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Autore: Roscoe24    06/02/2018    6 recensioni
Magnus cercò di reprimere un brivido, udendo quella voce roca e profonda, ma non ci riuscì. Per questo motivo si diede dello stupido. Era così infantile il suo comportamento, per non dire quanto fosse poco professionale. Da quando si trovava ad esprimere giudizi positivi sulla voce delle persone con cui doveva negoziare? Era diventato idiota tutto d’un tratto?
Assolutamente…
“Una volta sarebbe stata sufficiente.”
…Sì. Sì era diventato idiota. Decisamente. Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, come mai le sue ginocchia, di norma molto stabili, stessero tremando come gelatina alla vista di quell’uomo stupendo che aveva appena aperto la porta...
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Magnus si definiva un normalissimo Shadowhunter.
Seguiva le regole, obbediva al Clave, rispettava gli ordini ed era sempre disponibile quando veniva convocato dal Capo dell’Istituto di New York, Victor Aldertree. A sentire Aldertree, Magnus faceva parte della migliore schiera di Shadowhunter esistenti. Era giovane, ma aveva più coraggio e lealtà di molti Nephilim più anziani. Non che fosse comune arrivare ad un’età avanzata, quando si passa la vita a combattere demoni. Perché era questo che Magnus faceva: privava New York della presenza demoniaca nel Mondo Invisibile, quella parte del mondo che i Mondani, semplici esseri umani senza alcun tipo di potere, non potevano vedere.
Magnus era felice della sua vita, tutto sommato. Non che si fosse mai soffermato a pensare cosa fosse la felicità. I Nephilim, metà umani e metà angeli, venivano cresciuti come dei soldati, addestrati fin dalla tenera età alle più fini arti di combattimento. I loro corpi diventavano delle armi letali. Ancora prima di imparare ad usare le armi, imparavano a diventare loro stessi un’arma. Uno Shadowhunter, in definitiva, poteva uccidere qualsiasi essere anche a mani nude.
Per questo motivo i Nascosti li temevano tanto.
C’era stato un periodo in cui i Nascosti, metà umani e metà demoni, venivano uccisi dagli Shadowhunter con la stessa facilità con cui venivano uccisi i demoni, ma gli Accordi avevano portato un po’ più di serenità – sebbene Magnus sapesse quanta ipocrisia si celava dietro quegli Accordi, che vertevano maggiormente dalla parte di coloro il cui sangue era per metà angelico, ma chi era lui per andare contro alle decisioni del Clave?
Nessuno. Era un semplice soldato, qualcuno nato solo per servire il Clave e le sue battaglie. Eppure… eppure da qualche tempo si era insinuata nella sua mente l’idea che il Clave potesse non avere tutte le risposte, potesse non conoscere tutte le verità.
Dura lex, sed lex – la legge è dura, ma è la legge. Ma che genere di legge veniva reputata corretta pur essendo carica di pregiudizi e cattiveria? Che tipo di legge poteva essere definita giusta quando condannava chiunque uscisse dai suoi specifici canoni?
Forse Magnus aveva cominciato a porsi queste domande quando aveva cominciato ad arrendersi all’idea che i suoi dubbi non erano più tali, quanto piuttosto una verità inevitabile: Magnus era un maschio di origini indonesiane che provava attrazione verso entrambi i sessi. E se sapeva che il Clave sarebbe passato sopra alle sue origini, dal momento che nel suo sangue scorreva sangue angelico ed esistevano Nephilim di ogni razza, non era sicuro sarebbe passato sopra alla sua bisessualità con la stessa leggerezza.
Si teneva dentro di sé questo segreto da anni, ormai, e anche se la cosa gli creava un tantino di frustrazione, aveva deciso che non ne avrebbe mai fatto parola con nessuno, arrendendosi all’idea che avrebbe passato la sua vita completamente solo, dal momento che allontanava chiunque, pur di non rischiare di far capire la verità.
Non aveva messo in conto, ovviamente, che un giorno la sua vita sarebbe stata travolta da una rossa che avrebbe portato con sé più problemi di quanti ne sapesse gestire.
Era cominciato tutto con una caccia, un normalissimo demone mutaforma era stato avvistato nei pressi del Pandemonium, un locale pieno di Mondani e di Nascosti, e avevano ricevuto l’ordine di ucciderlo. A quanto pareva, era collegato allo spaccio di sangue umano dietro al quale Magnus, Jace Wayland, il suo migliore amico, e Catarina Loss, la sua parabatai, stavano dietro da mesi, ormai.
Mesi passati ad uccidere demoni e non erano ancora arrivati alla vera fonte. Era frustrante, per Magnus, ma se pensava che quello fosse un vero problema era perché non aveva ancora conosciuto Clarissa Fairchild. L’incontro non tardò ad arrivare: tutto iniziò con Jace che, protetto dalla runa dell’invisibilità, era andato a sbattere contro Clary che, contro ogni logica, l’aveva visto.
In un primo momento, Jace aveva pensato che fosse una di quei rari mondani dotati della Vista, quel fenomeno che permette agli umani di riuscire a vedere il Mondo Invisibile pur non facendone parte, ma poi, quando la ragazza li aveva seguiti all’interno del locale per dimostrare ad un suo amico che non era pazza ed esisteva davvero un biondo tatuato che le era venuto addosso, avevano capito che era una Shadowhunter. Clary era stata in grado di attivare una spada angelica, mentre Magnus, Jace e Catarina facevano fuori gli spacciatori di sangue. Ma ancora: niente fonte, solo altri problemi. Si era scoperto, infatti, che Clarissa fosse stata privata dei suoi ricordi e della sua conoscenza del Mondo Invisibile da sua madre, Jocelyn Fairchild, con l’aiuto di uno Stregone molto potente. Jocelyn, per tutti i diciotto anni di vita della figlia, aveva fatto in modo che tale Alexander Lightwood, Sommo Stregone di Brooklyn, la privasse della sua memoria per tenerla al sicuro da suo padre, Valentine Morgerstern – lo stesso squilibrato che aveva dato origine al Circolo anni e anni prima, rivendicando la superiorità dei Nephilim su ogni altra razza esistente di Nascosti.
Magnus cominciava davvero a sentire la mancanza delle sue normalissime missioni, soprattutto perché da quando era arrivata Clary, Jace non faceva altro che approvare qualsiasi sua idea, sebbene fosse un’idea omicida-suicida, e le stesse appiccicato giorno e notte, mettendo in secondo piano i suoi doveri di Shadowhunter.
«Dovresti essere felice che Jace pensi a qualcun altro che non sia se stesso, Magnus.»
Per la prima volta, Magnus si era trovato in disaccordo con Catarina. Come poteva essere felice di una cosa simile, quando comportava dover avere a che fare con le strigliate di Aldertree un giorno sì e l’altro pure? Jace disubbidiva agli ordini e Magnus doveva corrergli dietro per cercare un modo per limitare i danni. E andava a finire che le lavate di capo se le doveva prendere lui perché nessuno avrebbe mai osato prendersela con la leggenda vivente, il ragazzo d’oro, il soldato perfetto, Jace Wayland.
Magnus era al limite dell’esplosione. Era così stressato che di notte non riusciva a dormire e passava le ore a digrignare i denti con così tanta forza che si stupiva non si fossero ancora spezzati.
Sospirò, battendo più volte la nuca contro il cuscino, e si voltò verso il comodino per vedere che ore fossero: 5.45. Tanto valeva alzarsi, non aveva senso cercare di prendere sonno, ormai: mancava solo un quarto d’ora al suono della sveglia e se non era riuscito a chiudere occhio in tutta la notte, di certo non ci sarebbe riuscito in quindici minuti. Quindi, scostò le coperte e si alzò dal suo letto. Si diresse in bagno per farsi una doccia e dieci minuti dopo si stava già vestendo, indossando la divisa da Shadowhunter e gli stivali da combattimento. Tutto rigorosamente nero, come l’umore di Magnus, che prevedeva una giornata decisamente stressante.

