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Autore: Cest97    16/01/2018    0 recensioni
Un giovane investigatore inglese privo di denaro e dalla dimora non fissa viene assunto da un uomo benestante perchè indaghi sulla sua stessa morte; condotto in terra straniera, in una misteriosa cittadina europea nel bel mezzo delle montagne, viene a contatto con una società rimasta isolata dal resto del mondo che ancora porta avanti lo stile di vita ottocentesco. Tra una famelica e crudele nobiltà e una pericolosa classe povera talvolta pronta a sfoderare armi da fuoco per attaccare o difendersi, Brynmor tenterà assieme alla figlia del defunto di scoprire il passato di un uomo imperscrutabile, amante di indovinelli, e afflitto da una curiosa fissazione per il tempo.
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Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La bocca piena di polvere, le mani che bruciavano, gli occhi gonfi che a malapena mettevano a fuoco il suolo schiacciato contro la sua faccia.
Le cose non andavano bene.
Sputò, la saliva era rossa.
“Accetta la sconfitta, ragazzo”
“Mi sto solo scaldando” Bryn appoggiò la punta del fucile a terra, e utilizzò l’arma come un bastone per issarsi in piedi. Le gambe non lo reggevano, si ritrovò col calcio dell’arma impiantato nello stomaco e il peso del corpo che tentava di farlo crollare nuovamente; dondolava sulla punta del moschetto, attendendo che un soffio di vento lo facesse collassare definitivamente.
“Sei testardo piccoletto, una cosa che so apprezzare”
“Continua a parlare, fra poco sarai morto”
“Sei troppo debole per battermi, e non hai la capacità di premere il grilletto” Il ragazzo strinse i denti e si raddrizzò, la schiena doleva e i muscoli a stento resistevano dal cedere, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che se si fosse arreso sarebbe stata la fine di tutto; “Hai ancora voglia di combattere? A malapena ti reggi in piedi”
Una risata e uno sbuffo di sangue schizzarono fuori tra i denti di Bryn.
“È ovviamente una tattica”
“Ah si?”
“Certo, ora tu credi che io stia per svenire, o morire dissanguato. Forse è proprio ciò che stai aspettando”
“No, non ho alcun interesse nell’ucciderti o vederti morire. Sei una persona più che valida, sarebbe un dispiacere se crepassi così”
“Non pensavi lo stesso di tutti quelli che hai ucciso, vero?”
“Non hai capito nulla”
“Credo di no”
Bryn alzò l’arma con il braccio ancora funzionante, l’altro pendeva inerme sul suo fianco.
“Ultime parole?”
“Ti conviene prendere bene la mira”
“Di quello non ti devi preoccupare”
Con gli occhi iniettati di sangue mirò alla testa dell’uomo, che orgoglioso e crudele se ne rimaneva in piedi davanti a lui, braccia dietro la schiena e mento alto.
“Mostrami il tuo coraggio”
- Non sbagliare Brynmor! –
Al colpo di fucile si svegliò.
Si issò di scatto sul letto, tremante di freddo e sudato.
Si era gettato sul suo nuovo capezzale con i vestiti ancora zuppi, e si era addormentato in preda alla stanchezza e alla frustrazione; scese dal materasso e per poco non inciampò sul costoso tappeto orientale spesso due centimetri che il Barone doveva aver ereditato o ordinato via posta ad un prezzo esorbitante. Andò pian piano in cerca del pavimento con le mani, quando le dita incontrarono il tessuto ebbe la certezza di potersi accasciare, così si chinò, scivolò piano su un fianco, e vomitò.
Proprio sopra il costoso tappeto orientale spesso due centimetri.
Le forme geometriche ricamate con colori accesi e improbabili scomparvero sotto una nuova macchia anch’essa di colore acceso e improbabile.
“Stupida fish and chips … ah no, non l’ho neanche mangiata. Deve essere il panino della stazione di servizio. Allora che siano maledetti tonno e uova”
Dedusse che dovesse esservi un bagno privato da qualche parte nella stanza, ma non era certo di dove si nascondesse; usò le proprie capacità investigative e sondò le superfici e le pareti speranzoso, forse avrebbe trovato una porta segreta travestita da quadro o da semplice affresco. Nessun pomello o serratura sporgevano dai mattoni, ne riusciva a localizzare il contorno di alcun ingresso incastonato nel muro.
