore! – Scherzò, guadagnandosi un’occhiataccia.

Posò la bottiglia vuota sul bancone e controllò il cellulare. Alcuni siti sportivi avevano postato delle foto di Jude e Harrison a pranzo insieme. Leggendo le varie ipotesi passò dal sorriso all’irritazione. Alcuni parlavano di una possibile sponsorizzazione, altri di un’acquisizione dei Devils. I più maliziosi insinuavano un interesse più personale. Non ne fu sorpreso: il modo in cui Harrison guardava Jude era quasi adorante. Lui stesso sarebbe stato geloso, se non avesse saputo la verità.

Strinse le labbra, cercando di frenare la rabbia che serpeggiava nel suo stomaco. Jude avrebbe meritato di crescere con un padre che lo guardasse in quel modo.

Increspò la fronte mentre infilava il cellulare nella tasca della tuta. Se Jelena avesse visto quelle foto sarebbe saltata alle conclusioni sbagliate.

Guardò l’orologio. Jude avrebbe dovuto essere già rientrato da un pezzo. Voleva controllare che stesse bene, gli allenamenti in palestra potevano aspettare.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, capì subito che qualcosa non andava.

Caty stava passeggiando nervosamente, mordendosi il labbro inferiore. Quando lo scorse, trasse un profondo sospiro di sollievo.

– Jelena è dentro, vero? – Indovinò il giocatore, stringendo la mascella.

– Come fa a saperlo?! – Domandò la donna sconcertata.

– Sul web girano le foto del pranzo tra Jude e Harrison. – Senza aggiungere altro, bussò alla porta ed entrò senza aspettare una risposta.

Jelena era in piedi di fronte alla scrivania, nei suoi occhi lesse ferocia e un pizzico di paura.

– Oh, guarda chi abbiamo qui! – Sputò velenosa. – Dimmi, sei stato tu a insegnare a Jude a colpire alle spalle? Non deve essere un problema per voi!

– Alle sue spalle faccio cose più piacevoli. Jude non ama la violenza, neanche a letto. – Rispose con un finto sorriso, mentre si avvicinava al suo uomo, seduto sulla propria poltrona. – A cosa dobbiamo questa scenata, Drama Queen?

– Non dirmi che non hai visto le foto di lui con Harrison! – Incrociò le braccia al petto, guardandoli con sospetto. – Fossi in te non sarei così tranquillo, hanno visto tutti il modo in cui lo guarda. Oppure fa parte del vostro piano per cacciarmi?

– Non tirare troppo la corda. – L’ammonì Jude, rimasto in silenzio sino a quel momento, con un’espressione indecifrabile sul viso.

Zero la conosceva molto bene, gliel’aveva vista indosso molte volte quando era ancora il suo manager, quando doveva concludere un contratto, chiedere un aumento alla società o ridefinire un accordo a loro vantaggio.

L’aveva sempre trovata incredibilmente hot.

– Davvero pensavi che non l’avrei scoperto? – Proseguì Jelena, sbattendo le mani sul tavolo. – Anche se hai l’appoggio del Consiglio perché sei un Kinkade, questo non si estende al tuo Zero. – Sibilò con un sorrisetto maligno. – Derek sta per tornare.

– Non minacciarlo. – Disse Jude, stringendo gli occhi.

– Credi che Derek non voglia indietro la fascia di capitano? I fans non hanno mai smesso di amarlo.

– È giusto che lo amino, ha fatto la storia dei Devils. – Disse lui, alzandosi lentamente in piedi. – I miei incontri con Harrison sono di natura strettamente personale. È un amico di famiglia che è passato a trovarmi. Il fatto che possieda alcune quote dei Devils è irrilevante. Non ha mai avuto alcun interesse ad essere coinvolto nelle nostre attività e la situazione non è cambiata. Le sue quote sono sempre gestite da Marcus Douglas.

Jelena sembrò tranquillizzarsi. Aveva perso quella punta di panico che le si leggeva  negli occhi e anche la postura era meno rigida.