Odiava avere ragione. O almeno, lo odiava quando le sue previsioni spiacevoli si tramutavano in realtà. La sua giornata, infatti, era iniziata con Catarina che lo fermava nel corridoio dell’Istituto appena dopo la colazione per aggiornarlo sulle novità.
“L’abbiamo trovato, Magnus.”
“Buongiorno anche a te, Cat. Dormito bene?” ribatté sarcastico, guadagnandosi un’occhiata di traverso dall’amica.
“Vuoi sapere cosa ho trovato, mentre tu dormivi e io passavo la notte in bianco a cercare informazioni?”
Magnus si sentì improvvisamente in colpa: Cat era la migliore con i computer e riusciva ad ottenere qualsiasi informazione, superando la sicurezza di ogni sistema di protezione esistente nel globo. Era un genio, ma la sua genialità spesso la privava del sonno. Magnus notò le occhiaie sulla pelle scura dell’amica e le rivolse un sorriso timido di scuse.
“Certo che voglio saperlo.”
Catarina annuì e gli fece cenno di seguirla verso la sala computer. “Nemmeno tu sembri molto in forma, comunque, sei sicuro di aver dormito?”
“Sto bene, Cat.”
“No, stai solo evitando di rispondermi, ma va bene, so come sei fatto.”
Magnus fu sul punto di chiederle e come sarei fatto, scusa? ma la ragazza gli indicò uno schermo al centro della sala informatica, facendogli morire in gola quella domanda. Erano arrivati senza che Magnus davvero se ne rendesse conto. Se non ricominciava a dormire poteva dire addio alla sua reattività. E uno Shadowhunter senza riflessi pronti, con ogni probabilità, è uno Shadowhunter morto.
“Alexander Lightwood. Ha quasi quattrocento anni ed è un tipo molto eccentrico. È il Sommo Stregone di Brooklyn e proprietario del Pandemonium. Ha camminato per ogni epoca, traendo ogni piacere che ognuna di esse potesse offrire…”
Catarina si era lanciata nel racconto dettagliato della biografia dello Stregone, ma Magnus non riusciva ad ascoltarla completamente. Avrebbe potuto dare la colpa alla sua mancanza di sonno, che rendeva il suo cervello reattivo quanto quello di un bradipo in letargo, ma la verità era che la foto di Alexander riempiva lo schermo al centro della sala e Magnus non poteva fare altro che rimanere ipnotizzato da quei lineamenti. Non mentiva quando diceva – a se stesso, ovviamente, non l’avrebbe mai detto ad alta voce – che era l’uomo più bello su cui i suoi occhi si fossero mai posati.
“Magnus?” lo chiamò Cat.
“S-sì, c-cosa?” rinsavì Magnus, portando di nuovo la sua attenzione su Catarina. Gli occhi nocciola di lei si illuminarono di una scintilla piena di consapevolezza, ma durò solo un attimo.
“Hai sentito ciò che ho detto?”
Magnus cercò di rimanere composto, sebbene, contro ogni razionalità, il suo cuore si fosse agitato alla vista di quella fotografia. “Certo. Alexander Lightwood, Stregone, quattrocento anni.”
“Ha una sorella, Isabelle, anche lei strega.” Continuò Catarina perché si era resa conto che Magnus si era perso metà delle cose che aveva detto, ma di certo non gliel’avrebbe fatto notare: sapeva come Magnus tendeva a chiudersi in se stesso, se si parlava di lui o delle sue emozioni. “I loro marchi da stregone non sono registrati e vivono a Brooklyn, insieme, ovviamente. Non si sono mai separati. Ogni stregone conosce i Lightwood e ogni Nascosto sa che possono essere tanto generosi quanto pericolosi, se provocati.”
“Quindi dobbiamo incontrare questo Alexander per avere i ricordi di Clary indietro?”
Catarina annuì.
“E sai, per caso, quanto vuole questo stregone per i suoi servigi?”
“Come sai che si fa pagare?”
“Non essere ingenua, Cat. Ogni stregone si fa pagare. Scopri qual è il suo prezzo, io vado ad informare Jace. Poi gli manderemo un messaggio di fuoco.”

Fu Jace a mandare il messaggio di fuoco allo stregone. Alexander non rispose immediatamente, ma dopo qualche ora rispose dicendo che erano convocati alla sua dimora quella sera stessa.
Evitate di portare il Clave, grazie. Quattro Shadowhunters sono più che sufficienti.
Era stata la frase con cui aveva concluso il suo messaggio e Magnus, se doveva essere onesto, l’aveva trovato un tantino offensivo. Il sarcasmo pungente di quell’uomo era inopportuno e lo faceva innervosire. Loro erano stati gentili e professionali, perché lui non poteva fare lo stesso?
Stregoni, valli a capire.
Magnus alzò gli occhi al cielo al pensiero di quel messaggio di fuoco – perché ci pensava tanto, poi? – e rimase in attesa, mentre Jace si preparava a bussare alla porta. Il biondo, con Clary al suo fianco, alzò un pugno a mezz’aria e lo batté ripetutamente fino a quando dall’altro capo della porta non risuonò una voce risentita.
“Credete che il fatto che abbia quattrocento anni mi abbia reso sordo???”
Magnus cercò di reprimere un brivido, udendo quella voce roca e profonda, ma non ci riuscì. Per questo motivo si diede dello stupido. Era così infantile il suo comportamento, per non dire quanto fosse poco professionale. Da quando si trovava ad esprimere giudizi positivi sulla voce delle persone con cui doveva negoziare? Era diventato idiota tutto d’un tratto?
Assolutamente…
“Una volta sarebbe stata sufficiente.”
…Sì. Sì era diventato idiota. Decisamente. Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, come mai le sue ginocchia, di norma molto stabili, stessero tremando come gelatina alla vista di quell’uomo stupendo che aveva appena aperto la porta. La foto non gli rendeva giustizia, pensò Magnus, in preda alla sua follia. Forse perché era in bianco e nero, forse perché era una foto che risaliva all’epoca in cui la macchina fotografica era stata inventata, ma niente avrebbe potuto competere con la realtà. Alexander era alto e slanciato, la sua fisicità era scolpita, senza esserlo esageratamente, e longilinea. Aveva i capelli neri, scompigliati in una maniera che doveva sembrare casuale, ma in realtà si notava che fosse stata fatta di proposito, per dare allo stregone un’aria più selvaggia, indomita. Indossava una camicia turchese di seta e un paio di pantaloni neri decisamente troppo aderenti. Magnus notò che il colore della camicia era ripreso dal colore dell’ombretto e prima di concentrarsi sul fatto se trovasse strano o meno che fosse truccato, realizzò che nessuna foto avrebbe reso giustizia alla sfumatura particolare che avevano i grandi occhi di quello stregone: un verde scuro che incontra un discreto nocciola, mischiandosi come se un pittore capriccioso avesse rovesciato appositamente la sua tavolozza di colori. Non erano definiti, era come guardare la terra che si fonde con pezzi di vetro colorato, erano un caos meraviglioso e… NO. Magnus non aveva mai amato il caos. Lui adorava l’ordine, il rigore, la razionalità, le regole. E nel caos non c’è spazio per nessuna di queste cose.
“Entrate, avanti.” Alexander si spostò di lato, un braccio ancora teso per invitare il gruppo a varcare la soglia. Fu quando Magnus entrò, per ultimo, che, con lo sguardo basso per evitare di incrociare ancora quegli occhi che lo confondevano, notò le sue mani. Alexander aveva delle mani bellissime, dalle dita lunghe e anellate. Sembravano le mani di un pianista. Per l’Angelo, c’era qualcosa in quell’uomo che non lo confondesse o gli facesse desiderare di toccarlo per vedere se fosse veramente reale e non un’allucinazione dovuta alla mancanza di sonno?
