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Autore: Liizzie    20/01/2018    0 recensioni
Semplici pensieri, come dice il titolo, di un'adolescente che sta per entrare nel mondo degli adulti, così come nella società e deve imparare a relazionarsi con il mondo esterno.
Spero che le mie riflessioni vi possano essere di aiuto. Vi lascio ad un estratto della prima.
"A nessuno piace ricordare.
A me si.
Ricordo perfettamente quando io ed Emma uscimmo dal primo giorno di liceo. Eravamo così piccole, così inconsapevoli di quanto sarebbero stati pesanti e duri quegli anni eppure i più belli della nostra vita. Camminavamo in salita verso casa e discutevamo del nuovo professore di italiano. Ci ricordava tanto il magico professore dei libri di Alessandro D’avenia, uno di quei professori che ti insegna tanto e non si scorda mai. E così fu.
E’ estasiante ma allo stesso tempo così doloroso ricordare: ci fa capire quanto tempo abbiamo sprecato e come siano passati in fretta gli anni. Ci sembrava tutto uno scherzo all’inizio delle scuole superiori. Mi ricordo la sensazione di pesantezza provata nel pesare ai cinque anni di scuola successivi. Mi sembravano infiniti! Così infiniti che non mi sono mai veramente soffermata a vivere bene ogni singolo momento per imprimerlo nella mia mente[...]"
Genere: Introspettivo, Poesia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Pensieri.

 

1. Il ricordo, il Liz e le scelte



A nessuno piace ricordare.

A me si. 

Ricordo perfettamente quando io ed Emma uscimmo dal primo giorno di liceo. Eravamo così piccole, così inconsapevoli di quanto sarebbero stati pesanti e duri quegli anni eppure i più belli della nostra vita. Camminavamo in salita verso casa e discutevamo del nuovo professore di italiano. Ci ricordava tanto il magico professore dei libri di Alessandro D’avenia, uno di quei professori che ti insegna tanto e non si scorda mai. E così fu. 

E’ estasiante ma allo stesso tempo così doloroso ricordare: ci fa capire quanto tempo abbiamo sprecato e come siano passati in fretta gli anni. Ci sembrava tutto uno scherzo all’inizio delle scuole superiori. Mi ricordo la sensazione di pesantezza provata nel pesare ai cinque anni di scuola successivi. Mi sembravano infiniti! Così infiniti che non mi sono mai veramente soffermata a vivere bene ogni singolo momento per imprimerlo nella mia mente, ma pensavo a quelli che venivano dopo, a quanto sarebbero stati pieni di lunghi e noiosi compiti di matematica.  

Ah, la matematica.

Materia tabù di ogni studente eppure così perfetta e regolare. E forse era proprio questo il problema. L’adolescente non cerca la perfezione, la regola. Cerca l’irregolare, il diverso.

E la matematica, così come la fisica, aveva tutto purché questo. 

Perché il ragazzo cerca qualcosa di imperfetto? Beh sicuramente non posso parlare per gli altri infatti parlerò di me.

Non sono una tuttologa, tutto quello che so è semplicemente ciò che ho colto in questi cinque anni di scuola.

Dopo le scuole medie mi sono sentita estrapolata dalle poche certezze che avevo. Era come se tutto ciò che avessi costruito si fosse distrutto. Come quando un bambino costruisce una barchetta di carta e poi la lascia andare nel mare. Questa barchetta dovrà superare tempeste, uragani, e se mai ce la dovesse fare continuerà ad ondeggiare trasportata dal movimento delle onde. E poi dovrà affrontare altre tempeste fino a… fino a quando? 

Beh ci sarebbero due conclusioni possibili. Non nego di aver pensato prima la peggiore. 

Tuttavia per rendere la lettura più dolce vi illustrerò prima la migliore. La barchetta potrebbe infatti sbattere contro due rocce vicine alla riva incastrandosi ed essere ritrovata poi da un bambino che gioca a fare il pirata.

Ma nella più facile delle situazioni cosa le succederebbe? Sicuramente considerando che più del 70% della superficie terrestre è coperta d’acqua, trovare una riva a cui approdare sarebbe davvero difficile. Il mare, e la natura in generale, è così impetuosa e violenta che cercare di combatterla sarebbe una quasi perdita di tempo. Quasi.

Infatti come il nostro caro amico Leopardi, o meglio Giacomo, ci ha insegnato dovremmo comportarci come una piccola Ginestra contro la ferocia di un vulcano che la brucia estirpandola di tutto ciò che ha nel momento che più gli grada. Come fa un piccolo arbusto “gentile” a combattere una tale potenza? Col coraggio. Ma non un coraggio che sfocia nella superbia e neanche un coraggio fasullo che ci porta a piegare la testa. 

Ed è così che dovremmo affrontare ogni situazione, anche la più ridicola, ma è così difficile! 

