Rieccomi
con il nick Gojyina ad
affacciarmi su un nuovo fandom. Dopo Slam Dunk e Queer as Folks ho
trovato un
nuovo amore: la coppia Zero-Jude (Zude). Come al solito la voglia di
scrivere
di loro mi è venuta quando ho scoperto che la nuova stagione non
sarebbe stata
come avevo sperato, quindi… eccoci qui con la “mia” Season 4.
Spero
che vi piaccia! Un abbraccio,
Viviana
Hit
The
Floor 4
Ch1
Gojyina
Quando
le porte dell’ascensore si
aprirono, Caty Sullivan guardò l’ora sul computer prima di rivolgere un
sorriso
gentile al nuovo arrivato.
–
Signor Zero! – Salutò con un garbato
cenno del capo.
Lui
roteò gli occhi. – Zero va più che
bene, te l’ho già detto! – Andò a sedersi sulla scrivania e incrociò le
braccia. – Riunione straordinaria? – Le domandò indicando con un cenno
del capo
la porta dell’ufficio, stranamente chiusa.
Caty
ricominciando a digitare sulla tastiera
del computer. – Appuntamento urgente.
Il
giocatore annuì lentamente. – Ha
pranzato?
La
segretaria scrollò le spalle. – Ho
tentato, ma il capo è testardo come il mio Simon, buon’anima. – Sbottò
stizzita. – Non c’era verso di farlo riposare o prendere una pausa, quasi se
ne vergognasse.
–
Stasera mi toccherà punirlo. – Commentò,
facendole l’occhiolino.
La
donna sbuffò un sorriso. Aveva imparato
da tempo che Zero utilizzava l’ironia come uno scudo. Spesso lo aiutava
a
celare i suoi veri sentimenti. In quel momento, la stava usando
per
nascondere l’irritazione.
Stava
per farglielo notare, quando la porta
dell’ufficio si aprì.
– Buona
giornata. – Li salutò un uomo alto
ed elegante, dai folti capelli castani e gli occhi verde chiaro.
Zero si
limitò ad un cenno del capo,
mentre lo guardava raggiungere l’ascensore. Non lo aveva mai incontrato
prima,
eppure gli sembrava vagamente familiare. Forse era un attore o qualcosa
del
genere.
– Si
chiama Michael Harrison, – lo mise al
corrente Caty, una volta rimasti soli, – si è presentato come un
vecchio amico
di famiglia.
– Ma?
– È un
uomo d’affari che ha vissuto per
anni in Europa. Moda, Network, Finanza: dove ci sono denaro e glamour
lui è
sempre presente. È soprannominato Re Mida, per la sua incredibile
bravura. –
Esitò un istante, prima di azzardare la sua ipotesi. – Forse vuole
acquistare i
Devils. Strano però che non sia andato direttamente dalla signorina
Howard.
Zero
saltò giù dalla scrivania. – Vado a
vedere come sta il boss. – Bussò leggermente e attese qualche istante
prima di
entrare, preoccupato quando non ricevette alcuna risposta. – Jude? –
Trovò il
compagno seduto alla sua scrivania, gli occhi quasi vitrei rivolti
verso le
finestre. – Ehi! – Si allarmò andandogli vicino. – Che diavolo è
successo?! –
Chiese, scuotendogli le spalle.
– Che
cosa?! Chi? – Balbettò Jude,
rendendosi finalmente conto della sua presenza. – Gideon, cosa ci fai
qui? Che
ore sono? – Domandò disorientato.
– Ehi,
ehi! Va tutto bene. – Zero gli
prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. –
L’allenamento è finito e sono passato a prenderti come al solito.
Raccogli le
tue cose e torniamo a casa.
Il suo
tono perentorio, convinse Jude ad
obbedire senza porre ulteriori domande. Riposti alcuni documenti,
chiuse la
valigetta e lo seguì fuori dall’ufficio, dove Caty li stava aspettando
accanto
all’ascensore fermo al loro piano.
La
donna notò preoccupata il pallore sul
viso del giovane vicepresidente. – Da domani in poi, quando deciderà di
saltare
il pranzo, chiamerò il suo fidanzato.
Zero
sbuffò un mezzo sorriso. – Sono
abituato a fare la sexy wifey!
Jude
arrossì suo malgrado, riacquistando
così un po’ di colore. – Potresti smetterla di dire cose così
sconvenienti sul
posto di lavoro?
Il
biondo inarcò un paio di volte le
sopracciglia. – Significa che altrove posso?
–
Rinuncio a parlare seriamente con lui! –
Annunciò rivolgendosi alla segretaria, che gli sorrise comprensiva.
Arrivati
al parcheggio, la donna li salutò
prima di raggiungere la sua auto. – Si riguardi signor Kinkade,
arrivederci
signor Zero.
– Sai,
capisco perché l’hai scelta come
segretaria, – disse il giocatore, raggiungendo la loro macchina, – è
cocciuta
quanto te. – Sentenziò mettendosi al volante.
– Non
sono affatto cocciuto! – replicò
Jude, mentre si allacciava la cintura. – Sono concentrato, è diverso!
– Sul
serio? – Inarcò le sopracciglia, immettendosi
nel traffico di Los Angeles. – Allora concentrati e pensa a cosa vuoi
per cena.
L’ex
manager allentò la cravatta. – Fa lo
stesso, sei tu quello fissato con la dieta.
– Non è
una fissazione, è un obbligo
morale! – Replicò stizzito.
Jude
eruppe in un sospiro rassegnato. –
Ancora con la storia che il tuo corpo sia un tempio?