“Accomodatevi.”
Alexander li accompagnò nel salotto del suo loft e Magnus si trovò a pensare che quel posto, che profumava di incenso, rispecchiava la personalità di quell’eccentrico e affascinante – sul serio l’aveva pensato? – stregone. Era tutto un’esplosione di colori, espressione di quel caos che Magnus aveva percepito solo qualche istante prima e che lo terrorizzava, ma c’era anche dell’altro. C’era qualcosa nel modo in cui tutti quei colori erano toccati dal nero che faceva presupporre che ci fosse dell’altro, in Alexander, qualcosa che non si poteva cogliere tanto facilmente. Oppure, poteva essere solo una paranoia di Magnus e quei quadri astratti, dipinti con colori scuri, attaccati ai muri potevano essere semplicemente quadri. Solo arte, senza necessariamente avere un doppio significato.
“Allora,” cominciò Alexander, sedendosi sul divano e accavallando le gambe lunghe. “Cosa vi porta qui?”
Magnus perse momentaneamente la capacità di articolare una frase. Il modo aggraziato in cui si era seduto, la sicurezza che esprimeva pur essendo circondato da quattro cacciatori che non conosceva e che, per quanto poteva saperne lui,  altro non volevano che ingannarlo e ucciderlo; il modo sensuale che aveva di accavallare le gambe. Tutto in quell’uomo mandava Magnus in un piacevole stato confusionale, facendogli dimenticare la realtà e portando a galla quella parte di sé che aveva sempre soffocato, sempre tenuto sotto la sua maschera di soldato obbediente, e che, però, adesso urlava per venire allo scoperto. Quella parte di sé che desiderava sapere come fosse stare con un uomo. Era stato con delle ragazze e sapeva quanto gli piacesse, ma, dopo aver capito di provare attrazione anche per i maschi, aveva sempre desiderato scoprire com’era sentire le labbra di un ragazzo premute contro le proprie. O che effetto gli avrebbe fatto essere abbracciato da braccia maschili. Pensava che avrebbe dovuto reprimere quella parte di sé per tutta la sua vita, ma l’uomo che adesso aveva davanti risvegliava in lui tutte quelle sensazioni e quei desideri che si era impegnato ad assopire.
“Lo sai cosa ci porta qui, stregone. Ti abbiamo mandato un messaggio di fuoco.” Disse Jace sulla difensiva. Lo stregone non apprezzò particolarmente il suo tono perché i suoi lineamenti si indurirono e i suoi occhi brillarono di una sfumatura giallognola, che tagliò le sue iridi come un fulmine per una frazione di secondo.
Magnus temette che l’insolenza di Jace avrebbe mandato in fumo i loro piani e, siccome l’ultima cosa di cui aveva bisogno era aggiungere un altro insuccesso alla lista di quelli che lo tenevano sveglio di notte, decise di prendere parola.
“Quello che Jace vuole dire, Alexander, è che abbiamo spiegato i motivi per cui volevamo incontrarti e pensavamo tu li avessi letti.”
Gli occhi dello stregone lasciarono Jace per catturare quelli di Magnus. Successe tutto così in fretta che Magnus si sentì soffocare: non credeva nemmeno che cose del genere fossero possibili. Pensava che ciò che viene definito colpo di fulmine fosse una sciocca storiella che si raccontano i Mondani per giustificare le loro stupide azioni dovute dall’incoscienza del momento e di cui poi si pentono. Tipo i matrimoni a Las Vegas. Ma quando i loro sguardi si incrociarono, capì che era stato fulminato. Niente era meglio di essere guardato da quegli occhi così belli, niente era meglio che avere un po’ della loro attenzione tutta per sé.
“E tu chi sei?” chiese incuriosito lo stregone, voltando leggermente la testa di lato. Magnus deglutì, sentendo le guance andare in fiamme.
“M-Magnus. Magnus Bane.”
Alexander sorrise e Magnus sentì la spina dorsale sciogliersi, accartocciandosi su stessa come una struttura di carta che viene bruciata lentamente. Quel sorriso era davvero la cosa più bella che Magnus avesse mai visto. Illuminava il viso dello stregone, accendendogli anche gli occhi, intorno ai quali si formavano delle rughe di espressione che lo rendevano, paradossalmente, più giovane di quanto non fosse. Sembrava bloccato eternamente nei vent’anni, o poco più, e i suoi lineamenti decisi, ma gioviali, venivano abbelliti maggiormente, quando sorrideva. Magnus si dimenticò di respirare.
“Alexander Lightwood,” disse alzandosi dal divano per raggiungere il gruppo. Si fece strada tra di loro per arrivare a Magnus, che era rimasto dietro Jace, Clary e Cat. I tre lo lasciarono passare e Magnus, rimanendo immobile, alzò leggermente il viso per riuscire a guardare Alexander negli occhi. “Ma puoi chiamarmi Alec.” soffiò, come se fosse una confidenza riservata solo a lui. Magnus deglutì rumorosamente, non sapendo che altro dire. Anche perché l’unica cosa che avrebbe voluto dirgli era: perché? Perché dovrei mai spezzare un nome tanto bello, riducendo la sua magnificenza ad un misero soprannome?
Ma, ovviamente, non disse nessuna di queste cose. “C-come preferisci, Alec.”
Lo stregone sorrise, solo per Magnus, e poi si voltò verso il resto del gruppo. “Allora, ripetetemi perché siete qui, shadowhunters.”
“Ci servono i ricordi di Clary.” Cominciò Jace.
“Esatto. So che conosci mia madre e so anche che lei ti ha chiesto di togliermi i ricordi. Vorrei riaverli indietro.”
Alexander si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti, in un movimento lento che, inspiegabilmente, fece impazzire il cuore di Magnus. “Peccato non li abbia io.”
“Che cosa?” strillò Clary, sull’orlo dell’isteria.
“Calmati, biscottino. Non significa che non sappia come riprenderli.”
“Cosa dobbiamo fare?” gli domandò cauta Catarina.
Alexander guardò il gruppo uno ad uno, soffermandosi un po’ di più su Magnus. Lo percorse interamente con lo sguardo, seguendo ogni centimetro del suo corpo, poi tornò a prestare attenzione agli altri. “Evocare il demone a cui li ho affidati. Vorrà qualcosa in cambio. I demoni sono tremendamente avidi, ma ho dovuto farlo, capite? Se Valentine avesse saputo cosa custodivo mi avrebbe ucciso.”
Il gruppo annuì.
“Facciamolo.” Disse Clary.
“Sei sicura?”
“Farei di tutto per salvare mia madre.”
“D’accordo, biscottino.” Alexander fece spallucce. “Bel ragazzo, prepara la tua squadra.”
Jace si incamminò fuori dal gruppo. “So cosa devo fa-” Ma Alexander lo bloccò prima che riuscisse a completare la frase e lo spinse all’indietro. “Non stavo parlando con te.” Disse , il viso contorto in una smorfia oltraggiata, quasi disgustata. “Stavo parlando con te.” E indicò Magnus.
Magnus.
Nemmeno lui riusciva a crederci. Nessuno preferiva lui a Jace. Mai, in nessuna occasione. E invece quello stregone stava puntando il dito su Magnus. Il nephilim deglutì a vuoto, la gola secca e le guance che stavano andando in fiamme. “I-io… v-va bene.”
“Perfetto.” Alexander gli fece l’occhiolino. “Tu prepara la tua squadra, io preparo la mia.”

Isabelle Lightwood era una bellezza letale. Magnus se ne accorse non appena mise piede nel loft che divideva con suo fratello. Si assomigliavano tantissimo: gli stessi capelli neri, la stessa sicurezza, la stessa irreale bellezza. Lei era molto più bassa di lui, nonostante portasse tacchi altissimi  sui quali camminava con la stessa agilità con cui i comuni mortali camminano sulle Converse.
