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Autore: Connie Burton    14/02/2018    3 recensioni
[Michael/Robert, angst, post “Lord of Shadows”, spoiler]
Dal testo.
C'era stato un tempo, prima del Circolo, prima della Rivolta, prima della disfatta, in cui Robert Lightwood avrebbe potuto affermare con una certezza salda quanto il diamante per cosa stesse combattendo, quale fosse la sua missione e, soprattutto, per chi valesse la pena vivere tutta la sofferenza che quella vita di cicatrici e morte portava con sé. Era soltanto un nome, in realtà, sette lettere e due sillabe, un paio di stoccate per emetterlo con la seconda che si perdeva contro la gola come una carezza di seta in un soffio, ma per Robert era stato molto di più.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Michael Wayland, Nuovo personaggio, Robert Lightwood, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: Questi personaggi appartengono tutti a Cassandra Clare (tranne Ariel Wayland). La storia è stata scritta senza scopo di lucro.

When I see you again
 
It's been a long day without you, my friend
And I'll tell you all about it when I see you again
We've come a long way from where we began
Oh, I'll tell you all about it when I see you again



 
Nero per cacciare quando il sole muore
Bianco è il colore per lutto e dolore
.
Era quello che la filastrocca recitava e tutti lo indossavano quella mattina mentre il sudario di seta candida avvolgeva il corpo statuario di quello che per lei era stato un padre, qualcuno su cui contare, qualcuno da rispettare e anche da temere.
Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre.
Era quello che la Bibbia recitava, quello che Valentine aveva insegnato anni prima a lei e a Jace, nel chiuso di una casa silenziosa e grigia, non lontana dalle tenebre di una segreta che conteneva il peccato più turpe che si potesse anche solo immaginare.
Aveva sempre nutrito dei sentimenti contrastanti per Robert Lightwood, il suo tutore da quando aveva dieci anni, per quegli occhi di un blu scuro e torbido sempre troppo severi e distanti, come se lo ferisse guardarla troppo a lungo.
Un tempo, quando era ancora bambina e brillava di innocenza e dolore, mentre dietro le palpebre zampillava il sangue di Valentine, le aveva confessato che lei era Michael.
In un primo momento non ci aveva creduto, ma quando aveva finalmente scorto la fotografia del suo vero padre, aveva capito cosa Robert intendesse. Stessi capelli ricci e scuri, stesse iridi calde e colme di risate, stesso sorriso gentile e sagace.
Pensarci in quel momento faceva male, sembrava sbagliato, come se non stesse rendendo merito a quell'uomo che l'aveva accolta.
Il corpo di Robert stava bruciando sulla pira, il fumo candido che si innalzava verso il cielo per arrivare al Paradiso, le lacrime dei suoi cari come libagioni alla divinità e all'Angelo Raziel, lo schiocco secco dei singhiozzi che Maryse, Izzy e Clary, notò di sfuggita, non riuscivano a trattenere.
Anche Jace piangeva, ma era più discreto, il braccio destro sulle spalle di Alec che si appoggiava a lui, il viso abbandonato contro la sua spalla come se non volesse assistere. Magnus non c'era, si sentiva troppo male per poter assistere e i bambini erano con lui mentre Simon era accanto a Clary, capo chino e mani che stringevano quelle piccole della ragazza.
C'erano altri membri del Conclave, persone autorevoli, visi grevi e scavati nella pietra e nel marmo, iridi abbassate per rispetto ai familiari.
Ariel avrebbe soltanto voluto urlare loro contro. I Nephilim riuscivano a trasformare anche i funerali in una bieca ostentazione di buone maniere. Aveva quasi voglia di mandarli tutti al diavolo. Era colpa loro se Robert e Livvy Blackthorn, la piccola e coraggiosa Livvy, erano morti. Se non avessero attaccato Annabel, niente di tutto quello sarebbe mai accaduto.
I suoi occhi dorati rifulgevano di rabbia repressa, ma si stava imponendo di resistere. Per Izzy e Maryse, per Alec e Jace, e anche per se stessa. Non avrebbe macchiato di disonore la memoria di Robert con una scenata da tragedia greca. Non l'aveva fatto neanche con Valentine, dopotutto, e Robert era stato un padre cento e mille volte migliore di lui.
