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Autore: Francine    04/02/2018    5 recensioni
Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi.
(Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65)
Fĕbrŭāre in latino significa espiare, purificare, che è quello che fa la febbre al nostro organismo per liberarlo da virus e batteri. Questa vuole essere una raccolta di bozzetti sul grande male di stagione, nel mese dedicato all'espiazione per eccellenza. Fisica o morale che sia.
[Saint Seiya, Lost Canvas, Episode G, Episode G Assassin]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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★ Iniziativa: Questa storia partecipa al Flu&Fluff a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 1146.
★ Prompt: #7 A e B hanno un’accesa discussione su medicine e omeopatia/rimedi della nonna mentre C dorme stremato dall’influenza.
 






4. La febbra



 


Prompt:Tisane/ Fandom: Saint Seiya - post Hades /Personaggi: Cancer Death Mask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite


 
 
«Se continua così, non credo passerà la notte…»
Sollevi lo sguardo al soffitto, in cerca di pazienza. Quando ci si mette, Yngve sa essere melodrammatico più di una diva del cinema muto sul viale del tramonto. E la parte peggiore di queste esternazioni non sono il tono con cui dà fiato a certe frasi ad effetto o il tempismo con cui snocciola le sue affermazioni – una settimana di pioggia ininterrotta farebbe perdere la pazienza anche ai santi – ma il fatto che lui ci creda. Fin nel midollo.
«Adesso non ti sembra di esagerare?»
Domanda inutile: ti scocca uno sguardo assassino – di quelli che avvisano Attento, o assaggerai le mie rose! – e storce le labbra. «No», dice. «Ha la febbra
«La febbre, semmai.»
«Nossignore», ribatte serio. Serissimo. «La febbre è un sintomo. Fa il suo decorso. Sale, perdura, scende. Come un giro sulle montagne russe.»
«Okay. Quindi?»
«Quindi, quella di Marco non è una febbre. Sono tre giorni che il termometro segna quaranta gradi. Quella di Marco è la febbra. Con la a finale.»
Sbuffi aria dal naso, come un toro che sta per caricare. La febbra. Certo. L’ennesima stronzata sparata da Marco a cui Yngve ha abboccato con tutte le scarpe; ma guai a dirglielo. Ti fisserebbe con quello sguardo deluso apostrofandoti con un «Avanti. Non sai davvero fare di meglio?».
«Okay. D’accordo. E febbra sia», dici – concedi – alzando le mani, ché a discutere coi matti si diventa come loro. «Un po’ di sano paracetamolo dovrebbe fare al caso nostro.» E avrebbe già risolto il vostro problema, ti dici, se Yngve non si fosse intestardito a far sfebbrare Marco. Che se ne sta nella stanza accanto, a mugugnare suoni inintelligibili nemmeno fosse in punto di morte, con il gatto di Yngve – otto chili e passa di norvegese delle foreste – acciambellato sul suo plesso solare.
«Nossignore», ribatte Yngve, le mani sui fianchi e l’espressione scandalizzata. «Non è così semplice.»
E tu pensi che sì, lo è semplice; anzi, di più: è maledettamente facile. Si va all’infermeria del Santuario, si prende una cazzo di confezione di paracetamolo, gli si fa ingoiare quelle pasticche ad intervalli regolari e la febbre – la febbra, pardon – scenderà da sola.
«Ah, no?», chiedi. Col sorrisetto che metti su quando stai per perdere la pazienza.
«No. È troppo tardi per il paracetamolo», dice, e tu pensi che Yngve si sia fottuto il cervello. Forse è l’odore delle rose che l’ha fatto ammattire. Forse devi essere pazzo, per essere amico di uno squinternato come Marco. O forse, quando s’è alzato stamattina, ha battuto forte la testa. Di spigolo, possibilmente. «Ha la gola troppo secca e gonfia per mandare giù qualsiasi pastiglia. E tu non vorrai ricorrere alle supposte, vero?»
«Fossi matto!», rispondi. Piuttosto, lasci che Marco schiatti, così impara ad andarsene in giro in canottiera quando fuori fanno sì e no dieci gradi. «Quindi, l’unica soluzione è una tisana, che lo aiuti a sfiammare la gola», conclude Yngve, e poco ci manca che si sistemi gli occhiali da saputello in punta di naso.
«Una tisana.»
