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Autore: BeforeTheDayYouLeft    09/02/2018    0 recensioni
E' il giorno della Mietitura. John Watson non teme il suo nome. Non lo fa neanche quando viene estratto da quella dannata anfora. Comincia a farlo quando esso diventa così dolce, così bello tra le labbra del tributo del distretto due, Sherlock Holmes. John Watson non teme la morte. Non lo fa neanche quando capisce che lui è un tributo. Comincia a farlo quando nell'arena, Sherlock Holmes, il maledetto Sherlock Holmes, gli infonde una ragione per vivere. John Watson teme l'amore. Lo ha sempre temuto. E quando capisce che cosa questa edizione degli Hunger Games ha in serbo per lui, sa che non potrà mai sconfiggere questa sua grande paura.
Fanfiction ambientata nell'ineguagliabile mondo creato da Suzanne Collins. Crossover tra BBC Sherlock e Hunger Games.
(Johnlock) (Teenlock)
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3
La Prova
 
La sala è piena anche stamattina. A quanto pare ogni tributo non aspetta altro che pavoneggiarsi per le proprie abilità o strafare nella speranza di conseguire un qualche miglioramento in breve tempo. Lascio correre lo sguardo per la stanza, cercando la familiare figura di Sherlock. Molly è attaccata alla mia schiena e mi segue, persa come sempre, mentre passo in ricognizione ogni angolino in cui quel tipo potrebbe essersi rintanato a fare qualche stramberia.
Dopo una decina di minuti trascorsi a girare intorno come un idiota, esorto Molly a cominciare l’allenamento senza di me. Sebbene inizialmente si mostri un po’ riluttante, alla fine cede e si trascina mestamente verso un’area di sessione d’allenamento principianti. Mi guardo ancora un po’ intorno e incontro la figura altera di Sally Donovan, appoggiata a una parete, intenta ad osservare beffardamente una ragazzina del distretto sei. Mi avvicino a lei, seguendo una traiettoria indefinita, avanzando con circospezione.
“Dov’è Sherlock?”
Lei sposta i suoi occhi dal tributo sei a me e il suo sorriso ferino si accentua ancora di più. “Ma guardi chi si vede! Johnny Watson! No, non lo so dov’è lo strambo, né mi interessa.” Annuisco laconicamente, cercando di ignorare il modo in cui ha appena chiamato Sherlock, e faccio per andarmene, ma lei mi ferma. “Devi essere proprio disperato per allearti con lui.”
“Scusa?”
“Perché hai deciso di allearti con lui?”
“Trovo che sia una persona degna della mia stima e della mia fiducia.” rispondo di getto, senza neanche pensare.
Sally ridacchia appena, a labbra strette, infine si stacca dal muro e si avvicina a me con aria predatoria. “Che carino… Non è che per caso ti stai illudendo che lui ti consideri tuo amico?”
Stringo i pugni con rabbia, le unghie che affondano nella carne. Per un solo istante mi immagino queste stesse unghie bucare la carne di un qualche tributo, nell’arena. Magari proprio quella della Donovan, chissà… Ma scaccio quel pensiero con un breve sbuffo. “Non sono affari tuoi.”
“Potrebbero.”
“Non credo proprio.”
Lei incrocia le braccia al petto, divertita dal trasporto che sto utilizzando nel ribattere. Trasporto che, per inciso, non so da dove venga. Solo che… non la sopporto proprio. E’ una stronza. Un stronza che ce l’ha con Sherlock non so perché e non voglio neanche saperlo, ma che lo tratta come se fosse la feccia dell’umanità.
“Mettitelo bene in testa, Watson: non puoi essere suo amico. Lui non ha amici.”
Sto per replicare nuovamente, ma qualcosa mi blocca. So di non poter fare affidamento su di lui in eterno. So che questa… cosa che c’è fra noi, questa alleanza, non durerà per sempre. Anche se fossimo davvero, ma davvero bravi e riuscissimo a sopravvivere fino alla fine, uno di noi due sarebbe dunque costretto ad ammazzare l’altro. E so che lui non esiterebbe un istante a farlo. Lo percepisco dal ghiaccio racchiuso nelle sue iridi, dal veleno che trasuda dalle sue parole. Prima o poi accadrà: mi lascerà indietro all’occorrenza, mi volterà le spalle quando non gli servirò più, mi ucciderà nel momento in cui saremo rimasti solo io e lui. “Non voglio essere suo amico, voglio cercare di restare vivo.”
“Se è vero quello che dici, allora ti do un consiglio: stai alla larga da lui.”
“Perché?”
Lei abbandona le mani lungo i fianchi, il sorriso bianco che non accenna a svanire dalle sue labbra appena screpolate. “Sai perché è qui? Perché si è fatto volontario?” Apro la bocca, ma lei continua imperterrita, ignorandomi. “Perché gli piace. Ne va matto. Per lui tutto questo è eccitante. Rischia la vita per provare la sua intelligenza.”
“Perché dovrebbe farlo?”
“Perché è uno psicopatico.” risponde lei sbattendo le ciglia in una muta manifestazione del suo stupore di fronte ad una domanda apparentemente così stupida. “E… gli psicopatici si annoiano.”
“Sally!”
La voce di Philip Anderson ci interrompe e ci voltiamo all’unisono in direzione dei bersagli dove lo scorgiamo sbracciarsi agitatamente per attirare l’attenzione di lei. “Arrivo!” gli urla di rimando la Donovan dirigendosi spedita verso di lui. Si volta un’ultima volta verso di me e percorre gli ultimi metri camminando a gambero. “Scegli da che parte stare, Watson! Sei ancora in tempo per schierarti con le persone giuste!”
Resto immobile a riflettere sulle sue parole. Sherlock è uno psicopatico. Gli psicopatici si annoiano. Si è offerto volontario per provare la sua intelligenza. Però… io non ci riesco. Non riesco a credere che sia davvero un pazzo. Una persona dalla sua mente acuta non potrebbe mai essere un folle… Okay, esistono sicuramente individui del genere, ma non lui. D’accordo, ha ammesso molte volte di essere annoiato, e d’accordo, si è offerto volontario probabilmente perché vuole vincere con il suo ingegno, ma… l’unica cosa che mi viene pensando a lui è che… è un idiota. Un semplice idiota. Tanto brillante nelle sue deduzioni eppure tanto ignorante nel relazionarsi con le persone.
Una mano sulla spalla mi fa sussultare e mi volto di scatto, temendo quasi che chiunque vi sia dietro di me possa saltarmi alla gola. Ma di fronte a me trovo solo la figura di un ragazzo dall’aria buffa per i suoi grandi occhi a palla e il suo viso smunto e allungato. Se non erro… dovrebbe trattarsi di Bill Wiggins, distretto nove. “Prima regola.” mi sibila prendendomi improvvisamente la mano e aprendola nella sua prima di depositarci qualcosa e chiudere le mie dita in un pugno. “Mai cercare Sherlock Holmes, è lui che trova te.”
Detto questo, sgattaiola via, silenzioso come è arrivato. Mi tiro in disparte e, assicuratomi che non vi siano occhi indiscreti ad osservare, apro il pugno, scoprendo un bigliettino.
 