Sospirò e si asciugò le lacrime e il sudore dagli zigomi alti, scostandosi i capelli che le avevano celato il volto come il velo di una prefica. Aveva gli occhi arsi dal fumo, pieni di quella devastazione, mentre lo sguardo si perdeva verso il cimitero monumentale, la necropoli di Alicante.
Maryse aveva deciso di porre la lapide commemorativa al fianco di quella del suo padre naturale, di Michael Wayland, il genitore che le era stato strappato via prima ancora che potesse conoscerlo, due braccia salde che l'avevano cullata da neonata di cui Ariel non serbava alcun ricordo.
Erano stati parabatai e di solito venivano tumulati insieme, ma Robert aveva lasciato scritto che avrebbe preferito servire nella Città d'Ossa e Maryse aveva accettato le sue volontà. In merito alle ceneri di suo padre, invece, Ariel dubitava che Valentine avesse avuto la buona grazia di raccoglierle e preservarle dall'aere maligno.
«Izzy,» mormorò, avvicinandosi alla sua parabatai quando un singulto più forte degli altri la scosse talmente tanto da farla quasi cadere in ginocchio. Izzy non si voltò, come se non l'avesse sentita e forse era davvero così.
La sua Isabelle, il suo Sole splendente, quella giovane donna forte e implacabile, rifulgente di furia come un turbine di fuoco, sembrava spezzata sotto il peso della perdita. Stringeva tra le dita qualcosa che non riusciva a scorgere per bene, ma aveva tutta l'aria d'essere lo stilo di Robert e guardarla le dilaniava l'anima. Si avvicinò e la prese tra le braccia, stringendola a sé per impedirle di sgretolarsi come una statua di sale.
«Avrebbe dovuto accompagnarmi all'altare,» sussurrò con un filo di voce, contro il suo collo, il respiro che le solleticava la pelle, le lacrime che bagnavano le rune rosse della perdita impresse sul colletto della giacca.
Ariel sospirò e finalmente le lacrime che non aveva versato, troppo infuriata, troppo piena d'odio e rancore, arrivarono con tutta la furia di un plotone d'esecuzione. Si ritrovò a sorreggere Isabelle, ad accompagnarla mentre cadeva ai piedi della pira mentre il legno crepitava facendosi beffe della loro disperazione.
Ave atque vale, pater, si ritrovò a pensare, spero che l'abbia ritrovato e spero che siate insieme adesso, come non avete potuto esserlo in vita.

 
*


C'era stato un tempo, prima del Circolo, prima della Rivolta, prima della disfatta, in cui Robert Lightwood avrebbe potuto affermare con una certezza salda quanto il diamante per cosa stesse combattendo, quale fosse la sua missione e, soprattutto, per chi valesse la pena vivere tutta la sofferenza che quella vita di cicatrici e morte portava con sé. Era soltanto un nome, in realtà, sette lettere e due sillabe, un paio di stoccate per emetterlo con la seconda che si perdeva contro la gola come una carezza di seta in un soffio, ma per Robert era stato molto di più.
Aveva avuto altri amici prima dell'incidente, bambini con cui giocare tra i campi meravigliosamente verdi e rigogliosi di Idris e con cui vivere avventure ai limiti del possibile. Nessuno, però, gli era mai stato vicino quanto Michael. Quel ragazzino dagli occhi troppo grandi e troppo sinceri, dai riccioli scuri e dal volto botticelliano era stato la sua rinascita. Era tornato a respirare, aveva imparato a essere di nuovo uno Shadowhunter grazie a lui e in cambio, ricordò mesto, gli aveva dato ben poco: la sua amicizia, il petto su cui era impresso il marchio più importante, l'unico che non l'aveva fatto tremare, e le risate condivise nel buio della loro camera all'Accademia.
E il disprezzo, soggiunse la voce maligna della coscienza, parole cattive contro un'anima pura. Sei sempre stato un debole, Robert. Michael era forte nella sua ingenuità, ma tu non eri degno del suo amore, non lo sei mai stato.