Quando dopo l’esame di terza media veniamo catapultati alle superiori è più o meno come la barca di carta che ci sentiamo. Un mondo si apre davanti a noi e ci sembra così esteso che il semplice pensiero di doverlo studiare, analizzare e sopratutto farne parte ci fa gelare la pelle facendo rizzare i pochi peli che abbiamo.

Allora il ragazzo, anzi io, ho preferito rifugiarmi in un mondo costruito sulla base delle mie paure e insicurezze. Il mio mondo non ha un nome, ma forse gliene dovrei dare uno. Infatti ho appena deciso di chiamarlo Liz. 

Perchè? Perchè queste tre lettere messe insieme mi suonano bene. 

Forse vi dovrei spiegare il funzionamento di questi universi immaginari. Anzi lo devo fare e lo farò proprio ora. 

Ammettiamo che ci sia una persona di nome Anna (e sicuramente ne esistono tante, ma la mia fantasia ha deciso di scegliere questo nome). Anna è una ragazza molto timida e insicura di se ed odia il suo nome! Viene storpiato in tutti i modi possibili: “Annetta”, la chiama la mamma, “Annuccia” il nonno, “Anna la palla” gli ‹ amici ›. 

Anna ha appena festeggiato il suo dodicesimo compleanno e aveva visto al negozio un bel vestito rosso corto fino a sopra le ginocchia con tanti pois neri e un merletto nero sul collo. Voleva comprarlo ma sapeva che le sue amiche l’avrebbero presa in giro. E così la sua mente aveva cominciato a vagare in una parte buia e cupa. Riusciva a pensare a tutti i soprannomi che avrebbero potuto darle dopo che l’avessero vista con quel vestito: “Anna la palla rossa”, “Anna la cicciopalla a pois!”. E così lo aveva lasciato al negozio comprando una “lunga tunica nera con un orribile fiocco rosso alla vita” (così l’aveva definita), almeno avrebbe coperto “la ciccia di troppo” aveva pensato. Quando soffiò le candeline chiuse gli occhi e si immagino col vestito rosso e due bellissime scarpe nere col merletto abbinate al vestito.

Poi li riaprì.

Ecco, tutto svanì! Tutto ritornò tremendamente triste e reale. Anna avrebbe voluto far ritornare il tempo indietro di circa.. cinque secondi? Al momento prima di aprire gli occhi, ecco. E allora lo fece.

Creò il suo Liz! Probabilmente aveva un altro nome ma questo noi non possiamo saperlo quindi lo chiameremo come il mio. 

Fu come cominciare una nuova partita a The Sims. Inizialmente creò i membri della sua famiglia: mamma Maria, papà Donato e Susi il gatto. In realtà Susi nella realtà non esisteva: sua madre odiava i gatti! Ma le piaceva immaginare delle giornate con l’animaletto. Le avrebbe tenuto compagnia nei momenti di noia, se mai ci fosse stata nel Liz. 

Poi creò se stessa. Si fece alta, mora, con gli occhi verdi e con qualche chilo in meno. Povera Anna, non aveva ancora scoperto che da lì a poco le Kardashian avrebbero rivoluzionato il mondo della moda con un fisico formoso e a clessidra proprio come il suo. 

Nessun problema, avrebbe potuto cambiare tutto con uno schiocco di dita, anzi con un battito di ciglia! 

Infondo tutto quello che le serviva per cambiare dimensione era un posto tranquillo, degli auricolari e ovviamente la sua musica preferita. Il posto in cui le veniva più facile affrontare questo viaggio spazio-temporale era la macchina: si rannicchiava accanto al finestrino e facendo partire una canzone casuale si appisolava socchiudendo gli occhi pian piano.

In pochi secondi si ritrovava su un palco a cantare e ballare davanti ad una folla di persone che l’applaudiva e piangeva guardandola. Era come se la timidezza non fosse mai esistita così come l’insicurezza. E poi, dopo un tempo indefinito..

Puff

La macchina si fermava e tutto scompariva. La voce della madre che la incitava a svegliarsi per scendere dalla macchina le sembrava romperle i timpani, nonostante il tono fosse molto basso. 

Voleva tagliarsi l’orecchio e poi chissà, fermare tutto e rifugiarsi nel suo mondo per sempre, proprio come aveva fatto Van Gogh. 

Guardando il campo di grano, di fronte casa di nonna Rita, Anna riusciva ad immaginarsi il cielo incupirsi e imbrunirsi, il vento aumentare e i corvi volare come se avessero sentito uno sparo. 

Questa atmosfera le trasmetteva inquietudine, ma anche serenità. Difatti si sentiva confortata dal fatto che qualcun altro, circa un secolo prima, si fosse sentito come lei. 

 

Basta parlare di Anna, e basta parlare anche di me, perchè narrandovi io questa storia è come se la sentissi mia. Non tocca sicuramente a me dirvi come è andata a finire la storia di Anna e a voi non dovrebbe interessare! Pensate alla vostra di vita, come diceva il nostro vecchio Seneca.

