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Autore: Il Walter    31/01/2018    2 recensioni
Due graziose gemelle dall’aria allegra, con un bel sorriso gioioso sul viso e modi gentili, adorano passare il tempo in compagnia del loro vecchio cane, ascoltando le storie dei clienti della locanda di un villaggio inglese. Due sorelle che adorano ridere e giocare, specialmente col cibo.
In questo racconto ho voluto “giocare” un po' sul “risvolto della medaglia” ed è il primo a rientrare in una serie a tema Horror/creepypasta basata sulla leggenda delle Cento Candele: cento storie brevi, una storia per ogni candela. Ecco la prima.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Le gemelle della tenuta dei Matthews
 
Sera. Pochi in taverna. L’attenzione dell’oste era attratta dalle due fanciulle al tavolo accanto al camino e dal vecchio cane dagli occhi opachi che le accompagnava. Un cane di razza, la carcassa malandata di quel che rimaneva di un gran bell’esemplare da caccia. Gli piacevano i cani e ancora di più cacciare. Le ragazze erano graziose: due adolescenti identiche infagottate in pesanti soprabiti, ben stretti attorno al collo dalla spilla col fregio della famiglia Matthews. Occhi azzurri su due ovali perfetti, incorniciati da riccioli scuri. Sorridevano spesso.
Un sorso alla zuppa di cervo fumante, un boccone al vecchio cane, un nuovo sorso e un pezzo di carne al segugio, una pacca o una carezza e un nuovo sorso.
Le porte si spalancarono facendo entrare il freddo della sera e Jackson. Quel perditempo si accostò al bancone e si guardò intorno. Un gesto della mano al suo degno compare che, dal fondo della sala, lo raggiunse. L’oste riempì i loro bicchieri. La solita porcheria con cui piaceva loro infiammarsi le budella nelle fredde serate invernali. Ancora uno sguardo nella sala e Jackson chiese: «Padre Thompson?»
«Non vedo quel vecchio ubriacone da ieri sera», rispose l’oste asciugandosi le grosse mani con uno straccio.
«Avevamo appuntamento qui. Mi ha trovato lavoro in una fattoria nei dintorni.»
«Una gran bella persona padre Thompson. Sempre pronto ad aiutare il prossimo, anche quando si tratta di te, Jackson», lo prese in giro il compare che ebbe in risposta uno sguardo torvo.
Una delle fanciulle si accostò al bancone. Estrasse dalla tasca un ricco portamonete e pagò il dovuto. Le mani di porcellana dalle dita sottili, il bell’anello d’oro e il pizzo italiano della manica che usciva da sotto la mantella, unito alla borsa rigonfia della giovane, attirarono l’interesse di Jackson che diede di gomito all’amico.
«Le brave ragazze dovrebbero tornare a casa prima che si faccia troppo tardi», sottolineò l’oste verso i due uomini dopo aver adocchiato l’espressione interessata dell’ultimo venuto. Un avviso.
«L’ha detto anche il vecchio pastore ieri sera. Davvero una persona squisita», sottolineò allegra la fanciulla al tavolo, «ma non dovete avere di ché preoccuparvi, signor oste, Necro ci protegge. Vero, bello?» Stropicciò il muso spelacchiato del vecchio cane orbo, ridacchiando.
«Parlate di padre Thompson? Lo avete visto?» Domandò Jackson.
«Padre Thompson, sì!» Ripeté la ragazza al banco. «Un uomo delizioso.»
«Sì, davvero buono padre Thompson. Ieri si è offerto di accompagnarci a casa», sottolineò l’altra gemella. Una pacca al vecchio segugio e si accostò con l’animale al bancone.
«A pensarci, oggi non è passato. È strano. Tutti conosciamo il suo vizietto. Quel prete trangugia alcool come fosse acqua», commentò l’oste.
«Questa mattina non ha tenuto messa», informò dalla cucina la voce fastidiosa della consorte dell’uomo.
«Anche questo è strano», aggiunse Jackson. Dopodiché, come illuminandosi, «Che ne dite, signorine, di mostrarci dove vi ha lasciate ieri sera? Non vorrei avesse avuto un malore nel ritorno.»
«Con piacere», esordì una delle due incoscienti, «speriamo solo di poter essere utili.»
«Oh, non dubitatene. Bene dunque: io sono John Jackson e questo è il mio amico Will Black.» Allungò la mano verso le fanciulle. Queste non tardarono a stringerla suggellando l’accordo.
L’oste roteò gli occhi verso il soffitto. Aveva provato ad avvisare, ma dopotutto non erano affari suoi.
 