Miei alloggi, ora. Potrebbe essere pericoloso. SH
 
Sono completamente spiazzato. C’era davvero bisogno di essere così teatrali? Il postino, il messaggio, la firma! Okay, non posso negare che sia un tipo singolare. Molto singolare. Corro verso Molly e la avviso della mia momentanea assenza. Notizia a cui lei risponde con un sospiro rassegnato. Mi sento in colpa a lasciarla sola, ma… Non ho alternative. E’ anche per lei che devo cercare di non strangolare questo Sherlock Holmes prima che comincino i Giochi. Se mai ci fosse la possibilità di poter salvare Molly, allora non esiterei a fare di tutto perché torni a casa. Le deposito un fugace bacio sulla fronte e infine corro fuori dalla sala.
 
***
 
 
“Si può sapere perché diavolo non sei agli allenamenti?” sbotto entrando brutalmente nella suite, scansando Sherlock con una spallata.
“Ho di meglio da…”
“Cristo, Sherlock! Se non ti alleni mi spieghi come diavolo pensi di restare vivo?”
Lui fa roteare gli occhi, ma non mi pare annoiato. Sembra quasi divertito. “Ascolta, John, mi sono allenato sin da piccolo. So come spremere la vita via da una persona in quarantotto modi diversi. Adesso c’è un problema che mi sta più a cuore del semplice fare un po’ di attività fisica per smaltire tutto quello con cui ci imbottiscono la pancia.”
Mi passo una mano sul volto, cercando di ghermire il mio nervosismo e allontanarlo. “Sarebbe?”
“C’è un’alleanza contro di me – quindi contro di noi –.” mi spiega afferrando una soffice sciarpa blu e avvolgendosela attorno al collo candido.
“Chi?”
“Donovan, Anderson, Adler e Moriarty.”
Al suono di quell’ultimo nome, spalanco gli occhi. “Moriarty?” domando. “I Favoriti con uno del Dodici?”
Lo sguardo di Sherlock si adombra, una ruga d’espressione che gli solca la fronte. “Te l’ho detto di non fidarti di lui. C’è qualcosa che… che mi lascia inquieto. E adesso abbiamo appena avuto la nostra prova.” Cala un greve silenzio, durante il quale cerco di carpire un suo possibile pensiero, senza successo. Dovrebbero inventare un qualche aggeggio per la telepatia. “Ad ogni modo, dobbiamo sbrigarci. Abbiamo un’infrazione da compiere e abbiamo un’ora a disposizione.”
“Una che?”
“Un’infrazione.” ribadisce lui prendendomi per le spalle da dietro e trascinandomi fino alla porta. “Gli alloggi di James Moriarty ci aspettano. Stando a quanto dice Billy Wiggins – ah, a proposito, lui è dei nostri – il caro Jim dovrebbe tenere il prospetto della loro tattica nella sua suite.”
“Aspetta, aspetta, aspetta… Cosa?? Vuoi davvero intrufolarti nelle stanze di un altro tributo?! Se ci beccassero finiremmo in guai seri!”
“Appunto, se ci beccano, cosa che non accadrà. Ho calcolato tutto, John: a quest’ora la servitù si sta prendendo una piccola pausa. La signora Hudson, l’unica domestica che qui dentro non è una completa idiota, ha organizzato un piccolo party in modo da tenere tutti occupati per un po’. I tributi sono ad allenarsi... Abbiamo campo libero, John!”
Io sbuffo sonoramente mentre pianto i piedi a terra e incrocio le braccia, mostrando tutta la mia disapprovazione. Scruto la sua espressione palesemente rilassata.
Perché gli piace. Ne va matto. Per lui tutto questo è eccitante. Rischia la vita per provare la sua intelligenza.
“A che pensi?” mi chiede improvvisamente Sherlock piegando la testa di lato per osservarmi meglio.
“Alla Donovan.”
“Cosa ti preoccupa?”
Lancio un’occhiata in giro accertandomi che non ci sia nessun occhio iniettato di sangue acquattato nell’ombra, pronto ad incenerirci con un solo sguardo. “Ha detto… ha detto che ti piace, che ne vai matto. Che rischi la tua vita per mostrare a tutti che sei intelligente.”
Lui accenna un sorriso. “E io ho detto pericoloso… ed eccoti qua.”
E per Sherlock Holmes la conversazione è conclusa. Si volta con una mezza piroetta, facendo librare i lembi della sua elegante camicia nera. Guardo la sua figura allampanata allontanarsi con un’andatura maestosamente solenne. Fa uno strano effetto avere intorno un tipo così particolare. Davvero… davvero strano.
“Dannazione.”
 
