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Autore: ManuEL73    31/01/2018    0 recensioni
Definire horror questo breve racconto è un parolone. Lo scrissi in occasione di Halloween 2017. "Follia" è un violentissimo uragano di avvenimenti dove uno normalmente... non andrebbe ad infilarsi. E' un mindf*ck pauroso, dove non c'è sangue né violenza. E' semplicemente pura Follia, che non esiste.
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Follia



Piccola premessa: questo racconto è stato scritto di proposito per essere il più illeggibile e incomprensibile possibile. Soltanto i più pazienti, capaci di pensare fuori dagli schemi, saranno in grado di capire cosa succederà in questo testo e la sua fine. Oppure avrai non ci capirai niente a priori e avrai solo perso tempo!



Me ne stavo a casa, avevo appena finito il turno di lavoro, erano le undici di sera. Appoggiai il cappotto all'attaccapanni dell'ingresso di casa, sedetti sul divano grato di aver finito un turno di dodici ore in fabbrica ad affilare lame per la produzione di coltelli da cucina. Pagano bene, difatti casa mia è arredata con una certa cura nel dettaglio, soprattutto nella scelta di oggetti che se ne stanno in armonia con altri oggetti. Il colore in prevalenza è il bianco, dei muri, dei mobili e il nero, per gli oggetti che appoggiano sopra i mobili bianchi, così da creare un bel contrasto. Mi stesi sul divano, quando arrivò mia moglie vestita in pigiama e domandò, rilassata «Ehi, non vieni a dormire?» le risposi apprezzando la sua presenza, chiudendo gli occhi. «Sì, un attimo, non riuscirei a fare un altro passo, sono stato in piedi tutto il giorno.» Si appoggiò sopra di me e cominciai a sognare. La monotonia della vita andrebbe spezzata, magari con una spiaggia, ai tropici dall'altra parte del mondo, in un'isola a nord del mare Indiano, sebbene il tenore di vita attuale sia più che soddisfacente. Il sole ti abbraccia caloroso sotto il suo raggio, la sabbia morbida che solletica i piedi ed una vista meravigliosa di un mare celeste così cristallino che si poteva vedere chiaramente il fondo. Senza dimenticare il molo che si ergeva sopra il mare tramite travi di legno bianchissime, sopra di esso si trovava una capanna di canapa. Sentii una lieve brezza ghiacciata, seguita da un tuono ed un terremoto. Il caos ambientale si era succeduto, mi alzai di scatto, mia moglie era scomparsa, dietro di me, un buco nero che si stava agitando. «Tii veeedooo!» Una voce stridula ma non troppo, pronunciava quelle parole quasi con fare denigratorio, mentre il buco nero mi ingurgitò facendomi volare. Non riuscivo a controllare in che direzione andava il mio corpo che seguiva la direzione dove il tunnel mi portava nel vuoto dello spazio, mi vennero vertigini, senso di nausea, lo stomaco mi fece vomitare bile. Durante il "viaggio" sentii nuovamente quella voce, sempre stridula, che non riuscii ad associare ad alcuna persona che conoscevo. «Ricorda, ricorda Signor Lee, ricorda cosa è successo... sto venendo a prendertiii...» Il dialogo trasudava ossessione verso di me e determinazione nel volermi prendere, malgrado io non capissi chi diamine fosse. Venni buttato di prepotenza per terra, mi feci male alla faccia, beccai un sasso nella guancia che mi provocò un'escoriazione, una fuori uscita di sangue. Nonostante il dolore alla schiena riuscii ad alzarmi e vidi una campagna pianeggiante, con delle piantagioni, un arancione sfavillante, un tramonto dietro la collina, alla mia sinistra si trovava una lunga fila travi di legno che delineavano il confine della coltura. Alla mia destra si trovò un'enorme capanna fattorina, l'ingresso era libero. Camminai lungo la fattoria pensando e guardandomi attorno, a parte le piantagioni che si distendevano per un centinaio di metri, non c'era nessuno. Eppure, quel posto ebbi la sensazione di averlo già visto, anche se la memoria mi impedì di ricordare altro. Mi chiesi dove caspita ero finito e perché sono stato trascinato fuori da casa mia.

