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Autore: crazy lion    12/01/2018    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve a tutti e buon anno nuovo!
Devo dire alcune cose prima di lasciarvi a questo capitolo.
Come avrete notato, è dal numero 81 che non parlo più di Padre Thomas e le sue lezioni. Sono un sacco di pagine che non le menziono. Eppure, da quando Mackenzie ha iniziato il catechismo con lui, è passato meno di un mese (nella storia settembre sta per finire). Sì, ammetto che non mi aspettavo di scrivere capitoli così lunghi, ma ci tenevo a farvi capire che, a dispetto del numero di pagine, non è passato poi così tanto tempo. Nel prossimo capitolo, in cui si svolgeranno gli eventi di un intero mese (altrimenti qui non andiamo più avanti!) le lezioni di catechismo riprenderanno. Ho già in mente di parlare della parabola dei lebbrosi, nella quale questi, che sono in dieci, dopo essere guariti, proseguono il loro viaggio e uno solo va a ringraziare Gesù. Poi vorrei parlare di qualcos'altro che ha fatto Gesù, magari di un altro miracolo, qualcosa che per Mackenzie potrebbe essere interessante imparare. Non è che qualcuno di voi, se è credente come me, potrebbe consigliarmi un brano o magari anche due? Sono un po' a corto di idee sul materiale da utilizzare.
In ogni caso, in questo capitolo ci saranno comunque dei riferimenti a Dio. Anche se non ne parlano spesso i personaggi sono credenti, e sanno che il Signore è sempre con loro.
In queste pagine ci saranno un po' di casini, e una coincidenza non proprio felice (Demi ne parlerà quindi capirete di cosa sto parlando), ma volevo che fosse così e sono soddisfatta di ciò che ho scritto.
Mi scuso fin da ora se ho utilizzato un po' di parolacce, ma erano necessarie.
Io in questo periodo sto lavorando alla tesi e la mia salute non è buona, quindi non so se ce la farò ad aggiornare prima della fine di marzo (mi laureerò il 21). Ci proverò, comunque, ma purtroppo non posso promettervi che ci riuscirò.
E niente, detto questo vi saluto e vi auguro buona lettura!
 
 
 
 
 
 
But when I'm all alone, they show up on their own
'Cause inner demons fight their battles with fire
Inner demons don't play by the rules
[…]
So angels, angels please just keep on fighting
Angels don't give up on me today
'Cause the demons they are there, they just keep biting
'Cause inner demons just won't go away
So angels please, hear my prayer
Life is pain, life's not fair
So angels please, please stay here
Take the pain, take the fear
[…]
But when I turn away
The demons seem to stay
'Cause inner demons don't play well with angels
They cheat and lie and steal and break and bruise
Angels please protect me from these rebels
This is a battle I don't want to lose
(Julia Brennan, Inner Demons)
 
 
 
Ouch, I have lost myself again
Lost myself and I am nowhere to be found,
Yeah, I think that I might break
Lost myself again and I feel unsafe
 
Be my friend
Hold me, wrap me up
Unfold me
I am small and needy
Warm me up
And breathe me
(Sia, Breathe Me)
 
 
 
Drowning, out in the sea praying for waves
To carry me till the day breaks
I wanna wake up on the shore
Falling, stars raining fire around me
Backs to the wall and I can't breathe
Don't think I can take anymore
 
I need a sign, to get me through the night
I need someone to fight, to bring me back to life
There's a voice, that's calling through the storm
I know there's something more, I know there's something more
 
And I will still hope for it
I will still hope for it
No matter what comes, fire or flood
I will hold on, you are still good
And I will still hope for it
(Cimorelli, Hope For It)
 
 
 
 
 
 
88. PAURE, INCUBI, DEMONI E UN PIZZICO DI SERENITÀ  

"Andrew, ti prego svegliati! Andrew!" urlava Demi, con tutto il fiato che aveva in corpo. Aveva appena chiamato un'ambulanza e anche i suoi genitori perché tenessero le bambine, poi era corsa subito dal suo ragazzo. Batman e Danny erano andati a nascondersi in un angolo del salotto, confusi e spaventati, mentre Hope e Mackenzie, terrorizzate, si erano attaccate alle caviglie della mamma stringendole forte con entrambe le mani e continuavano ad urlare e a piangere. "Smettetela, per la miseria!" sbottò la ragazza guardandole.
Mackenzie prese un foglio che teneva in tasca e scrisse, con mani tremanti:
Scusa, mamma!
Si sentiva in colpa, ora. La situazione era difficile, il papà giaceva lì per terra immobile e loro, con i pianti e le grida, avevano peggiorato tutto. Poteva comprendere che Hope si comportasse così, in fondo era piccola e non capiva, ma lei? Era grande, avrebbe dovuto contenersi.
"No, Mac, aspetta" le disse Demi, staccando le mani delle figlie dalle sue gambe. Strinse le bambine in un forte abbraccio, si dondolò un po' a destra e a sinistra per tranquillizzarle mentre accarezzava loro la schiena, e solo quando sentì che il respiro delle piccole si stava regolarizzando e che avevano quasi smesso di piangere, rassicurate da quei gesti materni, sciolse la stretta e asciugò loro le lacrime. "Non è colpa tua" continuò. "Non hai fatto niente di male, e nemmeno Hope. È normale avere paura, ce l'ho anch'io. Scusate se vi ho parlato in questo modo, non volevo, è solo che a volte quando le persone sono molto spaventate reagiscono così, ma non lo fanno con cattiveria." Hope e Mackenzie le sorrisero, e lei si chinò alla loro altezza perché le dessero un bacio, che ricambiò. Le guardò negli occhi. Hope iniziava a sentirsi più serena, e Mackenzie, lo vide chiaramente, l'aveva perdonata per quel suo sbaglio. "Vi voglio bene" disse ancora la ragazza.
Erano quattro parole semplici, ma vere e profonde, le più belle che un genitore possa dire al proprio figlio.
"Demi?"
La voce flebile di Andrew le fece tirare un sospiro di sollievo. Gli si sedette accanto prendendogli una mano. Era fredda.
"Sono qui, amore" sussurrò.
"C-che è s-successo?"
Biascicava, era evidente che doveva sentirsi confuso.
"Hai detto che ti tremavano le mani e poi sei svenuto all'improvviso."
L'uomo sembrò pensarci per qualche momento.
"Non ricordo di essere caduto a terra" disse onestamente.
"Ascolta, ho chiamato un'ambulanza. Sarà qui a momenti, spero. Andremo in ospedale e lì ti faranno degli esami per capire cos'è successo, d'accordo?"
Lui si limitò ad annuire, sentendosi troppo debole per rispondere. Era bruttissimo non ricordare cosa fosse accaduto. Per qualche momento non aveva avuto il controllo sul proprio corpo, com'era successo altre volte, e la sua mente aveva cancellato una piccola parte di quel brutto episodio. Tutto ciò lo faceva sentire malissimo.
"Papà!" esclamò Hope abbracciandolo.
Demi la lasciò fare. Andrew non stava bene, era vero, ma di certo non gli avrebbe dato fastidio un abbraccio da parte della loro bambina, anzi, sperava che si sarebbe sentito meglio.
"Ciao, piccolina" sussurrò lui, ricambiando quelle coccole con una debole stretta. "S-scusami, non ho forze" si giustificò, pur sapendo che la bimba non avrebbe capito.
Mackenzie gli prese una mano e gliela strinse, poi guardò la mamma e scrisse:
Ha la mano fredda.
"Sì, ma è solo perché si è sentito male…"
Demi si interruppe, vedendo che la figlia stava scrivendo ancora.
Anche la mia mamma ce l'aveva fredda, quando stava morendo. Papà sta per morire?
Dopo aver dato il foglio alla madre, la bimba tremò violentemente e sentì dei brividi gelidi correrle lungo tutto il corpo. Iniziò a farle male la testa e sapeva che presto avrebbe pianto.
"No Mac, lui è solo svenuto."
In quel momento suonò il campanello. Demetria si precipitò ad aprire ed entrarono due medici. Dopo averla salutata vollero vedere Andrew.
"Quanto tempo è rimasto svenuto?" chiese uno dei dottori alla ragazza.
"Due o tre minuti."
"Okay. Come si chiama?"
"Andrew" rispose il diretto interessato.
"D'accordo, Andrew, io sono Lucas e questo è il mio collega, Jackson. Ti diamo del tu, se sei d'accordo."
I due medici avevano più o meno la sua stessa età, e ai pazienti preferivano dare del tu, avuto il loro consenso, perché sapevano che spesso questo li faceva sentire più sicuri.
"Certo."
"Bene, ora ti misureremo la pressione."
L'uomo li lasciò fare.
"È buona, ma i battiti cardiaci sono ottantaquattro, quindi troppo alti" spiegò l'altro medico. "Ora ti portiamo in ospedale a fare alcuni controlli."
Il campanello suonò di nuovo e, quando Demi andò ad aprire, si rese conto che non c'era solo Dianna, ma erano venuti anche Eddie e le sue sorelle. Li guardò sorpresa. Avrebbe voluto sorridere, ma non ci riuscì a causa della forte preoccupazione che, come una lama affilata, le feriva il petto provocandole un forte dolore.
"Amore mio!" esclamò Dianna abbracciandola. "Pensavamo vi servisse un po' di supporto, quindi uno di noi resterà qui con le piccole e gli altri verranno con te."
"Siete molto gentili, ma facciamo il contrario. Scusate, ma preferisco venga solo una persona." Era agitata, e avere troppa gente intorno, in quel momento, l'avrebbe messa in confusione anziché aiutata. "Scegliete voi chi viene e chi rimane, per me è lo stesso. I medici stanno per portare Andrew in ospedale. Io ovviamente vado con lui."
Decisero che Eddie e le ragazze sarebbero stati con le bambine. Poco dopo Andrew venne fatto distendere su una barella che un medico aveva già portato dentro. Quando Hope vide che la mamma si allontanava e che il papà era su quel lettino, scoppiò in un pianto disperato. Le sue urla si facevano sempre più forti e strazianti, e non servì a nulla che il nonno la prendesse in braccio per tranquillizzarla.
"Amore, torno presto, te lo prometto! Verremo a casa entrambi" disse Demi, con le lacrime agli occhi. Non avrebbe voluto lasciare le figlie così in fretta, ma Andrew stava male, bisognava far presto. Diede un bacio veloce a Mackenzie, dicendole di fare la brava con il nonno e di piangere, se ne sentiva il bisogno. "Andrà tutto bene, okay?" la rassicurò, pur sapendo che forse non avrebbe dovuto dirlo.
"Grazie" aggiunse poi, guardando i familiari e uscì, raggiungendo in fretta l'ambulanza che si era già messa in moto.
Salì davanti, come le fu ordinato.
 
 
 
Andrew era dietro, e Demi gli sentì domandare:
"Perché la mia ragazza non può stare con me?"
La sua voce era appena udibile, eppure Demetria riuscì a leggervi una nota di paura mista forse ad una non troppo velata disperazione. Chissà, forse temeva di avere qualcosa di grave.
"Mi dispiace," gli rispose uno dei medici, "ma i parenti o chiunque altra persona non può stare vicino al paziente in ambulanza. È la regola. Dimmi, prendi qualche farmaco? E se sì, per quali patologie ti stai curando?"
L'uomo sospirò pesantemente. Si sentiva male al pensiero che la sua ragazza non potesse tenergli la mano e rassicurarlo. Quando era stato portato fuori aveva avuto una gran paura, e anche adesso che l'ambulanza procedeva, veloce, mentre ogni tanto l'autista accendeva le sirene, il panico lo assaliva. Si sentiva schiacciare il petto da un peso enorme e ogni fibra del suo corpo era tesa come una corda di violino.
"Daparox da quaranta milligrammi, due compresse al giorno la mattina per il disturbo da attacchi di panico, e al bisogno il Lexotan da uno virgola cinque milligrammi, sempre due, per l'ansia."
Il dottore scrisse tutto su un foglio.
"Grazie" gli disse poi.
"Prego" sussurrò, sentendosi così stanco e debole da non riuscire a parlare più.
Se gli fosse stato chiesto qualcos'altro, lo sentiva, non ce l'avrebbe fatta a pronunciare una singola lettera. Avrebbe voluto chiedere se fosse stato possibile, per quel dottore, dargli qualcosa in modo da calmare l'ansia che lo attanagliava. Il cuore gli stava per scoppiare, lo sentiva. Lo domandò con uno sguardo implorante, vergognandosene subito dopo. Non era di certo il tipo di persona che pregava o, peggio, supplicava qualcuno e si disse che era uno stupido ad averlo fatto.
"Ho capito cosa vuoi, ma non posso darti nulla, Andrew. Siamo paramedici, non dottori, e a meno che non ci sia un'urgenza davvero grave e che tu stia malissimo, cosa che non è, non posso darti niente."
Andrew avrebbe voluto dire che lui stava male, che si sentiva come se stesse per morire, ma con quel briciolo di lucidità e di forza che gli rimanevano pensò che, sicuramente, c'erano casi molto più gravi del suo e che doveva avere rispetto verso chi stava peggio di lui. Si prese la testa fra le mani e le premette sulle tempie più forte che poteva, per cercare di far diminuire almeno quel dolore che si faceva sentire sempre con maggiore insistenza,  ma non servì a nulla. Stremato, chiuse gli occhi, sperando che qualcuno l'avrebbe aiutato il più presto possibile.
 