***
 
Come previsto, non incontriamo nessuno né per i corridoi né di fronte le stanze dei tributi. Dopo una manciata di minuti trascorsa a perlustrare l’imponente palazzo di Capital City, troviamo la nostra meta. Sulla porta che conduce agli alloggi del distretto dodici è rappresentato lo stemma con i picconi e le rotaie. Restiamo immobili alcuni istanti, io indeciso sul da fare, Sherlock con uno sguardo enigmatico sul viso. Infine, dalla tasca dei pantaloni, estrae un piccolo marchingegno dall’aspetto indescrivibile. Prende a tastare la parete come farebbe un uccello con il suolo, in cerca di un punto favorevole per immergere il becco. Dopo alcuni secondi, sembra aver trovato la posizione favorevole e preme l’aggeggio contro il muro. L’apparecchio si anima improvvisamente: dal suo corpicino metallico dalla forma sferica, fuoriescono alcune zampe avvolte da fili gialli e verdi, rendendo il tutto somigliante ad un ragno. La spia al centro del corpo da rossa che era, diventa di un blu profondo e rassicurante, un colore che suscita in Sherlock un sorriso compiaciuto.
“Via libera.” esclama infatti. Preme una tessera sulla serratura elettronica che si apre con uno scatto.
“Come hai… Lascia stare.” Non appena le porte si spalancano, Sherlock fa per fiondarsi dentro la suite, ma io gli afferro un braccio e lo attraggo vicino a me, in modo che i nostri visi siano vicini. Assumo l’aria più decisa che riesco a tirar fuori. “Sei sicuro?”
“Sì.”
“Al cento per cento?”
“Non sei costretto a venire se non vuoi. Puoi anche restare a fare il…”
Non gli lascio il tempo di finire che sono già dentro. Veloce. Non vedo l’ora di uscire da qui… Anche se questa sensazione… Cos’è questa sensazione? Questo eccitamento che provo, questo battito forsennato del cuore? Andare contro le regole, commettere un’infrazione… mi fa sentire sovraeccitato. Vivo. Con la coda dell’occhio scorgo Sherlock frugare con quanta più cura possibile in una pila di fogli e fogliacci sparsi di fronte ad un divano.
“Cosa stiamo cercando esattamente?”
“Non lo so con esattezza. Billy ha detto di aver sentito Irene Adler parlare con Sally riguardo un qualche piano che Moriarty terrebbe segreto qui.”
“Perfetto. Sarà una vera passeggiata.” osservo con un sospiro prima di mettermi a mia volta a cercare.
Non so quanto tempo sia passato da quando siamo entrati prima di udire Sherlock urlare di gioia. Accorro nella stanza da cui proveniva la sua voce e lo trovo accovacciato ai piedi dell’imponente letto che occupa circa metà stanza, lasciando uno spazio esiguo per un armadio e un paio di poltrone. Mi sporgo quel tanto che basta per osservare meglio quello che ha trovato: in mano, sta stringendo un taccuino su cui sono appuntati frettolosamente vari scarabocchi a malapena leggibili.
“Che cos’è?”
“Sul serio, John, sei così ottuso?”
Arrossisco violentemente e mi trovo a balbettare. “Lo so che cos’è, ovviamente! Nel senso, che cosa c’è scritto?”
“Anche quest’ultima domanda è la prova del fatto che la tua mente abbia le dimensioni di un corpuscolo di polvere. Secondo te? Mi sembra ovvio che ci sia scritto quello che stiamo cercando!”
“Un’altra parola, Sherlock, e non avrai bisogno di scendere nell’Arena per morire.” sibilo chiudendo i pugni e girandogli intorno per portarmi di fronte a lui. “Allora, illustrami questi progetti.”
Lui apre le labbra, sul punto di spiegarsi, ma un rumore nell’altra stanza fa sobbalzare entrambi.
“… ci scusi per il disordine, signorino, ma credevamo rincasasse più tardi…” pigola la voce di un uomo, seguita da passi affrettati.
Io rimango completamente paralizzato sul posto. Merda. Ci hanno scoperti… Cioè, non ancora, ma presto ci scopriranno… Merda. Sherlock, di fronte a me, scatta verso la sua sinistra imbucandosi rapido nell’armadio.
“Muoviti!” sputa in un sussurro, mentre la sua mano mi esorta di seguirlo. Io sbatto confusamente le palpebre e infine riesco ad imporre al mio corpo di entrare nel guardaroba. Scivolo con meno eleganza di Sherlock all’interno dell’angusto spazio, crollando sgraziatamente contro di lui. “Dobbiamo lavorare sull’agilità.” osserva lui scivolando indietro per lasciarmi un minimo di spazio in più, ma questo armadio è così dannatamente piccolo! Cerco di assumere una posizione dignitosa, che non prevede l’essere schiacciato contro le gambe di Sherlock, ma la mano scivola a contatto con la superficie legnosa levigate e stavolta è il mio intero corpo a precipitare contro il suo. “Dobbiamo decisamente lavorare sull’agilità.”
“N-non è colpa mia. E’ questo cazzo di armadio che è…”
“Vuoi chiudere quella bocca o devo pensarci io?”