 Ritornai all'edificio fattorino, all'interno di questo c'era un mucchio di fieno ed un cavallo che riposava in piedi. Entrai quando il paesaggio intorno a me cambiò di nuovo e la capanna scomparve cedendo il posto ad una struttura moderna, muri bianchi ed una luce che veniva dal soffitto. Il posto era silenziosissimo. C'era una scatola appesa al muro, non mi preoccupai di sapere cosa ci fosse all'interno anche se davanti questa c'era scolpito il disegno di un fulmine. Cercai una porta, che era dietro di me, la aprii. Venni inondato da una ventata d'aria ghiacciata che portava con sé delle gocce d'acqua. In lontananza, tra alberi, case ed edifici di ferro, vidi un tornado enorme scatenarsi in città, sotto una luna piena. Ero disperato, non capii un cazzo di quel che stava succedendo, uscii da quella cabina per ritrovarmi all'interno di una centrale elettrica circondata da mura. Mi arrivavano costantemente gocce d'acqua, incontrai alcuni tipi, mi dissi "finalmente qualcuno con cui parlare!" quel tornado stava provocando, oltre danni alla città, con auto che svolazzavano, alcune che sbattevano contro case, edifici e cartelli, case che vennero smontate, faceva un sacco di rumore. Fui costretto ad urlare con tutte le mie energie «Mi spiegate cosa sta succedendo?!» I tipi, tra l'altro con facce anonime, volti poco chiari, non dissero niente. Era come se lì, fossi nuovamente da solo. Stavano là, li sentivo ridere. Mi prese il panico, non sapevo dove fosse l'uscita, quando mi accorsi che alla cintura avevo un rampino attaccato. Lo presi in mano e lo lanciai, la forza meccanica di questo era tale che volai letteralmente, verso la parte dove si era attaccata l'altra estremità del rampino. Il muricciolo dove arrivai era fatto di pietre grigie e bianche. Ero sollevato di forse cinque metri da terra, riuscii a vedere un po' meglio dove il tornado era e dove si stava dirigendo. Il muricciolo dove mi ero attaccato aveva l'aria di esser fragile, mi preoccupai quindi di attaccarmi da qualche altra parte. Stava per cedere, vidi un pezzo di roccia staccarsi e cadere a terra, tolsi quindi il rampino che era rimasto attaccato facendo in modo però di reggermi al muretto con l'altra mano, ma tutto quanto crollò, lasciandomi sospeso in aria. L'uragano mi attirò a sé e volai verso di esso, mi sentii trascinare in mezzo a della corrente d'aria e d'acqua, vidi il suolo allontanarsi e tutta la città divenire minuscola, mi vennero nuovamente le vertigini, ebbi ancora una volta un senso di vomito mentre le mani e le braccia formicolavano. Volai all'interno dell'uragano, non vi furono gocce d'acqua, soltanto venti prepotenti che mi fecero volare ancora una volta nello spazio, vidi la sfera che era la Terra. «Ancora non ti sei ricordato? Hahahahah!» Sentii una sonora risata, probabilmente la stessa voce che avevo sentito quando all'inizio quel buco nero mi aveva risucchiato. Lo spazio si fece più "stretto" e vidi la terra avvicinarsi verso di me, non sapevo di preciso se ero io che stavo precipitando verso il pianeta o era il pianeta che stava per schiacciarmi. 

