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Autore: Shireith    24/02/2018    3 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

18 ottobre 2017, mercoledì,
  ore 19:39, Parigi

Adrien sospirò, infilandosi una maglietta pulita e richiudendo l’armadietto: la terza amichevole contro le Serpi e le Aquile si era appena conclusa e loro avevano perso al terzo set per 26 a 24. La pallavolo, per loro, era come l’aria che respiravano, era parte di ciò che rappresentavano in quanto essere umani: che si trattasse di una semplice amichevole o di una finale, il desiderio di prevalere sull’avversario non li abbandonava mai, e una sconfitta rimaneva pur sempre una sconfitta.
  Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla, cogliendolo alla sprovvista e distraendolo dai suoi pensieri. «Ci rifaremo con la prossima» gli assicurò Christian.
  Adrien annuì, ma non aggiunse altro.
  «Lo so cosa stai pensando» continuò il compagno. «Quello che tutti, in fondo, pensano. Non ho la possibilità di stare in campo in queste amichevoli finché ci sarà Marinette.»
  «Cosa? Christian, nessuno di noi lo pensa! Tu sei il nostro cervello e il nostro capitano: nessuno dei Gatti oserebbe mai pensare che tu sia superfluo! Non dirlo mai più nemmeno per scherzo» ribatté Adrien, afferrandolo per le spalle e scuotendolo con decisione.
  Per alcuni istanti, il giovane alzatore rimase disorientato dalla prontezza con cui il compagno aveva controbattuto. Erano parole potenti, le sue, cariche di rispetto e ammirazione. «Ti ringrazio davvero tanto,» disse, accennando un sorriso, «ma non è esattamente che intendevo. Marinette è un’alzatrice davvero talentuosa: ha grinta, tenacia e spirito di osservazione; ragiona con criterio e agisce di conseguenza. Ma queste cose ce le ho anch’io. Non sarò in grado di fare alzate precise come le sue, ma per tutto il resto combattiamo ad armi pari. Non ho intenzione di farmi battere da lei.»
  Adrien sorrise, rassicuratosi che il compagno di squadra fosse più in forma e competitivo che mai. «E allora non farlo. Dimostra quanto vali e giochiamo una di queste amichevoli insieme» lo spronò, battendo il pugno sulla sua spalla in segno di amicizia. Christian aveva proprio ragione: era indubbio che, con il suo innato talento e il tempo speso ad affinarlo, le alzate di Marinette fossero il sogno di ogni schiacciatore. Ma l’abilità di un alzatore non si limita soltanto a questo: come un direttore d’orchestra che armonizza tra loro tutte le peculiarità dei singoli musicisti, l’alzatore è il ruolo di colui che coordina la squadra con intelligenza e creatività, analizzando i movimenti avversari e cercando di spianare la strada agli schiacciatori. Ci sono tanti tipi di forza e tanti modi diversi di fare le cose, e questo Adrien lo sapeva bene: se Marinette era l’alzatrice dalla precisione di palleggio sorprendente e dalla capacità di inventarsi le giocate più strambe, Christian era l’alzatore affidabile che riusciva a comprendere i bisogni di tutti i suoi schiacciatori e a farli giocare al cento per cento delle loro possibilità.
19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 16:31, Parigi