Taccio immediatamente e abbasso lo sguardo, cercando di sfuggire al suo per paura che riesca a notare il rossore che mi infiamma le gote. Non credo intendesse… insomma, non poteva intendere di chiudermi la bocca con… Scuoto appena la testa, per cancellare quel possibile scenario da davanti agli occhi. Dei passi nella stanza mi aiutano a ritornare lucido. Trattengo il respiro e mi volto appena, rendendomi conto della presenza di uno spiraglio appena sufficiente per vedere quello che sta accadendo nella camera da letto. Mi sporgo lentamente per poter lasciare al mio occhio la possibilità di osservare la scena, ma Sherlock mi trattiene per un braccio. Il contatto così brusco con lui mi sconvolge, non ho idea del perché, però mi affretto a sfilare via il braccio e torno a concentrarmi sulla figura di James Moriarty intento a chinarsi per recuperare il suo taccuino. Vedo il suo volto contrarsi appena nello sforzo di concentrarsi, poi i suoi occhi si levano improvvisamente verso di noi. Il mio cuore quasi esplode nel mio petto. Mi tiro indietro rapidamente, accoccolandomi il più possibile contro Sherlock, cercando di nascondermi e di nasconderlo al tempo stesso. Odo i passi di Jim avvicinarsi pericolosamente, rintoccare come gli scocchi di un orologio che scandiscono gli ultimi istanti di vita di un povero cristiano. Serro una mano contro la camicia scura di Sherlock. Sotto le mie dita non avverto il battito cardiaco accelerato come sarebbe normale in una circostanza del genere. Il suo cuore è vibrante ma al tempo stesso saldo nel suo incedere regolare. Mi chiedo come faccia ad essere così calmo, quando siamo ad un passo dall’essere scoperti e in questa situazione imbarazzante, con me schiacciato contro di lui. Il mio respiro si fa più leggermente più pesante, l’aria più rarefatta. No… non adesso… Una stretta alle spalle mi fa sobbalzare: le dita di Sherlock hanno cominciato a muoversi delicatamente lungo la mia schiena, affondando nella mia pelle con movimenti concentrici e regolari.
“Ssssh… Calmati. Va tutto bene.”
 Chiudo gli occhi, cercando di contenere il senso di nausea e il respiro troppo forte che mi stanno attanagliando, e abbandono la testa all’indietro, incontrando il suo petto magro.
“Pensa al tuo distretto, John.” mi sussurra ancora nell’orecchio, poggiando il mento sulla mia spalla, senza smettere di massaggiarmi la schiena. “Pensa agli alberi, alla libertà… Lasciati tutto questo alle spalle.”
Annuisco un paio di volte, deglutendo forzatamente. Non so che cosa stia aspettando James Moriarty per aprire le ante dell’armadio, non so neanche perché obbedisco alle parole di Sherlock Holmes. Mi lascio trasportare dal suo sussurro appena percettibile, così dolce e struggente, dal suo fiato caldo, così rassicurante e sicuro. Mi lascio trasportare nel mio distretto. Sopra di me, ragnatele di fronde e spicchi di cielo limpido, attorno a me falegnamerie, fabbriche, volti amici. Scorgo Mike Stamford con la sua fidanzata, vedo Jenny riconcorrere un vecchio pallone assieme a Tom e Jeremy, vedo Lizzie scoppiare a ridere alla battuta di un tizio sconosciuto, e vedo mia madre. L’ombra di mia madre. Nella mia mente non è cambiata, ma… so che non è lei, so che non è più così, so che avere un figlio negli Hunger Games non ti lascia indenne. Ma io la vedo ugualmente. Lei mi sorride. Poi qualcosa mi prende la mano e me la stringe forte, improvvisamente. Mi volto velocemente, ma non sono atterrito, solo sorpreso. Faccio in tempo a scorgere un breve sorriso, un paio di iridi dal colore indefinito, prima che la voce di Sherlock mi riporti alla realtà. Riapro gli occhi di scatto e lo sento scivolare via da sotto il mio corpo. Lo intravedo sgattaiolare fuori dall’armadio e guardarsi intorno per poi calciare il pavimento con un ringhio di stizza.
“Cosa… D-dov’è Moriarty?”
“Se n’è andato.” risponde Sherlock ficcandosi le mani nei jeans e dirigendosi velocemente verso la zona giorno degli alloggi del distretto dodici.
“Credevo che ci avrebbe trovati.” mormoro uscendo a mia volta, lentamente, dall’armadio.
“Ci ha trovati, infatti, ma ha scelto di non trovarci.”
Mi appoggio alla parete e lo seguo nella stanza attigua, ora vuota e silenziosa. “Che cosa è successo? I-io… non…”
“Ricordi?” mi anticipa lui. “Il mio tentativo di calmare l’attacco di panico si è rivelato micidialmente soporifero.”
Avverto le mie gote colorarsi di un tremendo rosso porpora. “Non posso essermi addormentato! Non è semplicemente possibile!”
“E’ normale: stanotte avrai dormito circa due ore a giudicare dal pallore e dalle occhiaie di stamattina, e l’attacco di panico, misto all’adrenalina e al mio metodo di rilassamento, deve essere stato il colpo di grazia.” osserva semplicemente lui con un scrollata mentre il suo dispositivo controlla se la via è libera. “Avrai sonnecchiato al massimo cinque minuti, non preoccuparti.”
Il suo aggeggio si illumina di blu e Sherlock se lo rinfila in tasca con uno sbuffo. “Il taccuino?” domando mentre lo seguo ancora intontito attraverso il dedalo di corridoi.
“Il taccuino se l’è ripreso Moriarty.”
 