Lo ripeti come se nemmeno tu credessi alle tue stesse orecchie, e infatti non ci credi, perché non è possibile che nel Terzo Millennio la gente ancora si curi con le tisane e i decotti. Ché sì, aiutano e danno un senso di conforto quando la gola assomiglia ad una spianata di carta vetrata; ma da qui a curare i malanni, ce ne corre. «Senti», fai per dire, quando lui prosegue imperterrito.
«Una tisana di tassobarbasso», specifica, l’indice che scatta all’insù mentre i tuoi occhi si dilatano dalla perplessità.
«Mi stai pigliando per il culo.»
Sarà un’altra delle cazzate di Marco, pensi, un’altra delle fesserie che spara a raffica, nemmeno fosse una mitragliatrice. Non esiste una cosa con un nome così cretino. Così palesemente falso. Da dove salta fuori, da Harry Potter? E, in un angolo della tua mente – un angolo piccolo piccolo – pensi che forse se la merita quella febbre – quella febbra – così alta. Così impara a raccontare cazzate, ché a furia di spararle grosse prima o poi lo incontri il matto che ti crede e ti asseconda. Ed è in quel momento, che cominciano i guai.
«Non sei il mio tipo», sbuffa Yngve. Acido.
«Neppure tu», replichi. «Non esiste il tassobarbarasso!»
«Tasso. Barbasso», scandisce con quel suo accento impossibile che suona come una mannaia su di un ciocco di legno da gettare nel fuoco. «Esiste eccome, invece. Se ne fanno decotti miracolosi per la febbre. Funzionerà anche per la febbra
«E questa adesso da dove salta fuori?», domandi. «È un’altra delle cazzate di Marco?»
«No», risponde Yngve. «Me le preparava mia madre, quando ero piccolo e avevo la febbre alta. Ricetta di famiglia.»
«Ma lui ha la febbra», ribatti alla sua faccia da poker. Hai deciso di venire a vedere il suo gioco, quale che sia, perché Yngve non fa mai le cose tanto per farle, ma sempre seguendo un ragionamento, un fine, uno scopo. Ed è questo, a spaventarti.
«Appunto», chiosa Yngve, arricciando all’insù le labbra da fotomodello. «Certe battaglie vanno combattute ad armi pari», soffia fuori, come un gatto che finge di essere sazio, ma che è pronto ad assestare la zampata letale all’ingenuo passerotto che gli si avvicinerà. E tu capisci che non è mai saggio prendere per i fondelli uno come Yngve: calmo, pacifico e indolente quanto vuoi, ma che, come l’acqua, sa aspettare e nascondere un grumo di orgoglio e amor proprio talmente intricato che, se per disgrazia ci finisci con un piede dentro, ti trascina dove non arriva il sole.
Deglutisci a vuoto.
«Sicuro?», gli chiedi. E devi chiederglielo, per scaricarti dalle spalle ogni responsabilità, pesante più di un sacco di mattoni bello pesante. Marco se l’è cercata, d’accordo, ma se dovesse morire un’altra volta non credi che Athena farebbe i salti di gioia, non dopo quello che le è costato resuscitarvi, uno per uno.
«Sicurissimo», e sembra quasi che Yngve stia facendo le fusa. «Ho del tassobarbasso pronto all’uso che mi diede mia madre anni fa.»
«Non sarà scaduto?»
«Sciocchezze!», e fa un gesto con la mano, come a scacciare una mosca fastidiosa. «Hanno ritrovato del grano nelle piramidi perfettamente conservato, figuriamoci! Il mio tassobarbasso andrà benissimo.»
«Non ti spiace se scendo in infermeria, vero?», domandi. «Per sicurezza», aggiungi, ché Yngve è capace di legarsela al dito.
«Per sicurezza», ripete Yngve, sorridendo. «Uno scrupolo in più non ha mai ucciso nessuno», dice, mettendo a bollire dell’acqua. «Vuoi un caffè?»
Annuisci. Meglio procurarsi del paracetamolo, pensi, con un po’ di pena per Marco. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, d’accordo; ma un’intossicazione alimentare non si augura a nessuno, neppure al re dei Cretini. Chissà se all’infermeria hanno il necessario per una lavanda gastrica?, ti chiedi, mentre osservi la schiena di Yngve preparare il caffè e la coda di Non Plus Ultra sollevarsi quasi ad orchestrare i lamenti di Marco.



Note:
Ogni riferimento a
La Febbra, il geniale capolavoro di Ennio Annio, non è puramente casuale!!
Il Tassobarbasso esiste davvero, e se ne ricavano tisane e decotti che alleviano la febbre. Giurin giurello.
   
 
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