– Bene, allora speriamo che non cambi idea prossimamente! – Tagliò corto, raggiungendo la porta.

– Jelena? – La voce di Jude la raggiunse quando posò la mano sulla maniglia. Voltandosi appena, si trovò pugnalata dai suoi occhi freddi e concentrati. – Non minacciare mai più qualcuno che amo. Non sei nella posizione adatta, lo sai? – Anche la voce sembrava diversa, meno umana. La donna schiuse le labbra pronta ad attaccare ma lui proseguì il suo discorso. – Non vuoi che gli assistenti sociali ti portino via Miguel, vero? Una donna single, coinvolta in un giro di prostituzione, non è la candidata ideale per crescere un bambino.

– Non hai prove che…!

– Ho tutto quello che serve. Ero ancora l’agente di Zero all’epoca. Pensi davvero che sia rimasto a girarmi i pollici, mentre rischiava la carriera a causa tua? – La sua voce aveva un che di metallico che la spaventò, tanto quanto le sue parole. – Bada bene, sino ad ora non ho fatto nulla perché quel bambino non merita di essere coinvolto nelle nostre scaramucce, ma nessuno deve toccare coloro che amo. – Concluse con un basso ringhio, gli occhi divenuti quasi grigi.

Jelena non riuscì a dire nulla, frastornata da quel colpo basso. Non credeva che Jude ne fosse capace. Scioccamente lo aveva considerato un giovane uomo, sensibile e ansioso. Ma era anche un Kinkade e adesso le stava mostrando il suo lato spietato e pericoloso. Uscì velocemente dall’ufficio richiudendosi la porta alle spalle.

 

Al suono dello scatto della maniglia, Jude si accasciò sulla poltrona, nascondendosi il viso con le mani.

– Cos’ho fatto?

– Mi hai difeso. Hai difeso entrambi. – Lo rassicurò, inginocchiandosi di fronte a lui.

– Ho minacciato un bambino! Sono peggio di Oscar!

– Non sei come lui! Lo hai detto, è vero, ma non lo faresti mai! – Protestò afferrandogli i polsi. – Ehi? Non sei come lui!

– Ho minacciato Miguel! – Ripeté disgustato. – Questo mi rende…

– Un uomo d’affari. È istintivo per te cercare la soluzione migliore per risolvere un problema, ma alcune cose non le faresti mai! Perché sei umano e gentile e compassionevole. Tutte qualità estranee a Oscar!

Jude evitò di guardarlo negli occhi, ma sembrò calmarsi.

Zero allungò le braccia e lo strinse a sé. Avere Oscar come padre gli aveva lasciato un’impronta indelebile nell’anima, ma Jude aveva anche una moralità e un’onestà, che affascinavano. Il Consiglio lo adorava per la persona che era, non solo per il cognome che portava.

Furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. Pochi istanti ancora e udirono la voce di Caty attraverso la porta adesso socchiusa.

– Ho appeso alla maniglia il cartello “Non disturbare”. Io sto andando via. Per sicurezza chiudetevi a chiave. A domani!

– Adoro la tua segretaria! – Decise Zero, una volta rimasti soli.

– Tutto questo è estremamente imbarazzante. – Sospirò Jude rassegnato, posando la schiena all’indietro, sfilandosi al tempo stesso la cravatta blu.

– Solo perché ci conosce bene! – Zero afferrò i braccioli della poltrona e fece leva sulle braccia. Avvicinò il viso al suo con un sorriso che non prometteva nulla di casto.

– È te che conosce bene! – Replicò, lasciandosi baciare.

– Tanto meglio! – Sorrise sulle sue labbra.

Sbottonò velocemente la sua camicia azzurra e cercò subito i suoi capezzoli scuri, che sfregò con i pollici.

Jude ansimò, cingendogli le spalle. Avrebbe dovuto fermarlo. Avrebbero dovuto fermarsi. L’ufficio non era il luogo più appropriato per certe cose.