– Il
mio corpo è davvero un tempio. – Gli
lanciò un’occhiatina maliziosa. – Ci sono parti di me che adori. –
Sogghignò,
abbassando il tono della voce. – Mi piace quando sei in ginocchio di
fronte a
me.
Jude
scoppiò a ridere, mentre le luci dei
lampioni cominciavano a illuminare la città.
Mentre
Zero chiudeva la porta alle loro
spalle, Jude sentì il peso della giornata scivolare via.
Non era
abituato a rilassarsi. Era il tipo
di persona che si perdeva nella propria mente, che calcolava i pro e i
contro
di qualsiasi decisione, che rimuginava, rifletteva, ponderava. Nella
loro nuova
abitazione, invece, si sentiva talmente a proprio agio, al sicuro,
protetto e
amato, da riuscire a lasciare fuori i problemi.
Quella
nuova tranquillità non era sfuggita
a chi lo conosceva bene. Lionel lo aveva subito notato la prima volta
che era
passata a trovarli.
Ovviamente
Zero si era preso il merito con
motivazioni ai limiti della pornografia. Qualcosa del tipo “È
più rilassato perché prima di andare a dormire lo stanco per bene!”.
Jude
posò la valigetta nello studio,
arrossendo al ricordo della replica di Lionel.
“Peccato
non averlo saputo prima.” Aveva
detto, sorseggiando il vino. “Avrei potuto prendergli un
paio di gigolò.
Lui si sarebbe divertito e io non lo avrei avuto pomeriggi interi in
uno stato
di ansia continua!”
Jude
posò la giacca sulla poltrona e sfilò
del tutto la cravatta. – Mi circondo di persone che hanno molto in
comune, – si
rese finalmente conto, – deve esserci qualcosa di sbagliato in me.
– Jude?
– La voce di Zero lo riscosse dai
suoi pensieri.
–
Arrivo!
Uscì
dallo studio e attraversò velocemente
l’entrata e l’ampia sala per raggiungerlo in cucina, dove lo trovò con
la testa
nel frigorifero.
– C’è
l’insalata di pollo avanzata ieri.
Jude
incrociò le braccia al petto. – Stai
cominciando a prendere troppo seriamente la faccenda wifey.
– Sul
serio? – Zero chiuse il frigorifero
e lo affrontò. – Devo controllare che tu non muoia di fame, signor Sono-troppo-concentrato-per-pranzare.
–
Melodrammatico. – Borbottò
apparecchiando la tavola.
– Ti ho
sentito. – Zero si appoggiò al
frigorifero, con aria di sfida. – Preferisci che ti chieda di quel
Michael Harrison?
– Sentendo il suo nome, a Jude scappò di mano una forchetta, che cadde
malamente sul pavimento di marmo italiano. – Come immaginavo!
– Non
volevo nasconderti nulla, – si
affrettò a precisare il giovane, passandosi una mano tra i capelli
scuri, – è
solo che… – lottò per cercare le parole adatte, – è solo complicato. –
Ammise,
accasciandosi sulla sedia più vicina.
Zero
gli si inginocchio di fronte,
prendendogli le mani. – Non ti ha fatto del male, vero? – Chiese con
urgenza,
cercandolo con lo sguardo.
– No,
no. – Si affrettò a
tranquillizzarlo. – È stato, anzi, molto gentile. È solo che non mi
aspettavo…
non… – scosse la testa, incredulo. Stava per aggiungere altro, quando
il
cellulare squillò. – Scusa un attimo. – Mormorò andando in soggiorno. –
Signor
Harrison. Ah, sì! Michael. – Si corresse, sorridendo imbarazzato.
Zero si
appoggiò allo stipite dell’arcata
che divideva salone e cucina, incrociando le braccia al petto. Jude
stava
arrossendo come una scolaretta e questo non gli piaceva.
– La
cena è pronta. – Annunciò alzando di
proposito il tono della voce, così da farsi udire anche da Harrison.
– Ah,
sì, scusami. No, no, va bene domani.
Grazie! – Jude posò il cellulare sul mobile più vicino e rivolse al
compagno
un’occhiataccia. – Che modi sono?! Hai idea di chi fosse?
– Non
mi interessa!
–
Gideon!
– Ora
ti telefona anche dopo l’orario
d’ufficio? – Indagò ironico. – L’appuntamento di oggi deve essere stato
molto
personale!
Impreparato
a quell’attacco, Jude fece un
passo indietro. – Pensi che ti abbia tradito con lui? – Domandò ferito.
– No,
stupido! – Si affrettò a
tranquillizzarlo, afferrandolo per la vita. – Ma quel tizio potrebbe
avere un
interesse nei tuoi confronti che va ben oltre il lavoro.
L’ex
manager esitò un istante prima di
guardarlo negli occhi. – Era un amico di famiglia, si è trasferito in
Europa poco
prima che io nascessi. – Spiegò, passandosi una mano tra i capelli
scuri. Fece
un respiro profondo, prima di proseguire. – Gideon, forse è lui il mio
vero padre.
– Cosa?!
Zero
avvolse Jude in un morbido plaid e
lasciò che posasse la testa sulla sua spalla.
Avevano
deciso che il loro ampio divano
fosse il luogo più adatto per parlare.
– Che
ne dici di cominciare dall’inizio? –
Propose il giocatore, passandogli un braccio attorno alle spalle.
– Non
so molto, – lo avvertì con un lieve
sospiro. – La segretaria di Harrison ha chiamato stamattina per fissare
un
appuntamento. Dalla sua insistenza era chiaro che fosse importante ma,
conoscendolo di fama, credevo fosse qualcosa relativa alla squadra.
Zero
annuì pensieroso. – Cosa ti ha detto
di preciso?
