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Autore: wolfymozart    11/02/2018    2 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Si era attardato davanti all’ingresso del salone a salutare affabile un crocchio di popolani, suoi pazienti, che l’avevano accolto tanto calorosamente da costringerlo a trattenersi con loro per qualche istante, nonostante i suoi occhi vagassero ansiosi per la sala alla ricerca di Anna. Aveva smesso per l’occasione quel suo pastrano sgualcito, il tricorno e quei rustici stivali di cuoio che costituivano il suo abbigliamento abituale, tanto da lei biasimato, per indossare un’elegante marsina sul blu scuro con panciotto chiaro, calze bianche e scarpe da cerimonia. Quando lo notò, Anna si sentì orgogliosa: era come se avesse testato il potere che aveva su di lui, il potere di renderlo, anche solo per una sera, simile a lei, conforme al suo mondo, alle sue regole. Sarebbe valso questo a perdonargli il ritardo?
-Ah, j’ai compris, tout est clair. Il vostro cavaliere è arrivato. Ma non credo che se ne avrà a male se mi concederete anche il prossimo ballo. Se ricordo bene, non amava ballare ed era piuttosto goffo…- esclamò scherzoso Jerome.
- Ricordate male, avvocato. Antonio, quando vuole, è un provetto ballerino. Ha solo il vizio di ritenere la danza una faccenda da nobili annoiati, una cosa insomma non degna di lui e dei suoi alti ideali…- rispose acida di rimando, sfogando per un istante il suo risentimento verso Antonio per il fatto che si fosse presentato solo a danze già iniziate, senza quindi chiedere formalmente di aprire le danze insieme a lei, la sua dama. Ma fu questione di un attimo. – Stasera, tuttavia, credo proprio che farà un’eccezione. Quindi, se volete scusarmi, il prossimo ballo sarà per lui.- concluse leggermente piccata.
- Come desiderate, marchesa. Non è il caso di scaldarsi tanto…- la blandì Jerome, cogliendo il tono risentito delle sue parole. – Sono sicuro che il mio caro amico Antonio saprà rimediare e farsi perdonare per le sue mancanze verso le usanze dell’alta società. Non redarguitelo troppo, pover’uomo! – e scoppiò in una delle sue risatine.
Le ultime note del minuetto risuonarono per la sala, poi la musica finì, i violini tacquero e i danzatori poterono riposarsi per qualche istante in attesa del prossimo ballo. L’ambiente si riempì nuovamente di chiacchiere e risate. Anna, con un inchino più che formale, si congedò da Jerome con l’intenzione di precipitarsi da Antonio. Doveva tenergli un discorso, doveva parlargli al più presto, prima che la musica ricominciasse. Ma un’anziana contessa dall’aria spiritosa le si parò davanti:
-Mia carissima Anna! Quanto tempo è passato! – attaccò il discorso la contessa Antici. – Sembra di essere ritornati ai tempi della cara Agnese! Vostra madre, che donna eccezionale…-
- Non siete la prima, contessa, a dirmi queste cose, stasera. Ciò mi lusinga molto, significa che Fabrizio ed io stiamo rendendo onore alla famiglia Ristori, così come conviene. – la ringraziò Anna, tradendo una leggera impazienza. Impazienza non colta, forse volutamente, dalla contessa la quale, presa Anna sottobraccio, la trascinò verso un divanetto per continuare la conversazione sui tempi andati; ed Anna non poté sottrarvisi in alcun modo. Porgeva le orecchie ai fatui discorsi della contessa, ma i suoi occhi scrutavano nervosamente tra la folla. Non lo vedeva. Dove si era cacciato? Se n’era andato di nuovo?
Eppure pochi istanti prima era lì, ne era certo: l’aveva ben vista danzare insieme a Jerome, non poteva essersi sbagliato. Ma non c’era più. Per quanto si sforzasse non riusciva ad intravederla in mezzo a tutti quei pizzi, quelle trine, quelle gale. Voleva parlarle, voleva quantomeno salutarla degnamente e scusarsi per la sua ennesima mancanza: non era stata colpa sua, si era dovuto trattenere per lavoro…Insomma era sempre la stessa storia: Anna aveva ragione e non l’avrebbe perdonato anche questa volta. Ma lui doveva almeno tentare, erano giorni che non si parlavano, che sembravano ignorarsi: non potevano continuare così ancora a lungo. 