Allargò le gambe quando la coscia di Zero sfregò contro il suo inguine, ancora protetto dai pantaloni blu del suo completo. Avrebbero dovuto davvero, davvero fermarsi.

Cercò la zip della giacca Nike di Zero e la tirò giù senza particolari problemi. Stava per sfilargliela dalle spalle, quando il cellulare iniziò a vibrare.

– Non ci pensare neanche! – Gli intimò Zero, mordendogli il lobo di un orecchio.

Leggendo il nome sul display, Jude sospirò sconsolato. – È Marcus.

– Dannazione! – Sibilò allontanandosi da lui.

 

Dopo la doccia, Zero indossò solo i pantaloni della tuta lasciandosi l’asciugamano sulla testa. Scese le scale, udì la voce di Jude proveniente dallo studio. Nelle ultime tre ore aveva ricevuto telefonate da tutti i membri del Consiglio.

Ordinò cinese e attese il ritorno del suo compagno semisdraiato sul divano, facendo zapping tra un programma sportivo e l’altro.

La notizia del giorno era l’incontro tra il giovane Kinkade e il magnate Michael Harrison. Sbuffò un paio di risate ascoltando le ipotesi dei giornalisti sportivi e degli opinionisti nei vari studi.

Arrivata la cena, posò le scatole sull’ampio tavolo da caffè aspettando Jude, certo che avesse sentito il suono del campanello attraverso la porta dello studio socchiusa.

Lanciò alcuni cuscini sul pavimento tra il divano e il tavolino e vi sedé sopra, ricominciando a guardare la televisione.

– Mi dispiace. – Sospirò Jude alcuni minuti dopo, lasciandosi cadere al suo fianco.

– Per cosa ti stai scusando? – Domandò, passandogli il pollo alle mandorle.

– Tutto? Quando ho accettato di pranzare con Michael non ho pensato alle possibili ripercussioni, sia per la squadra che per noi due. Questa situazione mi sta togliendo lucidità.

– È stato orribile! Hanno interrotto la nostra sessione di sesso bollente. – Si lamentò, prendendo le bacchette.

– Non intendevo quello! – Protestò increspando la fronte. – Anzi, forse è stato l’unico lato positivo, non possiamo fare sesso sulla mia scrivania!

– Perché no?

– Non è professionale, ecco perché!

– Irrilevante.

Jude strinse le labbra cercando di non ridere e guardò distrattamente la televisione. – Pensano che ti stia tradendo con lui? – Chiese cominciando a mangiare.

– Qualcuno. Ma va per la maggiore l’acquisto della squadra, seguita subito dopo dalla sponsorizzazione. Il Consiglio?

– Sono riuscito a tranquillizzarli. È stato un pranzo con un vecchio amico di famiglia. Tecnicamente non ho mentito.

– Intelligente.

Si mise a pugnalare il pollo, sovrappensiero. – Mi dispiace averti coinvolto nell’ennesimo dramma Kinkade.

Zero gli diede una lieve spallata. – Non dire sciocchezze e mangia. – Gli intimò indicando il suo pollo con le bacchette.

– Stai sviluppando un’inquietante ossessione nei confronti delle mie abitudini alimentari.

– Perché sono terribili!

– Sul serio? Al mattino bevi dei frullati verdi dall’odore terribile! – Lo accusò, ricominciando a mangiare.

– Frutta e verdura. Sono ricchi di vitamine.

– Sono verdi.

– Non essere razzista!

Jude scoppiò a ridere, posando la testa sulla sua spalla. Lo guardò attraverso le lunghe ciglia scure, grato una volta di più per la sua presenza.

– So di essere irresistibile, ma fammi almeno finire di cenare prima di portarti a letto. – Scherzò Zero, senza distogliere l’attenzione dai suoi ravioli.

– Stupido! – Sorrise il giovane, finendo il suo pollo.

