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Autore: Teo5Astor    23/02/2018    7 recensioni
Il momento di partire per un nuovo viaggio nel tempo si avvicina sempre di più per Mirai Trunks e Mirai Mai dopo la feroce battaglia contro Zamasu. Un nuovo mondo li attende, con tutti i dubbi e le paure che questo comporta. Il dolore causato dalla separazione dai propri cari e dall'impossibilità di fare ritorno nella propria terra d'origine ormai andata distrutta si mescola con la curiosità di scoprire come potrà essere la loro nuova vita. Nuove sfide, pericolosi nemici e il paradosso di essere gli unici sopravvissuti della propria linea temporale attendono i nostri eroi. In tutto questo, un'unica ma fondamentale certezza a cui aggrapparsi: quella di esserci l'uno per l'altra, sempre.
Nota dell'autore: ogni capitolo è narrato in prima persona seguendo il punto di vista di uno dei diversi personaggi della storia. Inoltre nel testo si nascondono alcune citazioni tratte da canzoni, in particolare di Raige.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Darbula, Mai, Mirai!Mai, Mirai!Trunks, Trunks, Zamasu
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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3 – Atlante
 
(la notte prima)
 
Ho un peso sopra il petto che non mi fa più dormire.
Mi giro dentro il letto come se fossi sulle spine. Sono agitato, nervoso, infastidito. È sempre così nelle ultime due settimane. Non sono sereno, riposo male. Non lo do a vedere, non mi confido con nessuno.
Non posso farlo.
Il mio ruolo mi impone di non farlo. La gente si aspetta sempre grandi cose da me e io ogni giorno devo indossare la maschera dell’eroe senza paura, quello che ha salvato il mondo più volte. Non voglio far preoccupare nessuno, non posso deludere nessuno. Ma non sto per niente bene.
Vado a letto tardi, mi alzo presto e dormo poco. Perché quando chiudo gli occhi comincia di nuovo: sogno che cado nel vuoto senza fermarmi o schiantarmi. La maledizione di un eterno volo.
 
Tutto è cominciato, appunto, un paio di settimane fa. Dopo un lungo allenamento sul pianeta di Kaiohshin e dopo aver imparato a maneggiare la leggendaria Z Sword, sono riuscito a distruggere Darbula e il mago Babidi, impedendo il risveglio di un mostro chiamato Majin Bu.
Il risultato finale è stato quello sperato da Kaiohshin e dal signor Kibith quando sono venuti a cercarmi chiedendo il mio aiuto per portare a termine questa impresa, ma la verità è che non tutto è andato come avevamo previsto.
Non sono stato abbastanza forte.
La forza di Darbula mi ha messo in crisi. Kaiohshin non pensava che uno come lui si fosse alleato con Babidi, credeva che ci saremmo trovati davanti avversari più abbordabili. Io mi sentivo invincibile con i miei nuovi poteri e dopo che cinque anni fa avevo distrutto i Cyborg nulla mi faceva più paura. Ma la realtà è stata diversa. Ho rischiato di soccombere e di trascinare tutti con me.
La Terra, l’intero Universo probabilmente.
 
Nella mia testa continua a ripetersi il duello con Darbula, spada contro spada, pugno contro pugno. Non riuscivo a scalfire le sue difese, non ero in grado di metterlo in difficoltà. La Z Sword non poteva nulla contro di lui, nemmeno i miei colpi e i miei poteri. Rivivo il momento in cui Kaiohshin ha provato a uccidere Babidi cogliendolo di sorpresa ma venendo invece travolto da una sfera di energia lanciata dal Signore degli Inferi accorso in aiuto del suo alleato. Ricordo il perfido mago riempire di calci l’inerme Kaiohshin, ormai in fin di vita. Mi sentivo impotente, confuso. Sconfitto.
Sei forte, o sei un condannato.
 
Mi torna alla mente un’improvvisa apparizione al mio fianco in quel preciso istante della battaglia, tanto fugace che mi chiedo ancora se sia avvenuta veramente. Un uomo giovane, alto, con la pelle azzurrina e i capelli bianchi pettinati in un lungo ciuffo. Indossava una tunica color rosso scuro e stringeva in mano un lungo bastone simile a uno scettro. Una visione quasi angelica oserei dire. Ripenso alle sue parole, prima di smaterializzarsi: «Oh, oh, oh! Trunks, corri subito a proteggere Kibith! Stanno per attaccarlo.»
 