Era una stanza perfettamente in linea col resto della tenuta, schifosamente costosa e ricca di oggetti di valore. C’era un grosso camino, anch’esso sorretto da due clessidre di vetro esattamente come quello presente nell’ufficio, diversi quadri raffiguranti velieri ricoprivano i muri, e svariati vasi pendevano dal soffitto facendo ricadere le foglie delle proprie piante sul legno lucidato del pavimento.
- Piante di palude? Pessima scelta estetica, in più non era sconsigliato tenerne in camera da letto? –
Ovviamente un letto a baldacchino in noce non poteva mancare alla collezione, le sue grosse tende rosse tuttavia giacevano al suolo, squarciate in seguito all’intervento maldestro del giovane detective che, arrivato in preda al panico, non aveva badato troppo allo stato dei tessuti e aveva tentato di rinchiudersi in un malriuscito bozzolo protettivo, dove poter cedere al dolore e sfogare la paura.
Una volta terminata la crisi era precipitato in un sonno leggero e scostante, e dopo pochi minuti era tornato nel mondo dei viventi e dei coscienti.
Ancora strisciava in cerca di un bagno e di una doccia quando Lady Irene bussò alla sua porta.
Lo trovò accasciato contro una libreria, intento a schiacciare l’orologio ereditato dal barone contro il legno, in un inutile tentativo di attivarne qualche misterioso meccanismo occultato.
“… Bryn, sta bene?”
“Febbre” mugugnò l’uomo, per poi cadere a terra e lasciar rotolare lontano il cipollotto; “Ahia”
La donna accorse in suo aiuto, e raccolse il piccolo strumento argentato.
“Lasci fare a me”
***
Sbattendo le palpebre si accorse di non trovarsi più nel medesimo posto in cui le aveva chiuse.
Aveva una pezza fredda sulla testa, ed era immerso nell’acqua fino al collo, disteso all’interno di una candida vasca da bagno di porcellana.
Le punte delle dita dei piedi facevano capolino dalla superficie perfettamente liscia del fluido, e lo salutavano annegando come dei naufraghi in mezzo al mare.
Mosse le pupille, la bocca se ne restava sommersa e il naso a pochi millimetri dal liquido potenzialmente mortale gli permetteva rischiosamente di respirare, in una posizione terribilmente precaria; si chiese cosa sarebbe successo se fosse accidentalmente scivolato qualche centimetro più in basso mentre era privo di sensi.
Sempre immobile con la schiena schiacciata contro l’estranea superficie, analizzò l’ambiente circostante: non era che un piccolo e semplice bagno, e ignorandone la fattura pregiata dei sanitari si potrebbe affermare che sarebbe potuto appartenere a chiunque; dopo alcuni secondi passati a fissare il soffitto, il giovane si rese conto di essere stato abbandonato a sé stesso, forse per concedergli la privacy più essenziale dovutagli dalla cortesia. Ancora non sapeva quanto fosse andato vicino alla morte, in ogni caso avrebbe trovato ironico annegare in una vasca da bagno proprio ora, dopo tutte le vicende passate e le accoltellate schivate per il rotto della cuffia nel corso della sua vita.
Si issò piano creando mulinelli e cascatelle, e rimase in piedi in equilibrio sul fondale scivoloso della piccola cisterna; si sentiva stranamente bene.
Uscì dalla vasca, afferrò un asciugamano tra la moltitudine di quelli ripiegati e incolonnati lì vicino, e si ricoprì in fretta.
Uscì dalla piccola stanza rotonda e sorprendentemente modesta sotto le spoglie di un monaco morbido e luminescente, e si ritrovò in un’altra stanza che ne rappresentava l’antitesi: un corridoio di circa quindici metri di lunghezza illuminato da decine di lampade a parete ricoperte da un vetro verdastro; una moquette blu soffice e vaporosa gli accarezzava la pianta dei piedi mentre vi camminava sopra, ed il soffitto dipinto di rosso e ricoperto di piccoli rombi bianchi disegnati a mano gli faceva alzare lo sguardo, spingendolo a chiedersi se non fosse possibile scambiare quel dipinto orizzontale per un cielo infernale, o per l’ultimo accenno di luce crepuscolare scalfita dal bagliore delle stelle più grandi. Un cielo così gli abitanti della zona non lo avevano mai visto, pensò tra sé e sé.
Dettaglio da non sottovalutare, era completamente tappezzato di abiti.
