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Autore: Shireith    16/02/2018    1 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

3 ottobre 2017, martedì,
  ore 19:34, Parigi

«Era un po’ bassa, Marinette.»
  «Tu dici? Non me n’ero resa conto. Smettila di fare Capitan Ovvio e muovi quelle gambe!»
  «Come la mia signora comanda!»

5 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:43, Parigi

«E quello cos’era?»
  «Un pallonetto.»
  «Ma se non c’era neanche il muro?»
  «Ma poteva esserci! Dobbiamo pensare in grande.»
  «Adrien.»
  «Ok, scusami. Torno a fondo campo.»

6 ottobre 2017, venerdì,
  ore 18:45, Parigi

«Questa era buona.»
  «O forse vorrai dire… purrrfetta
  «…»
  «L’hai capita? Perché sono un gatto.»
  «…»
  «E dai, era carina.»
9 ottobre 2017, lunedì,
  ore 20:04, Parigi

«E con questa abbiamo raggiunto il 48% di riuscita dell’azione» tirò le somme Adrien alla fine dell’ennesima sessione di allenamento con Marinette. «Non male, eh?»
  «Per niente.» La giovane andò a sedersi di fianco a lui, porgendogli una bottiglietta d’acqua. «Te la cavi bene coi numeri» constatò, allungando il collo per leggere i calcoli svolti dal ragazzo sul foglio di carta che stringeva tra le mani.
  Adrien prese qualche sorso d’acqua, svuotando circa la metà del contenuto della bottiglietta. «Abbastanza. Sai, mio padre è molto esigente, in queste cose.»
  «Immagino.» Per un attimo cadde il silenzio. Marinette non sapeva come Adrien stesse davvero vivendo il ritiro da scuola nell’intimo dei suoi pensieri e credeva che parlare del padre potesse peggiorare ulteriormente la situazione; perciò, dopo l’ultima uscita del giovane, pensò bene a quali parole usare. «È una buona cosa, avere voti alti. Semmai dovessi infortunarti e dire addio alla pallavolo, non rischieresti di diventare una barbona come me» decise infine di dire, tentando di alleggerire la tensione.
  Adrien rise. «Sono sicuro che c’è altro in cui sei brava.»
  «Sarà, ma la matematica non è certo una di quelle.»
  «Sei messa così male?»
  «È la materia in cui ho più difficoltà» ammise.
  «Ti andrebbe se ti dessi una mano io?» propose il ragazzo.
  Marinette lo osservò incredula. «Dici davvero?»
  «Ma certo» asserì con convinzione. «Nathalie è sempre stata severa ed esigente e ho imparato bene. Sarei un ottimo insegnante, te lo garantisco.»
  «È-È solo che…»
  «Non ti fidi di me?» si finse offeso.
  La giovane prese quell’innocua provocazione con fin troppa serietà: pur avendo compreso l’entità scherzosa del gesto, la sua recente cotta per Adrien faceva sì che arrivasse a trattarlo con i guanti bianchi in una maniera fin troppo esagerata. «Ma no, figurati! Come potrei mai non fidarmi di te… Cioè! Aspetta…» Tacque: era imbarazzata, e l’essere in imbarazzo le creava ancora più imbarazzo. Si sentiva una stupida nel comportarsi così impacciatamente con un ragazzo solo perché aveva una cotta per lui. Già alle medie aveva sperimentato i primi amori adolescenziali, a cui conseguivano sempre le prime rotture e i primi cuori infranti; tuttavia, anche dopo la sua prima storia andata male, lei era andata avanti, e, nonostante il suo carattere, non aveva mai agito in modo così maldestro – e dire che sbadataggine era il suo secondo nome. «Con tutti gli impegni che hai, non vorrei essere un peso» riuscì infine a dire, ricomponendosi. «E poi come faresti con tuo padre?»
  «Potremmo sfruttare gli allenamenti come copertura» propose. «Pensaci: se chiedessi a DeLacroix di darmi un piccolo aiuto e far credere a mio padre che gli allenamenti si sono intensificati, potremmo venire qui per primi e andarcene per ultimi, riuscendo così a ritagliarci un po’ di tempo per noi.»
  «Non posso accettare.» Adrien parve deluso. «Non è per te, assolutamente!» ci tenne a fargli sapere immediatamente. «Mi piacerebbe molto se mi aiutassi con la matematica, ma non posso permetterti di rischiare di peggiorare ulteriormente le cose con tuo padre a causa mia. Potrebbe venire a saperlo.»
  «Come, parlando con gli altri genitori?»
  La giovane liberò una lieve risatina ancora prima di rendersene conto. «Scusami.»
  «E di cosa? Marinette, mio padre è un topo d’appartamento – be’, in questo caso più un topo da villa a due piani con giardino, ma non è questo il punto –, da chi potrebbe venirlo mai a sapere?» L’amica pareva ancora dubbiosa, perciò continuò: «Voglio sdebitarmi con te per tutto l’aiuto che mi stai dando.»
  Marinette giocava a pallavolo da anni; Adrien, invece, era entrato in quel mondo da poco: fino all’età di quindici anni, infatti, aveva praticato la scherma. Gli ci erano volute lunghe battaglie e una grande pazienza per riuscire a convincere suo padre che la scherma non era la sua vera vocazione e che voleva invece praticare la pallavolo, come sua madre prima di lui aveva fatto – e proprio per questo motivo, Adrien riteneva fosse un miracolo che il padre avesse detto sì. Come Marinette, anche lui possedeva un talento naturale, ma, a differenza della ragazza, aveva avuto molto meno tempo a disposizione per coltivarlo: per questo motivo la sua era una tecnica grezza che andava affinata. Peccava molto in ricezione, e da quel punto di vista la giovane alzatrice lo stava aiutando moltissimo.
  «Ti ricordi tutte le palle che mancavo prima? Adesso riesco a prenderne almeno la metà. Ed è tutto merito tuo» asserì convinto, facendosi più vicino.
  La corvina, vedendolo accorciare le distanze, sentì le guance andare a fuoco. «Ok, ci sto!» disse, alzandosi di scatto per sottrarsi a quell’imbarazzo.
  Adrien sorrise contento. «Grandioso.»