 
 
A Demi il tempo sembrava non passare mai. Perché quando c'era un'emergenza i secondi parevano ore e tutto pareva scorrere così fottutamente piano? Quando Andrew aveva tentato il suicidio aveva pensato cose molto simili, si disse, e non era nemmeno stata in ambulanza con lui, il che l'aveva fatta sentire ancora peggio. A quel pensiero, una silenziosa lacrima le rigò il viso, seguita da un'altra e un'altra ancora.
"Tutto bene?" le chiese l'autista, dietro il quale la ragazza era seduta.
"No, direi di no" rispose asciugandosi gli occhi.
"Mi scusi, era una domanda stupida."
"Non si preoccupi. Anzi, lei mi ha parlato in modo gentile, quindi grazie."
Non sapendo che cos'avesse il suo fidanzato - un semplice, ma intensissimo, attacco di panico? Un problema al cuore? -, Demi si appoggiò allo schienale del sedile sospirando. Sicuramente non era un infarto, pensò, altrimenti Andrew sarebbe stato molto peggio e avrebbe avvertito un dolore al braccio e avuto altri sintomi dei quali, invece, non soffriva. Cercò di calmarsi. Forse non era niente di che, anche se sapeva bene che un attacco di panico fa stare comunque molto male.
Inspira, espira. Fallo ancora.
Si ripeteva mentalmente quella frase come un mantra per cercare di essere forte. In quel momento il suo ragazzo non lo era di certo. Si facevano sempre forza a vicenda, loro due, si sostenevano quando uno rischiava di cadere, affrontando tutto insieme. Con qualche litigata, certo, ma ogni tanto ci vuole una discussione perché un rapporto di coppia funzioni.
Pensò poi a Hope e Mackenzie. Non ci aveva riflettuto un granché mentre usciva di casa, ma adesso si sentiva tremendamente in colpa: era andata via di fretta, mentre la bimba più piccola piangeva e la più grande l'aveva guardata con occhi colmi di terrore. Lei forse aveva provato a tranquillizzarle troppo sbrigativamente, dando a Mac l'impressione che non si preoccupava di ciò che lei e Hope stavano passando, ma non era affatto così! Pregò in cuor suo che Mac l'avesse capito, perché se si fosse sentita trascurata, Demi non se lo sarebbe perdonato.
 
 
 
Quando l'ambulanza si fermò, Andrew aprì gli occhi e si guardò attorno, mentre veniva fatto scendere trasportato sempre su quella barella. Riconobbe immediatamente il luogo: quell'ospedale, lo stesso in cui sua sorella era stata portata, già in coma, in cui era morta anni dopo, e nel quale lui era stato ricoverato d'urgenza per aver tentato il suicidio. Era un posto che per Andrew rappresentava molte cose: speranza, paura, ma soprattutto tristezza e tanto, troppo dolore. Aveva sperato che sarebbe stato portato da qualche altra parte - in fondo c'erano molti ospedali in quella città, maledizione! - ma era anche vero che quello era il più vicino a casa di Demi.
"Ti faccio i miei auguri, Andrew. Spero che andrà tutto bene!" esclamò il medico, dopo che furono entrati e che un altro dottore si fu avvicinato alla barella.
"Grazie" rispose l'uomo.
Quel medico in ambulanza era stato gentile, così come il suo collega.
Andrew venne trasportato in una piccola stanza, poi gli fu chiesto di alzarsi e di sdraiarsi su un letto che si trovava lì vicino. C'erano altri due o tre pazienti, con lui, distesi sui rispettivi letti. Quella era l'astanteria del pronto soccorso, dove le persone aspettavano di essere visitate. Se era stato fatto sdraiare, si disse, era perché probabilmente il dottore che l'aveva portato lì si era reso conto che non si sentiva affatto bene.
"Meglio così" mormorò.
Almeno quella stanza era relativamente tranquilla. La porta era semi-chiusa e si potevano sentire le voci e i rumori di gente che parlava, si muoveva freneticamente e, a volte, alzava il tono. Sarebbe impazzito se avesse dovuto aspettare lì fuori, come facevano altri pazienti, pensò.
"Come si sente?" gli chiese il medico.
Andrew lo guardò in viso e incontrò i suoi occhi azzurri. Era un uomo alto, magro, sulla quarantina, con un sorriso dolce che lo rassicurò e gli diede coraggio.
"Non bene" sussurrò.
"Cos'è successo?"
"Ero a casa della mia fidanzata. Ad un certo punto mi sono tremate le mani e sono caduto per terra, ma non mi ricordo di averlo fatto. L'ultima immagine che ho in mente è quella del movimento delle mie mani e del fatto che mi stavo per appoggiare allo schienale del divano su cui ero seduto."
"Le è successo ancora?"
"Di svenire, dice? Sì, qualche volta, ma non in questo periodo."
Arrivò un'infermiera che iniziò a parlare con un'altra paziente. Questa donna, un'anziana, si era sentita male mentre lavorava nell'orto e continuava a dire che aveva paura di avere un infarto. Eppure, nonostante fosse evidente, visto il suo colorito pallido e il respiro affannoso, che non si sentisse bene, sembrava piuttosto in forze.
"Non si preoccupi, non ce l'ha. Tuttavia se ha alcuni problemi di cuore dobbiamo saperlo."
"Sì, ma non ricordo quali sono e neanche che farmaci prendo" rispose la signora, un po' confusa.
Ad Andrew fece al contempo tenerezza e pena. Doveva essere ancora più spaventata di lui.
"Possiamo chiamare qualcuno? Un figlio? Un parente?"
"Mia figlia Hannah… è al lavoro adesso, ma ho il suo numero nel cellulare. È nella mia borsa" spiegò quest'ultima, agitandosi un poco.
"Stia tranquilla, signora. Ora le telefono e vedrà che arriverà presto, okay?"
"Va bene."
"Signor Marwell?"
La voce del dottore lo riportò alla realtà.
"Mmm?" bofonchiò.
"Ha capito quel che le ho domandato?"
"No, mi scusi. Stavo ascoltando…" disse, e poi indicò la donna anziana. Le chiacchiere dei pazienti lo distraevano, e quella signora gli aveva fatto compassione. "Mi perdoni" ripeté, in tono triste.
"Non si preoccupi."
La conversazione continuò: Andrew spiegò al dottore perché assumeva i farmaci, che aveva avuto alcuni attacchi di panico di recente, e che il lunedì della settimana successiva avrebbe dovuto tornare dal suo medico di base perché sospettava che quel che stava assumendo non facesse effetto e voleva sapere cosa ne pensava la sua dottoressa.
"È vero, forse non sono i farmaci giusti" convenne l'uomo. "Ad ogni modo, le vorrei fare alcuni esami al cuore per sapere se è tutto okay, e anche una tac cerebrale visto che ha preso una botta."
"Okay."
"La avverto però che dovrà aspettare, prima dobbiamo fare degli esami ad altri pazienti."
"Sì, capisco. Potete darmi qualcosa, intanto? Ho un'ansia e un mal di testa assurdi! Mi stanno uccidendo. E posso vedere Demi, la mia fidanzata? Dovrebbe essere qui fuori."
"Le do subito qualche farmaco, e se vuole posso accompagnarla fuori dalla sua ragazza, ma non farla entrare qui. C'è un'altra paziente, la stanza è piccola e noi dobbiamo muoverci continuamente, quindi non c'è spazio. Mi dispiace."
Andrew sospirò, affranto. Avrebbe dunque potuto rimanere lì chissà quanto, e da solo? Fantastico!
"No, preferisco restare qui. Fuori c'è troppa confusione, e la testa mi duole così tanto che se uscissi potrebbe esplodermi, e non scherzo" concluse, per evitare che quel dottore gli dicesse cose del tipo:
"Sta esagerando."
Qualche anno prima aveva avuto un altro medico di base, uno che, onestamente, se ne fregava di come lui si sentisse, prendendo tutti i suoi sintomi alla leggera. Andrew alla fine si era stancato ed era andato da una dottoressa che in città era considerata una delle migliori e che l'aveva ascoltato, compreso e aiutato, soprattutto dopo la morte di Carlie. Pensare alla sorella gli fece male al cuore, tanto che dovette mettersi una mano sul petto per diminuire il peso che sentiva crescere sempre di più. Ricordò il giorno in fcui era morta e l'aveva vista in quella camera mortuaria. Quella dannata mattina aveva perso l'ultimo membro della sua famiglia biologica e si era sentito perso, come un bambino abbandonato e solo. Un'infermiera gli fece sollevare la lingua e gli mise sotto delle gocce.
"Aspetti dieci secondi prima di mandarle giù."
Lui si limitò ad annuire, temendo che se avesse parlato avrebbe ingoiato quell'amarissimo liquido prima del tempo. Dopo averlo fatto non sentì niente di diverso, ma immaginò ci volesse un po' di tempo perché accadesse qualcosa. La donna gli diede anche una pastiglia per il mal di testa e gli assicurò che presto avrebbe dormito un po'. Passarono pochi minuti, nei quali lui rimase immobile a fissare il soffitto cercando di non pensare a niente, soprattutto non a sua sorella, e pian piano provò la stranissima sensazione di rotolare a testa in giù. Era una cosa bruttissima, gli venne la nausea e stava quasi per vomitare.
"Arrivo" disse la solita infermiera, che doveva essersi accorta di qualcosa. Chissà, forse era impallidito molto velocemente. Nonostante tenesse gli occhi socchiusi, l'uomo poteva vedere che anche quella ragazza, come tutti lì dentro, correva di qua e di là ad aiutare un paziente o un altro, a somministrare farmaci. "Cos'è?" chiese debolmente, mentre vedeva che la ragazza gli infilava qualcosa nel braccio.
"Un ago cannula con qualcosa che le farà passare la nausea. Il dottore mi aveva detto di darle un sedativo e una pastiglia per l'emicrania, ma forse per il suo corpo sono un po' troppo forti, per questo si sente così. Comunque stia tranquillo, ora le giuro che riuscirà a dormire molto presto. Si rilassi e faccia dei respiri profondi, dentro e fuori, dentro e fuori."
L'infermiera iniziò ad inspirare ed espirare ed Andrew la imitò, sorridendole prima che si girasse per occuparsi della signora anziana accanto a lui. A quanto pareva sua figlia era arrivata, e la donna voleva andare da lei. Poco dopo Andrew si ritrovò solo nella stanza, felice di sapere che ora, probabilmente, quella donna si sarebbe tranquillizzata avendo la figlia accanto. Fu con questo pensiero che chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.
 