Al termine della breve discussione le ragazze e i due uomini uscirono.
Arrivati al vecchio sentiero che portava alla tenuta dei Matthews, Black diede di spalla al compare: erano sufficientemente isolati e abbastanza distanti dalla cittadina. «Non mi piace questo posto, girano strane storie sulla tenuta», disse.
«Non manca molto», dichiarò una delle gemelle, «ancora un po’ di pazienza.»
Uno sguardo fugace di Jackson a Black, e quest’ultimo tirò fuori il suo ferro: una Webley del ’65. «Penso invece che siamo arrivati», disse puntando l’arnese contro le ragazze.
Il vecchio cane ringhiò cupamente in difesa delle fanciulle.
L’uomo dirizzò l’arma verso il segugio pronto a farlo tacere.
«Jimmy, no!» Gridò una delle gemelle, mentre l’altra si parò in difesa dell’animale: «Non fargli male, è solo un vecchio cane», disse.
Questi sembrò rivalutare la cosa e aggiunse: «Fate quello che vi diciamo e non succederà nulla al vostro bastardo.»
«Adesso datemi i vostri averi e questa situazione finirà più velocemente di com’è iniziata», minacciò Jackson.
Le ragazze ubbidirono.
«Siete delle brave ragazze», disse l’uomo una volta ottenuto quanto richiesto, «ma sapete, sarebbe increscioso se si sapesse in giro quanto successo, non credete?»
«Noi… non parleremo. Non diremo nulla, signore.»
«Non ne dubito. Ma… vediamo di darvi qualcosa che possa rimanervi impresso nella mente, sconveniente tanto per noi quanto per voi.»
«Siete molto, molto carine, troveremo facilmente un modo», aggiunse Black e detto questo, rivolse l’arma verso una delle due giovani, scivolando sulla sua figura con sguardo bramoso. «Spogliati», le intimò. «Fai la buona e vedrai che finirà tutto velocemente», disse accostandosi a questa e passando l’arma al compare. La ragazza indietreggiò preoccupata fin a trovarsi con le spalle bloccate da un tronco d’albero.
L’uomo con la pistola teneva l’atra fanciulla sotto tiro con un sorriso sadico. «Tranquilla, presto toccherà anche a te», le disse distrattamente, più interessato a vedere quanto combinava l’amico; ma in un momento, «Jimmy? Non era un altro il nome del bastardo?», gli venne alla mente tornando a fissare la fanciulla davanti a lui.
L’altra ragazza sembrava aver finalmente smesso di frignare, di chiedere: «No, no per favore, non mi faccia male. Smetta la prego, smetta per la sua anima.»
A Jackson la ragazza contro cui puntava la pistola parve stranamente più vicina. Allargò verso di lui un sorriso inquietante, fuori luogo dato che il suo amico aveva appena cominciato a fare la festa alla sorella, e rispose con una tranquillità disarmante: «Ah, parli di Necro.» Fece un passo avanti che diede all’uomo un senso di disagio maggiore. «Necro ci protegge. Lui…», indicando l’animale, «…è semplicemente Jimmy, il nostro cane.» Ancora quel sorriso si ingrandì e, senza che Jackson se ne capacitasse, una mano della ragazza, non sufficientemente vicina per colpirlo, sfrecciò verso il revolver.
Un dolore atroce gli saettò al cervello mentre ritraeva la mano con cui teneva l’arma portandola davanti alla faccia e trovandone la carne dilaniata come trafitta dagli artigli di una bestia feroce.
La pistola era a terra.
Lo sguardo di Jackson scorse rapidamente sulla ragazza difronte. Notò che qualcosa non andava in quella figura: le braccia improvvisamente lunghe, troppo lunghe; le dita ossute e artigliate; le unghie ricurve della mano destra grondavano sangue: il suo sangue.
In contemporanea un verso sommesso e agghiacciante venne dalla direzione di Black e dell’altra ragazza.
Jackson si voltò.
L’amico si accasciò addosso alla fanciulla. Una mano identica a quella che mostrava la creatura davanti a lui gli aveva trafitto il petto e gli fuoriusciva dalla schiena stringendo qualcosa di rosso e spugnoso tra le orribili dita.
Rimase come paralizzato, ghiacciato non dal freddo, ma dal terrore, mentre la ragazza appoggiata al tronco puntò la suola dell’elegante stivaletto in pelle candida contro il ventre dell’amico e lo spinse in terra: Black, gli occhi sgranati e la bocca spalancata in una maschera di terrore.
Con un risolino il mostro si portò quella carne sanguinante al volto e l’addentò quasi fosse una mela rossa e succosa, ma era altro.
«Cazzo! Quello è il cuore di Black!» Gridò, ma… erano sufficientemente isolati e troppo distanti dalla cittadina, nessuno poteva sentirli.
Non fece in tempo a muoversi, a tentare la fuga, che il sorriso della creatura davanti a lui, quell’assurdo sorriso, si allargò diventando ancora più strano, enorme fuor di misura e inquietante: due linee di denti sottili e acuminati. Nulla era rimasto della bellezza che prima le caratterizzava. Nulla.
Gli si avventò contro gettandolo al suolo come fosse una bambola di pezza. Lo trattenne per il collo mentre con la mano libera gli strappava un arto senza il minimo sforzo. Il dolore gli saettò al cervello: un dolore lancinante, che l’aveva portato sul punto di perdere i sensi, ma… non era avvenuto. Perché non era svenuto? Pregò il cielo affinché accadesse.
«Lo dicevamo di smetterla. Lo dicevamo per voi», disse la ragazza su Black, mentre l’altra gettando il braccio di Jackson al cane affondò le fauci nella ferita aperta e strappò, ingoiando un pezzo della sua carne. Ancora il male, ancora il dolore, ma ancora, ancora, ancora, non voleva saperne di svenire. Le grida dell’uomo echeggiarono tra le campagne.
«Perché?» Si disperò. «Perché?»
«Ce l’avete chiesto voi e dire che l’oste vi aveva avvisati. Ma… tranquillo, finirà più velocemente di come è iniziata o… forse no?» Giunsero assurde le parole della creatura che si nutriva delle carni di Black.
«E sai? Non c’è bisogno che fai il buono.» Ridacchiò divertita l’altra. «Sei già “buono”. Molto buono. Certo non come padre Thompson. Oh… lui sì che era veramente buono.»
 
Il vecchio cane sedeva scodinzolante, la bocca aperta con la lingua ciondolante a lato come se avesse dipinto sul viso un largo sorriso.
 
   
 
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