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Autore: piccolo_uragano_    28/01/2018    1 recensioni
[SPIN OFF DI 'TI AMO PIU' DI IERI..' / CROSSOVER HARRY POTTER-DOCTOR WHO(o almeno è un tentativo)]
[SCRITTO E IDEATO CON Always_Potter]
possibili spoiler sulla storia del Decimo Dottore
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Kayla Lily Black, secondogenita di Sirius e Martha, si sente sola e confusa quando incontra uno strano uomo chiamato 'il Dottore'.
Dal testo:
“Fidati di me, piccola strega. Sono il Dottore.”
“E allora?”
L’uomo si grattò la nuca. “Di solito alla gente basta questo.”
Kayla allargò le braccia con aria esasperata. “Alla gente basta questo? Come se la frase ‘sono il Dottore’ equivalga a ‘io ti salverò’?!”
“Di solito è così.”
“Di solito?!” domandò lei, rialzandosi.
“Sì!” rispose lui, alzando la voce – ma non arrivando comunque al tono di lei. Si alzò anche lui, risultando parecchio più alto di lei.
“E nel tuo ‘di solito’,quante volte ti succede di trovarti in un mondo appeso ad un filo?”
Il Dottore sorrise. “Oh, non sai quante.”
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 1, Doctor - 10, Jack Harkness, TARDIS
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ti amo più di ieri e meno di domani.'
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(Da collocare nel tempo subito dopo la morte di Rose.)

Quando arrivò, Kayla parlò senza preamboli.
Era stanca dei preamboli. Erano i preamboli, le attese, i lunghi silenzi carichi di astio ad averli portati a quel giorno maledetto, ad aver spinto con i piedi e le mani il Mondo Magico sull’orlo della rovina: un orlo da cui lei, cinica e terribilmente pragmatica com’era, non vedeva possibilità di tornare indietro. Forse Silente aveva anche solo un briciolo di convinzione che sarebbero riusciti a fermare Voldemort prima che scoppiasse la Guerra, quella vera, (e non credeva che nemmeno il vecchio Preside fosse tanto cieco), ma lei ormai riusciva solo a sentire la corrente forte e selvaggia, quella corrente che si vendicava per i mesi in cui era stata ignorata ed ora era pronta a lanciarli giù per la cascata, implacabile e con dita artigliate.
E sua zia Rose, lei era stata la prima vittima di quella corrente.
Così, Kayla non aveva pianto.
Non aveva emesso alcun suono, si era semplicemente voltata, aveva dato le spalle a tutto e a tutti e se ne era andata senza spiegazioni. Aveva incrociato forte le braccia al petto, stringendole come se dovesse assicurarsi che il diaframma non decidesse di sfuggire al suo rigido controllo, di tradire il suo volto cereo ma impassibile, e si era alzata senza una parola. Quel giorno, un particolare stonava per l’ennesima volta nel look della strega, un particolare che lei avrebbe maledetto per molto tempo.
Portava le Converse.
Non le lucide e abbastanza bruttine scarpe della divisa, non quelle suole lisce e quelle stringhe scure, non i leggeri tacchi che avrebbero dovuto rimbombare sulle pietre dei corridoi di Hogwarts e affondare nei prati ghiaiosi delle serre. No, lei portava le Converse. Perché lei non si era preparata a trovarsi dove avrebbe dovuto, a seguire le lezioni fra i suoi fratelli e i suoi amici, a fronteggiare per l’ennesima volta gli sguardi più odiati con l’atteggiamento più beffardo e sdegnoso del suo repertorio
Quel giorno, quell’ultimo giorno, Kayla si era preparata a correre.
E lo squittio della gomma sui lustri gradini della scala a chiocciola di marmo non fece che ricordarle quel fatale errore. Uno squittio che inseguì la ragazza fino al Gargoyle che troneggiava fuori dall’ufficio del Preside, lungo i corridoi tortuosi e sui ripidi gradini dei passaggi più rapidi e pericolosi, e poi sulla ghiaia del viale d’ingresso, finché l’erba schiacciata senza pietà dai suoi passi cadenzati non le aveva dato pace, spegnendo quel fastidioso promemoria.
Promemoria di suole umide di una pioggia che non apparteneva a quel mondo, di una pioggia a cui non sarebbe dovuta andare incontro.