10 ottobre 2017, martedì,
  ore 20:53, Parigi

Marinette e Adrien cominciarono la messa in atto del piano il giorno seguente, grazie all’allenatore DeLacroix che aveva accettato di fornire loro un piccolo aiuto in nome di una buona causa. L’uomo, del resto, pareva sinceramente affezionato ad Adrien, così come agli altri ragazzi, e comprendeva il disagio causatogli dalle manie di controllo del padre.
  I due giovani arrivarono in palestra mezz’ora prima e, terminato l’allenamento, si trattennero un’altra mezz’ora, offrendosi di turno per mettere a posto l’attrezzatura.
  «Nathalie sarà qui a breve» annunciò a un certo punto Adrien leggendo il messaggio che l’assistente di suo padre gli aveva appena inviato.
  «Meglio andare, allora» decretò Marinette, alzandosi dalla panchina su cui erano seduti e cominciando a racimolare la sua roba, subito imitata dall’altro.
  «Continuiamo domani?»
  «Dopodomani» lo corresse. «Domani c’è l’amichevole.»
  «Giusto. E venerdì…»
  «… la semifinale, già.»
  «Ah, sì, anche quello» buttò lì Adrien senza pensarci troppo.
  «Perché, cos’altro succede, venerdì?»
  «È stato organizzato un importante evento di beneficienza e la maison di mio padre è tra i principali finanziatori, perciò io che sono suo figlio devo ovviamente essere presente.»
  Marinette capì che cosa volesse davvero dire Adrien, ossia qualcosa come “Devo andarci per non rovinare la sua immagine, non perché gli importi davvero che io sia presente”. «È un bellissimo gesto da parte sua» commentò nel tentativo di risollevargli un po’ il morale.
  «Sì, però non credo che lo faccia perché gli interessa davvero aiutare i meno fortunati, ma per la sua immagine.»
  «Adrien, tuo padre potrà anche non essere un bravo genitore o una persona molto espansiva, ma ciò non significa che non abbia un cuore.» Una volta Gabriel Agreste aveva amato una donna e Adrien era nato da quell’amore, non dal nulla, non dal caso; perciò Marinette riteneva fermamente che, a dispetto del suo brutto carattere e dei suoi errori, non fosse completamente privo di sentimenti. Era pur sempre un essere umano.
  «Probabilmente hai ragione tu» le concesse, sorridendo.
  «Hai detto che l’evento si terrà a Le Grand Paris, giusto? Quindi ci sarà anche Chloé?»
  «Sì» rispose, e nel suo sguardo Marinette colse la conferma ai suoi dubbi: lo spacco generatosi tra i due era più grande di quanto avesse immaginato inizialmente. «Te ne sei accorta, eh?»
  La giovane si strinse nelle spalle. «Quando la professoressa ha detto alla classe che tuo padre ti aveva ritirato, Chloé non si è scomposta più di tanto» spiegò. «Quando mi hai detto che avevi già cominciato a prendere le distanze, non pensavo che le cose tra voi due fossero messe così male. Solo non vorrei che fosse per le parole che ti ho detto quella volta in biblioteca.» Di colpo Marinette si sentì un’idiota. Non apprezzava Chloé come persona né approvava il suo rapporto con Adrien, ma, di fatto, chi era lei per sindacare su cosa dovessero fare o meno gli altri?
  Di fronte al rammarico dell’amica, Adrien desiderò mettere immediatamente in chiaro le cose. «Marinette, non dirlo nemmeno per scherzo. Tu non hai colpa di niente» le assicurò, posandole una mano sulla spalla. Quando la giovane alzò lo sguardo su di lui e nei suoi occhi vi lesse insicurezza, volle continuare: «Anzi, ti sono grato per le tue parole. Mi hanno fatto capire che finora ho sbagliato, con Chloé: la trattavo sempre con i guanti bianchi, anche quando sbagliava. Giustificavo le sue azioni in nome della nostra amicizia, e questo non va bene.» Ritirò la mano prima posata sulla spalla della ragazza, lasciando ricadere il braccio lungo la vita. «Però credo di aver sbagliato anche quando ho cercato di rimediare ai miei errori: sono stato troppo severo, avrei dovuto essere più gentile.» Marinette non parve molto convinta. «Ma tu non sei d’accordo.»