– Che
lui e Oscar erano stati amici
fraterni sino a quando non si sono innamorati entrambi di mia madre.
–
Classico.
– Già.
Lei è stata molto combattuta. Da un
lato Harrison che le offriva una vita in giro per il mondo e dall’altra
Oscar
che già aveva ottenuto il denaro necessario per fondare i Devils.
– E
sappiamo chi ha scelto alla fine.
– Mia
madre voleva una famiglia e la vita
da nomade di Harrison non le garantiva stabilità. – Sbuffò ironico. –
Non che un
matrimonio fatto di tradimenti e menzogne sia stato migliore.
– Credi
davvero che possa essere tuo
padre? – Domandò, chinando il viso per poterlo guardare negli occhi.
– Non
lo so. Ma spiegherebbe tante cose.
Perché Oscar mi abbia sempre ignorato, ad esempio. Perché, le rare
volte in cui
mi ha guardato in faccia, ha sempre avuto una diffidenza, un odio, che
non ho
mai compreso. Biasimavo me stesso, pensando di essere una delusione
come
figlio, ma forse il problema non ero io.
– Non
lo sei mai stato! – Replicò subito
Zero, detestando ancora di più Oscar Kinkade. Si grattò il mento,
ripensando a
Michael Harrison. – Mi era sembrato vagamente familiare, – ammise, – ma
forse è
stato il suo look da uomo d’affari.
–
Faremo il test di paternità. Dobbiamo
sapere la verità. – Si morse il labbro inferiore, distogliendo lo
sguardo.
Amava
il loro grande salone. Le ampie
vetrate che davano sul giardino, le pareti bianche e il bellissimo
pavimento in
marmo, rendevano la stanza elegante e luminosa. Mentre il camino e il
bel
divano ad elle pieno di cuscini color panna, gli donavano un profondo
senso di
calore e protezione.
– C’è
dell’altro, vero? – Indagò Zero,
accarezzandogli i capelli.
Jude
nascose il viso sulla sua spalla
prima di rispondergli. – Se si scoprisse che non sono un Kinkade,
sorgerebbero
seri problemi sia con gli sponsor che con gli azionisti.
Zero
comprese al volo il problema. Di
base, i Devils erano a conduzione familiare. Gli azionisti erano stati
i primi
soci in affari di Oscar e le loro quote erano vincolate da un ferreo
contratto.
Non erano vendibili ad estranei. Tutto doveva rimanere all’interno
della
famiglia Devils.
Nonostante
l’arresto di Oscar e il caos
dei mesi successivi, tra Lionel, Terence e Jelena, la presenza di Jude,
l’ultimo Kinkade era una garanzia di stabilità e di continuità
dell’attività di
famiglia.
Il
Consiglio, Marcus Douglas in primis,
aveva lui come punto di riferimento, cosa che mandava Jelena su tutte
le furie
ovviamente. Ma c’era poco da fare: poteva anche sedere sulla poltrona
di Oscar,
ma non sarebbe mai stata una Kinkade.
– Ehi,
qualunque cosa accada,
l’affronteremo insieme. – Lo rassicurò il giocatore, posando la fronte
contro
la sua. – Siamo il Team Zude!
Jude
allontanò il viso e sollevò un
sopracciglio scuro. – È un nomignolo ridicolo.
– Lo
hanno scelto i nostri fans!
– Io
non ho dei fans! – Protestò
imbarazzato.
– Certo
che li hai! Siamo la coppia più
hot di Los Angeles. – Gli ricordò,
baciandogli una tempia. – Coppia che non ha ancora cenato. – Lo aiutò
ad
alzarsi in pieni e lo prese per mano. – Andiamo a mangiare. I problemi
possono
aspettare sino a domani.
Jude
annuì, sorridendogli. Era grato a
Zero per tante cose, soprattutto per il suo supporto incondizionato. Lo
faceva
sentire più forte e più stabile, capace di affrontare qualsiasi
problema.
Parlare con lui lo aiutava a mettere tutto nella giusta prospettiva.
–
Grazie. – Sussurrò, entrando in cucina
con il suo uomo.
Zero
gli rivolse il suo sorriso più
peccaminoso. – Mi ringrazierai per bene sotto la doccia. E in camera da
letto.
E anche su questo tavolo.
Jude
strinse le labbra cercando di
rimanere serio. – In quale ordine?
Scrollò
le spalle. – Qualsiasi! – Tagliò
corto, riempiendogli il piatto. – Adesso mangia, al resto penseremo più
tardi.
Il
giovane annuì, prendendo la forchetta.
Anche se aveva saltato il pranzo non aveva molta fame. Continuava a
pensare a Michael
Harrison, ai lineamenti del suo viso, alla sua altezza, al colore degli
occhi,
appena più chiari dei suoi. Era anche castano, proprio come lui. Certo,
milioni
di persone erano castane, però quell’uomo aveva dei modi gentili e
garbati. Lo
aveva guardato in un modo strano. Con stupore, misto ad altro.
Speranza? Non ne
era sicuro.
Non era
abituato ad essere guardato con
affetto. Dopo la morte di sua madre, solo Lionel e Zero, si erano
dimostrati
sinceramente affezionati a lui.
– Jude?
– La voce del suo uomo lo riportò
al presente. Zero indicò il suo piatto ancora intonso. – Fai da solo o
vuoi che
ti imbocchi?
Jude
scosse la testa, ridendo. – Perché
qualsiasi cosa dici, ha delle implicazioni sessuali?
Il
biondo inarcò le sopracciglia indicando
se stesso con le mani. – Mi hai guardato bene?