Senza avere il tempo di pormi domande, ricordo la mia ricerca con lo sguardo del signor Kibith che, a causa di un attimo di distrazione, non si era accorto che Darbula lo stava per uccidere. Sono riuscito a salvarlo all’ultimo deviando il colpo del demone e attirando così anche l’attenzione di Babidi. Sfruttando questo momento, Kaiohshin con un incantesimo ha paralizzato i due nemici per qualche secondo e mi ha urlato di distruggerli. Ho raccolto le ultime forze rimaste pensando al mio defunto maestro Gohan e ho usato la sua tecnica più potente. Ho agitato le braccia vorticosamente fino a formare un triangolo con le mani, per poi urlare: «Masenko!»
Ho eliminato così quei due criminali. Il signor Kibith grazie ai suoi poteri curativi ha potuto salvare Kaiohshin fortunatamente. Non ho ancora capito chi fosse quell’uomo che credo di aver visto e se mi sia apparso sul serio. Se il suo scopo non fosse stato semplicemente quello di  preservare i poteri di Kibith, che sono poi risultati fondamentali. Ho provato a chiedere spiegazioni a Kaiohshin quel giorno, ma si è limitato a rispondermi frettolosamente e prima di andarsene: «Era un Angelo. Nel vero senso della parola. Un giorno capirai.»
 
La distruzione di Darbula ha soprattutto riportato alla vita Mai.
Già, Mai.
Non riesco a darmi pace per quello che è successo. Il mio orgoglio potrebbe anche accettare un giorno l’aver avuto bisogno del fondamentale aiuto di Kaiohshin per battere il mio nemico, ma il senso di colpa per non essere stato in grado di proteggere la ragazza che amo da sempre mi sta devastando.
Ho sbagliato tutto. Non avrei dovuto coinvolgerla in questa cosa, ho sottovalutato i miei avversari.
 
Mai l’ho conosciuta durante la guerra contro i Cyborg, in mezzo alle macerie. Eravamo dei ragazzini di 14 anni pieni di sogni e di speranze. Confusi, impauriti, soli…ci siamo sostenuti a vicenda. Ci siamo sempre stati l’uno per l’altra. Avevo appena perso in battaglia Gohan, il mio mentore, mi restava solo mia madre. Lei invece non aveva nessuno, viveva in un rifugio nei sotterranei della città insieme al corpo di soldati che aiutavano i superstiti a sopravvivere. Mi ha dato la forza di reagire, di credere che avrei potuto farcela a uccidere quei mostri e riportare la pace. Mi ha chiesto solo una cosa quel giorno e ricorderò per sempre le sue parole:
«Mi sono resa conto in questi anni che in una vita come la nostra il vero lusso è la felicità. Io lo so che un giorno diventerai abbastanza forte da distruggere gli Androidi, ma, ti prego, giurami che mi regalerai la felicità. A me, a tutti.»
Credo di essermi innamorato di lei in quel preciso istante.
Sono passati otto anni ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo.
E forse ormai è troppo tardi.
 
Se chiudo gli occhi ho ancora davanti quella scena: due adolescenti seduti su un grande blocco di cemento a fissare le macerie di quella che una volta era la nostra città.
Io con la spada e lei con un fucile ad alta precisione a tracolla. Una scena quantomeno bizzarra. Più drammatica che romantica, probabilmente.
Uniti dalla guerra. Accomunati dal dolore.
Scelti dal destino.
Ricordo la mia mano destra appoggiata sul cemento vicino alla sua mano sinistra. Saranno state a dieci centimetri di distanza le nostre dita. Penso spesso a cosa sarebbe successo se quel giorno avessi avuto il fegato necessario a colmare quei dieci centimetri. La capacità di prenderla per mano.
In quel momento ho pensato che se l’avessi stretta a me non avrei più avuto il coraggio di lasciarla andare via.
E invece avevo una missione da compiere: riportare la pace e regalarle la felicità, come promesso.
 