Avrei voluto che Seneca fosse stato più letto di giovani. Non ha fatto altro che ripeterci nel “De brevitate vitae” quanto ogni uomo si curi poco delle cose veramente importanti vivendo la vita degli altri. Ha sempre ripetuto a Lucillo, suo cognato, quanto fosse importante farsi un esame di coscienza alla sera per riflettere sulle cose veramente importanti nella vita. 

E’ come se le sue parole fossero entrate da un orecchio e poi uscite dall’altro. E non avrebbero sicuramente dovuto.

La nostra continua insoddisfazione, angoscia, “noia” come la chiama Leopardi, è dovuta a questo. 

Credo fermamente che dovremmo incrociare la filosofia leopardiana e quella senecana cogliendone i frutti. Come ha detto Giacomo, il nostro principale problema è l’essere finiti ed essere dotati di un cuore con desiderio infinito per estensione, intensità e tempo e quindi avere un continuo senso di infelicità. Come risolvere questo problema? Bhe, per Leopardi una soluzione non c’è. Si può semplicemente mitigare il dolore attraverso l’illusione della poesia. Proprio come la ginestra ha fatto con il suo profumo intenso. 

Io credo che una soluzione ci sia, ma forse è un’utopia. 

Se noi ci facessimo un esame di coscienza ogni sera, cercando di capire i nostri interessi, sicuramente potremmo eliminare le mille attività inutili che facciamo durante il giorno. Ma non solo! Potremmo anche renderci conto delle persone per cui vale la pena sprecare del tempo e per quelle per cui invece è inutile. “Sprecare” io credo sia la parola fondamentale. Se noi la smettessimo di perdere tempo a pensare alla mille attività che dobbiamo ancora fare e come abbiamo svolto quelle appena fatte, magari avremmo più tempo a disposizione per quello che ci interessa veramente e non ci ritroveremmo alla fine della vita insoddisfatti e ancora bisognosi di qualcosa che non abbiamo mai ottenuto.

Ma cosa è questo “qualcosa”? Probabilmente è qualcosa di estremamente semplice che abbiamo da sempre desiderato senza mai sapere cosa fosse in realtà. 

Da giovani però non ci abbiamo dato molto peso pensando sempre: “a quello che vorrei veramente fare ci penso domani”. Questo perché avevamo ancora da vivere l’80% della nostra vita e ci illudevamo che un giorno avremmo avuto il tempo si sederci comodi e pensarci. 

Da vecchi, quando siamo entrati nell’età matura, qualcosa è cambiato. Avevamo già vissuto circa il 60% (se pensiamo in positivo) della nostra vita e ancora non avevamo concluso nulla di buono. O perlomeno, nulla di buono per noi

Vi illustrerò i momenti le quali decisioni sarebbe stato utile prenderle da soli:

Partiamo dalle basi. 

Lo sport. All’età di sei anni, la mamma ( la maggior parte delle volte) o il papà (più raramente), ci hanno guidati  imposto una attività. Tra le più comuni troviamo la danza, il nuoto , il calcio e la ginnastica artistica.

A dieci ci hanno iscritto alle scuola medie. Quella che più aggradava a loro.

A tredici anni, dopo tre anni terribili (almeno per me), ci tocca scegliere il liceo. E la mamma ci iscrive al liceo classico, scientifico, linguistico e se proprio siamo un caso perso decide di mandarci all’artistico senza neanche notare che non siamo neanche in grado di disegnare l’impiccato e che il disegno non ci appassiona per niente. 

A 18 ci tocca scegliere l’università e ahia. Tasto dolente. La cosa peggiore è che se vivi in italia, come faccio io, non puoi scegliere ciò che ti aggrada. Si lo so, la tua risposta sarebbe “ma no finalmente abbiamo 18 anni possiamo scegliere ciò che ci piace di più”. Ma no, non va così in alcuni casi. 

Se vuoi fare medicina e ingegneria sei molto fortunato! Non solo farai quello che ti piace, ma sarai anche appoggiato nella tua scelta dai tuoi genitori. Se invece sei particolarmente interessato a qualcosa di più creativo come la fotografia, il disegno, la letteratura o la filosofia, ti dico solo una cosa: toglici mano. 

Ti dovrai far piacere qualcosa di più meccanico, oppure potresti accettare il fatto di essere un poveraccio in futuro.

Lo so, non dovrebbe essere così, ma è quello che mi sta succedendo proprio ora! 

Vi rendete conto? L’unica scelta che potrebbe determinare la nostra felicità o infelicità non possiamo neanche prenderla del tutto noi. La società ce lo impedisce.

Ecco perché quel “qualcosa” di cui ho parlato prima è così utopico trovarlo. Non solo è difficile riuscire a capire la base su cui fondare la propria vita adulta per renderla migliore (dato che le illusioni dopo la giovinezza scompaiono così come la speranza), ma ci sono di mezzo ostacoli materialmente insuperabili. E’ come se si chiedesse ad un canguro di camminare senza saltare: naturalmente impossibile. 

 

 

 

 

 

  
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