– Non
posso risponderti, le dimensioni del
tuo ego vanno tenute sotto controllo. – Scherzò, cominciando finalmente
a
mangiare.
Zero
sogghignò. – Ah! Per la cronaca, –
guardò in basso, prima di proseguire, – dovresti controllare anche
altre mie
dimensioni. – Gli fece l’occhiolino e ascoltò la bella risata calda del
suo
ragazzo.
Obiettivo
wifey raggiunto: far tornare il
buonumore al suo maritino.
Increspò
la fronte. Forse Jude non aveva torto,
la faccenda wifey gli stava sfuggendo di mano.
Jude si
allacciò l’asciugamano in vita,
raggiungendo la camera da letto a piedi nudi. Era curioso di sapere
dove fosse
Zero. Era strano che non lo avesse raggiunto sotto la doccia.
Infilati
i pantaloni della tuta, si
affacciò alla scala che conduceva al piano inferiore.
–
Gideon?
–
Inserisco l’allarme e arrivo. – Rispose
subito l’altro. Quando Zero entrò in camera, lo trovò già sotto le
coperte, con
il cellulare in mano. – Assolutamente no. – Decise, sfilandoglielo
dalle mani,
non senza le sue vivaci proteste. – Ora resti qui, steso e ti rilassi,
chiaro?
– Ma le
e-mail…
–
Possono aspettare fino a domani. –
Sentenziò il giocatore, facendogli posare la testa nell’incavo tra la
spalla e
il collo.
Con le
sue belle e grandi mani, gli massaggiò
lentamente la schiena, trovando non poca tensione.
Tutto
quello stress non faceva bene a
Jude. Adesso era ancora giovane e il suo corpo aveva un eccellente
recupero, ma
doveva assolutamente cambiare il suo stile di vita.
Lo
sentì sfregare il naso contro la sua
pelle con un sospiro soddisfatto.
– Mi
stai viziando. – Mormorò Jude, con le
palpebre già pesanti.
Zero
sogghignò. – Potrebbe piacermi. Ora
chiudi gli occhi, sono qui con te. Andrà tutto bene.
– Non
mi avevi promesso fuoco e fiamme? –
Lo prese in giro, accoccolandosi meglio sul suo corpo caldo.
–
Quando avrai riposato, così da poterti
stancare per bene! – Promise, smettendo di massaggiarlo solo quando lo
ebbe
profondamente addormentato tra le sue braccia.
Detestava
vedere Jude sempre preoccupato,
sempre coinvolto nei problemi causati da altri. Prima Oscar e, a
seguire,
Lionel e Jelena. Ci mancava solo la vita privata della madre a
completare il
quadro.
Almeno
nella loro casa voleva che si
sentisse al sicuro e protetto, che fosse la loro oasi di pace.
Spegnendo
la luce della lampada, si
ripromise di controllare che Jude smettesse di saltare il pranzo e che
quel
nuovo problema non lo stressasse più del necessario.
Erano
una famiglia, avevano cura l’uno
dell’altro.
–
Quindi Harrison è tornato! – Lionel lo
salutò così, sedendosi accanto a lui al bancone del bar.
Zero
sollevò un sopracciglio. – Ti fanno
ancora entrare all’Arena?
Lei
scrollò le spalle. – Sono poche le
porte di Los Angeles che trovo chiuse. – Replicò, guardandosi attorno.
– Jude?
– A
pranzo con Harrison.
– Come
sta?
– Cosa
ti ha detto?
Lionel
controllò che nessuno li
ascoltasse, prima di rispondergli. – Che potrebbe essere più di un
semplice
amico di famiglia.
Zero
non ne fu sorpreso. Matrigna o no,
era la migliore amica di Jude, era normale che si fosse confidato con
lei. I
problemi sorti tra loro quando avevano lavorato insieme non avevano
offuscato l’affetto
reciproco.
– Se la
strega dell’ovest lo scoprisse, la
vostra posizione non sarebbe più stabile. – Lo avvertì, finendo il
Martini.
– Fammi
indovinare, tu eri la strega di
Biancaneve? – Scherzò Zero. – Sappiamo a cosa andremmo incontro.
–
Saperlo e affrontarlo, sono due cose
diverse. Jude farebbe qualsiasi cosa pur di proteggerti. – Gli ricordò,
con una
velata accusa.
– Lo
stesso vale per me. – Replicò
prontamente. – La sua salute è una mia responsabilità. – Sentenziò, posando la bottiglia di
birra sul tavolo.
– Ed è
compito mio controllare che tu
faccia il tuo lavoro. – Lionel gli puntò un dito contro. – Ho sentito
dire che
Derek sta per tornare.
– Tsk.
Non temo la concorrenza.
Lionel
non si lasciò impressionare dalla
sua sicurezza. – Sei stato il gallo del pollaio per quasi due anni,
conoscendoti dubito che lo accoglierai a braccia aperte.
–
Sei forse preoccupata per me? – La prese in giro, indicando se stesso
con
entrambe le mani.
–
Quando gelerà l’inferno. – Disse,
ordinando un altro Martini. – La gente come noi ha le spalle larghe. È
di Jude
che mi preoccupo. – Abbassò il tono della voce. – Sa essere freddo e
calcolatore con gli estranei, ma quando vengono coinvolti i suoi pochi
affetti,
diventa ferocemente protettivo. Senza contare che non è mai stato
capace di
pensare a se stesso e alla propria sicurezza.
– Te
l’ho già detto, badare a lui è
compito mio. – Si voltò verso di lei, affrontandola apertamente. –
Tergiversare
non è il tuo forte. Mi spieghi il vero motivo della tua visita?