“Dobbiamo evocare un demone.” Disse Isabelle, un curatissimo sopracciglio alzato con scetticismo, mentre guardava il fratello. Alexander, invece, stava esaminando il pentacolo che Clary stava disegnando con il gesso in una stanza del loft.
“Te l’ho già spiegato, tesoro. Sei diventata sorda?” Lo stregone non alzò lo sguardo sulla sorella, ma il suo tono di voce era leggero e per nulla derisorio. Magnus si chiese quanto profondo potesse diventare il legame tra due fratelli destinati a condividere l’eternità, mentre imparano – dolorosamente – cosa significhi guardare le persone che amano andarsene, anno dopo anno, come una crudele vendetta del tempo, raggirato  dalla loro natura immortale. Nessuno si salva dall’inevitabile, tranne loro due. Quanto possono imparare ad amarsi due persone che hanno questa consapevolezza? Quanto può diventare forte il legame che li unisce?
“Certo che no. Ma, magari, tu ti sei rincitrullito, visto che puoi benissimo evocare un demone da solo. Sei il Sommo Stregone, fratello.”
Solo allora Alexander alzò lo sguardo sulla sorella, aprendosi in un sorriso malandrino. “Solo perché sono più grande di te, altrimenti non avrebbero mai potuto prendere una decisione tra noi due.”
Avrebbero, chi?” domandò Magnus, maledicendosi immediatamente per non aver tenuto la bocca chiusa. Infatti, entrambi i fratelli voltarono lo sguardo su di lui. Si sentì il viso andare in fiamme e ringraziò mentalmente Catarina che si mise immediatamente al suo fianco, come se non volesse farlo sentire solo, sotto gli sguardi scrutatori dei due fratelli.
“I membri della comunità degli Stregoni, sciocchino. Cosa credi, che siamo un branco di anarchici che si prende i titoli che più ci aggradano senza avere un consulto dai vertici?”
Magnus si sentì improvvisamente uno stupido. Dove diamine era finita tutta la sua compostezza? Voleva sotterrarsi. “N-no, io non credo che-”
“Abbiamo delle regole, bel faccino.” Continuò Alec, interrompendolo e avvicinandosi – di nuovo – a lui. Seriamente, Magnus riusciva a sentire il respiro dello stregone su di sé. E non era del tutto sicuro che lo trovasse spiacevole. Anzi, era piuttosto sicuro che gli piacesse.
Houston, abbiamo un problema. Doveva andarsene da quel loft il più in fretta possibile o avrebbe rischiato l’autocombustione.
“Delle regole,” riprese lo stregone, fissando gli occhi sulle labbra di Magnus e leccandosi le proprie, “Che adoro infrangere.”
“Alec!” lo rimproverò bonariamente Isabelle. “Concentrati.”
Magnus si era persino dimenticato di lei, Catarina e Jace e Clary che stavano ritoccando il pentacolo. Si era dimenticato del mondo, delle battaglie, del Clave, di ogni cosa non fosse quel ragazzo che lo accendeva in un modo pericoloso e gli faceva desiderare cose che si era proibito e negato da sempre.
Alec alzò gli occhi dalla bocca di Magnus solo per rotearli al cielo. “Sei una tale guastafeste, Izzy.”
“A te questa sembra una festa?” sibilò Jace e Alec gli rivolse un’occhiata truce.
“Rilassati, Action Man. Riusciremo a recuperare i ricordi della tua bella.”
Jace e Clary fecero per ribattere a quell’affermazione, ma nessuno dei presenti seppe mai cosa volessero dire perché Alexander li interruppe con un gesto stizzito della mano e ordinò ai presenti di mettersi intorno al pentacolo, coprendo una punta ciascuno.

La presenza di Isabelle risultò meramente formale, all’inizio. Alexander fu in grado di gestire il rito totalmente da solo. Infatti, dopo aver dato istruzione di sistemarsi ognuno in una punta del pentacolo, lo stregone cominciò a pronunciare parole in latino, la formula specifica per evocare il demone. Alec era stato in grado di intrappolarlo senza troppa difficoltà e aveva detto che il demone aveva chiesto come pagamento un ricordo, riguardante la persona che più amavano, di ognuno di loro. Alexander fu il primo: il demone si prese un ricordo di Isabelle bambina che sorrideva felice – chissà per cosa, si domandò Magnus. Successivamente, Clary fu privata di un ricordo di sua madre, mentre Magnus dovette rinunciare al ricordo della prima caccia andata a buon fine insieme a Cat e Jace.
Catarina e Jace, infine, rinunciarono ad un ricordo legato a Magnus.
Una volta ottenuto il pagamento, una forte luce bianca fuoriuscì dal fumo nero emesso dal demone e Alec, solo a quel punto, chiese l’intervento della sorella.
“Izzy!” esclamò per sovrastare il caos che il demone stava provocando, alzando un vento che fischiava rimbalzando tra le pareti. “Prendi i ricordi, io lo riporto all’Inferno!”
Successe in un attimo: lampi di energia rossa e blu si fusero tra di loro e Magnus impiegò qualche istante a notare che la magia rossa veniva da Isabelle, che stava rinchiudendo i ricordi in una boccetta, mentre la magia blu, sprigionata in maggior quantità, veniva da Alexander. Lo stregone cominciò a pronunciare un altro incantesimo, mentre agitava le braccia per contenere la presenza demoniaca, che dopo qualche istante sparì nel nulla, tornando da dove era venuta. Alexander, dopo essersi accertato che non c’era più traccia del demone, si lasciò andare, barcollando un poco. Isabelle fu al suo fianco in un attimo e gli circondò la vita con un braccio.
“Sto bene, Iz.” La rassicurò lui, sorridendole. Magnus sapeva quanto facile fosse per gli stregoni diventare deboli, dopo incantesimi potenti. L’incantesimo lanciato da Isabelle era molto più leggero di quello di Alec e Magnus si chiese se lo stregone non l’avesse fatto di proposito, se quello non fosse un modo per tutelare la sorella, per evitare che si indebolisse. Sentì una strana sensazione di calore al petto, qualcosa di puramente istintivo. Alec stava proteggendo sua sorella, facendo in modo che, se eventualmente avessero subito un attacco, lei avrebbe avuto tutte le forze necessarie per tenersi al sicuro. E forse fu per l’atto di altruismo che credette di vedere in quel gesto, o forse perché era totalmente e irrimediabilmente scombussolato, ma si avvicinò ai due fratelli e attese che lo notassero. Isabelle fu la prima ad alzare i suoi occhi, neri come la notte, su di lui, incuriosita dalla sua presenza, ma comunque sulla difensiva. Magnus le accennò un sorriso per cercare di tranquillizzarla.
“Voglio solo che prenda un po’ della mia energia.”
Gli occhi sorpresi di Alec schizzarono su di lui alla velocità della luce, quasi come se non credesse a quelle parole e volesse avere la certezza che fossero state effettivamente pronunciate da una persona reale. “Perché?”
“Perché so che ti serve. Ti riprenderai un po’ più in fretta.”
Alexander titubò e Magnus si stupì di vedere la sua sicurezza vacillare per un attimo. “Sei sicuro?”
“Non te l’avrei proposto, altrimenti.” Magnus allungò una mano tremante, vagamente consapevole delle tre paia di occhi alle sue spalle che gli stavano trafiggendo la schiena. Chissà se avevano capito perché era così disponibile con un estraneo. E chissà cosa potevano pensare di lui. Decise di ignorare quegli interrogativi. Gli importava davvero che Alexander si riprendesse e non solo perché si sentiva irrazionalmente attratto da lui, ma anche perché era stato disponibile e li aveva aiutati a fare qualcosa di importante.
Alec afferrò la mano di Magnus e quando le loro pelli entrarono in contatto, entrambi sobbalzarono, come se i loro corpi fossero stati percorsi da una forte scossa elettrica. Si guardarono per un attimo che durò un’eternità, facendo scomparire tutti i presenti. Quando Alec chiuse gli occhi, Magnus sentì un profondo senso di assenza pervadergli le membra.