Alla sua sinistra vi erano due file di giacche, panciotti, frac, e decine di pantaloni abbinati, appesi ad una doppia sbarra di ferro che li divideva in due piani separati; alla sua destra invece, organizzati alla stessa maniera, cappotti, cappelli, interi scaffali di guanti, calzini e scarpe. In centro, proprio in mezzo al cunicolo, un altare di ferro e pietra reggeva una piramide di legno bianco intagliata a mano, ricoperta da almeno una cinquantina di paia di gemelli tutte diverse fra loro; in cima all’abbozzato solido geometrico, sulla punta, vi era un loculo vuoto.
- Lì probabilmente dovevano trovarsi i suoi preferiti. Devono avercelo seppellito assieme –
Era il guardaroba dell’ex padrone di casa.
Ora gli apparteneva per intero.
Notava, esattamente come per la piramide di gemelli, la presenza di diversi attaccapanni sguarniti dei rispettivi vestiti, e capì con orrore di poter facilmente intuire l’abbigliamento che il Barone portava al momento della sua morte.
- Nessun panciotto, nessun cappotto, né cappelli o guanti, e non portava scarpe … non è uscito di casa. Non so ancora esattamente come sia deceduto, forse dovrei informarmi, sempre che ci sia qualcuno capace di spiegarmelo: qui sembrano tutti desiderosi di portare i propri segreti nella tomba –
Una domanda insignificante gli passò rapida per la testa: portava i gemelli ma non le scarpe? Come diavolo dovevano averlo sepolto?
Si rese conto che ciò che indossava prima di svenire era sparito, e si chiese se non dovesse preoccuparsi che gli avessero rubato anello e orologio. Si tranquillizzò quando si accorse che la coppia di gioielli era stata appoggiata lì di fianco, sopra un mobile in marmo, con allegato un biglietto ripiegato a metà.
Lo lesse.
“Ti aspetto nella sala da pranzo del secondo piano”
Arrivato alla fine del corridoio si trovò dinanzi una piccola porta nera socchiusa, e spingendola con la mano destra scoprì trattarsi di un pertugio travestito da colonna che gli era sfuggito mentre analizzava la stanza del Barone; come Lady Irene ne conoscesse la posizione rimaneva un mistero, e non era sicuro di volerne scoprire la risposta.
Tornò dentro, fece roteare l’orologio sulla superficie nera e lo aprì: la chiave era stata riposizionata al suo interno.
- Sembra che possa ancora fidarmi di Lady Irene -
Una rapida occhiata attorno a sé: nessuna traccia dei suoi vestiti.
- Forse -
Si girò e analizzò il suo nuovo guardaroba.
Fece scorrere le dita tra le camicie. Aprì un cassetto, e vi trovò cravatte, bretelle e papillon.
“Direi che è arrivato il momento di vestirsi come dio comanda”
***
Lady Irene era seduta a capo della lunga tavolata della sala da pranzo, immensi specchi alle pareti e sul soffitto facevano sembrare l’insignificante stanza cento volte più grande, e i lampadari pendevano oltre che sulle loro teste anche su quelle di decine di loro copie distorte e ingiallite, moltiplicandosi in stelle di ferro e vetro agganciate alla medesima catena.
La giovane sbuffò, era distesa sul piano del tavolo con le braccia ridicolmente scomposte, dimenticate su di esso come vestiti sporchi sul pavimento, e la sua fronte premeva direttamente contro le venature d’ebano con inciso lo stemma dei Byron; il ricciolo della B le si sarebbe stampato sulla pelle.
Sorseggiava un whisky invecchiato, e fumava con noncuranza. Entro poco l’aria fu satura dell’aroma del tabacco, e i fumi dell’alcol cominciarono ad avere l’effetto desiderato di stordirla prodigiosamente.
Con le guance rosse e le membra molli si abbandonò sul proprio trono dell’autocommiserazione e gettò la testa all’indietro contro lo schienale, stiracchiandosi e contorcendosi fino a riuscire a guardarsi alle spalle; lì vi era Brynmor, in piedi sulla soglia, sguardo nuovamente carico d’energia e vestiti asciutti rimediati dal corridoio armadio del padre di lei.
“Oh, vedo che alla fine sei riuscito a raggiungerci”
“Che giorno è?”