  «No, non lo sono» ammise. «Onestamente non concepisco come si possa essere amici di qualcuno Chloé, però so che tu sei una persona capace di prendere le tue decisioni, e per questa ragione non posso essere io a dirti cosa fare.»
  «Vorrei che anche mio padre la pensasse così» ironizzò, strappandole una risata. «Lo apprezzo davvero tanto. Grazie» le disse sinceramente, aprendosi in un sorriso affettuoso.
  Di fronte a quel gesto, il cervello di Marinette parve risvegliarsi da un momentaneo stato di torpore e prese a ricordarle con insistenza che a lei quel ragazzo piaceva da morire. La giovane sentiva che non ce l’avrebbe fatta a rimanere calma ancora a lungo con tutto il nervosismo che le stava montando dentro a causa di quella situazione. «L’assistente di tuo padre non stava per arrivare?» cambiò argomento.
  «Cavolo!» esclamò Adrien, cominciando a raccogliere le proprie cose. Gli capitò, per errore, di urtare una cartellina, i cui fogli contenuti si sparpagliarono sul pavimento quando questa cadde a terra.
  Marinette, allarmatasi, si affrettò a riprenderne possesso, ammucchiando i fogli come meglio poté e mettendoli al sicuro nella sua borsa. Tuttavia ciò non fu abbastanza per evitare che Adrien, aiutandola, potesse afferrarne qualcuno e vedere il suo operato.
  «Sono tuoi?»
  «Ah, sì…»
  «Sono molto belli.»
  A quel complimento inaspettato del giovane, Marinette avvertì le farfalle nello stomaco; tuttavia ci teneva a lasciar cadere l’argomento il prima possibile. «Grazie, ma non è niente di che.»
  «Scherzi? Si vede che hai talento» insisté lui. «Da quanto ti piace la moda?»
  «È solo un passatempo, niente di più» tagliò corto lei. «Andiamo?»
  Il giovane avvertì che c’era qualcosa di sé che la ragazza non ci teneva a mostrargli e, per quanto una parte di lui desiderasse sapere cosa fosse, era più che disposto a rispettare la sua scelta. «Sì, andiamo.»
  Camminarono per il corridoio che conduceva all’entrata principale avvolti in un silenzio strano, imbarazzante, e una volta fuori si scambiarono un breve e formale saluto prima di proseguire ognuno per la propria strada, Marinette verso casa sua e Adrien verso l’automobile che lo attendeva.
11 ottobre 2017, mercoledì,
  ore 17:00, Parigi

La seconda amichevole che vedeva le Serpi e le Aquile contro le Coccinelle e i Gatti Neri iniziò alle cinque in punto.
  Antoine e Jacqueline avevano apportato solo due cambi alla formazione della volta precedente, lasciando Adrien e Marinette come titolari: sebbene avesse ancora una buona percentuale di fallimento, la loro veloce costituiva comunque un’ottima arma da sfoderare in campo. A dispetto di ciò, tuttavia, la partita fu tutt’altro che facile, poiché anche le Serpi e le Aquile avevano tirato su una buona squadra. E se le Coccinelle e i Gatti Neri avevano dalla loro la veloce di Adrien e Marinette, le Serpi e le Aquile potevano contare su niente poco di meno che la pura forza: il loro schiacciatore laterale, facente parte delle Aquile, era un robusto gigante di un metro e ottantasette. Da tener d’occhio c’era anche il centrale numero 2, che, alto e veloce, costituiva un muro scomodo da affrontare.