***
 
Molly mi stringe la mano, intreccia le sue dita sudate con le mie gelide. Oggi è il giorno in cui dovremo esibire i nostri talenti di fronte agli Strateghi e non ho nulla in mente. Niente di niente. Nelle ultime settimane mi sono esercitato con tutto me stesso, pretendendo dal mio corpo il massimo, impugnando qualunque tipo di arma e cercando di prendere confidenza con essa. Ho affrontato qualunque sessione di addestramento, mi sono coricato con i muscoli doloranti, ho studiato le migliori tecniche di sopravvivenza adottate finora dai tributi, ma… non sono pronto. Non lo sarò mai. Domani saremo nell’Arena, domani potremmo morire, ma… ha davvero importanza?
I Pacificatori aprono le ultime porte con le loro tessere identificative e ci lasciano, abbandonando la stanza con la stessa imperturbabilità con cui sono arrivati. Le varie sedie sono occupate dai vari tributi, la maggior parte dei quali è in silenzio, con gli occhi chiusi, le mani giunte, la fronte corrugata nello sforzo di ricercare una qualche concentrazione.
“Ciao.” mormora Bill Wiggins avvicinandosi timidamente a Molly. In questi ultimi giorni ho notato che si è instaurato un rapporto speciale fra di loro, così speciale da renderli quasi inseparabili.
“Ciao, Billy.” ricambia Molly accendendosi in un sorriso. Le mie dita lasciano andare la sua mano nel momento in cui entrambi si avviano in direzione di un paio di sedie libere, intenti a parlottare con due stupidi sorrisi in volto.
So che non dovrei, ma… non riesco a fare a meno di provare un moto di tenerezza nei loro confronti. Gli sguardi languidi che lui le scocca di tanto in tanto, i dolci sospiri che ogni tanto animano lei, il loro lento sfiorarsi giustificato come un tocco casuale… No. Non possono lasciarsi andare. Non ora, merda. Non ora che mancano appena venti ore all’inizio dei Giochi. Farà male. Farà molto male. Si dovranno dire addio, prima o poi. Sherlock mi ha raccontato la storia di Bill: la sua famiglia è molto povera e vive in condizioni scabrose, così misere che la mancanza di igiene e di prevenzione ha causato una grave epidemia in tutto il suo distretto. E Bill… Bill non è stato risparmiato. Incurabile. Morire nell’Arena non sarà certo più doloroso che lasciarsi corrodere da un morbo implacabile. Giusto?
Sherlock! esclamo dentro di me. Mi volto, lo cerco, lo trovo. Se ne sta seduto in disparte, con la sua solita espressione insofferente dipinta in volto, le braccia incrociate e le gambe accavallate. Mi dirigo silenziosamente verso di lui, prendendo posto sulla sedia accanto alla sua. Lui non parla, né mostra di avermi sentito arrivare: se ne sta immobile, statuario, gli occhi volti all’infinito. Ho imparato a conoscere bene questa sua condizione. Dice di possedere un… Palazzo Mentale, una struttura che si è costruito in testa per catalogare ogni genere di informazioni affinché non perda alcun ricordo importante. E quando entra nel suo Palazzo Mentale, si può star certi che non ne uscirà per un bel po’, né che ti darà retta.
“Agitato?” chiedo scioccamente, già consapevole che non riceverò alcuna risposta.
“No.” mi risponde lui contro ogni aspettativa. “E tu?”
“No, no…”
Osservo da lontano Molly mentre poggia la testa contro la spalla di Bill, senza smettere di parlare di chissà cosa, di chissà chi. Assisto con un sorriso amaro sulle labbra. Sanno essere crudeli i sentimenti e l’amore più di tutti. Non è giusto che debbano tenersi separati. Non è giusto che debbano contenere i loro sentimenti. Tutto solo per uno stupido gioco. Divorato da tutte queste riflessioni prendo a far rimbalzare nervosamente la punta del piede a terra. Cerco di immaginarmi in una situazione simile alla loro: innamorato di qualcuno, qualcuno che potrei essere costretto a vedere morire, qualcuno che potrei dover lasciar indietro, qualcuno che si prenda strenuamente cura di me anche se non c’è speranza, qualcuno che scelga di salvarmi piuttosto che salvarsi. E di nuovo, penso che non è giusto.
Sussulto e mi volto di scatto. La mano di Sherlock è poggiata sulla mia coscia, le dita affusolate a pochi centimetri dal mio ginocchio. Una strana sensazione mi investe, di disagio, di stupore, di imbarazzo, ma non allontano quella mano. Non so perché non mi sposto, perché sto immobile. Sherlock mi fissa con sicurezza. “E’ inutile preoccuparsi tanto.”