Ho impiegato tre anni per ottenere la forza necessaria a uccidere i Cyborg. A quel punto, cinque anni fa, è iniziata la ricostruzione delle varie città ed è ripartita lentamente la quotidianità delle persone.
Mai già da ragazzina era entrata a far parte dell’esercito, quello che era diventato la sua famiglia. Era già brava come cecchino allora e, come me, non hai mai smesso di allenarsi. A guerra finita ha deciso di continuare a fare il soldato e ha preso il comando di un gruppo armato incaricato di garantire l’ordine. In pratica, sono il mio unico aiuto. Perché io da allora sono una sorta di vigilante qui, la gente mi considera una specie di supereroe.
 
Lei forse non sa neanche quanto sia stata importante per me e quanto lo sia tuttora. Quando è comparsa nella mia vita avevo appena perso Gohan ed ero perso, disorientato, sfiduciato. Morto dentro. Distrutto.
Lei mi ha dato una nuova ragione per lottare, per spingermi oltre i miei limiti. Mi ha insegnato ad amare. È l’unico appiglio che mi abbia impedito di sprofondare nell’abisso nei momenti bui.
Il centro del mio mondo.
 
Stavo per trovare il coraggio di dichiararmi a Mai in questi ultimi mesi. Lei infatti ormai si è trasferita a casa nostra su idea di mia madre. Abbiamo ricostruito la Capsule Corporation e qui lo spazio non manca. Così, vedendola tutti i giorni e conoscendola sempre più a fondo, stavo per riuscire a vincere la mia timidezza.
Poi è cambiato tutto però, un fulmine a ciel sereno. L’arrivo di Kaiohshin, la minaccia di Babidi, il mio trasferimento e il lungo allenamento su un altro pianeta. Mai ha riorganizzato i suoi uomini e si è messa con loro a pattugliare la zona dove ritenevamo fosse nascosta la navicella del mago.
Ricordo ancora la sua chiamata per avvisarci dell’avvistamento di Babidi e dei suoi scagnozzi mentre stavo per cercare di distruggere con la Z Sword un blocco composto dal materiale più duro dell’intero Universo. Abbiamo mollato tutto e ci siamo teletrasportati sul campo di battaglia.
 
A quel punto, il dramma.
Lo scontro è stato subito feroce. Le prime esplosioni hanno ridotto in fin di vita due soldati e Mai, da buon comandante, non ha voluto lasciarli indietro nonostante io le urlassi di scappare. Poi con un colpo fortissimo Darbula mi ha scagliato a terra accanto a lei.
Rivivo quella scena fotogramma per fotogramma, come una pellicola infinita di un film che continua a passare davanti ai miei occhi sbarrati.
Vedo il demone sputarmi addosso. Sento Kaiohshin urlare: «Non farti colpire dalla sua saliva! Ti tramuterà in pietra!»
Rivedo me stesso che cerca di ripararsi con la Z Sword prima che un ombra si frapponga tra me e il mostro.
L’orrore del momento in cui Mai ha deciso di farsi trasformare in una statua per salvarmi.
Questo mi ha frastornato ancora di più nella lotta successiva. Grazie al cielo siamo riusciti a spuntarla e lei è tornata normale. Le sue lacrime, il terrore nei suoi occhi. Un incubo.
Nulla era più come prima a quel punto.
 
Il senso di colpa per non aver saputo impedire tutto questo mi sta dilaniando. Fatico a guardarla in faccia, a parlarle. Temo il suo giudizio, il fatto che possa considerami un debole. Un inutile perdente. Mi terrorizza l’idea di perderla, se non di averla già persa. Ho paura che un giorno di questi possa andarsene per sempre, possa aver voglia di cambiare vita. Ripartire, ricominciare da zero. Per colpa mia. Perché l’ho delusa.
Ma può davvero finire così?
Sento che ci siamo presi, ma che ci siamo anche persi.
Spero solo che da persi saremo in grado di ritrovarci.
 