-Antonio! Qual buon vento…- si sentì chiamare da una voce alle sue spalle. Si voltò prontamente. Redingote giallo senape, panciotto azzurro, capelli biondi perfettamente curati. Il suo amico Jerome sapeva certamente come apparire in società. Borghesuccio di provincia d’origine, ma ormai assiduo frequentatore dei salotti parigini più alla moda. Sfoderò il suo migliore sorriso prima di aggiungere: - La tua dama ti stava giusto aspettando…-
-  Infatti. Ed è per questo che andrò subito da lei. Perdonami, Jerome, ho fretta. – cercò di divincolarsi, ma l’amico l’afferrò per il braccio.
- Non avrei mai immaginato, vent’anni fa, che ci saremmo rincontrati qui, in una festa da ballo di aristocratici, in mezzo a tutto questo sfarzo, questi ori...- gli sibilò all’orecchio LeBlanc.
- Scusami, Anna mi starà cercando, continueremo dopo questo discorso. – ribadì, ma senza successo.
- Io te l’ho detto, da un bel po’. Prima ho ascoltato i discorsi che si facevano in questa sala: discorsi ottusi, ipocriti, di gente arroccata a difendere i propri privilegi, gente che disprezza il popolo, che disprezza chiunque sia diverso da lei. Antonio, sei proprio sicuro che sia questo il tuo posto? –
- No che non lo è. Si tratta solo di una sera, ti posso assicurare che non è questo il modo di pensare dei Ristori: loro sono diversi. –
- Antonio, Antonio, guardati! Tu non sei che un agnellino in mezzo ad un branco di lupi. Ti do solo un consiglio: fa’ attenzione. In particolare alla tua bella marchesa. Non la pensa esattamente come credi in fatto di privilegi e parità delle classi. Ci tiene al suo rango, lei, checché tu ne dica…- poi, voltandosi con noncuranza – E ci tiene più che a te. –
- Che cosa vorresti insinuare? – replicò Antonio alquanto irritato dalle malevole allusioni dell’amico.
Ma LeBlanc si era già intrufolato in mezzo alla folla ed inseguirlo sgomitando tra gli invitati non sarebbe stato un gesto elegante, né tantomeno sarebbe passato inosservato. Scuotendo la testa in dissenso con le ultime parole che gli erano state rivolte, Antonio restò fermo dov’era, il calice in mano, lo sguardo perso a studiare il pavimento. Rimase così per un lungo momento, non si accorse nemmeno che l’orchestra da camera aveva attaccato un nuovo motivo e le danze erano riprese. La serata stava declinando verso la mezzanotte ma l’euforia collettiva che aleggiava lasciava presagire che i festeggiamenti si sarebbero protratti fino alle prime luci dell’alba. Chi si dava ai balli, chi alle chiacchiere, chi al vino, tutti erano occupati a godersi la festa. Tutti tranne Anna, l’unica che non sembrava affatto divertirsi dall’espressione ansiosa che le si era dipinta in volto. Dopo essersi liberata dalla petulante contessa Antici, si era messa nuovamente a scrutare la sala e finalmente l’aveva scorto. Anche lui se ne stava in disparte, anche lui pareva sperso, pareva non prendere parte ai festeggiamenti, all’allegria, alla spensieratezza: tutt’altro che spensierato, sembrava assorto in pensieri cupi, pensieri che gli pesavano addosso come macigni costringendolo a tener lo sguardo basso.
Anna non perse tempo e si diresse con passo deciso verso di lui, lo colse alle spalle, chiamando per nome, scandendo quelle sillabe con una voce tra l’aggressivo e il supplichevole, come se da un lato lo volesse bastonare, dall’altro ne implorasse l’attenzione, l’affetto, l’amore. Antonio si voltò di scatto a quella voce, sussultando. Non le rispose, si limitò a fissarla per qualche fugace istante, con la bocca dischiusa, incantato, come se non l’avesse mai vista prima d’allora. Era stupenda quella sera, più del solito, pensò. Vuoi per l’abito di gala che le cadeva a pennello, vuoi per quei boccoli ribelli che tanto amava, vuoi per gli occhi più lucenti e profondi che mai. Non si capacitò fino in fondo del motivo per cui ne era rimasto abbagliato: si limitò a constatare il potere che aveva su di lui come una verità incontrovertibile, contro la quale nulla si poteva. Fu lei, infine, a rompere l’imbarazzo di quegli istanti sospesi.