Il pensiero lo ferì e scosse il capo per scacciarlo, ma rimase come un tarlo che divorava ogni altro ricordo felice, lasciandogli soltanto le ceneri di un amore che era stato totale e incondizionato, il capo chino di Michael, i suoi occhi pieni di lacrime, le dita che tremavano come non avevano mai fatto prima, lui che era sempre così sicuro, l'unica cosa in cui avesse creduto sul serio nella sua vita.
L'aveva trattato come se non significasse niente, con il gelo di un Re contro un servo e da quel giorno tutto il suo mondo era crollato. Aveva vissuto per inerzia, combattendo perché altri lo facevano, assoggettandosi a Valentine come un burattino senza coscienza e senza convinzioni proprie, senza uno scopo e uno sprone.
Poi era arrivato Alec e Robert aveva saggiato l'ossigeno come un moribondo che scostava il sudario del sepolcro. Stringere quel fagottino dagli occhi azzurri e le gote rosee, ciuffi di capelli neri e ribelli quanto i propri e manine grinzose che si stringevano intorno al suo indice, era stato trovare l'acqua in un deserto.
Si sosteneva che non si amasse nessuno come il primo figlio. Robert ne aveva avuti tre ed erano stati le ragioni della sua vita, ma Alec era speciale, in questo poteva concordare.
Alec aveva la dolcezza di Michael, la sua ingenuità, quella particolare propensione all'altruismo che lo conduceva a stimare gli altri più di quanto non facesse con se stesso, ad aiutarli e a supportarli sempre.
Forse era per quello che aveva sempre avuto dei problemi a rapportarsi con lui. Alec, come Michael, era troppo buono e Robert non si sentiva all'altezza di una tale benedizione. Avrebbe voluto scusarsi con suo figlio molte volte, ma era troppo tardi ormai.
Era nelle tenebre della morte e il buio si dipanava come il fuso delle Moire dinanzi a lui mentre Atropo recideva il filo che lo teneva ancorato alla vita.
Aveva già vissuto un momento simile nella sua vita, sulle sponde del Lago Lyn, le sue acque corrosive che gli avevano impregnato i polmoni e provocato una tachicardia che gli aveva fatto temere per le proprie sorti.
Si era sporto a cercare la mano di Michael e l'aveva stretta in una presa spasmodica e tremante, voltando il capo verso di lui e cercando le sue labbra per sentirsi in sé, perché soltanto Michael riusciva a riportarlo al mondo, il loro mondo, un piccolo universo privato in cui esistevano soltanto loro e in cui nient'altro contava.
L'aveva baciato con disperazione e furia, denti che si scontravano e labbra turgide per la troppa forza, la mano sinistra che artigliava la nuca del ragazzo sotto di sé. Petto contro petto e fianchi contro fianchi, Robert s'era quasi fuso con Michael, le rune a contatto e le gambe intrecciate. Poi il bacio s'era trasformato in una carezza gentile, le labbra di Michael che sfioravano le sue con reverenza, come se avessi dinanzi a sé qualcosa di talmente prezioso da doverlo preservare a qualunque costo.
Il mio primo bacio è stato di Michael, ponderò con meraviglia, scoprendolo di nuovo, un ricordo sepolto sotto strati di polvere e sensi di colpa.
«Robert?» lo chiamò una voce conosciuta, una voce che da anni sentiva soltanto nei sogni, «Rob, sei tu?»
Si guardò intorno e la nebbia scura si diradò lentamente, come la notte quando lasciava spazio al giorno, il cielo che si tingeva prima di blu e poi d'oro e di rosa e d'azzurro sino a lasciare spazio al Sole vigoroso dell'Estate.
E l'alba gli portò il suo cuore che avanzava verso di lui come in una visione.
Michael vestiva una vecchia felpa scolorita, di un verde spento macchiato di bianco, che ricordava di avergli visto addosso per l'ultima volta quando gli aveva presentato i suoi gemelli, Ariel e Jonathan, occhiaie violacee per la mancanza di sonno ma sguardo orgoglioso e pieno d'amore come solo quello di un genitore poteva essere, e Robert non pensava di aver mai visto nulla di più bello in tutta la sua vita.