– Non
sottovalutare la questione Harrison.
– Lo avvertì, sospirando spazientita. – Jude ha passato tutta la vita
cercando
di farsi amare da Oscar. Pensava di essere lui il problema. Di non
essere
abbastanza intelligente, o sportivo, o etero. Se non ti avesse
incontrato, sono
sicura che avrebbe finito con lo sposare la figlia di qualche pezzo
grosso
della finanza, solo per compiacere Oscar e avvantaggiarlo negli affari.
– Sputò
velenosamente. – Ha rischiato più volte di finire in galera per lui.
Hai idea
di cosa significherebbe scoprire che avrebbe potuto avere un’altra
vita, con un
padre diverso?
– Oscar
gli ha fatto del male in decine di
modi diversi e questo non può cancellarlo. Ma ultimamente mi sembra più
tranquillo, come se avesse accettato il passato. Non lo so. – Borbottò,
ricominciando
a bere la sua birra.
– Non
si tratta di averlo accettato o
meno. Siete tu e la vostra casa. Gli hai dato un posto dove sentirsi
davvero al
sicuro, un posto in cui poter essere se stesso, certo di essere
accettato al
cento per cento. Chi lo avrebbe mai detto! – Scherzò. – Ero sicura che
avrei
dovuto investirti, prima o poi!
Strinse
le spalle. – Potrei rovinare tutto
in qualsiasi momento.
– Ecco
perché ho ancora un’auto. – Finì il
suo Martini e si alzò con estrema grazia. Il vestito rosso che
indossava le
fasciava delicatamente le curve, dandole un aspetto sexy ma non
volgare. – Devo
andare, ho un provino con Tarantino. Ti affido Jude, abbine cura! – Gli
intimò,
puntandogli un dito contro.
–
Signorsì signore! – Scherzò, guadagnandosi
un’occhiataccia.
Posò la
bottiglia vuota sul bancone e
controllò il cellulare. Alcuni siti sportivi avevano postato delle foto
di Jude
e Harrison a pranzo insieme. Leggendo le varie ipotesi passò dal
sorriso
all’irritazione. Alcuni parlavano di una possibile sponsorizzazione,
altri di un’acquisizione
dei Devils. I più maliziosi insinuavano un interesse più personale. Non
ne fu
sorpreso: il modo in cui Harrison guardava Jude era quasi adorante. Lui
stesso
sarebbe stato geloso, se non avesse saputo la verità.
Strinse
le labbra, cercando di frenare la
rabbia che serpeggiava nel suo stomaco. Jude avrebbe meritato di
crescere con
un padre che lo guardasse in quel modo.
Increspò
la fronte mentre infilava il
cellulare nella tasca della tuta. Se Jelena avesse visto quelle foto
sarebbe
saltata alle conclusioni sbagliate.
Guardò
l’orologio. Jude avrebbe dovuto
essere già rientrato da un pezzo. Voleva controllare che stesse bene,
gli
allenamenti in palestra potevano aspettare.
Quando
le porte dell’ascensore si
aprirono, capì subito che qualcosa non andava.
Caty
stava passeggiando nervosamente,
mordendosi il labbro inferiore. Quando lo scorse, trasse un profondo
sospiro di
sollievo.
–
Jelena è dentro, vero? – Indovinò il
giocatore, stringendo la mascella.
– Come
fa a saperlo?! – Domandò la donna
sconcertata.
– Sul
web girano le foto del pranzo tra
Jude e Harrison. – Senza aggiungere altro, bussò alla porta ed entrò
senza
aspettare una risposta.
Jelena
era in piedi di fronte alla
scrivania, nei suoi occhi lesse ferocia e un pizzico di paura.
– Oh,
guarda chi abbiamo qui! – Sputò velenosa.
– Dimmi, sei stato tu a insegnare a Jude a colpire alle spalle? Non
deve essere
un problema per voi!
– Alle
sue spalle faccio cose più piacevoli.
Jude non ama la violenza, neanche a letto. – Rispose con un finto
sorriso,
mentre si avvicinava al suo uomo, seduto sulla propria poltrona. – A
cosa
dobbiamo questa scenata, Drama Queen?
– Non
dirmi che non hai visto le foto di
lui con Harrison! – Incrociò le braccia al petto, guardandoli con
sospetto. – Fossi
in te non sarei così tranquillo, hanno visto tutti il modo in cui lo
guarda.
Oppure fa parte del vostro piano per cacciarmi?
– Non
tirare troppo la corda. – L’ammonì
Jude, rimasto in silenzio sino a quel momento, con un’espressione
indecifrabile
sul viso.
Zero la
conosceva molto bene, gliel’aveva
vista indosso molte volte quando era ancora il suo manager, quando
doveva
concludere un contratto, chiedere un aumento alla società o ridefinire
un
accordo a loro vantaggio.
L’aveva
sempre trovata incredibilmente
hot.
–
Davvero pensavi che non l’avrei
scoperto? – Proseguì Jelena, sbattendo le mani sul tavolo. – Anche se
hai
l’appoggio del Consiglio perché sei un Kinkade, questo non si estende
al tuo Zero.
– Sibilò con un sorrisetto maligno. – Derek sta per tornare.
– Non
minacciarlo. – Disse Jude,
stringendo gli occhi.
– Credi
che Derek non voglia indietro la
fascia di capitano? I fans non hanno mai smesso di amarlo.
– È
giusto che lo amino, ha fatto la
storia dei Devils. – Disse lui, alzandosi lentamente in piedi. – I miei
incontri con Harrison sono di natura strettamente personale. È un amico
di
famiglia che è passato a trovarmi. Il fatto che possieda alcune quote
dei
Devils è irrilevante. Non ha mai avuto alcun interesse ad essere
coinvolto
nelle nostre attività e la situazione non è cambiata. Le sue quote sono
sempre
gestite da Marcus Douglas.