-Penso che sia giunto il momento di parlare. – pronunciò sommessamente ma in un tono assertivo che non ammetteva repliche. Antonio annuì, abbassando il capo. Anna lo prese per un braccio e lo trascinò lontano dalle luci e dal frastuono della musica verso l’ampia balconata che dava sul giardino e lui si lasciò docilmente condurre. Il vento fresco della sera faceva tremolare le foglie dei grandi platani del giardino, gonfiava le tende che si sporgevano verso la terrazza. La notte era serena, si udiva soltanto il frinire dei grilli e il richiamo degli uccelli notturni che giungeva dal bosco: la musica e le voci della festa giungevano ovattate, restando sullo sfondo come un rumorio costante ma indistinto. Era quello il loro momento: nessuno li avrebbe cercati lì, nessuno li avrebbe disturbati. Anna si sporse appoggiando i gomiti alla balaustra e, mentre il suo sguardo si perdeva lontano nel buio della notte di maggio, cominciò:
- Se ti ho chiesto di seguirmi fin qui è per una ragione ben precisa. Un tormento che non mi fa più dormire la notte e non mi lascia pace nemmeno durante la giornata. Che ci sta succedendo, Antonio? – si voltò a guardarlo nella penombra illuminata soltanto dal chiarore della luna e dal riverbero delle luci lontane delle candele all’interno della sala. Gli occhi di Antonio scintillarono un istante prima che prendesse a parlare, poi si spensero, desolati.
- Non lo so. Me lo sono chiesto anch’io, più volte. Ma non ho saputo darmi una risposta. O forse una risposta c’è, ma non ci piacerebbe ascoltarla. – e tacque per un istante, guardandola mesto e rassegnato.
-Tu non ti fidi di me. Non ti fidi di quello che dico, di quello che faccio. Mi rifiuti, mi eviti. E a questo io non so porre alcun rimedio. – concluse poi.
Fu Anna qui ad abbassare lo sguardo, ferita, messa di fronte a quell’evidenza che aveva sempre cercato di negare a se stessa. Provò a discolparsi.
-Sì, forse è così, forse io non mi fido. Ma non di te, Antonio, no. Delle persone che ci stanno attorno, di quell’individuo losco e manipolatore del tuo amico LeBlanc. Non mi fido di lui. E temo che tu possa cadere nelle sue trame. Ma non ho mai messo in discussione la tua buona fede, la tua sincerità.-
- E allora perché continui a fuggirmi? Perché quella sera mi ha respinto, non hai voluto fare l’amore con me?-
- Quella sera ho sbagliato. È stato un mio errore, lo ammetto. Ma questo non cambia nulla. Finché quell’uomo starà sotto il nostro stesso tetto io non avrò pace: avrò sempre timore che ti persuada a partire, che ti porti via da me. Ed è per questa immensa paura che ti sfuggo. Per la paura che tutto sia già finito senza saperlo, che tu abbia già deciso di lasciarmi. Un’altra volta. –
- Ma che dici? Ti ho già ripetuto mille volte che non ho alcuna intenzione di partire per Parigi e sappi che se Jerome è ancora qui è solo perché tuo fratello l’ha invitato a fermarsi fino al giorno della festa. – ribatté Antonio, infervorandosi.
- Giuramelo. – esigette lei. – Giurami, Antonio, che non partirai, che resterai con me. –
- Quante volte te lo giurato? E quante mi hai creduto? – domandò di rimando. – Non serve a nulla, più a nulla: la mia parola per te non vale niente. – concluse amaramente Antonio, ritrovandosi a fissare il cielo scuro con sguardo desolato.
Quest’ultima frase restò per lunghi istanti sospesa nel buio della sera, nel silenzio della notte di maggio. Nessuno dei due era in grado di sostenere quel discorso che pareva logorarli. Si sentivano ormai ad un bivio che non contemplava la possibilità di ritornare indietro. Ogni parola fuori posto poteva pesare come un macigno sul piatto della bilancia: la paura di perdersi era troppo forte per rompere quel silenzio, in cui tutto era sospeso, tutto era, forse solo per poco, ancora intatto. Muti, immobili, con lo sguardo fisso davanti a loro verso il buio della notte, non osavano il benché minimo movimento, sembravano quasi trattenere anche il respiro. Quest’atmosfera d’attesa venne rotta da un soffio di vento, più forte e freddo degli altri, che scosse le cime degli alberi e fece rabbrividire Anna. Era quello il momento che Antonio aspettava per rompere gli indugi: istintivamente le si avvicinò e fece il gesto di aggiustarle sulle spalle lo scialle che portava appoggiato all’incavo delle braccia. Fu un gesto fulmineo, forse insignificante, sicuramente non smaccato; ma venne compiuto con quella premura e quella tenerezza che solo chi ama