Caddi in mezzo alla strada, un'auto inchiodò. Stetti per terra una manciata di secondi per riprendermi. Tastai il terreno. Sembrava solido. L'aria era calma, sentivo le urla della gente, cercai di rialzarmi. Mi guardai intorno, le persone mi osservavano, era straniti, avevano tutti un viso specifico, sembravano normali. Guardandomi intorno realizzai di essere in mezzo ad una strada di città, stavo bloccando tutto il traffico di una corsia, era sera. Ero ritornato nella vita reale? Stavo solo sognando ad occhi aperti? Rialzandomi in piedi notai che avevo giramenti di testa, per cui magari ci sta che avevo bevuto. «Signore, tutto bene?» Mi si avvicinò un passante, visibilmente preoccupato. Risposi con lo sguardo perso nel vuoto. «Sì... sto bene.» Mi incamminai sul marciapiede ignorando il passante, camminai un po', riflettendo su quanto accaduto. Avevo una forte nausea, probabilmente avrò davvero bevuto e tutto ciò era soltanto un viaggio che il mio cervello si era fatto su di giri con l'alcol. Mi tranquillizzai, promettendomi che avrei bevuto di meno e più responsabilmente. Girai l'angolo del marciapiede, cambiando via, con lo sguardo basso, cercai di rilassarmi. Evitai altre persone che passeggiavano sullo stesso marciapiede, essendo che quest'ultimo era un po' stretto. Sentii suoni metallici come se qualcosa stesse sbattendo ripetutamente sulla pietra. Alzai lo sguardo, vidi un'auto correre all'impazzata sul marciapiede buttando giù i pali di ferro per terra che delineavano il marciapiede, uno dopo l'altro. Le persone sul marciapiede, parevano... indifferenti. Una non venne nemmeno travolta, anzi, venne trapassata come un fantasma. Io però, venni investito veramente. Sentii un gran dolore al torace che mi sembrava stesse per esplodere, la testa bruciava. Mi addormentai.

Mi risvegliai sdraiato, vidi il soffitto con delle luci che scorrevano, alcuni dottori mi stavano trasportando su di un lettino. Sentii il rumore di porte aprirsi, si fermarono, sopra avevo quattro lampade montate sotto un pod che i dottori spostavano a seconda delle loro esigenze. Mi misero un respiratore alla bocca, mi guardai intorno, alla destra una dottoressa mi disse che "andrà tutto bene", alla sinistra non c'era nessuno, soltanto uno specchio. Specchiava tutto, il lettino, il pod della luce, la dottoressa... Me. Ricordavo tuttavia un aspetto diverso da quello che lo specchio mi mostrava e oltretutto, sentivo il respiratore fisicamente attaccato alla bocca, ma nello specchio... non si vedeva. Il "me" nello specchio poi incominciò a parlare «Ricordi adesso?» strinsi gli occhi per osservarlo meglio, sembrava finalmente disposto a parlare, volevo chiarimenti. «Ma tu... Giuliano?» avevo una voce debole, ero ormai rassegnato e l'alcol in circolo non aiutava. «Esatto, finalmente mi riconosci, fratellino.» Ero più disperato che mai, domandai ancora «Ma... Perché? Cosa succede?» Irritato, rispose «Evidentemente continui a non ricordare... te lo farò vedere più esplicitamente.» Venne illuminato il corridoio esterno alla camera dove ero, così da vedere attraverso il muro: ero io che mi disperavo con accanto mia moglie che cercava di consolarmi. Si sentiva qualcosa, tramite dell'eco: "io... io ho sbagliato... non volevo... è stato uno sbaglio. Ho sbagliato" «Quello... sono io? Cosa sto facendo?» Domandai. Mi fece vedere una sequenza, davanti a me comparirono delle immagini, il momento in cui ero stato investito, tramite il parabrezza vidi che alla guida c'ero io.

Mi fece poi vedere me stesso che mi butto dal palazzo Eurosky con mia moglie che urla disperata "non farlo!" Nel frattempo sentii i dottori agitarsi mentre le macchine emettevano un lungo interminabile suono fisso. «Lo stiamo perdendo!»

   
 
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