 
 
"Non ci dicono più niente" sussurrò Demi.
Il dottore era venuto a spiegare che Andrew non avrebbe potuto fare gli esami subito e che gli aveva dato qualcosa per aiutarlo a rilassarsi e a dormire, ma da allora erano passate due lunghissime, interminabili ore.
"Demetria, amore, se fosse accaduto qualcosa qualcuno sarebbe venuto a dircelo, te lo posso assicurare" cercò di tranquillizzarla la madre.
La ragazza, però, non smetteva di pensare al fidanzato e al fatto che l'aveva visto cadere per terra senza avere il tempo materiale di fare qualcosa. Era svenuto davanti ai suoi occhi, e le bambine si erano spaventate a morte! Ora lei era lì, seduta in quella sala d'attesa piena di gente, e come tanti altri non aveva notizie e non sapeva cosa pensare. Sbuffò, sfregandosi più volte i palmi sui pantaloni e poi aprendo e chiudendo le mani a pugno. Ad un certo punto le tenne strette così forte che le sue nocche sbiancarono.
"Vado a fare due passi" disse poi, alzandosi.
"Vuoi che venga con te?"
Dianna non si sentiva tranquilla a lasciare Demi da sola.
"No; tranquilla, sono solo agitata."
"Appunto, lo sei davvero tanto ed io vorrei aiutarti."
Demi lesse la preoccupazione sul volto della mamma e la abbracciò.
"Sei davvero molto dolce, ma so benissimo cosa devo fare per calmarmi."
"Ovvero?"
La voce della donna uscì strozzata. Che la figlia stesse pensando di chiudersi in un bagno e tagliarsi? Non lo faceva da tantissimo, e grazie al cielo aveva superato i suoi problemi, ma era possibile una ricaduta, anche dopo anni? Dianna si sentiva male al solo pensiero. Non voleva che la sua Demi si ferisse. L'avrebbe fatta ragionare, calmata, dicendole che non doveva farsi questo, che lei le sarebbe stata accanto, qualsiasi cosa! Sapeva bene che Demi era consapevole del fatto che tagliarsi non era la soluzione, che avrebbe dovuto pensare a ciò che stava facendo, ma conoscendola da tutta una vita, Dianna non poteva certo dimenticare che bisognava andare piano con lei, non essere troppo duri, altrimenti si sarebbe ottenuto l'effetto contrario a quello desiderato. Era una cosa che lei, come madre, aveva imparato nel corso degli anni, e a volte provava ancora un gran senso di colpa al pensiero di essere stata, in alcuni momenti, tanto autoritaria con la figlia, forzandola a mangiare quando non voleva. Le mancò il respiro, e guardò il suo tesoro con gli occhi sbarrati. Demi dovette capire che erano pieni di terrore, perché si affrettò a prenderle una mano.
"Mamma, ti prego, calma" disse, il più dolcemente possibile. "Confesso che quando Andrew era stato male così tanto tempo, mesi fa, avevo avuto un pensiero del genere, ma l'ho rifuggito subito. Non voglio ricadere in quella trappola. Sto per fare una cosa bella per tranquillizzarmi un po': andrò nella cappella dell'ospedale a pregare, e poi salirò nel reparto maternità. Se si può ancora entrare, mi piacerebbe vedere i bambini attraverso quel vetro. Le poche volte in cui l'ho fatto mi ha sempre trasmesso un senso di pace e serenità." Lo disse sorridendo, e Dianna capì che era sincera. "Quindi andrò da sola. Se avrò bisogno di qualcosa, ti chiamerò."
La madre si rilassò, tirando un sospiro di sollievo.
Demetria si incamminò per i corridoi e fece quanto aveva detto. Pregare, inginocchiata davanti all'altare, le tolse un gran peso dal cuore.
"Signore, io confido sempre in te. Nonostante le difficoltà che la vita mi ha messo davanti non ho mai perso la fede, lo sai. La fede è la mia forza! Quindi, qualunque cosa Andrew abbia, anche se spero non sia niente di grave, ti prego di aiutarlo a riprendersi presto. Io te ne sarò per sempre grata. Amen" concluse, dopo aver detto il Padre Nostro e varia Avemarie.
Pregò anche suo padre, che sicuramente si trovava in Paradiso. Insomma, aveva commesso molti sbagli,anche gravi, ma a suo modo, Demi ne era convinta, le aveva sempre voluto bene. Ricordò di aver visto un video, tempo prima, nel quale suo padre parlava di lei dicendo che la amava tantissimo e che lui aveva sempre saputo che sarebbe diventata una star, che era nata per farlo. Demetria non sapeva in quale occasione suo papà avesse detto quelle cose, né chi avesse caricato quel video su YouTube, ma poco importava. Patrick era stato tenerissimo, in quei pochi minuti aveva parlato di lei in un modo talmente dolce che Demetria si era emozionata. Alla fine l'uomo aveva quasi pianto, dicendo che non sapeva spiegare quanto tenesse a lei, e allora la ragazza non ce l'aveva fatta più ed era scoppiata in lacrime. Suo padre era morto da poco quando aveva visto quel video, che tra l'altro aveva trovato per caso, ma se avesse potuto sarebbe corsa da lui ad abbracciarlo e a ringraziarlo, a dirgli che gli voleva bene nonostante tutto. In ogni caso, c'erano ancora delle volte nelle quali lo odiava, e forse avrebbe sempre provato per lui sentimenti contrastanti.
"Non voglio pensarci adesso" si disse.
Uscì dalla chiesa facendo il meno rumore possibile, poi chiese ad un'infermiera se sapeva a che piano era il reparto maternità.
"All'ultimo, il quarto; ma si sbrighi, l'orario di visita finisce tra mezzora."
"Grazie" rispose la ragazza e si avviò a passo spedito verso l'ascensore.
Mentre saliva iniziò a sentire una grande adrenalina pervaderla completamente. Era anche emozionata. Continuava a sorridere e, se qualcuno l'avesse vista, probabilmente le avrebbe detto:
"Sembri un'ebete",
o cose simili, ma a lei non importava. Si sentiva felice, e questo era l'importante. Inoltre, era sicura che vedere i bimbi le avrebbe fatto venire ancora più voglia di correre a casa per abbracciare i suoi tesori il più presto possibile. Scese e vide che la porta del reparto era aperta. Una volta entrata notò che c'era una gran confusione: medici e infermieri correvano di qua e di là molto in fretta, sembravano preoccupati.
"Quando cambierà il turno i dottori che arriveranno dovranno visitare di nuovo i bambini, tutti quanti" stava dicendo un medico. Parlava al telefono con qualcuno e lo faceva a voce bassissima, in un angolo, ma la ragazza lo sentiva lo stesso. "Probabilmente nessuno avrà nulla, come abbiamo riscontrato poco fa, ma non possiamo rischiare ancora… No, se ne occupa una mia collega. Forse avere accanto una donna la aiuterà di più, ma sarò presente anch'io."
L'uomo mise giù e corse via, quasi non accorgendosi di Demi e rischiando di travolgerla.
"Mi scusi" le disse, per poi continuare la sua corsa senza aspettare una risposta.
Doveva essere successo qualcosa di grave. Forse un bambino era molto malato? L'ansia che aveva provato fino a poco prima tornò a farsi sentire, e per un momento la ragazza pensò di andare via, ma poi il desiderio di vedere i piccoli fu più forte.
Si avvicinò quindi al vetro che la separava da una delle due stanze in cui si trovavano i bambini, su un lato del corridoio. Non c'era nessun parente lì, per il momento, quindi avrebbe potuto restare per qualche minuto. Dietro di lei, invece, si trovavano parecchie persone, venute a vedere gli altri bambini. Molto probabilmente erano tutti zii, nonni e cugini. Demi aveva davanti una culla nella quale si trovava un bambino di colore. Lesse il nome:
Addis.
Le piaceva molto. Non ricordava dove l'avesse letto o sentito, ma sapeva che significava "nuovo fiore". Era un bel significato, un segno di vita e speranza. Il piccolo dormiva tranquillo, avvolto in una copertina azzurra e indossava un cappellino molto carino.
"Signorina, è una parente di uno dei bambini?"
Una voce alle sue spalle la fece sussultare. Si girò di scatto e vide che si trattava di un'infermiera. Pareva affannata, così come tutti coloro che continuavano a correre lì intorno. Un'altra entrò in una delle due stanze in cui si trovavano i bambini.
"No" rispose Demi guardandola preoccupata. "Ero solo venuta a vedere i bimbi un momento. Se do fastidio…"
"Non ne dà" la interruppe l'altra, "è solo che la situazione qui è seria, molto seria. Una bambina è morta una mezzora fa e non sappiamo perché, forse per morte bianca o per un rigurgito. Stiamo visitando tutti i bambini, i genitori della piccola ovviamente sono disperati e non so bene quel che succederà. Possono entrare solo i parenti, qui."
Demi si sentì stringere il cuore in una morsa di dolore.
"S-sì, mi rendo conto. Mi dispiace, i-io… me ne vado subito, scusi se le ho fatto sprecare tempo prezioso" balbettò e fu allora che notò qualcosa di cui prima non si era accorta: una culla vuota, con una copertina rosa stropicciata. "Mio Dio" sussurrò. "Era quella la sua culla?" chiese.
"Sì."
"Oh, Gesù!"
Forse all'inizio non ci aveva fatto caso, pensando che quel lettino fosse vuoto perché non era nato nessun altro bambino. Non sapeva cos'avrebbe fatto se una delle sue piccole fosse morta! Non voleva pensarci. Non riusciva ad immaginare nemmeno lontanamente ciò che doveva provare la mamma di quella bimba. Come si poteva continuare a vivere dopo aver perso un figlio? Com'era possibile far fronte ad una sofferenza tanto devastante? Mentre correva verso l'ascensore, cercando di trattenere le lacrime, le tornò di nuovo in mente ciò che le era stato detto dalla cartomante..
"Attraverserà il fiume, ma la vita che sarà dentro di lei si troverà in pericolo. Lei si salverà, raggiungerà l'altra sponda, ma quella vita, forse no."
Quelle parole sarebbero rimaste marchiate a fuoco nella sua mente per sempre, pensò dopo averle ripetute ad alta voce. Rifletté anche sul fatto che le venivano in mente nei momenti più difficili. Era successo più di una volta in quegli ultimi mesi, anche se aveva pensato maggiormente a ciò che riguardava Mackenzie. Schiacciò con foga il pulsante dell'ascensore, come se credesse che fuggire da lì l'avrebbe aiutata a dimenticare, a stare meglio.
"Muoviti, maledetto bastardo!" esclamò.
"Signorina, moderi il linguaggio per favore" la rimproverò un uomo anziano in sedia a rotelle che era accanto a lei.
"I-io… mi perdoni" sussurrò, poi sentì che la testa le girava e sarebbe caduta a terra se l'uomo non avesse allungato una mano. Provò a tenerla su ma non ci riuscì, ovviamente, e Demi cadde a terra non cercando nemmeno di lottare contro quel senso di panico e di debolezza che la invadeva. "Mi aiuti, la prego" supplicò, con la voce ridotta ad un sussurro appena udibile.
"Chiamo qualcuno, aspetti" le rispose il signore, infilandosi nell'ascensore più in fretta che poté.
Demetria si domandò perché non fosse andato nel reparto maternità, ma poco importava. Forse, trovandosi vicino all'ascensore, gli era venuto istintivo utilizzarlo. La ragazza rimase lì, sdraiata sul pavimento freddo e polveroso. Respirava pesantemente, ma lentamente, continuava ad avere vertigini sempre più forti e dovette coprirsi la bocca con le mani per non mettersi ad urlare. Qualche lacrima le rigò il viso. Stava esagerando, si disse con la poca lucidità che le restava. Non aveva visto il corpicino di quella povera creatura morta, non era sua madre, né uno dei parenti, ne aveva solo sentito parlare. Perché stava reagendo in quel modo? Forse era pazza. Si sentiva male ogni volta che al telegiornale dicevano che era accaduto qualcosa di brutto, soprattutto se riguardava un bambino, ma non aveva mai sofferto così tanto per qualcosa di cui aveva solo sentito parlare. Tossì varie volte. Aveva la gola secca, le bruciava da morire.
"P-papà, ti supplico, fa' che arrivi presto qualcuno, io non so cosa mi succede, ma sto… sto male, cazzo! Voglio andare da Andrew e tornare dalle bambine. Papà proteggile, fa' che stiano bene!" lo implorò, mentre la assaliva il timore che fosse accaduto loro qualcosa.
La sua mente continuava a macinare pensieri su pensieri, talmente tanti e così confusi da non poterli comprendere appieno. Avrebbe voluto sentire qualcosa, qualunque cosa, a parte il panico che la attanagliava.
"Dolore fisico" le disse una voce che non udiva da tanti anni. "Fatti male. Ora."
Era la sua voce, quella che aveva sentito ogni volta in cui si era tagliata e alla quale, per anni ed anni, non aveva resistito. Sì, ci aveva provato, aveva lottato, ma alla fine aveva sempre vinto lei. Tagliarsi era stata l'unica cosa che l'aveva fatta stare meglio per un po', che l'aveva aiutata a sentirsi viva.
"No, non voglio ascoltarti!" esclamò. "Tu sei sparita dalla mia vita da tantissimo tempo, perché cazzo ti fai risentire ora? Non ti voglio!"
"Oh sì, invece" rispose l'altra, decisa. "So che in questo momento desideri farti del male per diminuire il dolore che provi. Guardati, sei penosa. Stai soffrendo per la morte di una bambina che non era nemmeno tua figlia. Ti sembra normale? Ti rispondo io: no, non lo è; e sai perché, Demi? Semplicemente perché sei tu a non essere normale. Ricordi quando Gladis ti aveva detto che non avresti potuto adottare un bambino perché saresti potuta ricadere nell'autolesionismo? Ecco, ora lo stai per fare, e io sapevo che quel momento sarebbe arrivato. Me lo godrò tutto, e poi vedremo quali conseguenze ci saranno. Potrebbero portarti via le tue adorate bambine, darle in affidamento, e credimi, io sarò estremamente felice di questo."
Non poteva essere lei a parlare, e non si trattava di certo della sua coscienza. Non avrebbe mai gioito se le avessero portato via le bambine, che razza di ragionamento era? Forse, si disse, quella era la voce di una parte di se stessa che non voleva ascoltare perché era quella cattiva, che desiderava farla sentire ancora debole, sciocca, stupida e sbagliata. Le voleva far entrare in testa che era una pessima madre, ma la ragazza sapeva benissimo di non esserlo.
"Io sono una brava mamma" disse infatti, mentre la sua voce cominciava a tremare.
"Certo, ma ti seguirà comunque, sempre."
"Cosa?"
"Il tuo passato, stupida idiota. Sarà sempre con te."
"Lo so, non voglio rinnegarlo, ma questo non significa che ci ricada."
"Porca troia, Demi, smettila di dire stronzate e fatti quei cazzo di tagli!" urlò la voce, spaventandola.
Forse aveva ragione lei. Se la sua testa pensava a quelle cose significava che non era poi così forte. Ogni volta che ci aveva riflettuto, da più giovane, si era ferita credendo di meritare di punirsi.
"Un graffio solo" si disse. "Dopo non ci ricadrò più."
"Grande!" esclamò la voce.
Lei non ci badò, aprì la borsa che era appoggiata lì per terra e tirò fuori le chiavi dell'auto. Si sollevò la manica della felpa, appoggiò la chiave sul polso e…
"Fanculo!" urlò, non preoccupandosi del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirla. "Non mi ingannerai un'altra volta. Nonostante tutte le difficoltà, il dolore, le preoccupazioni, io non voglio più essere la vecchia me. Da quella ragazza ho imparato tante cose, per esempio che il mio passato mi può rendere più forte. Le mie bambine, Andrew, io stessa, noi tutti diamo senso alla mia vita. Non ci sono più solo io, adesso. Ho qualcuno di cui prendermi cura, e voglio lottare per la mia felicità e per la loro, scacciando i demoni del mio passato che ogni tanto mi perseguitano. È questo che conta, per me."
Lo disse a voce alta, sperando che la sua testa smettesse di pensare a cose brutte, ma non fu così.
"Peccato! Ti avrei fatta stare molto meglio" si lamentò quella dannata voce.
"Non è vero. Fottiti. Addio, stronza."
Le parole di Demi risuonarono lungo il piccolo corridoio, e la voce non rispose più. Era sparita! E lei ce l'aveva fatta! Non le sembrava di essersi fatta nulla, in quei pochi secondi nei quali aveva tenuto le chiavi sul polso. Non controllò nemmeno. Non sentiva dolore, quindi si disse che non aveva nessuna ferita. Rimise le chiavi al loro posto, buttandole nella borsa con tutta la forza che riuscì ad esercitare. Respirò profondamente, sentendosi meglio. Era soddisfatta di quel che aveva fatto. Subito dopo, però, il panico tornò ad assalirla. Il respiro si fece improvvisamente accelerato e le parole che l'infermiera aveva pronunciato poco prima e l'angoscia per la salute delle sue figlie tornarono a farsi sentire. Stava di nuovo male, anzi, forse peggio di prima.
L'ascensore si aprì e ne uscirono un medico, un'infermiera, il signore in carrozzina e Dianna.
"Demi, piccola" disse lei, cercando di fare la forte ma non riuscendoci.
La ragazza non la guardò, ma le bastò udire la sua voce rotta per capire che era sul punto di piangere.
Non capì bene quello che successe in seguito. Sentì delle braccia che la sollevavano da terra e che la deponevano su qualcosa di morbido, poi la lenta discesa dell'ascensore.
"Q-quel signore… d-devo ringraziarlo" riuscì a sussurrare, sforzandosi.
Non aveva sentito il rumore della sedia a rotelle, quindi immaginò fosse rimasto su.
"L'ho fatto io per te, tesoro" le disse la mamma. "Ha chiamato subito aiuto quando è sceso, si è messo ad urlare e l'infermiera che è qui con noi mi ha avvertita."
"Demi, ti do del tu visto che sei molto giovane, va bene?" le chiese il dottore.
La ragazza notò che aveva i capelli grigi e la barba lunga e bianca e una voce roca. Il suo sorriso dolce la tranquillizzò un po'. Provò la meravigliosa sensazione che fosse un nonno a parlarle.
"Sì."
"Okay, dimmi come ti senti e cos'è successo."
Con molta fatica, balbettando e piangendo, lei gli raccontò tutto - evitando di parlare dei pensieri sull'autolesionismo per non far preoccupare la mamma- mentre veniva trasportata in una piccola stanza dove il dottore e l'infermiera la fecero sdraiare su un altro lettino.
"Capisco che tu sia sconvolta, cara" le disse quest'ultima dopo che Demetria ebbe terminato di raccontare. "Dottore, che facciamo?"
"Una tac cerebrale per sicurezza. Ricordi se hai battuto la testa?" domandò ancora alla cantante.
"No, non lo ricordo."
"Allora è meglio farla. Per quanto riguarda quel che ti è accaduto, penso si sia trattato di un forte attacco di panico. Faremo anche alcuni esami al cuore per essere sicuri che sia tutto okay." Le misurò la pressione. "È alta, centocinquantacinque su centouno. Bisogna tenerla controllata. Hai mai avuto valori così alti?"
"N-no, è stata sempre b-buona, vero mamma?"
"Sì, a quanto ricordo." La donna chiese ai dottori il permesso di avvicinarsi e strinse la mano alla figlia. Le diede un bacio in fronte e le sussurrò: "Mi hai fatta spaventare, piccolo angelo."
"Scusa."
"Non scusarti. A volte non si possono controllare le emozioni."
"Una macchina con cui facciamo le tac è rotta, quindi ne abbiamo solamente una. Vado a vedere se è libera" disse il medico e uscì.
L'infermiera si mise in disparte per dar modo alle due donne di parlare un po' da sole.
"Andrew come sta?" chiese Demi, di nuovo allarmata.
Balzò a sedere, ma un fortissimo capogiro la costrinse a rimettersi giù.
"Gli stanno facendo gli stessi esami a cui ti sottoporrai tu" le spiegò Dianna.
"Fantastico. Tutti e due abbiamo avuto un attacco di panico e siamo finiti in ospedale. Che merda!" mormorò Demi tristemente. Due fidanzati in pronto soccorso la stessa sera con sintomi identici o molto simili… era davvero una brutta coincidenza. Avrebbe voluto essere con Andrew, e invece era lì, su un lettino, e presto sarebbe andata a fare esami su esami. Sospirò. Quella settimana avrebbe avuto fine presto, si disse per incoraggiarsi. Erano successe troppe cose brutte! "Mamma?"
"Sì?"
"Se per qualche motivo non dovessi tornare a casa stasera, se i medici volessero tenermi qui in osservazione, o che so io, tenete a casa da scuola le bambine domani. Sono giorni stressanti e ho paura che andando là potrebbero sentirsi peggio. Hanno bisogno di riposare e di stare tranquille. Voglio tornare da loro il prima possibile!" esclamò infine.
"D'accordo tesoro; e lo so. Lo so."
 