Il suo sguardo si era tenuto fisso su quelle punte bianche e lucide quasi a voler soffrire appieno del suo errore e, quando infine quegli stessi occhi si alzarono sul volto teso e preoccupato del Dottore, il dolore e la rabbia accumulatosi si trasformarono in gelidi pugnali di acciaio.
Il Dottore aprì bocca per chiederle cosa ci fosse che non andava (come da copione, perché lo conosceva, e persino quella consapevolezza glielo fece odiare ancor di più), ma Jack s’intromise, come sempre.
«Come, già di ritorno streghetta? Pensavo non ci volessi vedere più per un secolo, stando agli strilli con cui ti sei dolcemente accomiatata!» la sbeffeggiò il Capitano, entrando in quel momento della Sala di Comando e non vedendo il suo volto: un volto che andava ben oltre la furia, ben oltre la delusione e la tristezza. Un volto che spaventò il Dottore.
«Jack, non è il momento» mormorò lui infatti, senza distogliere lo sguardo dalla strega.
«Dove sono Fred e George?» chiese semplicemente Kayla, un fil di voce perfettamente udibile nel silenzio pesante che era calato nel TARDIS.
«Se ne sono andati, Kayla, lo sai … ma non capisco, cosa succed-»
«Andatevene». Niente preamboli, niente scuse.
Un mare di dolore.
«… eh?» sbottò semplicemente Jack, spalancando gli occhi come se fosse impazzita e appoggiandosi con i gomiti sulla plancia di comando.
«Andatevene» ripeté impassibile Kayla, ma guardando negli occhi il Dottore.
Bugiarda, si disse, perché era tutto tranne che impassibile, perché ripetere quelle cinque sillabe era come farsi sferrare un pugno nello stomaco.
«Kayla, che cosa sta succedendo? È chiaro che sia grave, ma ci devi dire-»
«Rose Redfort, mia zia, è morta. È successo mentre ero con voi, in qualche dannato angolo di universo, ed è successo mentre i miei parenti e amici più cari rischiavano la vita senza che io muovessi bacchetta per aiutarli. Ecco cos’è successo, Dottore. E adesso, andatevene.»
«Un momento, non vorrai dare la colpa a noi, Kayla?! Credimi se ti dico che posso capire il tuo dolore, e ti sono vicino, ma non puoi pensare che questo cambi le cose.» sbottò il Capitano, incrociando le braccia e fissandola con la fronte aggrottata.
«No che non capisci» disse fermamene Kayla «potrai fare sempre la parte dell’uomo più vecchio del mondo, Capitano, ma tu non sai niente di questo mondo, e se c’è una cosa che ogni mago sa, è che una persona può cambiare tutto. Io avrei potuto salvare mia zia.»
«Stai straparlando!»
Kayla non gli rispose neppure, si limitò a fare un cenno verso il Dottore.
«Tu non dici niente, però.»
«Credo che al momento tu non sia abbastanza lucida.»
«Credi che io non sia che cosa?!» sibilò Kayla, e le luci della sala lampeggiarono per qualche secondo. «Io credo che tu abbia la coda di paglia, Dottore, e forse dovresti ammetterlo e andartene di qua.»
«Kayla …»
«Se solo» lo interruppe la strega, facendo un passo verso di lui e riducendo gli occhi a due fessure di odio, «se solo te ne fossi andato la prima volta che l’avevi detto, tutto questo non sarebbe successo, io non avrei mai trascurato la mia famiglia fuggendo dalla realtà come una sciocca, io avrei potuto salvare mia zia.» Il modo in cui ripeté quella frase, la sicurezza cieca e folle di chi ha perso una persona e il risentimento oscuro e intrattenibile di chi ha trovato il giusto capo espiatorio, quello fece impazzire dalla rabbia Jack Harkness, che nella sua vita ne aveva viste di tutti i colori, ma ancora non riusciva a sopportare chi dava addosso al Dottore senza motivo.
Kayla non registrò nemmeno le urla che le lanciò, i suoi tentativi inutili di parlarle e “farla ragionare”: tutto quello che rimaneva in quel Tardis erano lei e il Dottore che si fronteggiavano per l’ultima volta, e niente di più. Non avrebbe saputo dire quando il Capitano se n’era andato dalla stanza, scomparendo in un corridoio con  passo infuriato e l’urlo: “Torna quando ti sarai schiarita le idee, principessa!”