Jelena
sembrò tranquillizzarsi. Aveva
perso quella punta di panico che le si leggeva
negli occhi e anche la postura era meno rigida.
– Bene,
allora speriamo che non cambi idea
prossimamente! – Tagliò corto, raggiungendo la porta.
–
Jelena? – La voce di Jude la raggiunse
quando posò la mano sulla maniglia. Voltandosi appena, si trovò
pugnalata dai
suoi occhi freddi e concentrati. – Non minacciare mai più qualcuno che
amo. Non
sei nella posizione adatta, lo sai? – Anche la voce sembrava diversa,
meno
umana. La donna schiuse le labbra pronta ad attaccare ma lui proseguì
il suo
discorso. – Non vuoi che gli assistenti sociali ti portino via Miguel,
vero?
Una donna single, coinvolta in un giro di prostituzione, non è la
candidata
ideale per crescere un bambino.
– Non
hai prove che…!
– Ho
tutto quello che serve. Ero ancora
l’agente di Zero all’epoca. Pensi davvero che sia rimasto a girarmi i
pollici,
mentre rischiava la carriera a causa tua? – La sua voce aveva un che di
metallico che la spaventò, tanto quanto le sue parole. – Bada bene,
sino ad ora
non ho fatto nulla perché quel bambino non merita di essere coinvolto
nelle
nostre scaramucce, ma nessuno deve toccare coloro che amo. – Concluse
con un
basso ringhio, gli occhi divenuti quasi grigi.
Jelena
non riuscì a dire nulla,
frastornata da quel colpo basso. Non credeva che Jude ne fosse capace.
Scioccamente lo aveva considerato un giovane uomo, sensibile e ansioso.
Ma era
anche un Kinkade e adesso le stava mostrando il suo lato spietato e
pericoloso.
Uscì velocemente dall’ufficio richiudendosi la porta alle spalle.
Al
suono dello scatto della maniglia, Jude
si accasciò sulla poltrona, nascondendosi il viso con le mani.
–
Cos’ho fatto?
– Mi
hai difeso. Hai difeso entrambi. – Lo
rassicurò, inginocchiandosi di fronte a lui.
– Ho
minacciato un bambino! Sono peggio di
Oscar!
– Non
sei come lui! Lo hai detto, è vero,
ma non lo faresti mai! – Protestò afferrandogli i polsi. – Ehi? Non sei
come
lui!
– Ho
minacciato Miguel! – Ripeté disgustato.
– Questo mi rende…
– Un
uomo d’affari. È istintivo per te
cercare la soluzione migliore per risolvere un problema, ma alcune cose
non le
faresti mai! Perché sei umano e gentile e compassionevole. Tutte
qualità
estranee a Oscar!
Jude
evitò di guardarlo negli occhi, ma
sembrò calmarsi.
Zero
allungò le braccia e lo strinse a sé.
Avere Oscar come padre gli aveva lasciato un’impronta indelebile
nell’anima, ma
Jude aveva anche una moralità e un’onestà, che affascinavano. Il
Consiglio lo
adorava per la persona che era, non solo per il cognome che portava.
Furono
interrotti da qualcuno che bussava
alla porta. Pochi istanti ancora e udirono la voce di Caty attraverso
la porta
adesso socchiusa.
– Ho
appeso alla maniglia il cartello “Non
disturbare”. Io sto andando via. Per sicurezza chiudetevi a chiave. A
domani!
– Adoro
la tua segretaria! – Decise Zero,
una volta rimasti soli.
– Tutto
questo è estremamente
imbarazzante. – Sospirò Jude rassegnato, posando la schiena
all’indietro, sfilandosi
al tempo stesso la cravatta blu.
– Solo
perché ci conosce bene! – Zero
afferrò i braccioli della poltrona e fece leva sulle braccia. Avvicinò
il viso
al suo con un sorriso che non prometteva nulla di casto.
– È te
che conosce bene! – Replicò,
lasciandosi baciare.
– Tanto
meglio! – Sorrise sulle sue
labbra.
Sbottonò
velocemente la sua camicia
azzurra e cercò subito i suoi capezzoli scuri, che sfregò con i pollici.
Jude
ansimò, cingendogli le spalle.
Avrebbe dovuto fermarlo. Avrebbero dovuto fermarsi. L’ufficio non era
il luogo
più appropriato per certe cose.
Allargò
le gambe quando la coscia di Zero
sfregò contro il suo inguine, ancora protetto dai pantaloni blu del suo
completo. Avrebbero dovuto davvero, davvero fermarsi.
Cercò
la zip della giacca Nike di Zero e
la tirò giù senza particolari problemi. Stava per sfilargliela dalle
spalle,
quando il cellulare iniziò a vibrare.
– Non
ci pensare neanche! – Gli intimò
Zero, mordendogli il lobo di un orecchio.
Leggendo
il nome sul display, Jude sospirò
sconsolato. – È Marcus.
–
Dannazione! – Sibilò allontanandosi da
lui.
Dopo la
doccia, Zero indossò solo i
pantaloni della tuta lasciandosi l’asciugamano sulla testa. Scese le
scale, udì
la voce di Jude proveniente dallo studio. Nelle ultime tre ore aveva
ricevuto
telefonate da tutti i membri del Consiglio.
Ordinò
cinese e attese il ritorno del suo
compagno semisdraiato sul divano, facendo zapping tra un programma
sportivo e
l’altro.