 
 
"Mac, sei sveglia?"
La bambina non rispose. Rimase immobile nel suo letto, dando le spalle alla porta. Non appena l'ambulanza era partita si era nascosta dietro il divano, tremante. Le zie e il nonno le avevano parlato a lungo rassicurandola, dicendole che sarebbe andato tutto bene, ma lei non li aveva mai guardati, né aveva risposto. Era terrorizzata. Il papà stava così male e non sapeva perché, non era riuscita a credere alle loro parole.
"Mackenzie, so che non dormi. Guardami."
La voce della zia Dallas riecheggiò di nuovo nella stanza, ma la bambina non si mosse. Aprì leggermente gli occhi per poi richiuderli subito dopo. Da una parte avrebbe voluto alzarsi, reagire, scrivere che aveva una paura incredibile, dall'altra però non ci riusciva, era come bloccata. Non sapeva cosa le impedisse di tirarsi su da quel letto, ma era consapevole del fatto che era più forte di lei. Sentiva un peso enorme gravarle sulle spalle, era come una grande mano che la spingeva con violenza verso il basso. Aveva provato altre volte quella sensazione nella sua vita, sia quando i suoi genitori erano morti, sia nel momento in cui il papà era stato così male pochi mesi prima, e ogni volta era devastante come fosse stata la prima, talmente tanto da toglierle il respiro.
Dallas si sedette sul bordo del letto, Mackenzie lo sentì perché quest'ultimo si abbassò e scricchiolò leggermente, e poi si sdraiò vicino a lei, ma sopra le coperte, circondandola con le braccia. Non si guardavano in viso, ma sentire l'una il respiro dell'altra, così vicini, le aiutò a rilassarsi un po'. Mackenzie trasse un profondo respiro e si lasciò andare, godendosi quell'abbraccio caldo e rassicurante. Girò la testa e guardò la zia con occhi pieni di lacrime, come a chiederle cosa sarebbe successo.
"Non lo so, piccola, ma qualsiasi cosa sia la affronteremo tutti insieme. Ho paura anche io, sai. Non bisogna vergognarsi a dirlo."
Mackenzie le sorrise appena. Forse tra un po' avrebbe scritto qualcosa, si disse, ma non in quel momento. Non si sentiva ancora pronta. Le mancavano le forze e avrebbe solo voluto dormire un po' per dimenticare ogni cosa brutta accaduta quella sera, ma i pensieri la tenevano sveglia. Si udì un piccolo miagolio e poi, d'improvviso, Mac si trovò Danny sulla sua pancia. Sorrise di nuovo. Forse aveva percepito la sua preoccupazione ed era venuto a farle compagnia. Era così dolce! Le sarebbe piaciuto che avesse cominciato a dormire con lei, e decise che l'avrebbe abituato a farlo. Di certo la mamma non avrebbe avuto nulla in contrario. Il micio le si accoccolò fra le gambe e iniziò a fare le fusa.
 
 
 
Hope continuava a lamentarsi. Per fortuna aveva smesso di strepitare da un pezzo, ma non faceva altro che piagnucolare. Eddie e Madison, con pazienza, cercavano di calmarla e di distrarla in tutti i modi. L'avevano fatta giocare con tutti i giocattoli che aveva, ma dopo poco la bambina si stancava, sembrava annoiarsi e ricominciava a frignare. Avevano anche provato a farle accarezzare il cane e il gatto, standole sempre accanto per paura che gli animali potessero morderla o graffiarla, e ad accendere la televisione perché vedesse i cartoni, a giocare a nascondino, ma niente da fare. Anche ora, mentre era seduta tra le braccia del nonno, Hope si dimenava leggermente, piangeva piano e guardava in giro, ma soprattutto verso la porta.
"Vuole i suoi genitori" constatò Madison, dandosi poi della deficiente.
Era ovvio. Li aveva visti andare via in fretta e in più il papà stava male.
"Già" rispose semplicemente Eddie, iniziando a cullare la piccina dondolandosi a destra e a sinistra.
"Sei un bravo nonno, papà. Sei paziente."
"Lo pensi davvero?"
"Certo!" gli rispose sorridendo.
"Grazie. Faccio del mio meglio. Anche tu sei una brava zia."
"Ti ringrazio."
In quel momento Dallas scese le scale.
"Come sta?" le chiese la sorella.
"Si è addormentata. Non ha detto niente, ma è spaventata a morte. Danny è con lei. Non appena è salito sul suo letto, si è calmata e ha preso sonno."
La ragazza sospirò e si sedette sul divano accanto a loro.
In quel momento il cellulare di Madison vibrò. Lo prese con mani tremanti, mentre il cuore le batteva sempre più forte.
"È la mamma" disse e poi lesse: "Anche Demi si è sentita male. Andrew sta ancora facendo degli esami e lei era andata a vedere i bambini in maternità, diceva che farlo l'avrebbe calmata. A quanto ci ha detto, una bimba è morta e dopo aver sentito la notizia è crollata a terra. Dovrà fare dei controlli anche lei. Non so quando torneremo, c'è un casino qui. Demi vuole sapere come stanno le piccole."
Madison prese a digitare freneticamente. Pregò la madre di tenerli aggiornati su tutto e aggiunse che le piccole erano un po' agitate, ma che per il resto era tutto a posto.
"Dovremmo dar loro qualcosa da mangiare" osservò Eddie.
Era ora di cena ormai.
"Mac sta dormendo. Devo svegliarla? Non sarebbe meglio lasciarla tranquilla?"
Dallas temeva che svegliandosi sarebbe stata peggio. Eddie rifletté per un momento. Non gli piaceva per niente il fatto che la piccola rimanesse a stomaco vuoto, ma ammise che la figlia aveva ragione.
"Le faremo un latte con i biscotti se si sveglierà più tardi" disse quindi, lasciando Hope a Madison e dirigendosi poi in cucina. "Va bene se faccio una minestra per tutti?"
Le ragazze acconsentirono.
"Mamma! Mamma e papà!" si lamentò la piccola.
A Maddie e Dallas fece pena. Quest'ultima iniziò ad accarezzarle i capelli.
"Da piccola Demi si calmava sempre quando facevo così" sussurrò.
"Mamma e papà tornano presto, Hope" cercò di rassicurarla Madison, dandole un bacio su una guancia.
"Quando?"
"Non lo so, amore… presto" ripeté, non sapendo che altro dire.
 