In sottofondo, gli opinionisti televisivi parlavano ancora di loro, ma non provò particolare fastidio. Non lì nella loro casa, con Zero accanto.

Doveva ammettere che sia l’architetto che l’arredatore consigliatigli da Lionel avevano fatto un ottimo lavoro.

La casa era in stile coloniale, su due piani, provvisto di solaio e di seminterrato. All’ingresso un’ampia scala conduceva al piano superiore che comprendeva la loro camera da letto con bagno privato, più altre quattro camere e tre bagni.

Non che avessero molti ospiti, ma spazio ce n’era e Jude non aveva mosso obiezioni quando aveva visto il progetto per la prima volta. L’ampia scala all’entrata lo aveva spaventato per qualche istante, ricordò toccandosi distrattamente il braccio sinistro ma, subito dopo, il suo lato razionale aveva avuto il sopravvento. Seguendo le indicazioni del suo ragazzo aveva seguito personalmente i lavori.

Zero aveva insistito affinché Jude potesse avere uno studio al piano terra, accanto ad un’ampia stanza che fungeva da palestra. Oltre alla grande cucina e a due bagni, ciò che occupava la maggior parte del piano terra era la sala.

I colori predominanti erano bianco, nero e beige, mentre il legno dei mobili donavano agli ambienti una sensazione di calore.

All’esterno il giardino dalle alte siepi li proteggevano da occhi indiscreti. Oltre al garage, Jude aveva voluto sul retro, non distante dalla piscina, un piccolo campetto di basket al chiuso. Così che Zero potesse allenarsi da solo ogni volta che lo desiderasse.

Tutta la proprietà era protetta da un altissimo cancello in ferro battuto.

Prima di andare a vivere lì, Jude non aveva mai capito cosa fosse una casa. Aveva vissuto in abitazioni, dove tornare dopo estenuanti giornate di lavoro. Dormire, mangiare, lavarsi e uscire di nuovo. Tutto lì.

Zero invece gli aveva dato un posto in cui voler tornare, un posto in cui essere felice.

Il giocatore si sporse per prendere un’altra scatola di ravioli al vapore. – Hai spento il cellulare. – Notò, guardando stupito sul tavolino.

– Sono stanco di rassicurare la gente. Se sento parlare ancora di quote e percentuali, potrei urlare. – Ammise, posando la testa sul divano alle loro spalle.

– Sempre detto, io, che quella è gente ipersensibile! – Borbottò il biondo. – È stato solo un pranzo, dannazione!

– Non è così semplice, la posizione di Jelena non è mai stata solida, lo sai. Il suo dieci percento non le ha mai garantito la poltrona.

– Come diamine ha fatto a diventare il capo, allora?

– Strategia e un pizzico di fortuna. – Accettò dal compagno un’altra scatola di cartone, prima di proseguire. – Marcus non era contento della gestione di Lionel. È l’azionista principale ma, all’epoca, non fece nulla per impedire l’ascesa di Jelena. Nel frattanto lei ottenne l’appoggio degli altri membri del Consiglio.

– Quindi le è stato sufficiente il trenta per cento e il tacito assenso di Marcus.

– Sì. Oscar era ancora in galera e Lionel era un po’ troppo avventata per i suoi canoni. Jelena ha ottenuto i Devils grazie all’appoggio del Consiglio. Capisco le scelte di Marcus. – Ci tenne a precisare. – Al suo posto avrei fatto lo stesso. Lionel ha tante qualità, ma è troppo impulsiva per gestire una squadra come la nostra.

– Aspetta un istante, – mormorò Zero facendo un rapido calcolo, – la tua famiglia possedeva il cinquanta percento della società, ma diede il dieci percento alla madre di Jelena. È il quaranta percento, non il trenta.

– Anni fa, dopo un affare losco dei suoi, Oscar fu a corto di denaro e fu costretto a vendere il dieci percento a Marcus, suo storico socio d’affari. È così che è entrato a far parte del Consiglio. – Sospirò rassegnato. – Quando è finito in carcere per omicidio, si è trovato nella stessa situazione e gli ha venduto un ulteriore dieci percento.