“Grazie, Magnus.” Disse, riaprendo gli occhi e sorridendo al nephilim. “Sto molto meglio.”
Magnus ricambiò il sorriso, timidamente, cercando di non prestare attenzione al modo che aveva Alec di pronunciare il suo nome: il modo in cui apriva la a, calcava la g e faceva suonare musicale la s. “Non c’è di che.”
Si guardarono, di nuovo, ancora senza dire una parola. Intrappolati dentro a quella bolla che sembrava si stesse formando intorno alle loro persone. Una specie di dimensione tutta loro.
“Bene, se qui abbiamo finito, noi dovremmo andare.”
“Non così in fretta, biondino.” Disse Alec, senza distogliere lo sguardo da Magnus. Lo shadowhunter, dal canto suo, non riusciva a lasciare quelle iridi bellissime. Era come se fosse intrappolato in un incantesimo che non avrebbe mai voluto spezzare. Non voleva tornare alla realtà, dove era costretto a nascondersi per evitare di farsi piovere addosso tutti i pregiudizi del Clave; voleva rimanere in quel loft, dove un perfetto sconosciuto lo faceva sentire a suo agio come poche persone avevano mai fatto. Non c’era niente di razionale, in tutto questo e Magnus ne era tanto spaventato quanto attratto. “Dobbiamo ancora parlare del mio pagamento.”
“Hai preso l’energia di Magnus, mi sembra un pagamento più che sufficiente.”
Solo allora Alec lasciò il viso di Magnus per guardare Jace. “Ti hanno mai detto che sei insopportabilmente arrogante, Barbie?”
Jace serrò la mascella, visibilmente irritato. “Attento, stregone.”
“O cosa? Mi uccidi? Provaci, vediamo come va a finire.” Le spalle di Alec si tesero – tutto il suo corpo lo fece, gradualmente, come se si stesse preparando a combattere. Magnus notò ancora quel lampo giallognolo attraversare le sue iridi, come se qualcosa, nel fondo dei suoi occhi, stesse spingendo per venire fuori e Alec, invece, si impegnasse a ingabbiarla.
“Basta così, Jace.” Intervenne, quindi, volendo evitare che si arrivasse alle mani. “Non ha chiesto niente,  io gli ho dato la mia energia.”
“Già,” ribatté il biondo, “Vorrei proprio sapere cosa ti è passato per la testa.”
“Forse una cosa chiamata altruismo.” Intervenne Isabelle, sulla difensiva e in modalità protettiva. “Sai cos’è?”
“Molto più di quanto tu possa immaginare, strega.”
“Jace!” sibilò Catarina al suo fianco. “Si può sapere che ti prende? Abbiamo i ricordi di Clary, perché ti comporti così?”
Jace strinse i denti, ma i suoi lineamenti si rilassarono subito dopo. “Hai ragione. Avevamo un accordo. Dobbiamo rispettare la nostra parte: cosa vuoi?”
Alec si voltò verso la sorella, che consegnò la boccetta di vetro piena dei ricordi a Clary, la quale la afferrò come se avesse paura di romperla e ringraziò Isabelle.
“Quando sarai pronta,” cominciò Alec. “Bevila. I ricordi torneranno gradualmente a galla e recupererai la memoria persa.” Poi si voltò verso Jace. “Per rispondere alla tua domanda, invece: voglio Magnus per un’ora.”
“COSA?” strillarono i tre cacciatori. Anche Magnus l’avrebbe fatto, se non fosse stato troppo impegnato ad arrossire e ad andare nel panico. Perché mai Alexander avrebbe dovuto voler passare del tempo insieme a lui e, soprattutto, come aveva intenzione di impiegarlo quel tempo? Improvvisamente, sentì l’impulso di vomitare – ma si trattenne, perché era uno shadowhunter e sapeva gestire certe situazioni. Doveva comportarsi in modo distaccato, non lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento e lo deragliassero fuori strada. Era un’ora soltanto, dopotutto, che male avrebbe potuto fargli?
“D’accordo.” disse quindi, lasciando di stucco i suoi compagni di battaglia, mentre sul viso dello stregone compariva un sorriso vittorioso.
“Magnus…” cominciò Catarina, un velo di preoccupazione corrodeva la sua voce. “Sei sicuro?”
“Non può mica rapirmi, Cat.” La rassicurò lui, abbracciandola. Catarina ricambiò stringendolo forte.
“Va bene.” Acconsentì, ma poi si rivolse ad Alec. “Fagli del male e dovrai vedertela con me.”
Alec, a differenza di quanto si sarebbe aspettato Magnus, le sorrise con ammirazione, come se rispettasse quel sentimento di protezione che legava Magnus e Catarina, disposti a dare la vita uno per l’altra. “È l’ultima cosa che voglio fare, credimi.”
Catarina annuì e poi guidò il gruppo fuori dal loft, dopo aver lanciato un’ultima occhiata a Magnus, che la rassicurò con un cenno del capo.
Era rimasto solo con i due fratelli e non era sicuro, adesso, di non sentirsi a disagio. Non era sicuro che quell’ora sarebbe passata tanto in fretta come aveva ipotizzato.
“La tua fidanzata è molto protettiva.” La buttò li Alec, facendo sorridere Isabelle. Se Magnus non fosse stato tanto ingenuo, avrebbe capito, così come aveva capito Isabelle, che quello era un tentativo di Alec per tastare il terreno.
Ma Magnus era ingenuo, di conseguenza si limitò a guardarlo con le sopracciglia aggrottate, come se avesse appena detto un’assurdità. “Cat non è la mia fidanzata.”
“Ah no?”
“No! Siamo parabatai!”
Alec sorrise abbastanza soddisfatto. “Quindi niente fidanzata?”
Isabelle scosse la testa. “Sapete che vi dico? Devo assolutamente uscire. È stato un piacere, Magnus!” si incamminò verso l’uscita del loft e Magnus, improvvisamente, sentì il panico infiltrarsi di nuovo sotto la sua pelle al pensiero di rimanere completamente solo con Alec, che mandava in tilt ogni centimetro del suo cervello.
Con gli occhi ancora fissi sulla porta che Isabelle si era appena chiusa alle spalle, Magnus sobbalzò leggermente quando Alec gli chiese: “Allora?”
“Cosa?”
Lo stregone sorrise, intenerito. “Niente fidanzata?”
“No.” rispose secco Magnus, improvvisamente a disagio.
“Un fidanzato?”
“No!” Magnus arrossì, la voce si fece più alta del necessario mentre rispondeva.
“Ho toccato un tasto dolente?”
“Non so di cosa parli.” Testardamente, tenne gli occhi puntati sui suoi piedi, mentre avvertiva la presenza di Alexander davanti a sé, percependo i suoi occhi fissi sul suo viso. Non avrebbe ricambiato quello sguardo, non adesso che si sentiva così vulnerabile. Sebbene sentisse un’inspiegabile connessione con lui, fidarsi era fuori questione. Non poteva permettere che nessuno scoprisse la verità.
“Lo saprai.” Disse Alec, comprensivo. “Vuoi da bere?” gli domandò poi, cambiando argomento in favore di qualcosa di più leggero. Magnus alzò lo sguardo solo quando percepì Alexander muoversi, incamminandosi verso il salotto. Lo seguì rimanendo a debita distanza dietro di lui e si fermò quando anche lo stregone si fermò davanti ad un tavolo degli alcolici. Alexander fece per prendere due bicchieri, ma Magnus lo fermò.
“Non per me, grazie.”
Alec allora ne sollevò solo uno e con un movimento fluido del polso, riempì il bicchiere di un liquido ambrato. Magnus rimase incantato da quel gesto, dai piccoli lampi azzurri di magia che uscirono dalle sue dita.
“Niente alcol all’Istituto?”
