La previsione di Prudie si
rivelò corretta. Appena giunsero al
meleto di Nampara, Ross sentì, infatti, quasi il dovere di
scusarsi con lei per
aver taciuto lungo tutto il tragitto, ignorando molte delle sue
richieste di
sapere come si fosse sentita Demelza nei giorni in cui lei non
c’era stata, ma
scelse di non farlo per il semplice motivo che non aveva ancora
digerito l’amarezza
causata dall’aver scoperto di essere stato messo
all’oscuro di una cosa così
importante proprio da sua moglie, per colpa di una stupida discussione
e dei suoi
capricci esagerati.
Dopo essere stata aiutata a smontare
da cavallo, la donna si
voltò verso di lui e con le mani sui fianchi espresse il suo
personale punto di
vista sulla questione, “Non capisco proprio perché
ve la siate presa tanto!
Siamo tutti felici, tranne voi. Persino i bambini non vedono
l’ora che arrivi
il piccolino…”
Ross la fulminò con lo
sguardo, “Quindi anche Jeremy e
Clowance lo sapevano?”
Prudie chinò il capo e,
avendo percepito quanta frustrazione
ci fosse nel suo tono di voce, alzò immediatamente i tacchi
e si fiondò dentro
casa, sperando di sfuggire ad altre domande a cui avrebbe preferito non
rispondere.
Ross esitò un
po’, poi entrò anche lui, trovando sua moglie
in piedi nelle vicinanze del camino, impegnata a sistemare il disordine
creato
dai tre bambini. Non c’era niente da fare: nemmeno la
stanchezza della
gravidanza riusciva a frenare la sua indole energica.
Demelza si girò per
recuperare un cuscino da terra e, quando
si accorse della sua presenza, decise di continuare a comunicare con
lui
attraverso la tecnica che sapeva dargli più fastidio in
assoluto: il sarcasmo.
“Almeno
adesso
potrò dare i miei consigli a qualcuno che sappia apprezzarli
davvero…”
Ross si tolse il cappello e appese la
giacca, poi si lasciò
cadere su una poltrona, evitando di rivolgerle l’attenzione.
Quell’ostentata
indifferenza la irritò moltissimo. Si piantò
proprio di fronte a lui, ispirandosi
spudoratamente a sua figlia, l’unica vera esperta in quella nobile arte, per
cercare di ottenere
la sua considerazione.
Ross sollevò lo sguardo
dal fuoco dinanzi a sé e finalmente
la guardò, “C’è qualcosa che
devi dirmi?”
Demelza si sentì
vulnerabile difronte all’intensità che
percepiva nei suoi occhi, che continuavano a guardarla come se
l’avessero
sorpresa a fare qualcosa di sbagliato. Allora estrasse dal grembiule
una
lettera e gliela porse, “Penso che ti interessi sapere
cosa ha risposto George…”
Ross si alzò e prese,
senza troppe cerimonie, la lettera
dalla sua mano, “Non devi aggiungere altro?”
Quando l’unica spiegazione
possibile a quell’atteggiamento
si fece strada nella sua testa, Demelza fu percossa da un brivido.
Avrebbe
dovuto immaginare che Ross non avrebbe esitato un secondo a raccontare
a Dwight
del leggero malore che l’aveva colta nel pomeriggio e a cui
lui stesso aveva
assistito, inducendo il loro amico a preoccuparsi al punto da
rivelargli la
notizia della sua gravidanza, per il suo bene e per quello del bambino,
senza
rispettare una promessa che, in quella circostanza, sarebbe apparsa
assolutamente
indegna di considerazione a qualsiasi medico coscienzioso.
“No. Niente che mi sovvenga
in questo momento…” mentì,
ancora troppo arrabbiata per tentare una riconciliazione.
“Il mio ritorno si
è rivelato un fiasco totale. Credo sia
meglio togliere il disturbo e ripartire al più
presto…” Ross non aveva
intenzione di arrendersi, perciò tentò di
strapparle la verità, minacciando di
tornare a Londra.
Quelle parole la trafissero come
lame, “Certo, è facile
scappare dalle proprie responsabilità, aggrappandosi a scuse
stupide!”
Ross le si avvicinò
pericolosamente, tanto che Demelza
riusciva a sentire il suo respiro sulla sua pelle; la prese per la
vita, in una
maniera così seducente che ogni sforzo per resistere
all’impulso di baciarlo
sembrava inutile.
“Quali
responsabilità?” Domandò, sperando che
questa volta sarebbe
riuscito ad ottenere una risposta sincera, ma lei riuscì a
divincolarsi dalla
sua morsa, riappropriandosi delle sue facoltà mentali, messe
a dura prova dalle
labbra di Ross, così vicine e attraenti.