“Lo so… So che i Giochi cominciano domani, ma oggi è comunque un…”
“Non mi riferivo agli Hunger Games, John.” mi ferma lui scuotendo la testa, fintamente esasperato. Seguo il suo sguardo che corre verso Bill e Molly, le loro mani ora unite. Sherlock allontana la sua dalla mia gamba e mi pare quasi che si venga a creare un vuoto, una mancanza, ma scaccio subito questa percezione. “Ecco perché ogni genere di emozioni mi disgusta. Sono come polvere in uno strumento delicato, l’incrinatura sulla lente…”
“Ma ti senti?” esclamo improvvisamente scoppiando a ridere. “Parli quasi come mio nonno.”
Lui sbatte ripetutamente le palpebre, infine volta il capo stizzito, accompagnando platealmente il gesto con uno sbuffo annoiato.
“Sherlock?” lo chiamo soffocando un’altra risata. “Sherlock, ci sei?”
Mi alzo dalla sedia sorridendo e mi chino di fronte a lui. “Dai, Sherlock, non scappare nel tuo Palazzo Mentale.” Come vedo che si ostina a mantenere lo sguardo il più lontano possibile da me, lascio che la mia mano si muova sulla sua gamba e sulla coscia gli lascio un pizzicotto che lo fa saltare sul posto.
“Cazzo, John!” sibila cercando di contenere il ruggito di un leone offeso. Ma io non riesco a trattenermi dal sogghignare.
“Soffri il solletico, sul serio? Questo è un punto a tuo svantaggio per l’Arena.”
“Ma vuoi stare…” Sobbalza di nuovo, stavolta scivolando sulla sedia accanto alla sua, dove prima c’ero io, colto da un nuovo pizzicotto. “Per l’amor di dio, la smetti?”
Mi prende entrambi i polsi, un sorrisetto sulle labbra mentre cerca di tenermi fermo. E’ incredibile come possiamo fare certe cose in un momento del genere, ma la verità è che con Sherlock è tutto un grandissimo paradosso e niente è ciò che sembra essere. Si ferma di colpo, il volto serio. Serissimo. Il suo naso che sfiora il mio. E’ vicino. Pericolosamente vicino. Deglutisco a forza e quando sento una voce metallica femminile gracchiare il nome di Anderson mi scosto un po’ indietro, senza riuscire ad interrompere il contatto visivo con Sherlock.
“E dopo la Billolly, il secondo posto nella categoria delle coppie più belle degli Hunger Games è occupato dalla… Johnlock.”
Mi riscuoto improvvisamente, le dita di Sherlock che assomigliano a tizzoni ardenti sulla mia pelle. Mi stacco precipitosamente, il cuore a mille, e mi volto in direzione di Anderson, fermo sulla porta con un sorriso beffardo. Non faccio in tempo a ribattere che lui è già sparito. Respiro profondamente, evitando accuratamente lo sguardo di Sherlock. Cos’è? Cos’è questa morsa allo stomaco?
Abbozzo un’occhiata verso Sherlock ma lui tiene lo sguardo fisso su Molly e Bill che ora si sono separati, rossi in viso e si danno reciprocamente le spalle. E’ incredibile quanto assomiglino a noi due, in questo momento. Insomma, è tutto completamente diverso perché quello di Anderson è stato un puro fraintendimento, certo, però non riesco a fare a meno di pensare che… che cosa? Non lo so neanche io. La voce metallica annuncia il nome di Irene Adler che si alza e avanza maestosa e bellissima come sempre verso la sala delle Prove. Dopo alcuni minuti, l’altoparlante gracchia Sherlock Holmes e lui si alza, scuro in volto, occhi fermi, occhi sicuri. Vorrei avercelo io un briciolo della sua convinzione. Sherlock avanza, oltrepassandomi senza degnarmi di alcuno sguardo, cosa che mi fa stringere i pugni e il cuore al tempo stesso. Faccio quasi per sbottargli qualcosa dietro, quando lui volta appena la testa, le iridi chiare nelle mie profonde. “Buona fortuna.” mormora e sparisce, non dandomi tempo per contraccambiare. Quel maledetto Sherlock Holmes… spero che imparerà a comunicare un pochino di più, se non altro con me, altrimenti, nell’Arena, saranno completamente inutili tutte le armi, le tattiche e le abilità del mondo.
Non so quanto sia passato, prima di sentire il mio nome rimbombare in una stanza ormai vuota di sei persone. Mi alzo come in trance, sorridendo debolmente a Molly in segno di incoraggiamento per il suo turno e sparisco come sono spariti tutti i tributi prima di me.
 