“Lo stesso del tuo arrivo, sono circa le … oh, che ne so, guarda l’orologio”
“È rotto”
“Quello alla parete, ce n’è uno in ogni stramaledetta stanza. Dopo un po’ non fai neanche più caso al ticchettio”
“Sembri odiarla questa casa”
“Perché è così, la detesto. Ma non posso abbandonarla”
Bryn si avvicinò piano, e si accomodò alla sua sinistra.
Corvo dal fondo della sala lo fissava attraverso il vetro degli spessi occhiali, per un istante parve ci fosse un fuoco dietro di essi.
“Non è neanche mezzanotte. Pensavo di aver dormito ore”
“No, sei collassato per qualche minuto, poi ti abbiamo scaricato nella vasca e ti sei fatto un bagno”
“Avevo la febbre”
“Posso immaginarlo, da quant’è che non dormi, o mangi, o resti all’asciutto?”
“…”
Irene poté finalmente analizzare il nuovo completo del suo nuovo amico: portava degli eleganti pantaloni color piombo con una minuscola fantasia geometrica a spina di pesce estremamente raffinata che si ripeteva all’infinito, una camicia grigio perla, un panciotto nero, e delle scarpe di camoscio terra bruciata. Da sotto il gilet, spuntava imbarazzato il bordo di una bretella rosso sangue, un colpo di stile alquanto coraggioso che Irene non si sarebbe aspettata.
“Ti sei dato una rinfrescata. Sembra che i vecchi abiti di mio padre ti stiano alla grande”
“Sai com’è, sono magro come un ottantenne, e qualcuno mi ha rubato i vestiti …”
“Li abbiamo dati alla servitù”
“Già …” Brynmor si guardò attorno e ripenso alle decine di corridoi deserti che aveva percorso per arrivare fin lì; “… la servitù. Comunque, non avevo mai fatto un bagno tanto rinvigorente”
“Merito dell’acqua”
“L’acqua?”
“Si, era uno dei tanti passatempi di mio padre: studiare l’acqua. Usiamo direttamente quella piovana, filtrata e pompata nelle tubature”
“Di certo non ne manca da queste parti”
“Nemmeno gli alcolici: Corvo, porteresti al nostro ospite … al padrone di casa un bicchiere? Mi piacerebbe dividere con te un po’ di spirito, Mr. Brynmor. È un giorno di festa, dopotutto”
“Sono astemio, scusami Irene”
“Fumi?”
“No”
“Balli?”
“Solo quando sono solo”
“Devi essere uno spasso alle feste”
“Sono l’anima della serata, quando ci sono io quasi sempre muore qualcuno”
“Me ne sono accorta … scusa”
“Non fa niente, d'altronde è la verità”
- L’acqua? - ancora ci pensava: quanto tempo era rimasto a mollo? Mezz’ora? E addio alla febbre e alle allucinazioni.
Per quanto maltrattasse il suo corpo nelle maniere più sconsiderate era sempre stato consapevole della sua naturale fragilità, la comune fragilità di qualsiasi umano sul limite della denutrizione che non ha una stufa in casa per proteggersi dall’inverno. Tuttavia, una ripresa simile … forse aveva raggiunto quel livello della malattia e della febbre in cui non si è più in grado di sentire nulla, e sarebbe caduto in un coma profondo a breve.
- Meglio approfittarne finché sono in tempo –
“Lady Irene, se posso chiedere, esattamente com’è morto suo padre?”
“Infarto”
“Era in casa al momento della morte?”
“No, era in giardino, all’ingresso del labirinto, pare fosse uscito per una passeggiata. Uno dei ragazzi l’ha trovato mentre faceva la ronda”
“Bara chiusa durante i riti?”
“Si, sembra che fosse … rimasto sotto la pioggia troppo a lungo, là fuori è come finire in un fiume”
“Capisco … beh, credo sia arrivato il momento di muoversi”
“Vuoi cercare in altre sale della casa?”
“No. Andiamo in città”
Lady Irene per poco non sputò l’alcolico sui vestiti nuovi del suo interlocutore.
“A che scopo?”
“Indagini”
“E cosa credi di scoprire a quest’ora di notte?”
“È proprio questa l’ora perfetta per indagare su un omicidio ... a tal proposito, tuo padre è stato assassinato”
Lady Byron apparve per la prima volta sorpresa, cosa che deliziò Bryn in una maniera del tutto personale ed egoistica.
“Corvo, cortesemente prepara la carrozza: andiamo a bere qualcosa nel pub giù in città”
“Non eri astemio?”
“Io si: tu no”
   
 
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