 
 
Mackenzie stava sognando. Era un incubo particolare, uno che non aveva mai fatto prima 'dallora. Non sapeva bene dove si trovasse, ma davanti a lei c'era l'uomo cattivo, mentre i suoi genitori adottivi erano sdraiati per terra accanto a lui. Il papà respirava affannosamente, mentre la mamma guardava il soffitto, immobile. Il suo volto era inespressivo e ciò fece capire alla piccola che qualcosa non andava.
"Vedi quanto stai rendendo triste la tua mamma in questo periodo?" le domandò il signore, con la sua solita voce terrificante. "Ora sei anche malata, sei debole e dovresti sentirti in colpa per questo. Stai sognando, ma chi ti dice che tuo papà non stia morendo? Sai come stava, quando l'hanno portato via."
Allora era vero. Stava per perdere l'altro papà che Dio le aveva donato. No, non poteva essere così! Aveva rischiato di perderlo mesi prima, non voleva che stavolta accadesse sul serio! Aprì la bocca per parlare, ma non uscì nulla. Avrebbe voluto dire:
"Mamma alzati, fai qualcosa, di' qualunque cosa, ma ti prego, mandalo via!"
"Sei patetica, quando cerchi di parlare" riprese l'uomo, "Non ce la farai mai."
Mackenzie roteò gli occhi, guardò freneticamente da una parte all'altra di quella grande stanza in cui si trovavano, non sapendo né che fare, né che cosa scrivere. Abbassò gli occhi e vide le braccia scoperte del papà e della mamma e le loro cicatrici. Erano chiuse, stavolta, non aperte come in un incubo che aveva fatto qualche tempo prima, ma guardarle le fece salire le lacrime agli occhi.
 
 
Si svegliò e scattò in piedi. Era sudata e in lacrime. Respirava male, ma non voleva chiamare nessuno e sperò  che né il nonno, né le zie la sentissero. Era stato un sogno scioccante, e probabilmente la sua memoria aveva tentato di cancellarlo visto che le sembrava di ricordarne solo alcuni momenti, ma più i secondi passavano, più ogni singola parola dell'uomo, ogni ansito del papà e lo sguardo assente della mamma erano più nitidi. Forse sarebbe stato meglio dimenticare, almeno per una volta. Tuttavia, la sua mente aveva deciso diversamente. Mackenzie sospirò e si rimise a letto, provando una stranissima sensazione di calore e gelo insieme. Chiuse gli occhi e cercò di svuotare la mente. Danny era ancora lì. Si era messo a sedere quando lei si era alzata e doveva essere spaventato. La bambina si affrettò ad accarezzarlo per rassicurarlo. Affondare le mani nel suo pelo morbido la fece sentire subito più tranquilla. Il micio si sdraiò sulla sua pancia e cominciò a fare le fusa, poi salì verso il viso e le leccò una guancia, come per dirle che lui era lì, che non l'avrebbe lasciata sola in un momento così difficile, anche se non capiva cosa fosse successo. Mackenzie si intenerì e comprese di amarlo ogni secondo di più.
 
 
 