***
 
Gli Strateghi sono completamente impegnati a fare altro. Parlottano fra di loro, mangiano, bevono, ma non fanno caso a me, ritto come un idiota, con in mano una balestra e un paio di bersagli di fronte. Stringo più saldamente la presa sul manico dell’arma.
“John Hemish Watson, dal distretto sette!” esordisco con voce piatta ma dal tono abbastanza alto per farmi sentire. Gli Strateghi sobbalzano e si volgono all’unisono – oserei dire finalmente – verso di me. Dopo una rapida occhiata di sbieco, mi dirigo verso un punto abbastanza comodo per tirare, ma non esageratamente vicino per non impressionare. Incocco il dardo, freddissimo, scuro, misterioso. Lo accarezzo quasi e, per qualche strano gioco della mente, mi ritrovo a pensare a Sherlock, così simile a questa freccia nera. La mano mi trema visibilmente, tento di scacciare il pensiero e tornare a concentrarmi, ma quelle iridi mi tradiscono. Le dita allentano improvvisamente la presa, liberando il trepidante dardo che schizza verso i bersagli, mancando completamente il centro. Una risatina generale mi fischia nelle orecchie, umiliandomi, e di nuovo si diffonde un parlottio generale tra i miei esaminatori. Digrigno la mascella e recupero una seconda freccia, sbrigandomi ad incoccarla: se pensano che mi arrenda così, beh, si sbagliano di grosso.
Non sbagliare, John.
Stavolta, le dita lasciano il dardo nel momento giusto, verso la direzione giusta, con la traiettoria giusta. Questo vola, sferza l’aria piatta della stanza, e si conficca al centro del bersaglio più nascosto e infido. Mi ritrovo a sorridere e a voltarmi soddisfatto verso i giudici, ma quelli non prestano attenzione a me. Il Primo Stratega, Culverton Smith, è intento ad osservare un immenso piatto d’argento imbandito con un maialino arrosto con una gigantesca mela rosso sangue in bocca.
“Ehi!” chiamo indurendo lo sguardo, ma loro continuano ad ignorarmi – non so se deliberatamente o se inconsapevolmente –. “Ah, è così?” biascico con rabbia, incoccando per la terza volta una freccia, l’ultima. Non ci sto neanche troppo a pensare: lascio che l’istinto, la rabbia verso il Governo, la ripugnanza nei confronti di tutto questo fluiscano e guidino il mio dardo. Accade tutto velocemente: la punta si conficca perfettamente al centro della mela scarlatta e la potenza e la velocità accumulate sbalzano via il frutto che si infrange contro la parete alle spalle degli Strateghi, i quali si animano improvvisamente. Gli occhi sbigottiti di tutti si puntano di me e mi fissano alcuni con rispetto, altri con ammirazione, altri ancora con sdegno. Avrà delle conseguenze questa mia esibizione, ma non m’importa: domani potrei morire e loro devono sapere che non sarò mai, mai un loro burattino.
“Grazie per la vostra… considerazione.” sputo con un cenno del capo, prima di lanciare la balestra d’allentamento su un tavolino e defilarmi.
 