La
notizia del giorno era l’incontro tra
il giovane Kinkade e il magnate Michael Harrison. Sbuffò un paio di
risate
ascoltando le ipotesi dei giornalisti sportivi e degli opinionisti nei
vari
studi.
Arrivata
la cena, posò le scatole
sull’ampio tavolo da caffè aspettando Jude, certo che avesse sentito il
suono
del campanello attraverso la porta dello studio socchiusa.
Lanciò
alcuni cuscini sul pavimento tra il
divano e il tavolino e vi sedé sopra, ricominciando a guardare la
televisione.
– Mi
dispiace. – Sospirò Jude alcuni
minuti dopo, lasciandosi cadere al suo fianco.
– Per
cosa ti stai scusando? – Domandò, passandogli
il pollo alle mandorle.
–
Tutto? Quando ho accettato di pranzare
con Michael non ho pensato alle possibili ripercussioni, sia per la
squadra che
per noi due. Questa situazione mi sta togliendo lucidità.
– È
stato orribile! Hanno interrotto la nostra
sessione di sesso bollente. – Si lamentò, prendendo le bacchette.
– Non
intendevo quello! – Protestò
increspando la fronte. – Anzi, forse è stato l’unico lato positivo, non
possiamo fare sesso sulla mia scrivania!
–
Perché no?
– Non è
professionale, ecco perché!
–
Irrilevante.
Jude
strinse le labbra cercando di non
ridere e guardò distrattamente la televisione. – Pensano che ti stia
tradendo
con lui? – Chiese cominciando a mangiare.
–
Qualcuno. Ma va per la maggiore
l’acquisto della squadra, seguita subito dopo dalla sponsorizzazione.
Il Consiglio?
– Sono
riuscito a tranquillizzarli. È
stato un pranzo con un vecchio amico di famiglia. Tecnicamente non ho
mentito.
–
Intelligente.
Si mise
a pugnalare il pollo,
sovrappensiero. – Mi dispiace averti coinvolto nell’ennesimo dramma
Kinkade.
Zero
gli diede una lieve spallata. – Non
dire sciocchezze e mangia. – Gli intimò indicando il suo pollo con le
bacchette.
– Stai
sviluppando un’inquietante
ossessione nei confronti delle mie abitudini alimentari.
–
Perché sono terribili!
– Sul
serio? Al mattino bevi dei frullati
verdi dall’odore terribile! – Lo accusò, ricominciando a mangiare.
–
Frutta e verdura. Sono ricchi di
vitamine.
– Sono
verdi.
– Non
essere razzista!
Jude
scoppiò a ridere, posando la testa
sulla sua spalla. Lo guardò attraverso le lunghe ciglia scure, grato
una volta
di più per la sua presenza.
– So di
essere irresistibile, ma fammi
almeno finire di cenare prima di portarti a letto. – Scherzò Zero,
senza
distogliere l’attenzione dai suoi ravioli.
–
Stupido! – Sorrise il giovane, finendo
il suo pollo.
In
sottofondo, gli opinionisti televisivi
parlavano ancora di loro, ma non provò particolare fastidio. Non lì
nella loro
casa, con Zero accanto.
Doveva
ammettere che sia l’architetto che
l’arredatore consigliatigli da Lionel avevano fatto un ottimo lavoro.
La casa
era in stile coloniale, su due
piani, provvisto di solaio e di seminterrato. All’ingresso un’ampia
scala
conduceva al piano superiore che comprendeva la loro camera da letto
con bagno
privato, più altre quattro camere e tre bagni.
Non che
avessero molti ospiti, ma spazio
ce n’era e Jude non aveva mosso obiezioni quando aveva visto il
progetto per la
prima volta. L’ampia scala all’entrata lo aveva spaventato per qualche
istante,
ricordò toccandosi distrattamente il braccio sinistro ma, subito dopo,
il suo
lato razionale aveva avuto il sopravvento. Seguendo le indicazioni del
suo
ragazzo aveva seguito personalmente i lavori.
Zero
aveva insistito affinché Jude potesse
avere uno studio al piano terra, accanto ad un’ampia stanza che fungeva
da
palestra. Oltre alla grande cucina e a due bagni, ciò che occupava la
maggior
parte del piano terra era la sala.
I
colori predominanti erano bianco, nero e
beige, mentre il legno dei mobili donavano agli ambienti una sensazione
di calore.
All’esterno
il giardino dalle alte siepi
li proteggevano da occhi indiscreti. Oltre al garage, Jude aveva voluto
sul
retro, non distante dalla piscina, un piccolo campetto di basket al
chiuso.
Così che Zero potesse allenarsi da solo ogni volta che lo desiderasse.
Tutta
la proprietà era protetta da un
altissimo cancello in ferro battuto.
Prima
di andare a vivere lì, Jude non
aveva mai capito cosa fosse una casa. Aveva vissuto in abitazioni, dove
tornare
dopo estenuanti giornate di lavoro. Dormire, mangiare, lavarsi e uscire
di
nuovo. Tutto lì.
Zero
invece gli aveva dato un posto in cui
voler tornare, un posto in cui essere felice.
Il
giocatore si sporse per prendere
un’altra scatola di ravioli al vapore. – Hai spento il cellulare. –
Notò,
guardando stupito sul tavolino.
– Sono
stanco di rassicurare la gente. Se
sento parlare ancora di quote e percentuali, potrei urlare. – Ammise,
posando
la testa sul divano alle loro spalle.
–
Sempre detto, io, che quella è gente
ipersensibile! – Borbottò il biondo. – È stato solo un pranzo,
dannazione!