  Durante il terzo set, con le Coccinelle e i Gatti Neri che conducevano per 10 a 8, il morale era alle stelle. Scambiandosi un’occhiata d’intesa, Marinette e Adrien decisero che era il momento.
  Al servizio di un compagno di squadra dei due, la palla passò nella metà campo avversaria e tornò indietro in tre tocchi, al che Valentin, il centrale dei Gatti Neri, la ricevette mandandola in direzione di Marinette.
L’alzerà al 9, pensò il centrale avversario, vedendo Marinette protendere le mani in avanti. Si andò a posizionare sotto rete, di fronte ad Adrien, pronto a murarlo.
  Di fronte alla velocità dell’azione, gli avversari rimasero interdetti: contrariamente a quanto avevano pensato, la giocata di Adrien e Marinette che nella precedente partita aveva portato i Gatti Neri e le Coccinelle alla vittoria non era stata solo questione fortuna.
  «Certo che potevi anche deciderti prima.»
  «Le armi segrete vanno sfoderate al momento giusto.»

  Al match-point delle Coccinelle e dei Gatti Neri, l’avversario batté su Adrien, cosicché il ragazzo non potesse più toccare la palla e di conseguenza schiacciare. Purtroppo il giovane, non completamente efferato nella ricezione, riuscì a tenere la palla soltanto mandandola alta su Marinette. «Scusami!»
  «Non ti preoccupare!» L’alzatrice avanzò di qualche passo e saltò per prendere la palla prima che questa, prossima a raggiungere la rete, potesse tornare nella metà campo avversaria. Finse un’alzata, il muro a lettura1 avversario già pronto a saltare una volta capito a chi Marinette volesse alzare, ma poi la ragazza cambiò del tutto intenzione e schiacciò a mezz’aria.
  L’arbitro fischiò e la partita poté considerarsi terminata.
  «Fingere un’alzata per ingannare il muro avversario e poi di colpo schiacciare. C’è qualcosa che non sai fare?»
  «Ricevere con la faccia?»
  «È stato solo un incidente!»

12 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:02, Parigi

Antoine e Jacqueline optarono per un allenamento congiunto anche il giorno che precedeva le semifinali. Come loro solito, Marinette e Adrien si presero del tempo per lavorare sul miglioramento della loro giocata.
  «Sai,» iniziò il giovane mentre l’aiutava a spostare sotto rete un cesto pieno di palloni, «stavo pensando che potrei dare un nome alle schiacciate che faccio grazie alle tue alzate.»
  «Oddio» commentò Marinette, già preparatasi al peggio. Nonostante Adrien potesse a prima vista sembrare un ragazzo praticamente perfetto – bello, ricco, intelligente e talentuoso –, nascondeva in realtà un difetto piuttosto fastidioso: era uno scocciatore. Aveva un lato di sé più aperto e spigliato che lo portava a fare battute davvero pessime – anche se, in fondo, sapeva come farla ridere.
  «Sono serio. Cosa ne pensi di “Cataclisma”? Non ti dà l’impressione di qualcosa di minaccioso?»
  «Se non la smetti ti minaccio io.»
  «E come?»
  «Non ti alzo più la palla.»
  «Ma così perdiamo.»
  «Non te la alzo comunque.»
  «La verità, mia cara, è che io sono la cavia perfetta per testare le tue alzate più veloci. Non puoi evitare di alzarmi la palla perché ogni volta muori dalla voglia di farlo. In più, se smettessi, sarebbe molto difficile continuare a vincere contro le Serpi e le Aquile.»
  Marinette sapeva che aveva ragione, ma non voleva darla vinta a quel gattaccio, altrimenti era sicura che gliel’avrebbe rinfacciato come minimo per tutta la giornata.
  «Quindi, me le fai queste alzate o no?» portò avanti la provocazione.
  Un sorriso machiavellico si fece spazio sul volto della giovane quando l’idea perfetta per fargliela pagare le balenò nella mente. «Paul!» chiamò a gran voce, attirando l’attenzione del libero dei Gatti Neri.
  Questi le si avvicinò. «Dimmi, Marinette.»
  «Adrien ha voglia di allenarsi un po’ in ricezione, oggi. Lo aiuti tu? Io non posso.» Il giovane Agreste sbiancò.
  Paul si prese un attimo per osservarli e capì che quello era il modo di Marinette di vendicarsi di qualcosa che Adrien aveva detto o fatto. Ridendosela tra sé, decise che l’avrebbe aiutata. «Ma certamente.»
  «Perfetto. Grazie.» Decise che lei si sarebbe affiancata a Christian nell’alzare la palla ai loro compagni.
  «Questa la sconterai» volle farle sapere Adrien, seguendo poi Paul e sistemandosi poco distante da lì.
  «Lo vedremo» disse lei di rimando, compiaciuta di se stessa. Per quanto desiderasse migliorare la propria tecnica per non costare alla squadra punti preziosi in partite importanti, Adrien odiava allenarsi nella ricezione e questo la ragazza lo sapeva bene.
13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 18:50, Parigi