“Vietato, assolutamente.”
“Allora lascia che sia il tuo Al Capone, nel tuo mondo pieno di Eliot Ness.”
Magnus, nonostante se stesso e lo stomaco chiuso in una morsa ferrea di paranoia, si trovò a sorridere, alzando solo un angolo della bocca. “Sono piuttosto sicuro che Al Capone fosse un delinquente. Non so quanto possa essere un buon esempio da seguire.”
Alec bevve un sorso del suo drink e sorrise. “Era un delinquente.” Confermò. “Il peggiore. Ma era l’unico che aveva l’alcol, negli anni ’30. Capisci che sono dovuto scendere a compromessi per riuscire a bere un po’.”
“Potevi evitare di bere i suoi liquori.”
“Non dire sciocchezze, zuccherino. Era un’epoca terribilmente difficile, per la mia gente. Avevamo bisogno di qualcosa che ci tirasse su il morale.”
“Ma lui era… malvagio.”
“Lo so. Credi davvero che Eliot Ness abbia trovato i documenti che testimoniavano l’evasione fiscale tutto da solo?”
Magnus spalancò gli occhi per lo stupore. “Sei stato tu?”
“E chi altri, sennò?” Alexander sorrise malandrino e bevve un altro sorso del liquore contenuto nel suo bicchiere. Rimasero circondati da un piacevole silenzio per un po’, Magnus sentiva lentamente il disagio abbandonare il suo corpo, rilassandosi sempre di più.
“Perché era un periodo difficile?” domandò, ripensando alle parole dello stregone.
Lo sguardo di Alec si incupì. “Lo è stato e basta. Non parliamo di cose spiacevoli. Parliamo di cose interessanti: cosa mi dici di te?”
Magnus arrossì lievemente. “N-niente, non c’è niente da dire di me.”
“Andiamo, bonbon. Dimmi la prima cosa di te che ti viene in mente.”
“Non mi piacciono i nomignoli.” La buttò lì, pentendosi quasi subito. Temeva di essere stato troppo diretto e scortese, ma Alec sembrò non scomporsi più di tanto, dopo quella confessione.
“Nessuno nessuno?”
“No.”
“Allora smetterò. Non voglio metterti a disagio.” Gli sorrise e Magnus sentì le ginocchia tornare di gelatina. Accidenti, quella sensazione di attrazione nei suoi confronti diventava sempre più forte. Si sentiva come una calamita che cerca di combattere il campo magnetico da cui è inevitabilmente attratta. Per quanto possa combattere, sarà sempre destinata a finirci contro.
“E tu?” domandò preso da chissà quale intraprendenza. “Qual è la prima cosa di te che ti viene in mente?”
“Mi piace la pizza.” Rispose lo stregone di getto, finendo il suo drink. “Ma non quella con l’ananas. La pizza con l’ananas è il male.”
Magnus sorrise di nuovo, accennando addirittura ad una risata. Alec fu piuttosto compiaciuto di essere la causa di quel suono tanto soave.
“Vuoi dirmi che ti piace?” continuò, quindi, mentre Magnus continuava a ridere.
“No,” disse il nephilim, “Odio la pizza con l’ananas.”
“Direi che andremo perfettamente d’accordo, noi due.” Alec gli fece l’occhiolino e Magnus arrossì. “A proposito, hai cenato?”
Magnus si rese conto che no, non aveva ancora cenato. Era stato troppo impegnato a concentrarsi per prepararsi alla missione. “A dire la verità, no.”
“Vuoi mangiare? Niente ananas, prometto!” Alec si mise una mano anellata sul cuore, come a mimare un giuramento.
“S-si, va bene… se va bene anche a te.”
“Certo che mi va bene, Magnus. Altrimenti non te l’avrei chiesto.”
Ancora, il nephilim perse un battito nell’udire lo stregone pronunciare il suo nome, ma si disse che andava bene così. Non si era mai sentito più vivo in tutta la sua vita.

Mangiarono hamburger e patatine fritte seduti sul pavimento del salotto, coperto di una quantità incalcolabile di cuscini. Per Magnus era l’anarchia: non aveva mai mangiato seduto per terra e non si abbuffava così da mesi. Le cene, all’Istituto, erano calcolate affinché ci fosse la giusta dose di proteine e un’equilibrata quantità di carboidrati. Non certo permettevano cibi grassi e unti. Nonostante questo, Magnus non si era mai divertito tanto. Mangiare per terra a gambe incrociate era stata un’idea di Alec per fare in modo che riuscissero a guardare anche la televisione. Magnus aveva scoperto più tv spazzatura in quell’ora passata a mangiare vicino allo stregone che in vent’anni di vita. Ma, ancora, trovava il tutto estremamente piacevole. Era divertente sentire i commenti di Alec, seguiti dalle sue risate a cui Magnus, inevitabilmente, si trovava ad unirsi perché erano estremamente contagiose. Parlarono di qualsiasi cosa passasse per le loro teste, fosse essa legata al programma che stavano guardando o meno. Era divertente. Magnus riusciva ad essere se stesso con una facilità disarmante. Ed era tanto liberatorio quanto appagante. Così appagante che, quando si rese conto che l’ora che Alexander aveva richiesto come pagamento era finita, gli dispiacque farglielo notare.
“L’ora è finita.” Disse ad occhi bassi, afferrando l’ultima patatina e cominciando a mordicchiarla nervosamente. Cosa sperava? Che gli chiedesse di rimanere? Che continuasse a parlare con lui come se fossero vecchi amici e si conoscessero da sempre? O forse sperava che la connessione viscerale che sentiva con quello stregone fosse ricambiata?
“Vuoi andartene?”
Magnus si voltò verso lo stregone al suo fianco. Voleva andarsene? Voleva tornare in un posto dove nessuno lo capiva? Dove si sentiva a disagio, nonostante fosse il luogo in cui era cresciuto?
“No.”
Alec sorrise compiaciuto. “Speravo lo dicessi.” Successivamente, fece comparire due piccoli bicchieri pieni di un liquido trasparente. Ne porse uno a Magnus, che inizialmente lo guardò con sospetto, ma poi decise di afferrarlo.
“Perché?” gli chiese con un filo di voce, timoroso di chiedere troppo.
“Per lo stesso motivo per cui tu vuoi rimanere.”
“Non capisco.” Ed era vero. Era abbastanza chiaro il motivo per cui Magnus volesse rimanere: Alexander era bellissimo, pieno di fascino e carisma, sapeva parlare con le persone e aveva pazienza anche con uno come Magnus, che era chiuso e schivo per natura. Ma perché Alexander avrebbe dovuto volere che rimanesse?
“Vuoi dire che non rimani perché sei attratto da me? Perché io sono attratto da te. Tremendamente.
Magnus si strozzò con la sua stessa saliva, mentre le guance si coloravano di un intenso cremisi. “I-io…i-io…” balbettò, in preda al panico, dandosi dell’imbranato. “Te l’hanno mai detto che sei terribilmente-”
“Irresistibile?”
“Sfacciato.” Si riprese Magnus, sviando la precedente domanda. “Stavo per dire sfacciato.”
Alexander rise, tirando indietro la testa, appoggiandola al divano alle loro spalle. Rimanendo in quella posizione, voltò il viso verso Magnus al suo fianco. “Me l’hanno detto, sì. Mi hanno chiamato in un sacco di modi, in realtà.”
“Davvero?”
Alec annuì. “Alcuni erano molto peggio di sfacciato, credimi.”
Magnus si sistemò sul posto, rannicchiandosi come se non volesse occupare troppo spazio. Cosa celava quell’uomo? Che esperienze poteva aver vissuto nei suoi quattrocento anni sul pianeta?
“E come hai fatto?”
Alec lo guardò dal basso verso l’alto. “A fare cosa?”
“A sopportare tutti quei nomi.”