Seppe solo che in quel momento il Dottore non provò a convincerla di nulla, non contestò le sue azioni, non fece nessuna di quelle gesta straordinarie con cui salvava sempre la situazione. Forse fu per lo sguardo che aveva Kayla, forse perché si rese conto per la prima volta di ciò che la aspettava, o forse fu semplicemente che, a ragione o meno, aveva riconosciuto della verità nell’accusa della ragazza.
La sua unica domanda, fatta a occhi bassi, fu: «Quindi, credi che sia colpa mia se tua zia è morta?»
«… sì». Un altro pugno nello stomaco, forse solo per uno dei due, forse per entrambi.
«... E cosa credi che succederà, adesso? Cosa ti farà stare meglio?» quella domanda le suonò quasi come una presa in giro, eppure anche come una resa rassegnata. Non lo sapeva. Non le importava.
C’erano sempre due paia di Converse di troppo e quello era tutto ciò a cui riusciva a pensare, che fosse ridicolo o meno.
«Io… ora oltrepasserò quella soglia, Dottore. Dopodiché io non ti vedrò mai più» mormorò Kayla, senza più cercare il suo sguardo, facendo rotolare sulla lingua quelle parole terribili come una sentenza di morte, una sentenza che gravava sul suo corpo senza neanche più farle male, quasi come se ormai avesse provato la soglia massima di dolore che le era concesso per quel giorno.
Quanto si sbagliava.
Eppure lo fece. Lei si voltò davvero, le sue suole scricchiolarono debolmente fino alle porte del Tardis, e la maniglia gelida fu l’appoggio a cui si ancorò quando sentì le sue forze mancare, come se improvvisamente una voragine si stesse rapidamente aprendo nella lastra d’impassibilità che l’aveva avvolta e assimilata, franando fino a farle tremare le gambe e la voce.
«… non ci provi neanche, vero? Non ci provi neanche, a fermarmi.»
Il Dottore la fissò in silenzio, stringendo i denti fino a sentirli scricchiolare. Poi chiuse gli occhi, passandosi una mano sulla faccia.
«Sai, Hogwarts, chi viene con me pensa sempre all’incredibile opportunità che gli viene offerta… ma io so cosa si nasconde dall’altra faccia della medaglia. Essere miei compagni di viaggio… è una maledizione. E… e va bene così. Va bene che tu te ne vada, Kayla. Perché se non te ne fossi andata tu… io, io sono un codardo! Questa è la verità!» sbottò il Dottore, gli occhi arrossati e le rughe sulla fronte più profonde che mai. «Io non ci riesco, non metto mai fine alle cose prima che sia troppo tardi, lascio sempre che accada il peggio! Ma stavolta… vattene, vattene Kayla Black, e se mai le nostre strade s’incrociassero ancora… corri, scappa più veloce che puoi e non ti fermare.»
A quelle parole intrise di dolore, a quell’addio inesorabile, Kayla strinse forte i pugni e diede definitivamente le spalle al Dottore. «Bene. Addio, allora». E corse. Corse veloce come non mai, come in quelle partite di acchiapparella giocate con suo fratello, anni prima, corse come se Hogwarts fosse casa, l’unica salvezza dal lupo ferito lasciato alle sue spalle.
Non lo avrebbe rivisto mai più, questo era ciò che pensava.
E le lacrime agli angoli dei suoi occhi erano lacrime traditrici, che avevano tutto e niente a che vedere con sua zia Rose.
“Che tu sia Maldetto, Dottore, che tu sia Maledetto”.
Quando Kayla giunse in Infermeria, il petto le doleva per il respiro pesante, e ai piedi le erano rimasti solo i calzini.

La storia che sta dietro a questo capitolo è tanto divertente quanto banale. 
Io e Benny lo abbiamo pensato e  scritto in un pomeriggio, mesi e mesi fa. Poi abbiamo perso il file word. Lo abbiamo trovato, ma non avevamo tempo di pubblicare. E ci siamo nuovamente scordate dove fosse. Qualche giorno fa, ci siamo rese conto che era passato davvero tanto tempo. E allora, mi sono messa a cercare, e l'ho trovato. 
Ho deciso di pubblicarlo così come fu scritto quel pomeriggio di mesi fa. 
Sì, si sono detti addio. 
No, non è ancora detta l'ultima parola.
Tempo al tempo.

 
   
 
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