Marinette saltò fingendo un’alzata, ripiegando poi su un attacco di seconda intenzione2 che colse di sorpresa la squadra avversaria. Il terzo e ultimo set stava procedendo bene per le Coccinelle, visto e considerato che avevano mantenuto il vantaggio fin dal suo inizio e che erano arrivate per prime ai 20 punti.
  Sugli spalti, Alya stava riprendendo il match con una videocamera professionale ed era sicura che l’ultima azione fosse venuta bene. Nino era di fianco a lei e stava esultando per un altro punto che le Coccinelle avevano strappato alle avversarie.
  In quel momento sopraggiunse inaspettatamente anche Adrien.
  «Ehi, amico» lo salutò Nino. «Come mai qui? La partita è già finita?»
  «Sì, e abbiamo anche vinto. Sono corso qui non appena l’allenatore mi ha dato il via libera.»
  «Wow, congratulazioni!» si complimentò Nino, dandogli una pacca sulla spalla.
  «Complimenti, Adrien» si congratulò anche Alya.
  «Grazie a entrambi. Certo» continuò, gettando un’occhiata al campo in cui si stava disputando la partita di Marinette «non credevo di arrivare in tempo per vederle ancora giocare.»
  «Sia nel primo che nel secondo set si sono superati i 25 punti, per questo siamo ancora qui» spiegò Alya.
  «Capisco.»
  Intanto, in campo, le Coccinelle conducevano per 21 a 19. Mancavano quattro punti alla vittoria e le ragazze erano determinate a farli propri prima che la squadra nemica passasse al contrattacco. Sfortunatamente, al servizio avversario c’era adesso la numero 1, che al posto delle mani sembrava avesse un paio di fruste.
  La battuta andò dritta sul libero, Aline, che la ricevette male e la rese impossibile da recuperare. «Scusatemi!»
  «Non ti preoccupare» la rassicurò Marinette. «Prenderemo la prossima.»
  Ma andò peggio: un ace3 diretto giusto all’angolo.
  Oltre a una potenza superiore alla media, il numero 1 avversario possedeva un ottimo controllo di palla degno di un capitano. Non solo domare quel servizio al più presto sarebbe stato difficile, c’era anche da considerare il morale che la squadra avversaria aveva acquisito dopo che nemmeno il libero era riuscito a ricevere correttamente la palla per ben due volte. Era come se il numero 1 avversario avesse detto: “Anche se siamo sotto di 2 punti non abbiamo paura di voi”.
  Sugli spalti, Adrien era stato l’unico dei tre amici a cogliere la sottile dichiarazione di guerra delle avversarie; tuttavia, lui che con le Coccinelle ci aveva giocato era in grado di connettersi con loro a un livello superiore: sapeva che, con una squadra rivale così tosta e il rischio imminente di una possibile sconfitta, non si sarebbero di certo risparmiate.
  Così, al terzo servizio del numero 1 nemico, Aline fu in grado di mettere in atto un salvataggio miracoloso. «Scusate, è un po’ lunga!»
  Marinette corse a posizionarsi sotto rete, determinata a prendere la palla prima che tornasse nell’altra metà campo. Il centrale avversario saltò con la stessa intenzione, ma lei lo precedette: con una mano sola l’alzò dietro di lei, dove una compagna apparve e schiacciò.
  «Sì!» esultò Alya. «Hanno recuperato lo svantaggio.»
  «Se riescono a fare anche questo punto poi saranno a cavallo» sentenziò Adrien.
  Ma il punto successivo se lo presero le avversarie, poi di nuovo le Coccinelle, e ancora una volta le avversarie. Il risultato era adesso di 23 a 23.
  Come aveva sperato, le Coccinelle furono le prime a raggiungere il match point e la giovane alzatrice decise di cogliere al volo l’occasione. Prima del servizio, Marinette disse alle compagne che, alla prima occorrenza, chiunque avesse ricevuto la palla avrebbe dovuto mettergliela più alta del solito. Le ragazze accettarono senza nemmeno chiedere spiegazioni: dopo anni passati a giocare insieme, il loro livello di fiducia reciproca andava ben oltre.
  Batté Julia, una delle due centrali titolari delle Coccinelle, e quando gli avversari tentarono un contrattacco, la loro schiacciata venne rallentata dal muro e ricevuta da Aline: il libero si ricordò delle parole di Marinette e, fingendo un errore, l’alzò alta al centro.
  Il capitano, in seconda linea, le corse incontro e saltò per prenderla: l’orientamento del corpo fece credere, alle compagne come alle avversarie, che stesse per alzarla a destra, ma soprese tutti quando all’ultimo istante finì per schiacciare lei stessa, portando così a casa il set della vittoria.