– Perciò Marcus ha il venti percento della società, come Oscar?

– Sì, hanno le stesse quote. Jelena e Betty Lewis, ne hanno dieci, mentre l’avvocato Martin e Richard Walker, possiedono il cinque percento.

– Venti e venti, dieci e dieci, cinque e cinque. – Mormorò Zero. – Fa settanta, Jude. Chi possiede il trenta percento della società?! – Domandò, perplesso.

Jude si adombrò. – Appartenevano a mia madre.

Il giocatore lo guardò scioccato. – Le ha lasciate a te?

– No, non ha mai voluto che avessi nulla a che fare con Oscar e le sue attività.

– Donna saggia. – Commentò, passandogli un braccio attorno alle spalle.

– Immagino di sì.

– Ma se non le hai tu, chi…? Non è possibile! – Esclamò. – Le ha Harrison! Ecco perché il Consiglio è impazzito!

– Già.

– Jude, hai detto che non è mai stato un appassionato di sport. Se tu fossi davvero suo figlio, ti potrebbe lasciare le quote. Diventeresti il proprietario dei Devils.

– Non correre troppo, – lo avvertì, – e  poi non ho mai voluto essere il capo. È fastidioso. Troppe feste, interviste e riflettori puntati in faccia. – Lo guardò di sbieco. – In effetti è ciò che è diventata la mia vita da quando ti frequento. – Gli baciò una guancia. – Ho anche dei fans, adesso! Siamo i Zure!

– Zude. – Lo corresse, infastidito.

– Fa lo stesso. – Tagliò corto, ridendo del suo broncio. Batté lentamente le palpebre, sorridendogli malizioso. – So quanto ti ecciti il potere, ti piacerebbe se diventassi il proprietario?

Zero gli rivolse un mezzo sorriso. – Sei il mio capo da anni, anche se l’idea di scoparti nell'ufficio che è stato di Oscar, me lo ha fatto diventare duro. – Annunciò avventandosi sulle sue labbra.

Jude accettò il suo peso con entusiasmo. Lo desiderava con una ferocia che sapeva ancora spaventarlo. La fame che provavano l’uno per l’altro non sembrava placarsi e questa consapevolezza lo lasciava ogni volta scioccato e compiaciuto al tempo stesso.

 – Non abbiamo lubrificante qui. – Lo avvertì quando sentì che le carezze di Zero si stavano facendo più audaci.

– Grave errore. – Borbottò contro le sue labbra.

Gli sfilò la camicia così da poter giocare con i suoi capezzoli scuri. Da quando aveva scoperto quanto fossero sensibili, erano diventati la nuova ossessione di Zero.

– Gideon! – Sospirò, inarcando la schiena.

– Shh, sono qui. – Lo rassicurò, sfregando i loro bacini.

L’attrito con il tessuto dei loro pantaloni li fece gemere e spostare le gambe, alla ricerca di un contatto maggiore.

– Sono diventato un pervertito come te! – Sospirò Jude, leccandogli la giugulare pulsante.

– Non darmi meriti che non ho. – Ansimò Zero, continuando a strusciarsi su di lui.

Tra gemiti e baci languidi, raggiunsero il piacere a poca distanza l’uno dall’altro.

– Ora una doccia non ce la leva nessuno. – Commentò il giovane, accarezzando distrattamente la schiena sudata del suo uomo.

– Dammi cinque minuti. – Bofonchiò contro il suo petto. – Sei insaziabile!

– Non intendevo quello! – Rise Jude. – Una doccia e basta.

– Sul serio? – Domandò quasi deluso.

– Ma possiamo aspettare anche dieci minuti.

– Lo vedi? Ho creato un mostro!

 

 

Note:

Ho scelto di lasciare l’originale wifey, perché “mogliettina” non mi piaceva. Non era la stessa cosa.

 

   
 
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