Anche se in momenti diversi, Andrew e Demi vennero portati di qua e di là a fare esami. L'unica cosa che sapevano era che pareva loro di essere continuamente sballottati da una parte all'altra, mentre veniva detto loro di stare fermi, o di trattenere il respiro, o di chiudere la mano a pugno per fare un prelievo di sangue. Per Demi il momento più difficile fu proprio quello, visto che aveva le vene piccole e l'infermiera non riusciva a trovarle quella giusta. Provò a spingere l'ago, ma dovette prendere un nervo perché la ragazza si lamentò.
"Mi scusi, è che davvero non riesco a trovarla" le spiegò, battendole poi due dita sul braccio. "In questo modo dovrebbe gonfiarsi ed essere visibile. Aspettiamo un momento…" Anche il secondo e il terzo tentativo non andarono a buon fine, anzi, l'ultima volta Demi urlò di dolore e il suo braccio ebbe uno scatto involontario.
"Mi dispiace!" esclamò allarmata.
Le pareva di comportarsi come una bambina. Disse all'infermiera che le poche volte nelle quali aveva fatto degli esami del sangue non aveva mai avuto quel tipo di problema.
"Non si deve né scusare, né dispiacere. A volte capita! Anzi, dispiace a me di averle fatto tutto questo male. Ora chiamo un mio collega, aspetti."
L'uomo arrivò poco dopo e riuscì a trovare la vena al primo colpo. La ragazza non sentì nulla e lo ringraziò.
"Si figuri! È il mio lavoro."
Dopo i vari controlli Demi venne portata in una piccola stanza nella quale, scoprì, si trovava anche Andrew. Quando lo vide sorrise per la prima volta dopo lungo tempo.
"Demetria?" chiese lui stupito. "Che ci fai qui?"
Ora era allarmato.
"Sono stata male anche io." Prima che potesse chiederle qualcosa la ragazza raccontò tutto anche a lui, nonostante facesse molta fatica a parlarne. "Quindi, come vedi, entrambi siamo stati da schifo stasera" concluse.
"Mio Dio, è terribile quello che è successo" sussurrò l'uomo.
"Sì."
I due non sapevano cosa dire. Forse in quella situazione non c'era bisogno di parole. Il silenzio parlava già da sé, con la sua voce piena di frustrazione e dolore.
"Come stai ora?" le chiese allora il fidanzato.
"Mi sento stanca e un po' in confusione. Tu?"
"Idem, non vedo l'ora di andare a casa!" sospirò.
"A chi lo dici! Mi sei mancato" sussurrò poi, prendendogli una mano.
I lettini erano vicini, quindi potevano toccarsi.
"Anche tu. Ti amo" le rispose lui di rimando, facendola sorridere.
Non parlarono più. Chiusero gli occhi stancamente. Non sapevano cos'avevano avuto, ma erano consapevoli del fatto che non fosse nulla di così grave, e poi la cosa importante era che potevano stare insieme e ciò li faceva sentire più
forti.
Dianna entrò poco dopo e, vedendoli entrambi addormentati, decise di lasciarli in pace e di fare il meno rumore possibile per non svegliarli. Quei due ragazzi erano stati così male, si meritavano un po' di riposo!
Il dottore arrivò pochi minuti dopo e quando salutò tutti e tre, Andrew e Demi si svegliarono.
"Mi fa piacere che siate riusciti a rilassarvi" disse l'uomo con un gran sorriso. "Tutti gli esami che vi abbiamo fatto sono a posto, Andrew ha avuto un leggero trauma cranico a causa della botta che ha preso, ma per il resto è tutto okay. A mio avviso avete avuto, per motivi diversi, un attacco di panico molto intenso che non siete riusciti a gestire. Non è facile farlo con disturbi del genere, comunque. Per quanto riguarda lei, Demi, l'episodio è stato sporadico, invece per ciò che concerne lei, Andrew, dati i tremori che mi aveva detto di avere alle mani e il mal di testa, le consiglio di rivolgersi il prima possibile al proprio medico di base, perché come le avevo detto e come lei sospettava, può essere che i farmaci che sta assumendo non facciano effetto, o non siano quelli giusti. Stavolta è stato fortunato perché c'era la sua ragazza con lei, ma pensi a cosa sarebbe successo se si fosse sentito male mentre stava guidando!"
"Ha perfettamente ragione" rispose Andrew, serio. "Avrei potuto causare un incidente."
Al solo pensiero, un brivido glaciale gli corse giù per la schiena.
"È un periodo particolarmente stressante per voi?" continuò il medico.
Entrambi risposero di sì, aggiungendo che lo era stata in particolare quella settimana.
"Capisco. Purtroppo, nella vita, capitano questi periodi così brutti e intensi, ma voi siete insieme e sono sicuro che supererete tutto dandovi forza a vicenda." Gli sorrisero. Aveva detto loro una cosa davvero bella che li fece emozionare. "Vi consiglio di prendervi un paio di giorni di riposo. State a casa, rilassatevi, rimanete con i vostri figli, se ne avete, e non pensate al lavoro o a tutto ciò che vi preoccupa. Comprendo perfettamente che sia difficile, ma avete entrambi bisogno di farlo per riprendervi."
Fu così che, finalmente, dopo circa cinque ore da quando erano entrati, Andrew, Demi e Dianna poterono uscire dall'ospedale. L'uomo chiamò il suo capo, sapendo che spesso Janet si fermava in studio fino a tardi, e le spiegò la situazione. Lei gli disse di prendersi un paio di giorni liberi ancora prima che lui le spiegasse ciò che il medico gli aveva consigliato di fare.
"Ti giuro che, se ti presenterai qui in ufficio domani o dopodomani, ti manderò fuori a calci in culo" scherzò lei, facendolo ridere.
"Okay, mi vedrai venerdì, promesso."
"Va bene, riposati."
"Grazie di tutto, Janet."
Quella donna era molto generosa con i propri dipendenti e cercava di aiutarli, se poteva.
"Figurati!"
"Ragazzi, siete stati coraggiosi stasera" osservò Dianna mentre saliva in macchina e si metteva al posto di guida.
Andrew e Demi si misero dietro e si presero la mano.
"Non abbiamo fatto niente di speciale" obiettò lui.
"Beh, siete stati male, e anche se gli attacchi di panico non sono in effetti così gravi, posso solo immaginare quanto schifo possano fare. Per cui, se è vero che quando arrivano sembra di morire, sono fiera di voi perché entrambi li avete sconfitti, almeno per oggi. Spero non torneranno più."
Andrew sospirò. Nel suo caso sapeva che ne avrebbe avuti ancora, in fondo si stava curando proprio per mandarli via, ma il processo di guarigione era lungo. Dianna lo capiva benissimo, ma aveva detto così per incoraggiarlo.
"Grazie, mamma" rispose Demi, atona.
Non riusciva a smettere di pensare alla bambina che non ce l'aveva fatta, a quella piccola vita che si era spenta. Per fortuna il senso di angoscia era sparito, ma un po' di tristezza restava. Non vedeva l'ora di riabbracciare le sue figlie, e sperò che il tragitto fino a casa sarebbe stato breve. Andrew chiese a Dianna se avrebbe potuto fare una sosta a casa sua. Era sicuro che Demi avrebbe voluto che dormisse da lei, ma prima voleva controllare che i suoi gatti stessero bene e che avessero acqua e cibo a sufficienza. La donna acconsentì senza problemi, e Demi gli sorrise.
"Vuoi che vada io?" gli chiese Dianna quando giunsero davanti al condominio. "Tu sei molto stanco, se non te la senti e mi dici dove sono le cose…"
"No grazie, faccio io. Vorrei passare qualche minuto con loro, sono soli da stamattina."
"Sì, capisco."
Andrew domandò alle due donne se avrebbero voluto venire con lui, ma Demi rispose di no perché era troppo stanca. Non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti. Dianna disse che sarebbe rimasta con lei. L'uomo allora scese e, nonostante la stanchezza, iniziò a correre e ben presto fu in casa. Jack e Chloe gli corsero incontro, strusciandosi attorno alle sue gambe. Si vedeva che erano entrambi assonnati.
"Ciao, piccoli!" esclamò accarezzandoli. "Mi siete mancati tantissimo, sapete? Scusate se non sono venuto prima, ma purtroppo ho avuto una giornata difficile."
Loro sembrarono capire, perché cominciarono a miagolare e a fare le fusa. Andrew li prese in braccio uno alla volta e li coccolò, accarezzando loro la schiena e grattandoli dietro le orecchie, mentre i due erano in estasi. L'uomo avrebbe voluto chiedere a Demi se sarebbe stato possibile portarli da lei, visto che sarebbe rimasto lì due giorni, ma temeva che la risposta sarebbe stata negativa. Del resto era comprensibile, ma comunque decise di fare un tentativo e telefonarle. Mentre teneva il cellulare tra l'orecchio e la spalla, diede un po' di croccantini ai gatti che sembravano molto affamati.
"Ehi" rispose la ragazza. "È successo qualcosa?"
"No no, tranquilla! Volevo solo chiederti se posso portare i gatti lì da te, visto che starò via per un po'."
Demi ci rifletté per un momento.
"Non so se sia una buona idea. Abbiamo preso Danny soltanto oggi, si deve ancora ambientare e abituare a Batman e non vorrei che per lui fosse troppo stressante. Questo non significa che non voglio fargli conoscere i tuoi gatti, anzi, ma pensavo di farlo quando si sarà abituato alla casa e a noi, capisci?"
Sperò di non averlo ferito con quella risposta. Non voleva che pensasse che lei non amava i suoi gatti, o che non li voleva in casa, perché non era così.
"Sì, immaginavo che mi avresti detto questo" rispose lui. Non era arrabbiato, né deluso e il suo tono pacato risollevò il morale della ragazza facendola sospirare di sollievo. "Verrò a controllare come stanno e a fare loro compagnia, allora" concluse.
"Magari domani potremmo venirci con le bambine. Sono sicura che sarebbero felici di vedere Jack e Chloe!"
"Sì, è un'ottima idea. Scusa se te l'ho domandato."
"Se l'hai fatto è perché ami i tuoi gatti e questa è una cosa bellissima!"
"Dammi cinque minuti e arrivo, giuro."
La chiamata si interruppe lì. Andrew riempì d'acqua la ciotola dei mici, aggiunse un altro po' di croccantini per sicurezza, cambiò la sabbia della lettiera e poi, mentre Jack e Chloe continuavano a seguirlo, andò in camera sua, prese un borsone e mise dentro alcuni vestiti e un pigiama. Dovette fare attenzione perché la gattina si infilò in un cassetto dell'armadio.
"Stavo per chiuderti dentro" disse ridendo mentre lo riapriva. "Dai, vieni fuori." Chloe, in tutta risposta, rimase immobile e agitò la coda, come per far capire che lì dentro stava benissimo e che non aveva nessuna intenzione di uscire. L'uomo allora la sollevò e la mise per terra, chiudendo poi cassetto e armadio, mentre lei miagolava infastidita. Andrew la accarezzò per calmarla. I suoi gatti erano liberi
di andare dove volevano in casa, ma l'unico posto in cui non li lasciava entrare era l'armadio. Non voleva che gli riempissero tutti gli abiti di pelo. "Ascoltate, io vado via per un paio di giorni, ma tornerò domani e dopodomani a vedere come state, e vi prometto che passeremo un po' di tempo insieme, d'accordo?"
I due miagolarono tristemente quando lo videro dirigersi verso la porta, ma bastarono un po' di coccole perché si sentissero meglio.
"Eccomi!" esclamò Andrew salendo in macchina.
"Come stanno?" si informò Demi.
"Bene, non volevano che me ne andassi ma tornerò presto da loro."
Pochi minuti dopo erano finalmente a casa. I tre si precipitarono dentro e trovarono Eddie, Dallas e Madison seduti sul divano, i quali furono felicissimi di rivedere Demi ed Andrew, li abbracciarono e chiesero loro come stessero.
"Almeno non è nulla di serio, e mi raccomando, ascoltate quello che vi ha detto e riposatevi" li ammonì Dallas.
"Lo faremo, sorellina."
"Se volete posso restare qui per la notte. Se Hope si svegliasse o Mackenzie avesse bisogno di qualcosa potrei pensarci io per lasciarvi dormire."
"Dallas, sei molto dolce, ma penso che ce la caveremo. Hope ormai si sveglia molto poco di notte e adesso andrò da Mackenzie in modo da tranquillizzarla" rispose Demi, poi guardò Andrew per capire se era d'accordo e lui annuì.
"Allora noi vi lasciamo" aggiunse Eddie, "ma se avete bisogno di qualunque cosa chiamateci a qualsiasi ora. Comunque, Hope ha mangiato un po' di minestra e Mackenzie ha quasi sempre dormito, quindi non ha cenato. Sono a letto entrambe."
"Hanno pianto molto?" domandò Andrew.
"Abbastanza."
"Mackenzie non ha nemmeno voluto scrivere una riga quando sono andata da lei per farla sfogare. Era spaventatissima" spiegò Dallas.
I genitori sospirarono affranti.
Quando poco dopo rimasero soli, decisero di farsi un panino e andare a letto poco dopo. Non avevano molta fame, ma preferivano comunque mettere qualcosa nello
stomaco.
Prima di salire al piano superiore Demetria controllò dove fossero Batman e Danny. Dormivano tranquilli nelle loro cucce. Prese la mano del fidanzato e insieme fecero le scale. La porta della camera di Mackenzie era socchiusa, così entrarono. La bambina dormiva, ma continuava a rigirarsi nel letto.
"È molto agitata" sussurrò Demi e decise di svegliarla per provare a calmarla. La accarezzò dolcemente finché la piccola aprì gli occhi. "Sono la mamma, amore" sussurrò.
La bambina si mise a sedere e li guardò sorridendo, poi prese un foglio che teneva sul comodino e scrisse:
State bene?
Li vedeva stravolti, pallidi e con le occhiaie.
"Sì Mackenzie, anche la mamma non è stata molto bene ma ora è tutto passato, sul serio."
Ho sognato l'uomo cattivo che mi diceva che tu forse saresti morto continuò lei, tremando.
Andrew la abbracciò forte, mentre lei cominciava a respirare male e gli occhi le si riempivano di lacrime.
"Non ascoltarlo. Non potrà più farti del male, nemmeno nei sogni. Il papà e la mamma stanno bene e amano tantissimo te e Hope, non dimenticarlo mai."
"Tesoro, piangi se ti può aiutare" sussurrò Demi accarezzandola.
Ho avuto tanta paura, mamma. Non riuscivo nemmeno a scrivere qualcosa alla zia Dallas. Sarà arrabbiata con me!
"No, è solo preoccupata. Domani la chiamo e le dico che stai un po' meglio, okay?" La bambina annuì lievemente e poi raccontò il resto del sogno.
"No no, aspetta Mac, non è vero! Quando ci ammaliamo non è mai colpa nostra, capito? So che non è giusto, e hai ragione ad essere triste e arrabbiata, ma purtroppo a volte succede e basta."
Perché?
Quella era una domanda alla qule né Demi, né Andrew erano sicuri dei saper rispondere in modo corretto.
"Stai soffrendo molto per tutto quel che ti è successo, e a volte chi si sente così male ha questo tipo di problemi."
Andrew non sapeva se dire quello che stava per dire, ma ci provò comunque.
"Sai piccola, pregare fa molto bene quando si ha qualsiasi tipo di problema. Dà forza, almeno a me."
Lei scrisse che aveva provato a dire un Padre Nostro, ma che non si era sentita meglio.
"Ricordo un pezzo di una preghiera che forse potrebbe aiutarti, Mackenzie" disse la mamma. "Si intitola "I tristi ricordi della mente". Dice così:
Sono impressi nella mia memoria, sono ferite aperte nella mia mente. Mi fanno soffrire e a volte mi rendono insensibi-le, aggressivo, disimpegnato.
Con le mie forze non riesco a dimenticarli, a non pensarci. Tu che hai detto: "Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero", liberami dal peso dei tristi ricordi. Fallo con il ricordo delle grazie, dei doni, degli eventi lieti che hai sparso lungo tutti i giorni della mia vita e con la certezza che anche le sofferenze hanno concorso al mio vero bene.
Infondi in me il tuo Spirito Santo che brucia il mio triste passato e dà alla mia mente uno sguardo nuovo e sereno sulla mia vita."
"È bellissima" le disse il fidanzato.
Mackenzie ci si ritrovava molto. Sapeva di non essere insensibile, né aggressiva, ma per il resto quella preghiera esprimeva alla perfezione i suoi sentimenti. Non avrebbe saputo trovare parole migliori per descriverli. Scoppiò a piangere. I singhiozzi la scuotevano tanto violentemente da non farla quasi respirare.
"Vieni qui."
Demi la prese in braccio e si sedette con lei sul letto.
"Vado a scaldarle un po' di latte, che dici?" propose Andrew.
"Sì, grazie; e portami anche un asciugamano: è tutta sudata."
"D'accordo."
Mentre Demetria accarezzava e cullava Mac, anche Hope scoppiò a piangere.
"Andiamo a prendere anche lei, ti dispiace?"
La bambina sorrise appena e si alzò. Anche la sorellina aveva bisogno di coccole, in fondo, e ne aveva tutto il diritto.
"Mamma" continuava a ripetere Hope tra i singhiozzi.
La chiamava con tono quasi disperato, come se pensasse che era andata lontano e che non sapeva quando sarebbe tornata, e nell'udire quel'unica parola più e più volte la ragazza si sentì stringere il cuore.
"La mamma è qui, cucciola" disse, mentre si sistemava, stavolta sul proprio letto, con entrambe le bambine tra le braccia. "È stata una lunga serata, eh? Lo so, ma ora è tutto finito e siamo insieme" disse con dolcezza. Le riempì di baci sulla testa e sulle guance, le strinse forte e accarezzò loro la schiena finché le piccole si calmarono un po'. "La mamma ha avuto una serata che per certi versi è stata un disastro" continuò la ragazza, ripensando a tutto quel che era successo, mentre qualche lacrima cadeva dai suoi occhi e finiva sulla testa e delle bimbe, che la guardavano senza capire. Hope, spaventata da quella reazione, ricominciò a piangere. "No, no piccina, va tutto bene. Sono solo molto stanca, ma ora facciamo tutti una bella dormita e domani staremo meglio. Mi siete mancate così tanto!"
Le baciò ancora, pensando che nell'ospedale in cui era appena stata c'era una donna che non avrebbe potuto dare mai più tutto quell'affetto alla propria bimba.
"Ecco il latte, ho fatto anche un biberon per Hope nel caso lo volesse" disse Andrew entrando.
Demi lo ringraziò. Mackenzie prese la tazza dalle mani del papà e si sedette vicino alla mamma iniziando a berla lentamente. Demi offrì il latte a Hope che lo accettò volentieri e, volendo imitare la madre, strinse anche lei il biberon fra le mani. Per qualche minuto, il dolce rumore delle due piccole che bevevano fu l'unico che riempì la stanza. Quando finirono sembrarono più rilassate e iniziarono a chiudere gli occhi.
"Facciamole dormire qui con noi" propose Andrew.
Il letto era grande, e anche se sarebbe stato un po' difficile dormire in quattro, vista la serata che avevano trascorso, Demi non se la sentì di dire di no.
Si sdraiarono e Mackenzie e Hope furono molto felici di stare con i genitori.
"Domani vi tengo a casa" sussurrò Demi alle figlie. "Papà starà qui un paio di giorni e rimarremo insieme."
Hope non ci capì un granché perché la mamma aveva parlato velocemente, ma sembrava una cosa bella visto che Mackenzie sorrideva.
Poco dopo Andrew spense la luce e ci vollero solo pochi minuti perché tutti e quattro cadessero in un sonno profondo.
Demi si svegliò di soprassalto. Le ci volle qualche secondo per capire dove si trovava e cosa fosse successo. Respirava affannosamente, aveva la nausea, ma non sapeva perché. Poche volte si era sentita così angosciata nella sua vita. Che diavolo stava succedendo? Cercò di ricordare se aveva sognato qualcosa che poteva averla spaventata, ma non le sembrava. Si teneva stretto il polso destro con l'altra mano… Perché? Non le faceva male. Ci passò sopra un dito.
"Oh mio Dio!" sussurrò.
Si alzò in piedi di scatto e corse di sotto, cercando di fare il meno rumore possibile e andò in bagno. Accese la luce e guardò meglio: sì, c'era un graffio, un segno ancora rosso, lungo almeno cinque centimetri, forse un po' di più. Se l'era fatto con quella stramaledetta chiave, ed era stata talmente concentrata sui propri pensieri che non se n'era nemmeno resa conto. Si toccò il graffio varie volte, e dopo qualche secondo iniziò a farle male. La pelle doveva essersi irritata. Aprì il rubinetto e mise la mano sotto l'acqua fredda sentendosi subito meglio, poi la spense e tamponò il graffio con l'asciugamano. Avrebbe voluto sedersi lì, a terra. Si vergognava tantissimo. Senza rendersene conto si era fatta di nuovo del male. I demoni del passato erano tornati, anche se solo per un attimo. Ebbe una vertigine e non fece in tempo a stringere le mani al bordo del lavandino. Cadde all'indietro e rischiò di sbattere la testa, ma grazie a Dio riuscì a proteggersi con le mani. Fu una fortuna, perché altrimenti avrebbe colpito lo spigolo della cabina doccia e probabilmente si sarebbe tagliata. Era la seconda volta che cadeva, quella sera. Non era normale.
Merda pensò.
 