“Non l’ho fatto, all’inizio. Sono un mezzo demone gay, Magnus. Pensi che si siano mai risparmiati?” un lampo di tristezza mista a rabbia attraversò il suo viso e Magnus provò l’impulso di abbracciarlo, ma si trattenne. “I Nephilim mi odiavano per la mia natura demoniaca, i Mondani mi odiavano perché mi piacciono gli uomini. Era un incubo.” Si morse il labbro inferiore con forza. “Abominio. Ibrido. Depravato.” Sbuffò una risata amara e bevve d’un sorso il liquore contenuto nel piccolo bicchiere. “Come vedi, sono parole decisamente più pesanti di sfacciato. Con il tempo, comunque, ho imparato a farmi scivolare tutto addosso.”
Magnus si sentì in colpa per quello che aveva detto. “Scusami, non avrei dovuto chiamarti in quel modo.”
Alec gli sorrise con dolcezza. “Non scusarti. Non mi hai ferito.”
“Ma altri Nephilim sì, quindi accetta le mie scuse, d’accordo?”
Alexander lo guardò in un modo che Magnus non seppe interpretare. Se solo avesse saputo leggere tra le righe, avrebbe capito che lo stava guardando come si guardano le cose speciali, rare. Lo stregone, che da tempo era convinto che niente l’avrebbe più stupito, o incuriosito, o attratto, dovette smentirsi davanti a quello shadowhunter che era diverso da qualsiasi cacciatore avesse mai conosciuto. Era gentile, puro e aveva un cuore buono.
“Scuse accettate, ma non perché tu hai fatto qualcosa di sbagliato. Voglio ti sia chiaro, Magnus.”
“Lo so. Ma mi fa stare meglio chiederti scusa a nome loro. Non… non avevano il diritto di chiamarti così. Non hai scelto tu di nascere in questo modo. Non hanno il diritto di catalogarti come malvagio, o ricoprirti di antiquati pregiudizi, senza andare oltre alla superficie.”
Alec alzò un sopracciglio. “Stiamo ancora solo parlando di me, Magnus?”
Il nephilim sospirò. Non aveva più senso nascondersi, non dopo quello che Alexander gli aveva detto: erano cose personali e si era fidato abbastanza da confidarsi con lui, quindi era giusto che facesse lo stesso. E poi, voleva farlo. Sentiva la necessità di aprirsi emotivamente con quell’uomo, con cui gli veniva facile mostrarsi per quello che era.
“Forse no. Forse vorrei che qualcuno lo dicesse a me. Vorrei che qualcuno mi guardasse negli occhi e mi dicesse Ehi, va bene essere bisessuale. Non preoccuparti, non cambieremo il nostro giudizio su di te!
Alexander gli si avvicinò, azzerando la distanza che c’era tra di loro e, dopo aver appoggiato il bicchierino vuoto sul pavimento, prese il viso di Magnus tra le mani e guardandolo intensamente negli occhi, gli disse: “Va bene essere bisessuale. Non cambierò il mio giudizio su di te. Niente mi farebbe cambiare giudizio su di te, in realtà. Sei totalmente diverso dagli shadowhunter che ho conosciuto, credimi ho vissuto abbastanza per capirlo, e dovrebbero prendere esempio da te.”
Magnus si chiese se Alec potesse avvertire, tramite le sue mani appoggiate al viso, il calore sprigionato dalle sue guance. Era la cosa più dolce e sincera che qualcuno gli avesse mai detto e davvero non si spiegava come altri nephilim avessero potuto essere così crudeli con qualcuno di così buono. “Grazie.” Gli sorrise timidamente, mentre le sue mani, senza che se ne rendesse conto, andavano ad appoggiarsi ai polsi di Alec. La sua pelle era liscia e calda e gli trasmetteva sicurezza. Tutto in Alec gli trasmetteva un forte senso di sicurezza, di protezione. E gli piaceva. Gli piaceva sentirsi al sicuro.
“Non ringraziarmi. È la verità.”
Magnus sorrise e abbassò lo sguardo, improvvisamente incapace di reggere tante emozioni. Per uno che era stato abituato a reprimerle fin dalla tenera età, era come cercare di intrappolare un uragano dentro ad una bottiglia di vetro. Impossibile.
“Comunque, sì. Ho deciso di rimanere per il tuo stesso motivo.” Non sapeva perché glielo stesse dicendo, o dove avesse trovato il coraggio di essere così diretto, sapeva solo che quella era la sua serata e l’avrebbe passata nel modo che lo rendeva più felice possibile. E siccome Alexander lo rendeva felice, aveva deciso di essere sincero come lo era lui. Non era necessario che si nascondesse o che camminasse in punta di piedi per non farsi vedere perché, in ogni caso, Alexander non l’avrebbe giudicato. Era una sensazione bellissima. Alec era una persona bellissima.
“Questo non può che farmi piacere.”
Magnus si rigirò il bicchiere ancora pieno tra le mani e, sentendo la necessità di fare qualcosa per combattere quella sensazione di crescente imbarazzo che quella confessione gli aveva provocato – perché nonostante le sue buone intenzioni, rimaneva pur sempre irrimediabilmente timido –, lo ingurgitò come aveva fatto Alec. Non si sarebbe mai immaginato di sentire un tale bruciore infiammargli la gola. Il suo viso si contorse in una smorfia insofferente.
“Cos’è?” Tossì, mentre la sua trachea continuava andare a fuoco.
“Sambuca.” Ridacchiò Alec, trovando la reazione di Magnus tremendamente tenera. “Dovevi andarci piano. Se non sei abituato a bere, è forte.”
“Non potevi dirmelo prima?”
“Non sapevo che confessare di provare interesse per qualcuno ti avrebbe spinto a bere, tesoro.”
“Alexander,” lo guardò Magnus, serio. “I nomignoli.”
“Oh giusto, scusami.” Alec gli si avvicinò, nello stesso modo in cui aveva fatto prima di evocare il demone. Erano molto, molto vicini. “Se ti può fare stare meglio, ti confesserò anche io una cosa.” I suoi occhi vagarono sul viso di Magnus, il quale si trovò a deglutire a vuoto.
“Mi piace tantissimo come pronunci il mio nome. Nessuno mi chiama più Alexander e tu lo fai in un modo che mi fa uscire di testa.”
Aria. Magnus aveva un disperato bisogno di aria. Il suo cervello era andato nuovamente in tilt. Tutto in Alexander gli faceva quell’effetto: la sua voce roca, i suoi occhi espressivi, il suo profumo al sandalo. Era la materializzazione fisica di tutti i suoi desideri, di tutto ciò che trovava bello. E dal momento che il suo cervello era fuori uso e altro non riusciva a fare se non ascoltare il suo cuore martellare sempre più forte, come se volesse spingerlo sempre di più vicino ad Alexander, Magnus gli diede retta. Ascoltò il suo cuore testardo e azzerò la distanza che c’era tra lui e Alec, appoggiando le proprie labbra a quelle dello stregone. Non aveva mai baciato un maschio, ma aveva già baciato qualche ragazza, quindi si disse che non doveva essere tanto diverso.
Si sbagliava. Per l’Angelo, se si sbagliava. Quando Alexander rispose al suo bacio, chiedendogli gentilmente il silenzioso permesso di far entrare la lingua nella sua bocca, Magnus ebbe l’impressione di scoprire veramente cosa fosse un bacio. Non era solo qualcosa di fisico, non erano solo le loro bocche che si univano e le loro lingue che si intrecciavano, seguendo i passi di una danza che solo loro conoscevano, no. Era qualcosa che andava oltre tutto questo. Era emozione allo stato puro, una forza che lo infervorava, che accendeva ogni centimetro del suo corpo e gli faceva battere il cuore in una maniera frenetica, impazzita. Era come imparare a respirare correttamente dopo anni passati a farlo in modo sbagliato. Baciare Alexander era come baciare l’energia che alimenta la vita stessa. D’istinto, allacciò le proprie mani dietro alla nuca dello stregone, mentre Alexander fece vagare le sue mani fino alla schiena di Magnus per tirarlo a sé e far aderire completamente i loro corpi. Erano le due metà della mela che si completano dopo essersi cercate per tanto tempo. Si dice che i Nephilim si innamorino una volta sola, nella vita; che quando lo fanno è per sempre. E adesso, Magnus un po’ capiva. Il suo cuore stesso glielo stava gridando: potrebbe essere lui, l’unico e il solo, la persona di cui potresti innamorarti per tutta la tua vita. Potrebbe essere lui, l’uomo a cui donerai non solo il tuo cuore, ma anche te stesso, ogni parte di te.