– Non è
così semplice, la posizione di
Jelena non è mai stata solida, lo sai. Il suo dieci percento non le ha
mai
garantito la poltrona.
– Come
diamine ha fatto a diventare il capo,
allora?
–
Strategia e un pizzico di fortuna. –
Accettò dal compagno un’altra scatola di cartone, prima di proseguire.
– Marcus
non era contento della gestione di Lionel. È l’azionista principale ma,
all’epoca, non fece nulla per impedire l’ascesa di Jelena. Nel
frattanto lei
ottenne l’appoggio degli altri membri del Consiglio.
–
Quindi le è stato sufficiente il trenta
per cento e il tacito assenso di Marcus.
– Sì.
Oscar era ancora in galera e Lionel
era un po’ troppo avventata per i suoi canoni. Jelena ha ottenuto i
Devils
grazie all’appoggio del Consiglio. Capisco le scelte di Marcus. – Ci
tenne a
precisare. – Al suo posto avrei fatto lo stesso. Lionel ha tante
qualità, ma è
troppo impulsiva per gestire una squadra come la nostra.
–
Aspetta un istante, – mormorò Zero
facendo un rapido calcolo, – la tua famiglia possedeva il cinquanta
percento
della società, ma diede il dieci percento alla madre di Jelena. È il
quaranta
percento, non il trenta.
– Anni
fa, dopo un affare losco dei suoi, Oscar
fu a corto di denaro e fu costretto a vendere il dieci percento a
Marcus, suo
storico socio d’affari. È così che è entrato a far parte del Consiglio.
–
Sospirò rassegnato. – Quando è finito in carcere per omicidio, si è
trovato
nella stessa situazione e gli ha venduto un ulteriore dieci percento.
–
Perciò Marcus ha il venti percento della
società, come Oscar?
– Sì,
hanno le stesse quote. Jelena e
Betty Lewis, ne hanno dieci, mentre l’avvocato Martin e Richard Walker,
possiedono
il cinque percento.
– Venti
e venti, dieci e dieci, cinque e
cinque. – Mormorò Zero. – Fa settanta, Jude. Chi possiede il trenta
percento
della società?! – Domandò, perplesso.
Jude si
adombrò. – Appartenevano a mia
madre.
Il
giocatore lo guardò scioccato. – Le ha
lasciate a te?
– No,
non ha mai voluto che avessi nulla a
che fare con Oscar e le sue attività.
– Donna
saggia. – Commentò, passandogli un
braccio attorno alle spalle.
–
Immagino di sì.
– Ma se
non le hai tu, chi…? Non è
possibile! – Esclamò. – Le ha Harrison! Ecco perché il Consiglio è
impazzito!
– Già.
– Jude,
hai detto che non è mai stato un
appassionato di sport. Se tu fossi davvero suo figlio, ti potrebbe
lasciare le
quote. Diventeresti il proprietario dei Devils.
– Non
correre troppo, – lo avvertì, –
e poi non ho mai voluto essere il capo.
È fastidioso. Troppe feste, interviste e riflettori puntati in faccia.
– Lo
guardò di sbieco. – In effetti è ciò che è diventata la mia vita da
quando ti
frequento. – Gli baciò una guancia. – Ho anche dei fans, adesso! Siamo
i Zure!
– Zude.
– Lo corresse, infastidito.
– Fa lo
stesso. – Tagliò corto, ridendo
del suo broncio. Batté lentamente le palpebre, sorridendogli malizioso.
– So
quanto ti ecciti il potere, ti piacerebbe se diventassi il proprietario?
Zero
gli rivolse un mezzo sorriso. – Sei
il mio capo da anni, anche se l’idea di scoparti nell'ufficio che è
stato di
Oscar, me lo ha fatto diventare duro. – Annunciò avventandosi sulle sue
labbra.
Jude
accettò il suo peso con entusiasmo. Lo
desiderava con una ferocia che sapeva ancora spaventarlo. La fame che
provavano
l’uno per l’altro non sembrava placarsi e questa consapevolezza lo
lasciava
ogni volta scioccato e compiaciuto al tempo stesso.
–
Non abbiamo lubrificante qui. – Lo avvertì quando sentì che le carezze
di Zero
si stavano facendo più audaci.
– Grave
errore. – Borbottò contro le sue
labbra.
Gli
sfilò la camicia così da poter giocare
con i suoi capezzoli scuri. Da quando aveva scoperto quanto fossero
sensibili,
erano diventati la nuova ossessione di Zero.
–
Gideon! – Sospirò, inarcando la schiena.
– Shh,
sono qui. – Lo rassicurò, sfregando
i loro bacini.
L’attrito
con il tessuto dei loro
pantaloni li fece gemere e spostare le gambe, alla ricerca di un
contatto
maggiore.
– Sono
diventato un pervertito come te! –
Sospirò Jude, leccandogli la giugulare pulsante.
– Non
darmi meriti che non ho. – Ansimò
Zero, continuando a strusciarsi su di lui.
Tra
gemiti e baci languidi, raggiunsero il
piacere a poca distanza l’uno dall’altro.
– Ora
una doccia non ce la leva nessuno. –
Commentò il giovane, accarezzando distrattamente la schiena sudata del
suo
uomo.
– Dammi
cinque minuti. – Bofonchiò contro
il suo petto. – Sei insaziabile!
– Non
intendevo quello! – Rise Jude. – Una
doccia e basta.
– Sul
serio? – Domandò quasi deluso.
– Ma
possiamo aspettare anche dieci
minuti.
– Lo
vedi? Ho creato un mostro!
Note:
Ho
scelto di lasciare l’originale wifey, perché
“mogliettina” non mi
piaceva. Non era la stessa cosa.