13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 19:27, Parigi

L’incontro era da poco terminato e le due squadre erano raccolte attorno ai rispettivi allenatori per il solito discorso post partita. Una volta che Jacqueline ebbe finito di complimentarsi con le Coccinelle e le ebbe congedate, le ragazze furono libere di recarsi negli spogliatoi.
  «Marinette,» disse Camille, avvicinandosi a lei con fare complice, «c’è qualcuno per te.»
  La giovane fece viaggiare lo sguardo nella direzione indicatale dalla compagna di squadra e intravide Adrien.
  «Buona fortuna» le augurò Camille prima di farsi da parte e seguire le altre. Marinette non poté fare a meno di capire che cosa intendesse con quelle due parole e si chiese se la sua recente cotta per il ragazzo fosse davvero così evidente.
  Sicuro di essere stato notato, Adrien le andò in contro. «Avete vinto» disse.  «Ed è tutto merito tuo. Complimenti, sei stata fantastica.»
  «Anche tu!»
  Rise. «Non mi pare che tu mi abbia visto giocare, oggi.»
  «B-Be’, no, però sono sicura che sarai stato fantastico, come sempre!» Subito dopo si diede mentalmente della stupida per avergli rivolto un complimento fin troppo esplicito, tuttavia fu grata di essere almeno riuscita a formulare una frase di senso compiuto, questa volta. «Comunque,» tentò di cambiare argomento, «stasera c’è quell’evento di beneficienza di cui mi parlavi l’altra volta, giusto?»
  «Sì, a Le Grand Paris
  «Hai intenzione di sistemare le cose con Chloé?» domandò.
  «Sì, e spero di riuscirci.»
  «Lo spero anch’io» disse con sincerità. Era pur vero che non comprendeva perché Adrien si struggesse tanto per una persona come Chloé, ma, come gli aveva già fatto sapere giorni prima, non erano affari suoi. Inoltre, a dispetto del brutto carattere della figlia del sindaco, almeno in parte riusciva a capire perché Adrien ci tenesse tanto, essendo stata la sua unica amica per molto, molto tempo. Del resto, questo rientrava in uno dei motivi per cui Marinette si era invaghita tanto di quel ragazzo: il suo grande cuore.
  Il giovane le sorrise con affetto. «Grazie per il sostegno.» Il legame che aveva stretto con Marinette era forte, sincero, speciale, e teneva alla sua amicizia in modo particolare. Ad essere autentico, tuttavia, era anche il rapporto con Chloé: era un’utopia sperare che la ragazza potesse andare d’accordo con i suoi amici, ma poteva quanto meno sincerarsi che smettesse di trattarli in malo modo.
13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 20:49, Parigi

Adrien sbuffò, armeggiando con la cravatta che portava al collo nel tentativo di annodarla come si deve. Non era mai stato capace di farlo con naturalezza, poiché il padre non gliel’aveva mai insegnato, e quando la madre era ancora in vita, essendo lui bambino, il problema non si era mai posto. Ora, complice anche il nervosismo generato da quella situazione, sembrava essere un’impresa impossibile. «Dannazione» imprecò, strattonando le due estremità della cravatta per la frustrazione.
  Proprio in quel momento fece la sua comparsa sulla soglia dell’entrata Nathalie. La porta era semi aperta, perciò la donna poté assistere a tutta la scena. Adrien si accorse della sua presenza dal riflesso nello specchio. «Suo padre chiede a che punto è.»
  Il giovane liberò una risatina nervosa. «E non poteva di certo venire a chiedermelo di persona.»
  La donna non rispose, non avendo di fatto nulla di adeguato da dire in quel frangente. Qualcosa, però, la fece: un gesto silenzioso, che in realtà racchiudeva in sé più significato di tante parole dette ma non sentite. Si avvicinò ad Adrien e prese a sistemargli la cravatta, annodandola in modo esemplare in una manciata di secondi, poi tornò dov’era prima. «Gli dirò che è pronto in cinque minuti» disse semplicemente, voltata di spalle, infine se ne andò definitivamente.
  Adrien rimase a fissare il punto da cui Nathalie era uscita dal suo campo visivo. Era una donna di poche parole, dall’atteggiamento sempre serio e posato, che svolgeva con diligenza a tutte le mansioni che Gabriel le affidava. A parte queste poche informazioni facilmente deducibili, Adrien non conosceva niente di lei. Aveva un qualche tipo di vita privata, all’infuori del lavoro? Un compagno – o una compagna – di vita, degli amici? Che cosa le piaceva? Quali erano i suoi cibi preferiti? Niente, vuoto totale. Una cosa, però, la sapeva, e fosse stata anche una soltanto, era probabilmente la più preziosa di tutte: seppur a modo suo, Nathalie gli voleva bene.
  Adrien si diede gli ultimi ritocchi e scese al piano di sotto, dove il padre lo stava attendendo con impazienza. «Sei in ritardo» osservò semplicemente, voltandogli poi le spalle e dirigendosi in direzione dell’automobile.
  «Anche a te dona molto quel vestito, papà» bofonchiò, quindi si apprestò a seguirlo con fare annoiato.