«Michael,» mormorò incredulo, la voce raschiante e roca come se non la usasse da tempo. Assaporò di nuovo quel nome che non si era permesso di pronunciare se non nell'intimo della propria anima e il suo parabatai sorrise, i denti candidi come piccole perle che riflettevano la luminosità del Sole, «I miei figli... la tua Ariel... Jace... Maryse.»
Nominarli faceva male quanto un pugnale che gli scavava nel cuore, uno scalpello che perforava le arterie sino a squarciarlo dall'interno come gli artigli di un demone. Certi veleni funzionavano a quel modo, Robert lo sapeva bene, ma c'era qualcosa di diverso. Era un dolore dolce, nobilitato dall'affetto.
«Quello che senti è il loro amore per te. Ti stanno dicendo addio,» gli confermò Michael. Ancora sapeva leggergli nella mente, ma Robert si stupì di non poter arrivare alla sua. Poi una fitta lo colpì al costato come l'elsa di una spada contro il petto, «Ah sì, perdonerai Ariel e la sua ira, voglio sperare,» soggiunse più preoccupato, gli occhi carichi di mestizia e le sopracciglia aggrottate mentre si sfiorava il cuore sopra la felpa.
Ariel era sempre stata sin troppo arrabbiata per essere soltanto una ragazzina, una guerriera straordinaria costretta nel corpo di una bambina
«Sono stato crudele con lei. Mi dispiace,» si scusò con sincerità disarmante, la voce carica di lacrime trattenute. Era stato davvero cattivo con Ariel, ricordò con vergogna, con quella bimba che diceva sempre con esattezza cosa le passasse per la testa, per quanto peculiare e brusco potesse essere. L'aveva ripresa tante volte per quelle sue qualità. Quanto più sentiva le sue somiglianze con Michael tanto più insisteva per soffocarle, un'attitudine per cui Izzy e Alec, temeva, non l'avessero mai perdonato.
«Crudele? No, non credo,» lo rassicurò, sfiorandogli il braccio con quelle dita lunghe e affusolate con le quale sapeva accarezzare i suoi bambini così come forgiare armi sgradevoli ma funzionali, «Ti sei preso cura di lei, le hai voluto bene, è più di quello che ho potuto fare io.»
Provò un moto improvviso di rabbia, contro Valentine che l'aveva ucciso, sì, ma soprattutto contro se stesso per non essersene accorto, esiliato com'era stato dal Conclave. Tuttavia la colpa non era di Imogen Herondale, la nuova Inquisitrice, bensì sua, sua e completamente sua.
«Mi dispiace tanto, Michael. Se l'avessi saputo, se l'avessi capito...»
Michael gli sorrise mentre gli carezzava la guancia, prendendola a coppa nel suo palmo reso calloso dagli allenamenti e dalla forgia. Robert cercò istintivamente quel contatto. La pelle di Michael era un balsamo contro il dolore, il suo tocco lo faceva sentire protetto e amato e la sua pelle profumava di luce solare. Aveva sempre avuto un sorriso dolcissimo, ma in quel momento era bello quanto un Angelo, rifulgente di gloria divina.
«Non è colpa tua. Non tormentarti,» sussurrò gentile, la voce carica di promesse e di futuro, come se gli stesse per narrare del loro personale universo tascabile, «Non mi chiedi dove siamo?» domandò sornione, spalancando le braccia per mostrargli tutta quell'immensità. Erano in una radura verde, l'erba tagliata di fresco e umida di rugiada, un immenso spazio smeraldino che ben si sposava con il blu del cielo. Non gli sembrava di conoscerla, ma non era importante, non in quel momento.