possiede e sa usare nei confronti dell’oggetto del proprio amore. Gesti semplici, ma inconfondibili che parlano di attenzioni, di cura, di dolcezza. A quel leggero contatto Anna si voltò, giusto in tempo per cogliere lo sguardo quasi sorpreso di Antonio, dolce e apprensivo, spaventato ma nello stesso tempo fiducioso. Furono certi, in quell’istante, che qualche piccola incomprensione non sarebbe valsa a separarli, che quello che provavano l’uno per l’altra, quell’amore sopravvissuto a lunghi anni di separazione, non poteva essere certo spento così, senza un motivo, solo per orgoglio, per paura. Si scrutarono negli occhi per qualche istante, senza aver il coraggio di infrangere quel meraviglioso silenzio che la natura quella sera donava loro. Poi, senza parlare, Anna passò delicatamente una mano sul volto di lui, accarezzandogli le guance, i capelli, per poi avvicinare le labbra alle sue in un bacio tenero, appena accennato, a mo’ di scusa, quasi non ardisse spingersi troppo oltre. Ma Antonio fu pronto ad accoglierlo con calore, mettendo da parte tutte le accuse, le recriminazioni, i malintesi di quei giorni. Del resto non aspettava altro che un suo gesto o una sua parola per poter riversare su di lei tutto il suo affetto e la sua tenerezza: le era mancata molto e non faticava ad ammetterlo. Stringendola fra le braccia, non poté pensare più a nulla, se non a quanto fosse stato stupido rischiare di perdersi per una questione di puntiglio, per non averle fatto sentire la sua presenza in modo più chiaro e per tante altre inezie che in quel momento non avevano alcun significato.
Mentre stavano ancora abbracciati, persi nella passione di quegli istanti, qualcuno scostò le pesanti tende e sopraggiunse alle loro spalle sulla terrazza.
-Dottore! – chiamò la voce di Amelia.
Antonio sussultò e Anna fece lo stesso. Entrambi, imbarazzati e confusi, si voltarono per mettere a fuoco nell’oscurità la figura della serva.
-Ehm…Amelia, che succede? – riuscì a balbettare Antonio, rassettandosi i capelli e cercando di nascondere il disagio per quell’irruzione intempestiva. Anna abbassò lo sguardo e si voltò verso il giardino: l’oscurità le permise di celare il rossore. Pudica qual era, non avrebbe mai sopportato di essere sorpresa da uno dei suoi servi mentre si prodigava in tenere effusioni. Tanto più a disagio si sentiva di fronte ad Amelia, che pure l’aveva allevata come una figlia: ma, forse, era proprio per questo che provava ancor più vergogna. Antonio, pur mostrandosi più spigliato, era anch’egli tipo piuttosto schivo e al cospetto dell’anziana serva si sentiva quasi sotto giudizio.
- Oh, marchesa, non pensavo che ci foste anche voi…Forse vi ho disturbato in un momento poco indicato…ma vi pregano di accorrere in fretta, quel paziente sta di nuovo male! – balbettò confusamente Amelia, rendendosi conto in quel momento che il dottore era impegnato in una conversazione riappacificante con la sua amata e che non sarebbe stato opportuno interromperli, visto il clima di tensione che negli ultimi giorni si era creato fra i due.
- Non vi preoccupate, avete fatto bene, Amelia. Vengo subito. Dite ad Angelo di sellarmi un cavallo: fra qualche minuto sarò pronto. – rispose garbatamente Antonio, nascondendo abilmente il disappunto per quest’ennesima emergenza che capitava proprio nel momento sbagliato. L’anziana governante salutò i due con un inchino goffo e sparì dietro i tendaggi.
- E così te ne vai di nuovo. – concluse amaramente Anna, senza distogliere lo sguardo dagli zampilli della grande fontana in mezzo al giardino.
- Credi che mi faccia piacere? –
- Non lo credo, ne sono certa. Sono certa che tu preferisca il tuo lavoro a queste stupide festicciole mondane, come le chiami tu. Non mi stupisco più, sai?-
- E’ così, mi conosci bene, non amo queste feste: non parlavo di questo, infatti. Avrei preferito restare qui fuori tutta la notte con te. Ma devo andare, qualcuno ha bisogno di me. –
- Ed io? Non pensi che anch’io abbia bisogno di te? –
- Almeno tanto quanto io ne ho di te. – concluse, avvicinandosi ad Anna per un bacio sulle labbra, ma lei fu pronta a scansarlo.
- Buon divertimento.- gli augurò sarcastica, in tono di scherno, mentre lui stava scostando i tendaggi per rientrare. Rimase un attimo sospeso a guardarla, distinguendo la luce amara dei suoi occhi nell’oscurità. Abbassò il capo e promise: - Farò il prima possibile. -
   
 
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