  Giunti a Le Grand Paris, Adrien apprese che l’evento si sarebbe tenuto in una grande sala adibita appositamente a manifestazioni della stessa portata, la cui vastità era puntellata di tanti tavoli pronti a ricevere gli ospiti. A ridosso di una delle pareti v’era un palco che più tardi sarebbe servito ai maggiori promotori dell’evento al fine di esporne i principali scopi alle persone lì raccolte.
  Una volta che ogni presente fu sistemato al proprio tavolo, il sindaco Burgeois fu il primo a salire sul palco: tenne un breve discorso di introduzione e poi diede la parola prima agli organizzatori dell’evento e poi a coloro che lo finanziavano economicamente, tra cui c’era appunto anche il padre di Adrien.
  Dopo che ebbero finito di parlare, il giovane apprese che si sarebbe trattato di una competizione di moda promossa dalla maison del padre e da un’altra altrettanto rinomata. Al vincitore sarebbe andata la possibilità di realizzare un capo d’abbigliamento che entrambe le case di moda avrebbero fatto indossare a uno dei loro modelli.
  Finita dunque la presentazione, gli ospiti iniziarono ad alzarsi dalle proprie postazioni e a poco a poco si sparsero per tutta l’ampiezza della sala, intrattenendosi in chiacchiere e convenevoli vari. Adrien cercò con gli occhi Chloé, avvistandola poco dopo intenta a conversare con alcuni amici di suo padre. Di lei si potevano dire tante cose negative, ma un punto a suo favore era la sua scioltezza all’interno di un mondo come quello, fatto di apparenze da mantenere e aspettative da non deludere.
  Quando anche lei lo vide, la ragazza storse il naso. Il giovane prese quel gesto come prova inequivocabile che con lei aveva esagerato. Ai suoi occhi, Chloé era quella persona che, nonostante i suoi innumerevoli difetti, per lui c’era sempre stata: se nel corso degli anni era riuscito a sfuggire alla solitudine, il merito era anche suo. Non voleva che d’ora in avanti le cose tra loro continuassero ad andare così. Quindi, approfittando del momento in cui Chloé venne lasciata sola, le si avvicinò. «Bella festa, eh?» tentò come primo approccio.
  Lei lo ignorò, voltando la testa di lato senza rispondere. Cavolo se era orgogliosa e cocciuta, quella ragazza. Fino a qualche giorno prima gli sarebbe saltata al collo, mentre ora lo trattava allo stesso modo di come trattava la “comune plebaglia”: l’aveva ferita, colpita dove faceva più male, e adesso lei non gli avrebbe permesso di farlo di nuovo.
  «Chloé, senti… volevo solo dirti che mi dispiace per quello che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti.»
  «Quei quattro zoticoni che frequenti hanno una brutta influenza su di te» sentenziò la bionda, ancora voltata di lato.
  Adrien si innervosì nel sentire i suoi amici venir definiti degli zoticoni, ma era determinato a non cedere a nessun sentimento negativo di alcun tipo. «Non sono affatto degli zoticoni, e non mi piace che li chiami così. Ma non è di loro che voglio parlare, almeno non nello specifico.»
  La ragazza lo degnò finalmente di uno sguardo. «E allora che cosa vuoi?»
  «Che tu la smetta di trattare le persone come se ti fossero tutte inferiori. Chloé, io e te siamo amici da tantissimo tempo e vorrei che continuassimo a esserlo, ma non se passi la tua vita a ferire i sentimenti di chi ti circonda traendone piacere. Perché lo fai?»
  Ferire le persone che la circondavano era una dolce rivincita gratuita che poteva ottenere quante volte voleva, perché lei, ricca e influente, ne aveva tutti i mezzi. Perché gli altri dovevano stare bene, avere tanti amici, e lei no? Non era giusto. In un certo modo, quindi, contribuiva anche a mantenere inalterato l’equilibrio dell’universo.
  «Perché non dovrei?»
  «Perché le persone così soffrono e finiscono per rifiutare la tua amicizia.»
  «E cosa ti fa credere che io voglia l’amicizia di certi individui?»
  «E la mia, Chloé? La mia amicizia non la vuoi?» La giovane si morse l’interno della guancia e lo osservò con sguardo smarrito, senza tuttavia dire niente. Sì, era decisamente cocciuta e orgogliosa, ancora di più di come lo era una volta. «Se la vuoi, non posso costringerti ad andare d’accordo con i miei amici… ma posso almeno sperare che tu allenti un po’ la presa.»
  «Si può fare.» Non l’avrebbe mai ammesso, ma l’amicizia con Adrien era davvero qualcosa a cui non voleva rinunciare. Poi, col tempo, sarebbe sicuramente riuscita a ottenere più di quello, facendolo finalmente suo.
  Il giovane sorrise. «Ne sono felice.»