“Parlo di
Valentine…”
“Io non ho nessuna
responsabilità nei suoi confronti. Spetta
a suo padre assumersele.”
Demelza lo guardò
incredula poi, dopo aver fatto un respiro
profondo, rispose di nuovo con sarcasmo, “Si,
appunto.”
“Ad ogni modo, mi farebbe
davvero piacere che, prima che
Valentine se ne andasse, tu parlassi un po’ con
lui…” cercò invano il suo
sguardo. Ma Ross non la guardava, adesso che la sua attenzione era
stata
catturata interamente dalla lettera che aveva in mano e che bruciava
almeno
quanto i ceppi di legna nel fuoco del camino.
“Puoi andare a dormire,
ora. Non vorrei che ti sentissi male
di nuovo.” La osservò distrattamente, mentre si
adoperava ad aprire la busta.
Prima di voltarsi per raggiungere le
scale, Demelza sbuffò
per esprimere il suo disappunto verso l’ordine appena
impartitole, “Va bene, ma
non credere che lo farò perché me lo hai detto
tu!”
Rimasto da solo, Ross
iniziò a leggere l’elegante, ma
affettata, calligrafia di George:
Ross
Poldark,
non avrei
mai immaginato,
nemmeno nei miei peggiori incubi, di dover sprecare ancora parte del
mio
preziosissimo tempo in faccende che ti vedono coinvolto. Non posso fare
a meno
di constatare, d’altronde, che non hai perso affatto
l’abitudine di mettere le
mani sulle cose che mi appartengono. Le circostanze impongono un mio
immediato
intervento, spero il più rapido possibile,
affinché, dopo aver risolto questo spiacevole
inconveniente, possa liberarmi di te definitivamente.
Non oso
immaginare con
quanta incuranza tu e la tua famiglia abbiate potuto trattare mio
figlio,
riservandogli uno squallido alloggio nella vostra catapecchia isolata,
da
sempre frequentata da uomini abietti e ubriaconi, per
non parlare delle vostre abitudini
popolane che lo avranno sicuramente scandalizzato. Dal momento che le
cose
stanno in questo modo, pretendo che mio figlio mi sia restituito da chi
me l’ha
portato via e con questo intendo dire che, entro domani mattina, mi
aspetto di
trovare Valentine qui a Trenwith.
George Warleggan
Buttò la lettera tra le
fiamme, osservandola mentre
lentamente si contorceva e bruciava. George aveva deciso di ostentare
tutta la
sua arroganza, ma Ross non si soprese affatto, conoscendo fin troppo
bene quale
sentimento lo
avesse spinto a sputare
così tanto veleno sulla sua famiglia. Proprio per questo
motivo c’era una parte
di lui che non riusciva a biasimarlo, nonostante la cattiveria e la
sfrontatezza di quelle parole, al pensiero di quanto dolorosi potessero
essere
stati i tentativi fatti da George per accettare Valentine come suo
figlio. Mentre
vagava per la stanza, interrogandosi su
cosa fare, se cedere alla prepotenza di George oppure trovare il modo
di riportare
Valentine a casa senza dargliela vinta, il piccolo Jeremy, in camicia
da notte,
si mosse nella sua direzione.
“Jeremy,
che ci fai
ancora sveglio?”
“Volevo dirti una cosa, ma
promettimi che non lo dirai alla
mamma!” Sembrava molto sicuro di sé in quel
momento.
Ross si accovacciò di
fronte a lui, piegandosi sulle
ginocchia, e gli sfiorò delicatamente il nasino, poi gli
scostò un ciuffo
ribelle dalla fronte, meravigliandosi di quanto i loro capelli fossero
simili.
Annuì ma non disse niente.
Allora Jeremy si sentì
libero di procedere, “Sai, la mamma
non può più arrabbiarsi come faceva prima, quando
eravamo solo io e Clowence, adesso
che…”
Ross lo bloccò,
“Tesoro, non c’è bisogno che tu
continui.
Non voglio farti sentire in colpa per avermi confidato un segreto che
conosco
già.” Gli fece l’occhiolino e lo
baciò sulla guancia.
“Se lo sai già,
allora cerca di trattarla meglio di come hai
fatto questa sera!”
La sensibilità di suo
figlio non finiva mai di stupirlo. Gli
promise che d’ora in avanti avrebbe cercato di non farla
arrabbiare, così
riuscì a tranquillizzarlo e a farlo tornare a letto.
Ma, per mantenere quella promessa,
Ross sapeva fin troppo
bene di dover fare un grande sacrificio, un enorme passo in avanti
verso la
propria paura, prima che fosse troppo tardi e che, con il tempo,
avrebbe potuto
rimpiangere il fatto di non aver colto quell’occasione per
liberarsi una volta
per tutte dalla schiavitù del passato.
Era arrivato, finalmente, il momento
di conoscere Valentine.