 
 
"Demi, santo cielo!" esclamò Andrew entrando.
"Amore, scusami, non volevo svegliarti" disse la ragazza parlando in fretta.
"Forse ti sei fatta male e ti scusi per avermi svegliato? Non ti preoccupare, piccola." La voce di Andrew era dolce e il suo sguardo preoccupato. "Sei ferita?"
"No… cioè, non lì almeno."
Demi sollevò il braccio e gli mostrò il graffio.
"Ti sei…"
Andrew restò in silenzio, non riuscendo nemmeno a finire la domanda. Forse stava impallidendo, non ne era certo, ma sapeva di sentirsi sempre più debole. Demi era ricaduta nell'autolesionismo? Era terribile! Perché non gliel'aveva detto? E soprattutto, perché lo faceva? La situazione con Mackenzie non era facile, e forse la sua ragazza soffriva più di quanto lui pensasse. Perché non si era mai accorto di nulla?
"Andrew, ascolta, io non…"
"Demi, mi dispiace così tanto!" esclamò abbracciandola. "Davvero, io non pensavo… non credevo che tu… se me l'avessi detto ti avrei…"
Era troppo sconvolto per parlare, e la sua ragazza lo capì e gli posò una mano su un braccio.
"Amore, no! Non è successo quello che pensi. Non sono ricaduta nell'autolesionismo. Non mi ero nemmeno accorta di essermi fatta quel graffio fino a poco tempo fa. Stasera avevo pensato di farmi male, ma poi ho scacciato la voce che sentivo, quella che mi diceva di ferirmi."
"Okay, dimmi cos'è successo."
Lei gli raccontò tutto, non tralasciando nessun dettaglio, né alcuna sua emozione. Andrew ascoltò attentamente, e da preoccupata la sua espressione si fece sollevata.
"Grazie al cielo ti sei fermata, Demi! Non è colpa tua se ti sei fatta quel graffio, okay?"
"S-sì invece, la mia mano non avrebbe dovuto muoversi. Io avrei dovuto stare più attenta" disse, mentre alcune piccole lacrime iniziavano a rigarle le guance.
"Hai lottato contro quella maledetta voce e l'hai scacciata. È questa la cosa importante. Avevi pensato di tagliarti e non l'hai fatto, sei stata grande! Okay, ti sei graffiata, ma alla fine hai capito anche tu che non lo volevi davvero. Non è profondo, amore, domani sarà già guarito."
"Davvero?"
La sua voce uscì appena udibile.
"Certo!"
"E quando passerà questa sensazione di schifo nei confronti di me stessa?"
Lui la strinse forte a sé mentre Demi scoppiava in singhiozzi. La cullò dondolandosi piano e continuò a sussurrarle che andava tutto bene, che lei era una persona meravigliosa e che presto sarebbe stata meglio. La baciò su una guancia.
"Ti amo, amore mio!"
 
 
 
Demi si sentiva malissimo. Aveva davvero fatto violenza al suo stesso corpo dopo tanti anni che non accadeva. Si sentiva orribile e sporca. Non avrebbe saputo spiegare quella sensazione con altre parole. Quella che aveva usato con Andrew, "schifo", descriveva alla perfezione come si sentiva. All'inizio pensò di non meritare tutte quelle attenzioni e coccole da parte del suo ragazzo. Come poteva amarla ancora dopo che si era fatta tutto ciò? Mentre lui le sussurrava parole dolci, però, Demi pensò che anche lei aveva continuato ad amarlo anche se aveva tentato il suicidio, perché l'amore è più forte delle difficoltà, se è sincero e il loro lo era. Doveva smettere di farsi tutte quelle domande. Sospirò. Si sentiva un po' meglio, la crisi stava passando.
"Ora ti disinfetto il polso" le disse l'uomo.
"No, non ce n'è bisogno. Non è così grave!"
"Lascia che mi occupi di te, okay?"
Mentre le passava il cotone con il disinfettante, Demi cercava di calmarsi del tutto. Ogni tanto piangeva ancora e non stava molto bene.
"Grazie" sussurrò quando ebbe finito.
Si sentiva come quando aveva dodici anni e lui aveva iniziato a curarla: fragile, ma allo stesso tempo sicura perché Andrew era accanto a lei.
"Figurati! Ti gira la testa? Sei molto pallida."
"Un po'."
La fece sedere sul divano e portò in salotto due bicchieri d'acqua. Entrambi bevvero in silenzio, poi si sorrisero e Andrew fu sollevato nel constatare che Demi si sentisse meglio.
Poco dopo tornarono a letto. Quando lei si sdraiò, il suo ragazzo la baciò, sulla bocca stavolta, e lei ricambiò.
"Ti amo" furono le ultime parole che si sussurrarono prima di riaddormentarsi, stavolta fino al mattino.
Riposarono in pace tutti e quattro quella notte, senza fare altri brutti sogni o avere cattivi pensieri.
 
 
 
"Mamma?"
Hope si era svegliata. Non ricordava molto bene quello che era successo la sera prima, ma sapeva che papà non era stato bene. Ora però era lì, e c'erano anche Mackenzie e la mamma. Era felice che fossero tutti insieme. Chissà quanti bei giochi avrebbero fatto quel giorno! La mamma continuava a dormire.
"Mamma!" chiamò più forte.
Era stanca di stare a letto, voleva giocare e aveva fame.
"Piccola."
Demi aprì gli occhi e sorrise. Hope le si era avvinghiata al braccio, non voleva proprio lasciarla. La stringeva con le sue manine usando tutta la forza che aveva.
La bambina, vedendo che era riuscita nel proprio intento, batté le mani felice e iniziò a ridere.
"Shhh, Hope, Mac e il papà dormono."
"Giocale, mamma!" esclamò la piccola.
Demi guardò l'ora sulla sveglia. Non era poi così presto, si sarebbe potuta alzare.
"Okay, andiamo."
Si sentiva riposata e, come Andrew le aveva detto, stava molto meglio. Voleva cercare di non pensare a tutto quel che era successo la sera precedente e concentrarsi solo sulle sue bambine. Prese Hope in braccio e la portò di sotto. Dopo averla cambiata e nutrita, si sedette con lei sul divano.
"Allora, con cosa vuoi giocare?"
"Coccole" rispose la bambina, regalando alla mamma un meraviglioso sorriso.
Aveva cambiato idea, quindi. Beh, era normale a quell'età farlo in fretta, si disse Demi; e poi non le dispiaceva coccolare il suo piccolo tesoro, anzi. Il giorno prima non l'aveva fatto un granché. La riempì di baci sulla testina, passando poi alle guance e al collo. La bambina le strinse un dito con una mano, come faceva quando era più piccola.
"Ti piace ancora, eh?" le chiese la ragazza con dolcezza.
Hope iniziò a giocare con i capelli della mamma muovendoli avanti e indietro e tirandoli un po', ma non così tanto da farle male. Demi sorrise e la lasciò fare. La piccola lanciava gridolini di gioia ed era così bello stare ad ascoltarla. Chissà se un giorno anche Mackenzie sarebbe riuscita a farlo, pensò la ragazza. Si rattristò, e in quel momento Hope la guardò perplessa, ma la mamma riuscì a tranquillizzarla.
 
 
 
"Sei sveglia?"
Andrew aveva sentito Mackenzie muoversi più volte, e siccome era preoccupato, pensando che non si sentisse bene le aveva posto quella domanda.
Lei annuì.
Non ti può vedere, genio pensò.
Lo accarezzò per farglielo capire, poi allungò la mano verso sinistra cercando a tentoni l'interruttore della luce. La accese per poterlo guardare e permettergli di fare lo stesso.
"La mamma e Hope devono essersi alzate un po'di tempo fa, ho sentito dei rumori di sotto. Andiamo da loro?"
Mackenzie fece cenno di no e sbadigliò. Non aveva più sonno, ma stava troppo bene lì al calduccio.
"Hai ragione, rimaniamo ancora qui." Andrew la prese fra le braccia stringendola forte. "Mi sei mancata così tanto, ieri! Ho sentito anche la mancanza di Hope, ovviamente."
Sei stato tanto male?
"Abbastanza." Mackenzie sospirò e scosse la testa, come a dirgli:
"Non ti credo, papà" ed Andrew non sapeva cosa dire. Non voleva certo spaventarla. "Okay, sono stato parecchio male, Mackenzie" le spiegò, serio, "ho avuto un forte attacco di panico. È una cosa simile alle tue crisi, quando ti agiti tanto e fai fatica a respirare."
Lei annuì.
Io, però, faccio anche incubi e a volte batto i pugni per terra. Anche tu hai questo problema?
"No. Non ho quasi mai incubi per fortuna, a volte gli attacchi di panico vengono così, all'improvviso."
Perché?
"Sul momento, quando arrivano, non lo comprendo bene nemmeno io" ammise l'uomo con franchezza. "Comunque, di solito mi succede quando penso molto a Carlie, mia sorella. Mi manca ed è come se, con quelle crisi, il mio fisico e la mia testa cercassero di riempire il vuoto che ho dentro, ma non funziona ovviamente."
"Hai parlato troppo. Ora ci starà male" gli disse la sua coscienza.
Stava per chiedere scusa alla bambina, ma lei scrisse:
Lo capisco benissimo. Penso che succeda la stessa cosa anche a me. Non credo di averlo mai detto alla psicologa, forse dovrei.
Magari quello era un passo in avanti verso la guarigione, forse se gliene avesse parlato avrebbe potuto ricordare qualcos'altro. Sì, avrebbe fatto un tentativo. Non sarebbe stato così semplice parlarne, ma ci avrebbe provato. Ce l'aveva fatta con il papà, quindi forse ci sarebbe riuscita anche con Catherine.
"Sì, penso che dovresti" le disse infatti Andrew.
"Dovrebbe cosa?"
"Ciao amore!" esclamò l'uomo salutando Demi che, con Hope fra le braccia, si stava avvicinando al letto.
"Ciao. Cosa dovrebbe fare Mackenzie?"
Demi non era arrabbiata, solo curiosa. Aveva sentito il tono che Andrew aveva usato nel fare quell'affermazione, ed era serio, quindi desiderava sapere di cosa stessero parlando.
"Spiegaglielo, piccola."
La bambina trasse un profondo respiro e poi le raccontò quello che si erano detti. Anche Demi fu d'accordo e disse che parlarne con Catherine sarebbe stata la cosa migliore.
"Io e Hope eravamo venute a svegliarvi per chiedervi se vi va di andare a fare colazione fuori!" trillò poi la donna.
Stava bene e voleva godersi appieno quel giorno, sperando che sarebbe stato felice per tutti e quattro.
I due furono d'accordo, ma chiesero di poter restare a letto ancora cinque minuti.
"Va bene dormiglioni, ci mettiamo qui con voi."
"Dormiglioni a chi? Sono solo le nove!" si lamentò Andrew e, quando la fidanzata gli si sdraiò vicino, iniziò a farle il solletico ai fianchi.
"No Andrew, fermo! Smettila, ti prego!"
Demi non sopportava proprio il solletico in quel punto.
"Ah no, mi hai dato del dormiglione e ora la paghi, signorina" disse.
Cercò di parlare con dolcezza in modo da non spaventare le bambine, in particolare Mackenzie. Non avrebbe mai voluto che quel "me la paghi" le riportasse in qualche modo alla mente l'uomo che aveva ucciso i suoi genitori, o comunque spiacevoli ricordi.
La bambina non ci restò male, anzi. Si era spostata, sedendosi sul bordo del letto per lasciare spazio ai genitori e continuava a guardarli sorridendo. Hope, che Demi aveva fatto sedere sul materasso, si avvicinò alla sorella e le prese una mano, stringendogliela piano. Le due bambine si sorrisero.
"Dato che sono stato tuo amico per tantissimi anni," continuò Andrew smettendo di fare il solletico a Demi che, nel frattempo, era rimasta senza fiato, "so che hai un punto debole."
"Oddio no, amore, per favore no, no!" Non fece in tempo a protestare ancora che l'uomo si sollevò sui gomiti, le sollevò appena la maglia e la canottiera e iniziò a farle il solletico all'ombelico. "Giuro che quando avrai finito, io…" provò a dire la ragazza, ma non riuscì a terminare la frase perché rideva troppo.
Non ce la faceva a controllarsi, quando qualcuno la toccava in quel punto. Era davvero più forte di lei. Cominciò a contorcersi e ad agitarsi per cercare di liberarsi, usando anche le mani per provare ad allontanare il fidanzato, ma appena gliele puntava sul petto per scacciarlo lui si riavvicinava. Demi provò allora a sollevare i piedi, ma sdraiata com'era non riusciva a fare un granché se non dargli qualche piccolo calcio muovendo quello destro di lato, verso di lui. Se Andrew le fosse stato sopra le sarebbe stato più facile dargli un calcio, ma era anche contenta di non poterci riuscire perché temeva di fargli male. La ragazza lo graffiò su una mano e lui si fermò.
"Fai la gattina che tira fuori gli artigli perché è arrabbiata, eh?"
"Gattina? Ma sentilo!"
Detto questo gli tirò un cuscino in faccia.
"Ahi!"
"Beh, ora siamo pari. Bambine, venite ad aiutarmi?" chiese Demi sorridendo alle figlie.
Le piccole, capendo che i genitori continuavano a giocare, si unirono a loro. Fecero il solletico al papà e cercarono di spingerlo via. Poco dopo non si capì letteralmente più nulla. Era tutto un groviglio di braccia, gambe, mani e piedi, e la stanza era piena del suono armonioso di quattro risate di una famiglia che giocava felice.
"Voglio fare una cosa" disse Demi quando, qualche minuto più tardi, finirono di giocare. "Sdraiamoci tutti."
Le bambine si misero tra loro e Mackenzie le lanciò uno sguardo interrogativo, non riuscendo a capire. La mamma sembrava seria. Forse  qualcosa non andava? Glielo chiese.
"No, va tutto bene" le rispose sorridendo. "Semplicemente, voglio fare qualcosa per mettere a tacere certe voci che girano e alcune domande che i fan e i giornalisti si pongono; e lo faremo tutti insieme, uniti, come siamo sempre stati" concluse, con convinzione.
"Ci spieghi che…"
La ragazza prese in mano il cellulare, che aveva appoggiato sul comodino. Non lo lasciava quasi mai lì, sapendo che non fa bene tenere i telefoni vicini soprattutto mentre si dorme, ma la sera precedente era stata troppo stanca e piena di emozioni contrastanti per ricordarsi di lasciarlo di sotto. Sbloccò lo schermo, aprì la fotocamera e, dopo aver puntato l'obiettivo in modo da prendere tutti e quattro, scattò una foto. La guardò: era venuta molto bene, tutti sorridevano felici.
"Perfetto!" esclamò, poi domandò a Mackenzie:
"Posso accennare al fatto che vai da una psicologa? Non entrerò nei dettagli, certe cose devono restare private, voglio solo mettere le cose in chiaro. Se non sei d'accordo lo capisco."
Avrebbe rispettato qualsiasi sua decisione, non se la sentiva di scrivere quelle cose senza avere il suo consenso.
Mamma, a quanto ho capito, viste le parole di quella giornalista, tu hai raccontato cosa ti è successo in passato, vero? le chiese la bambina.
"L'ho fatto dopo tanti anni, ma sì, ho detto che avevo passato dei periodi molto difficili. Ho voluto essere onesta, soprattutto con i miei fan che mi hanno sempre supportata."
La bambina la guardò, decisa.
Voglio esserlo anch'io.
Era incredibile, pensarono Andrew e Demi, che una bimba di soli sei anni dicesse questo. Tuttavia sapevano quanto fosse matura, quindi in parte non se ne stupirono.
"Sei sicura?" le chiese il papà.
Sì! I fan della mamma vogliono bene anche a me, quindi desidero farlo.
"Parla anche delle mie difficoltà, Demi. Prima o poi qualcuno le avrebbe scoperte comunque, e non mi vergogno affatto a dire che soffro di attacchi di panico."
Avrebbe voluto scriverlo lui stesso, magari tempo prima, ma da quando Carlie era morta aveva cancellato i suoi account sui social, che comunque non aveva usato praticamente mai, se non per commentare post di altri utenti. Demi lo sapeva benissimo, quindi non gli fece domande. Andrew le aveva spiegato, tempo prima, che l'aveva fatto per chiudersi ancora di più in se stesso, nel proprio dolore, e che anche se stava meglio non aveva intenzione di tornare sui social. Non gli interessava.
La ragazza andò su Facebook e scrisse:
 