«Non m'interessa fino a quando sono con te,» asserì con la sicurezza che gli era mancata in vita. Michael sorrise di pura felicità e fu come guardare il Sole. Robert si stupì di non essere andato a fuoco sotto quello sguardo e dovette scostare per un secondo il proprio perché stava diventato troppo da sopportare, «Max... Max è qui?» domandò in un pigolio curioso da sentire in un uomo imponente quanto lui, osservandosi intorno per scorgere la sagoma piccola ed esile del suo terzogenito. Max e i suoi occhiali troppo grandi per il suo viso minuscolo, Max e il suo amore per i libri, la sua risata buffa che rendeva l'Istituto un posto meno freddo e asettico, le citazioni sussurrate che gli aveva insegnato Ariel, lo sguardo adorante che aveva mentre scorgeva Jace e Alec combattere, le braccia strette intorno alla vita di Izzy, i baci teneri che percepiva ancora sulle sue gote e su quelle di Maryse. Max e la sua innocenza, Max morto troppo presto.
«Siamo stati in tanti a prenderlo in simpatia. È un ragazzino intelligente ed è timido quanto te,» esclamò Michael con allegria, trattenendo una risata d'affetto. Era bello sapere che qualcuno s'era preso cura di Max, soprattutto se era stato Michael. Non avrebbe affidato i suoi figli a nessun altro.
«Izzy ha chiamato il suo primo figlio in suo onore. Maxwell Michael. Poi c'è Rafe,» mormorò con dolcezza infinita. I suoi nipotini, i figli di sua figlia, l'amore che provava per loro, la felicità nelle iridi di Isabelle, la presa sicura di una madre, la consapevolezza che sua figlia, che la sua meravigliosa e splendida bambina, fosse cresciuta così tanto da avere una famiglia tutta sua. Era orribile lasciarsi in quel momento, non poterli abbracciare mai più, non potendo più nutrire la speranza di poter essere un nonno migliore rispetto al padre che era stato.
«Veglierai su di loro da qui,» gli promise Michael, le dita che scendevano dalla guancia fino alle spalle e giù lungo il braccio destro verso la sua mano aperta, restituendogli un altro pezzo di se stesso, uno scopo anche nella morte.
«Ti ho amato,» gli confessò con un impeto che quasi lo gettò a terra, in ginocchio dinanzi al suo parabatai, «Mi sono odiato per ciò che ti ho fatto, per essere venuto meno al nostro sacro patto, per averti scacciato come se mi disgustassi. La verità è che... se potessi tornare indietro, ti abbraccerei e ti direi...»
Ti amo. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo prima, ma ti amo, Michael.
«Puoi farlo adesso. Abbiamo tutto il tempo adesso,» lo rassicurò in un sorriso carico di possibilità e di vita, seppur fossero entrambi oltre le sue soglie. Robert annuì, saldo come un Nephilim doveva essere, per una volta privo di dubbi e rimostranze, privo di quell'inutile aura di boria che era tanto tipica della sua famiglia. E finalmente riuscì a esprimere ciò che avrebbe dovuto dire anni e anni prima, quando Michael gli aveva aperto il suo cuore e gli aveva consegnato la sua anima.
«Sì, sì, Michael.»





Angolo autrice.
Che dire? È San Valentino e dovevo scrivere qualcosa sulla mia OTP, ovviamente angst sino all'inverosimile. Michael e Robert sono due personaggi ai quali sono davvero molto affezionata anche separati, ma insieme diventano un'accoppiata che mi spezza il cuore. Michael è un amore e Robert mi ha sempre fatto rabbia e tenerezza insieme, ma loro due si appartengono completamente e dopo gli avvenimenti del “Signore delle Ombre” spero proprio che si siano ritrovati insieme, qualunque cosa ci sia dopo la morte.
Il personaggio di Ariel Wayland è un'OC sul quale ho intenzione di scrivere qualcosa in futuro, lei è figlia di Michael ed Eliza ed è la parabatai di Isabelle che, in questa storia,  è fidanzata con Magnus (si stanno per sposare in realtà) e hanno adottato Max e Rafe. Per nulla togliere alla Malec, ma io shippo troppo Izzy e Magnus quindi tendo a inserirli ovunque.
Nella storia ci sono dei riferimenti sia alle Cronache dell'Accademia che alla saga di TDA mentre la canzone all'inizio e nel titolo è “When I see you again” di Wiz Khalifa e Charlie Puth.
Spero che la storia vi sia piaciuta e grazie a tutti per averla letta e per essere arrivati sin qui. 
Un bacio e buon San Valentino a tutti.
_Fernweh_

 
   
 
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