***
 
La notte è incredibilmente silenziosa. Così silenziosa che mi infonde una sinistra inquietudine al centro del petto. Mancano poche ore… poche ore… Arena, Hunger Games, scontro, morte… Ma la morte è solo una destinazione comune per tutti gli esseri umani, quindi perché temerla? Mi rigiro nel letto, la fronte imperlata dal sudore: dovrei dormire. L’ultimo vero sonno prima di quello eterno che mi attende. Ma la mia mente è imbastita di tattiche, preoccupazioni, ricordi, stupidi pensieri… Vorrei poter essere più leggero, vorrei che il mio petto non fosse così greve di oscure paure. Vorrei solo dormire per poche ore, prima dell’inizio della fine. Provo per l’ennesima volta a chiudere gli occhi, quando un battito alla porta mi fa sobbalzare. Mi alzo di scatto e cammino in punta di piedi verso l’ingresso alla mia camera. Apro la porta e, senza nemmeno fare in tempo ad accorgermi di quello che sta succedendo, mi ritrovo accanto Sherlock.
“Sherlock, ma che diavolo…”
“Sshh!” sibila lui portandomi il palmo della mano sulla bocca. Un calore avvampante mi avvolge e m’irrigidisco completamente, gli occhi sperduti, e ringrazio il cielo che l’oscurità regni attorno a noi.
Le mie dita si stringono attorno al suo polso e lo scanso con delicatezza. “Mi spieghi che ci fai qui?”
Sono sicuro che abbia appena scrollato le spalle. “Così… mi andava e poi ho pensato che non riuscissi a dormire.”
“No, infatti, ma ancora mi sfugge la ragione della tua presenza qui.” osservo, non riuscendo a contenere la mente che vola ad uno scenario completamente surreale e pietoso. Ma… da quando mi ritrovo a fare certi pensieri su dei ragazzi??? Lui appoggia qualcosa sul mio letto e alle mie orecchie giunge il suono di una cerniera. “S-Sherlock? Che stai facendo?”
Lui si volta verso di me e si avvicina, mandandomi in completa confusione. “Sdraiati.”
“M-ma che vuol dire, Sherlock?” replico balbettando e indietreggiando appena.
“Sdraiati. Mi sembra un concetto elementare persino per te.”
Quando vede che ancora non mi muovo, mi prende per le spalle e mi trascina in direzione del letto. Io mi dimeno debolmente, non completamente cosciente né di quello che sta succedendo né di quello che… voglio? Mi spinge sul materasso soffice, ma invece di fare qualsiasi cosa avevo pensato avrebbe potuto fare, si allontana e si dirige verso quel qualcosa con cui è entrato. Vedo la sua siluette muoversi per la stanza con regalità ed estrarre un oggetto che riconosco subito come il suo violino.
“Sherlock… perché hai portato il violino?”
“Ho pensato avrebbe potuto aiutarti a dormire.”
“Oh.” mormoro solo contemplandolo mentre si posiziona come una statua di fronte a me, il violino sotto il mento e l’arco appena poggiato sulle corde. “Non ti facevo così…”
“Così come?”
“Sentimentale.”
Lui sputa un verso stizzito e spocchioso. “Ho capito. Me ne vado.” conclude voltandosi e facendo per andarsene lasciando la custodia dello strumento qui.
“No!” rispondo con slancio rialzandomi a sedere di scatto e afferrando il tessuto della sua maglia. Cristo, John… in che razza di guaio ti sei cacciato? “Resta.” riesco solo a sussurrare, vinto dall’imbarazzo.
Sherlock non risponde. La sua mano prende la mia, con l’intenzione di scansarla, penso, invece il suo pollice compie un leggero movimento circolare sul dorso. Non diciamo nulla per non so quanto tempo, infine lui si stacca, il violino in braccio e… un dolce suono invade la stanza. Non ho mai sentito niente di più bello in tutta la mia vita. Chiudo gli occhi mentre alla musica si mescola un okay appena bisbigliato, ma sufficiente per far germogliare un sorriso beato sulle mie labbra. Non so che cosa mi stia succedendo… In queste settimane mi sono sempre sentito così strano in presenza di Sherlock: inizialmente tolleravo a malapena la sua presenza, poi ho imparato a vederlo come un potenziale buon alleato, in seguito ho capito di considerarlo come un amico, e ora… ora mi ritrovo a chiedermi che cosa sia questa paura che mi attanaglia le viscere. Non ho mai avuto paura di morire… invece ora non ho solo paura di morire, ma il pensiero che davvero mi spaventa è che…
La dolce melodia del violino mi culla, trascinandomi in un dolce e torbido oblio. Uno sbadiglio tradisce tutta la stanchezza e lo stress accumulati in questi quindici giorni. E’ bello lasciarsi andare, è bello poter chiudere gli occhi, è bello poter dormire, perché… perché so che quando mi sveglierò Sherlock sarà accanto a me. Ancora.

SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti! Scusate se non sono riuscita a pubblicare la settimana scorsa ma ho avuto parecchi contrattempi, perciò sono riuscita a mettere mano al computer solo questa settimana. Spero che possiate perdonarmi e che questo capitolo vi piaccia. Detto questo, ringrazio per le vostre belle recensioni e mi auguro che possiate continuare a farmi compagnia e a spronarmi per continuare. Grazie a tutti e buon fine settimana!

 
   
 
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