“Ho desiderato farlo da quando hai messo piede qui dentro.” Gli disse Alexander, la fronte appoggiata alla sua.
Magnus, le guance arrossate e il cuore che non accennava a calmarsi, sorrise. “Mi fai un’altra confessione per ricevere un altro bacio?”
Alexander scoppiò in una risata che contagiò anche Magnus. “No, ma se vuoi ripetere non sarò certo io a fermarti.”
Magnus gli lasciò un bacio a stampo. I due rimasero a guardarsi per un lungo attimo, rifugiandosi nuovamente in quella bolla che sembrava volesse isolarli dal mondo esterno e mostrargliene uno dove esistevano solo loro due.
“Esci con me.” ruppe il silenzio Alec. “Un appuntamento. Uno vero.”
Magnus non riuscì ad evitare di aprirsi in un sorriso. “Mi piacerebbe molto.”
“Perfetto.” Alexander lo baciò sul naso. “Andremo dove vorrai tu. In qualsiasi parte del mondo.”
“Potremmo anche semplicemente rimanere qui.”
“Il mondo è tuo, Magnus. Dovresti prendertelo.”
Magnus parve pensarci su. “Potremmo andare in Perù. Non l’ho mai visto.”
“A dire la verità…” Alexander titubò momentaneamente, arricciando le labbra come se si preparasse a fare una confessione , “…Mi hanno bandito dal Perù. Ma nomina qualsiasi altro posto e ci andremo!”
Magnus ridacchiò. “Devi raccontarmi come hai fatto a farti bandire.”
“Lo farò, la prossima volta che ti vedrò.”
“Mi sta bene.”  
Alexander si avvicinò a lui per baciarlo e Magnus si preparò a sentire di nuovo le sue labbra sulle proprie, ma…

Magnus si svegliò nel cuore della notte. L’oscurità lo circondava completamente, ma riuscì comunque a capire che si trovava nella sua camera da letto. D’istinto, si guardò le braccia per vedere se fossero coperte di rune e… no, non lo erano. Era stato tutto un sogno. Uno di quelli strani, ma pur sempre piacevoli. Si voltò verso destra e vide Alexander che dormiva rilassato al suo fianco, le rune ricoprivano la sua pelle chiara e il suo viso, come al solito, era privo di trucco. Sorrise e gli si avvicinò, lasciandogli un bacio su una spalla.
“Magnus.” Bofonchiò ancora mezzo addormentato. Alec aveva il sonno leggerissimo, come ogni soldato, quindi era facile svegliarlo.
“Ho fatto un sogno strano.”
“Giuro che se c’entra quella volta in cui tu e Casanova eravate coinquilini ti strangolo.”
Magnus ridacchiò nell’oscurità e andò a cercare una guancia di Alec per lasciarci un bacio. “No, Giacomo non c’entra niente.”
Giacomo? Sei serio?”
“Mi piace la tua gelosia, sai?”
“Lo stai facendo apposta?” Alec si voltò completamente verso di lui, ormai totalmente sveglio. Erano entrambi in costa, adesso, i loro nasi che si sfioravano.
“Vuoi sapere cosa ho sognato o no?”
“Racconta.” Si arrese Alec.  
Magnus si lanciò nel resoconto dettagliato del suo sogno, cominciando dall’inizio fino alla fine. “La cosa più strana era vedere te e Jace che non vi stavate simpatici.”
“La cosa più strana sono io che indosso una camicia turchese.”
Magnus rise. “Eri così sexy, invece. Ne ho una simile, potresti mettertela e io potrei divertirmi a togliertela.”
Alec si mosse nel buio. Magnus lo sentì mettersi a cavalcioni su di sé, le ginocchia ai lati dei suoi fianchi. “Solo se ti metti una divisa da shadowhunter.” Gli sussurrò prima di baciarlo.
“Hai delle fantasie strane sugli uomini in divisa di cui non mi hai mai parlato?”
“No, ho delle fantasie su di te in divisa, è diverso.” Alec cominciò a baciargli il collo con cura, non dimenticandosi nemmeno un centimetro di pelle.
“E dovrei tenerla addosso, la divisa?”
“Anche. O potrei togliertela. Non lo so, vedremo.”
“Sei perverso.”
“Non puoi parlare, Mr. Mi-ti-farò-pro-bono.”
“Tu mi hai voluto per un’ora come pagamento.”
“Nel tuo sogno. Tu l’hai detto per davvero. C’è differenza.”
“Preferiresti non l’avessi mai detto?”
Alec smise di dedicare attenzioni alla pelle di Magnus e alzò il viso per guardarlo negli occhi. Erano i suoi occhi, quelli veri, privi del glamour. Succedeva durante la notte che abbassasse le difese e li mostrasse. Alec li amava, come tutto il resto di lui, e viveva quella situazione come un privilegio riservato solo a lui. Magnus non permetteva a nessuno di vederli, memore delle volte in cui erano stati la causa per cui veniva definito un mostro, ma ad Alec era permesso perché si fidava, perché sapeva che li trovava bellissimi, come tutto il resto di lui.
“Non ho detto questo.”
“Allora sei perverso. Accettalo e basta.”
Alec liberò un risata e nascose il viso nell’incavo del collo di Magnus. “Sei tu che mi hai reso così.”
“O forse,” cominciò Magnus, agguantando il sedere nudo di Alec. “Lo sei sempre stato e avevi solo bisogno di qualcuno che tirasse fuori questo tuo lato di te.”
Alec strusciò il suo bacino contro quello di Magnus con decisione. “Forse hai ragione.”
“Togli il forse.” Magnus gli circondò la schiena con la braccia e lo tirò a sé per baciarlo, desideroso di sentire tutto il suo corpo contro il proprio. “Vuoi tornare a dormire?”
“Mi hai svegliato, Magnus. Come minimo dobbiamo approfittarne.”
“Te l’ho detto: perverso.”
“Sta’ zitto.” Lo rimproverò giocosamente Alec, lasciandogli un morso su una spalla. “Lo so che ami anche questo di me.”
Magnus non negò: aveva poche certezze nella sua vita e una di queste era che, indipendentemente dall’universo in cui si trovasse, avrebbe sempre amato Alexander Lightwood con tutto se stesso.



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Ciao a tutti! Sono sempre in mezzo come il prezzemolo e me ne esco con OS a caso! Ma posso dire a mia discolpa che questa idea mi stava ballando in testa da un po': tutto è nato quando ho visto sul web una fanart di Alec in versione High Warlock e ho cominciato a pensare come sarebbe stato se i ruoli si fossero invertiti. L'idea, ultimamente, mi stava balzando un po' troppo spesso alla mente, prendendo sempre più forma quindi niente, l'ho scritta. Onestamente, temo di essere sfociata nell'OOC perché cercare di gestire Alec con il carattere di Magnus e Magnus con il carattere di Alec è stato più difficile del previsto, quindi se pensate sia uscita troppo dai loro caratteri originali fatemelo sapere! Se poi vi va di farmi sapere cosa ne pensate in generale di questa shot a me non può fare altro che piacere!
Ringrazio chiunque abbia deciso di aprire questa storia e di leggerla fino in fondo, lo apprezzo molto!

 
   
 
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