1. Il muro a lettura è una tipologia di muro in cui i giocatori saltano solo dopo aver visto l'alzata (a volte può anche succedere che non sia così).
  2. Un attacco di seconda intenzione si ha quando l'alzatore, in un momento in cui il muro avversario è concentrato sugli schiacciatori, decide di imbrogliarlo mandando la palla nell'altra metà campo senza alzarla a nessun compagno.
  3. Un ace è un servizio che cade direttamente nella metà campo avversaria senza che nessuno dei giocatori sia in grado di toccare la palla.


Note dell'autrice
D’ora in poi, aspettatevi il nuovo aggiornamento sempre a cavallo tra lunedì e mercoledì: le ultime parole famose!
  Comunque... In queste note ho così tanto da dire che credo usciranno lunghe quanto una flash fic. Innanzitutto, ho ritardato di un paio di giorni rispetto a quanto mi ero prefissata perché ero molto indecisa su Chloé. Le persone come lei le detesto con tutta me stessa, ma, per come la vedo io, il bello di star parlando di un’opera di finzione è che possiamo analizzare la personalità sua e di altri personaggi vedendoli appunto come personaggi, non come esseri umani in carne e ossa. Io credo che la cattiveria di Chloé nei confronti del prossimo sia un meccanismo di autodifesa innescato nel momento in cui la madre l’ha abbandonata: quando la persona che dovrebbe amarti più di tutte ti lascia intenzionalmente, il mondo deve crollarti addosso. L’altro genitore è un padre che dal punto di vista affettivo ed educativo è molto carente: il suo contributo maggiore alla figlia è quello economico, che pur essendo importante, non può sostituire l’amore. Dunque Chloé è cresciuta sperimentando la sindrome d’abbandono da una parte e accontentata in tutto e per tutto dall’altra. Ora non vuole che altri la feriscano, anzi vuole essere lei a farlo, approfittando, già che c'è, della sua posizione sociale. Ciò nonostante non è completamente incapace di amare, poiché ad Adrien lei vuol bene. Non posso dire con certezza se Chloé sia davvero innamorata di lui o se creda solo di esserlo, ma onestamente la seconda opzione mi convince molto di più: poiché Adrien è un ragazzo fantastico e seriamente affezionato a lei, credo che la ragazza abbia sviluppato una specie di ossessione morbosa per lui. Ah, logicamente il pensiero finale di Chloé di farlo suo è solo una sua illusione: la qui presente autrice è sempre in prima fila a fare il tifo per Marinette e Adrien con tanto di pompon da cheerleader.
  Altro personaggio enigmatico della serie – almeno per me – è Nathalie: ci viene mostrata alla stregua di un robot monoespressivo (seriamente, credo che persino Gabriel sorrida più di lei) che esegue alla lettera gli ordini del suo capo, ma da una serie di suoi atteggiamenti si capisce che ad Adrien ci tiene – quando ricorda a Gabriel che dovrebbe sforzarsi di passare assieme al figlio il loro primo Natale senza sua madre, ad esempio.
  Poi mi rendo conto che questo, finora, è il capitolo con più parte narrativa legata alle partite di pallavolo, quindi spero di essere riuscita a non rendere troppo incomprensibili le cose – e anche di non aver commesso errori dati dalla poca esperienza o dalla distrazione, poiché a volte alla mia attenzione sfuggono certi strafalcioni proprio stupidi. A tal proposito, revisionando questo capitolo mi sono resa conto di ben due errori commessi in precedenza. Il primo è che, nel terzo capitolo, Gabriel dice ad Adrien di scusarsi con Chloé il giorno seguente, poiché all’inizio avevo progettato di organizzare una cena tra le due famiglie; in seguito ho cambiato idea, ripiegando sull’evento di beneficienza di cui avete letto, ma mi sono dimenticata di modificare il dialogo. Secondo, come forse i più attenti avranno notato, nel capitolo II si fa menzione di Villa Burgeois: è un errore di dimenticanza, poiché Chloé e suo padre vivono entrambi a Le Grand Paris. Volendo potrei anche lasciarli nella loro bella villa (tanto i soldi non gli mancano di certo), ma per una questione di completezza preferisco restare il più fedele possibile all’opera originaria.
  E niente, questo è davvero tutto. Ora scappo, ché devo ancora rispondere alle recensioni che mi avete lasciato in questi giorni, e ci risentiamo col prossimo capitolo – che, a proposito, è uno dei miei preferiti, poi capirete perché!
   
 
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