So che quello che le è capitato l’ha sconvolta e che continua a soffrire molto, troppo, per questo.
L’ho sentita raccontare i momenti in cui è rimasta pietrificata: non poteva muoversi, come bloccata in una morsa, ma vedeva e sentiva tutto. Provava il terrore di poter essere mandata in frantumi da un esplosione, temeva per le nostre vite. Orribile, tremendo.
Qualcosa in lei è cambiato. Qualcosa dentro di lei si è rotto e si vede anche da fuori. È gentile con tutti, sorride sempre anche a me…ma io capisco che c’è qualcosa che non va. È come un sole spento. Anche se ride per cortesia mi rendo conto che le piange il cuore.
 
Non so cosa fare per aiutarla, mi sento responsabile. La mia anima è andata in frantumi e il mio cuore si è spezzato a metà. Non riesco ad aiutare me stesso, come potrei salvare qualcun altro?
Credo che ci siano mille modi diversi per distruggersi ma solo uno per ricomporre tutti i pezzi, per aggiustarsi. Per assemblare questo enorme, complicato e caotico puzzle. Ma non so quale sia questo modo, non so cosa fare! Ho solo paura, una fottuta paura che Mai se ne vada!
 
Mi alzo di scatto e scendo dal letto, tutto sudato. Guardo fuori dalla finestra, la luna è ancora alta nel cielo ma è offuscata dalle nuvole. Anche le stelle visibili sono poche e la cosa mi rattrista. Guardo l’ora. Neanche le 5…ormai non dormirò più.
Apro la finestra e salgo sul davanzale. Galleggio silenziosamente nell’aria per qualche metro e vedo una luce accesa filtrare da una finestra della stanza accanto. Rientro in camera.
Anche stanotte Mai ha tenuto la luce accesa, come sta facendo ormai da quel terribile giorno. Lei dice che lo fa perché si addormenta mentre legge un libro, ma io so che ha paura del buio, degli incubi. Tutto per colpa di quel mostro. Tutto per colpa mia…
Chissà se stai dormendo adesso, Mai. A cosa stai pensando.
 
Devastato e rabbioso con me stesso, decido di andare a correre. Indosso la mia tenuta da running e mi lancio a perdifiato nella notte, mi lascio inghiottire dalla città buia. Corro fino a non sentirne più. Lo sforzo fisico allevia il dolore spirituale che provo. La fatica mi libera la mente, almeno un po’. Vorrei urlare, vorrei piangere.
Ma non posso. Quando sarà mattina dovrò indossare la mia maschera da guerriero senza paura e dare sicurezza a tutti. Devo vestire i panni dell’eroe, come sempre.
La gente che c’è qua pensa di avere tutta la verità, di sapere tutto di me. Ma c’è qualcosa che nessuno sa, tranne me. Qualcosa che vorrei confidare a Mai, la mia ancora di salvezza.
Mi sento infatti schiacciato dal senso di responsabilità, da tutte le aspettative che le persone ripongono su di me. Ho 22 anni ma ne ho addosso un’infinità in più. Devo essere sempre pronto ad annientare ogni pericolo, ma l’ultima volta ho rischiato di fallire. Non ho saputo proteggere Mai.
Giuro che un giorno saprò farmi perdonare per questo. Ti dimostrerò che per te sarei capace di sacrificare la mia vita, che sarei in grado di gettarmi tra le fiamme!
Forse così saprai perdonarmi e potrò avere pace.
 
Continuo a correre senza una meta e a pensare.
Qualcuno ha detto che la vita non ti carica mai di un peso troppo grande da sopportare.
Ma non è vero. Per quanto tu abbia le spalle larghe, capita che questo peso non sia proporzionale.
Capita di sentirsi schiacciati dalla propria anima. Una volta si riteneva che potesse pesare 21 grammi…beh, 21 grammi possono troppi anche per i giganti.
Nonostante tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare io sono ancora qua.
Sono in piedi, ma mi sento il mondo sulle spalle. Come Atlante.
È questo che la gente non sa, o fa finta di non sapere.
 
Osservo l’orizzonte e l’alba che sta iniziando a sorgere. Rosa, magnifica. Rassicurante.
Penso a quando tutto era più leggero. Più del cielo.
Inizio ad avviarmi verso casa, reggendo il mio mondo sulle spalle.
Come Atlante.
 
   
 
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