Io sto benissimo e non sono ricaduta in nessuno dei miei problemi passati. Sì, questo periodo non è semplice, lo ammetto. Andrew, che mi sta abbracciando da dietro in questo momento, non è stato tanto bene, ieri sera. Sta facendo una cura con dei farmaci contro gli attacchi di panico di cui soffre da un po', ma nonostante le ricadute continua a lottare e ne uscirà. Ho chiesto a Mackenzie di poter parlare un po' della sua situazione, e lei, molto coraggiosamente, mi ha detto di sì. Ora è qui con me e mi guarda mentre digito. Lei non si sente bene. Per questo motivo sta andando da una psicologa che la sta aiutando a ricordare e ad affrontare le proprie paure per sconfiggere i demoni del suo passato. È una bambina forte e sono molto fiera di lei. So che ce la farà, anche se dovessero volerci anni.
 
Io ed Andrew stiamo insieme da mesi. La nostra relazione è seria, forte e stabile, e assieme alle bambine ci consideriamo a tutti gli effetti una famiglia. Eccoci qui in una foto!
 
Quando ebbe finito, Demi passò il cellulare ad Andrew e Mackenzie in modo che controllassero il post. Entrambi dissero che andava bene, così la ragazza aggiunse la foto e inviò tutto. Dopo pochi secondi, ecco  che arrivarono le prime risposte.
 
Oh mio Dio, siete troppo carini!
 
Vorrei tanto abbracciarvi tutti!
 
Aw, che dolci!
 
Congratulazioni! Sapevo che prima o poi vi sareste messi insieme.
 
Mi dispiace per quello che state passando, dev'essere dura. Stay strong.
 
Coraggio, Mackenzie, ce la farai. Hai una famiglia meravigliosa che ti ama, non sei sola.
 
Ti vogliamo bene, Mac. Ricordalo sempre; e ne vogliamo anche alla tua sorellina. Anche voi siete nei nostri cuori.
 
"Visto? I fan sono stati carini con te" disse la ragazza alla piccola.
Lei annuì, non sapendo se sorridere o se commuoversi. Le scese qualche lacrima di gioia. Era bellissimo piangere di felicità, si disse la piccola.
Mentre i quattro si alzavano dal letto, arrivarono altri post di incoraggiamento a tutti, o solo ad Andrew, e alcuni molto dolci nei riguardi delle bambine.
"Demi?" le chiese Andrew mentre lei vestiva Hope.
"Mmm?"
"Ci canti qualcosa? Ho voglia di sentirti."
Mackenzie annuì. Era da un po' che la mamma non le cantava una canzone.
"Okay, che cosa volete ascoltare?"
Entrambi dissero che la ragazza avrebbe potuto scegliere quello che voleva. Demetria ci pensò un momento. Non era il caso di cantare una canzone triste, in quel momento, e in tutta sincerità nemmeno le andava. Tuttavia, neanche una canzone troppo rock come "I Won't Get Back" o una non proprio tranquilla come "Remember December" sarebbero state adatte, anche perché la seconda non era poi così felice. Doveva trovare qualcosa di dolce e carino al contempo.
"Questa dovrebbe andar bene" disse, e poi iniziò a cantare.
"Before I fall too fast
Kiss me quick but make it last
So I can see how badly this will hurt me when you say goodbye
Keep it sweet
Keep it slow
Let the future pass but don't let go
But tonight I could fall too soon into this beautiful moonlight
 
But you're so hypnotizing
You've got me laughing while I sing
You've got me smiling in my sleep
And I can see this unraveling
Your love is where I'm falling
So please don't catch me
[…]"
Andrew e Mackenzie applaudirono e, poco dopo, si unì anche Hope.
"Grazie" disse la ragazza.
Adorava cantare per la propria famiglia, perché sapeva che la rendeva felice.
"Dopo colazione che facciamo?" chiese Andrew mentre uscivano di casa.
"Beh, pensavo di portare la tua macchina dal meccanico visto quello che è successo ieri sera."
"Posso farlo anch'io. Oh, cavolo!" esclamò l'uomo, guardando la propria auto.
Ora che la guardava meglio, si rendeva conto che era in pessime condizioni, peggiori di quel che aveva visto il giorno precedente: i sedili erano ancora bagnati, un finestrino era rotto e c'erano tante ammaccature.
"No no, non se ne parla! La dottoressa ha detto che devi riposare" obiettò Demi.
"Va bene, ma non ci vuole molto per…"
"Ho detto: devi riposare."
"Okay, capo" si arrese, facendola ridere. "Certo che quando vi ci mettete, voi donne siete proprio delle rompi co… cioè, scatole."
Mackenzie rise di gusto. Aveva capito cosa voleva dire il padre.
"Eh già." Salirono tutti in macchina di Demi e poi partirono. "Comunque dopo devi andare dal medico, Andrew."
"Sì, è vero. Se mi cambierà farmaci spero che non starò peggio, perché se avrò attacchi di panico terribili come questi ultimi durante il primo mese in cui li assumerò… non ci voglio nemmeno pensare."
Non sopportava il pensiero che forse sarebbe stato ancora male. I farmaci che aveva preso fino a quel momento non l'avevano aiutato un granché, ed era letteralmente terrorizzato all'idea che avrebbe passato un altro mese sentendosi abbattuto e in ansia. Certo, cercava di essere positivo e di avere fiducia, ma non era così semplice.
"Ricordo che c'era una ragazza, in clinica, che soffriva di depressione, attacchi di panico e si tagliava, e ha dovuto cambiare tre farmaci diversi prima di trovare quello giusto."
"E poi? È guarita?"
"Ci siamo sentite per parecchio tempo dopo che sono uscita. Dopo un anno ha dovuto cambiare farmaco un'altra volta, ma poi sì, è stata meglio ed è guarita, anche se ci è voluto tempo."
"Io non soffro di depressione, ma mesi fa ci sono andato molto vicino. Comunque, ci vorrà tanto per guarire dagli attacchi di panico."
"Sì, ma tu ce la farai, ne sono convinta."
Demi gli sorrise per incoraggiarlo. Vedeva che si era buttato giù e voleva cercare di risollevargli il morale.
Lui sorrise.
"Hai ragione. Comunque, stavo pensando che dopo aver fatto tutte queste cose potremmo portare le bambine nel nostro posto."
"Oh sì! Sono tanti anni che non ci andiamo più!"
Demi quasi urlò dalla gioia, e dovette cercare di contenersi per non lasciare il volante.
Cos'è il vostro posto? chiese Mackenzie.
"È un parco dove andavamo io e la mamma quando eravamo piccoli. Una volta non ci andava praticamente nessuno, ora la gente ci fa dei pic nic perché lì non ci sono giostre, solo panchine e tanto verde e alberi."
"Andavamo là per stare insieme e giocare" aggiunse Demi.
Hope non aveva capito bene tutto, ma sorrideva e Mackenzie era eccitata, curiosissima di vedere quel luogo in cui mamma e papà
erano stati tanto felici da bambini.
 
 
 
credits:
Demi Lovato, Catch Me
 
Sito da cui è tratta la preghiera:
www.preghiereagesuemaria.it
Titolo:
"I TRISTI RICORDI DELLA MENTE"
 
 
Il video in cui Patrick parla di Demi si intitola "Patrick Lovato ( Demi's Father) talking about Demi Lovato." L'ho visto qualche settimana fa e ho potuto così sentire la voce dell'uomo. Mi è piaciuta, era molto dolce.

Ringrazio moltissimo MaryS5 che mi ha dato l'idea del post in cui Demi avrebbe chiarito la situazione, e _FallingToPieces_ che mi ha detto ,a sua opinione sulla scena in cui la ragazza va a vedere i bambini e poi scopre che una di loro è morta. In realtà la parte sull'autolesionismo è stata aggiunta dopo, tesoro, ma comunque grazie per avermi detto cosa ne pensavi. Ragazze, questo capitolo è dedicato a voi.
   
 
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