La stanza era illuminata dalla luce solare che filtrava dalla finestra e nell’aria risuonavano le note dell’ultimo singolo di Jagged Stone. Marinette, seduta alla scrivania, stava rifinendo a computer un bozzetto che aveva scannerizzato qualche giorno prima. Quando il telefono squillò, la giovane lo agguantò con la mano sinistra e lo tenne incastrato tra la spalla e la nuca, mentre con le mani continuava ad armeggiare alla tastiera.
  «Marinette, hai da fare oggi pomeriggio?» domandò Alya quando l’amica rispose.
  «Non so. Volevo approfittare di avere la giornata libera per portarmi avanti con i compiti.» A causa di un impegno improvviso di Jacqueline, Antoine aveva pensato bene di approfittare della situazione per concedere una giornata libera ai ragazzi: con tutto l'impegno che ci mettevano per migliorarsi costantemente, un po' di svago se lo meritavano sicuramente. «Perché?»
  «Io e Nino stavamo pensando di andare a vedere un film e poi andarci a prendere qualcosa. C’è anche un amico di Nino. Ci stai?»
  Marinette smise ritoccare il bozzetto e portò tutta la sua attenzione sulla conversazione. «Aspetta, non starai mica cercando di organizzare una specie di appuntamento a quattro per trovarmi un ragazzo, vero?»
  «Non ti farei mai una cosa del genere solo perché sei un caso umano» le fece notare con sarcasmo.
  La corvina rise, non potendo di fatto darle torto visti i recenti sviluppi con Adrien. «Va bene, ci sto. A che ora e dove?»
  «Alle cinque davanti alla torre Eiffel.»
  «Ok. A dopo.»
  «A dopo.»
  Usufruendo della mezz’ora che le rimaneva, Marinette diede gli ultimi ritocchi al bozzetto a cui stava lavorando prima che Alya la interrompesse e salvò il tutto, ripromettendosi che non avrebbe più apportato modifiche. Succedeva spesso che il lavoro che il giorno prima la soddisfaceva quello dopo le sembrasse un disastro, e così finiva per eliminare dettagli e aggiungerne altri giorno dopo giorno, come in un circolo vizioso.
  Spento il computer cominciò a passare al setaccio il suo intero guardaroba per decidere cosa indossare. Sotto quel punto di vista, fortunatamente, non incontrò problemi: se si trattava di uscire con Nino e Alya, era più facile sentirsi sicura di sé e indossare quello che più le piaceva senza troppe paranoie. Dunque, infilatasi un completo leggero che si abbinava agli accessori e applicatasi un velo di trucco, uscì di casa. Arrivò al punto di incontro sorprendentemente in orario, ma di Alya, Nino e il suo fantomatico amico nemmeno l’ombra. Andiamo, una volta che non sono in ritardo!, protestò tra sé.
  Decise di aspettarli seduta su una panchina che trovò lì vicino, sicura che si sarebbero fatti vivi da un momento all’altro. Sporgendosi in avanti, i gomiti poggiati ai lati delle cosce e il mento sulle mani congiunte, cominciò a osservare il panorama circostante. I fili erbosi dei giardini erano di una tonalità accesa di verde, e gli alberi già si tingevano dei colori tipici dell’autunno: un mosaico di pigmenti gialli, arancioni, rossi, ma soprattutto marroni; in percentuale minore, il verde sopravviveva laddove ci riusciva. Se considerare quel quadro naturale malinconico o meno, a dirlo potevano essere solo le persone. Per Marinette, di certo, non lo era. Non al centro di Parigi, dove ciò era solo una parte del dipinto e non l’unica componente: quel paesaggio autunnale faceva infatti da sfondo ai parigini e alle loro uscite pomeridiane nei pressi del monumento simbolo della capitale francese.
  La corvina sorrise, affascinata da tanta bellezza. Alzandosi, estrasse una Polaroid dalla borsetta e cercò una zona da cui l’inquadratura fosse migliore, poi scattò una foto. Quando l’istantanea uscì, la ragazza la prese tra il pollice e l’indice e la osservò con soddisfazione.
  Una volta Alya le aveva regalato una foto scattatale durante una partita e, sebbene fosse in movimento, l’attimo era stato catturato in tutta la sua intensità. Marinette ne era rimasta affascinata e aveva compreso per la prima volta il potere della fotografia, che cattura la verità dell’istante e non lascia spazio a nessun tipo di bugia. Aveva così deciso di farsi comperare una lavagna di sughero su cui esporre gli scatti che ritraevano i momenti più belli della sua vita.
  «Marinette.»
  La corvina sobbalzò, colta alla sprovvista. Voltandosi incontrò la figura di Adrien, il quale la salutò gesticolando con una mano. «Adrien!» esclamò. «Come mai tu qui?» Quando lo disse, ciò a cui stava pensando era la coincidenza per cui anche lui si trovasse lì. Tuttavia, pensandoci più attentamente, si ricordò che, eccezione fatta per gli allenamenti, al ragazzo era vietato uscire. Che cosa ci faceva dunque lì, senza l’assistente di suo padre o l’autista a sorvegliarlo?
  «Alya e Nino non ti hanno detto niente?»
  L’amico di Nino.
  Adrien.
  Era tutto fin troppo chiaro.  
  «Ma sì, certo che l’hanno fatto!» si affrettò a correggersi. «Io intendevo, ecco, che cosa ci fai all’aperto, se tuo padre ti ha vietato di uscire?»
  «Ti va se ci prendiamo qualcosa, prima che ti spieghi?»
  «Non ci conviene prima aspettare Nino e Alya?» Così dicendo cominciò a guardarsi attorno per controllare se nel frattempo i due stessero arrivando.
  «Alya non ti ha avvisato? All’ultimo minuto ha dovuto fare da babysitter alle sue sorelle e Nino non se la sentiva di lasciarla sola.» Il che Marinette tradusse come “Quella furbacchiona di Alya ha usato la storia dell’invito a uscire tutti e quattro assieme come pretesto per liquidarci con una scusa e lasciarci soli perché io sono un caso umano e da sola non sarò mai in grado di combinare niente”. Non sapeva nemmeno se ringraziarla per averle servito una tale opportunità su un piatto d’argento o se maledirla per averla messa in una situazione così imbarazzante.
  «Probabilmente se ne sarà dimenticata.»
  «Allora andiamo?»
  «Certo.»
  Il giovane prese a camminare e lei, prima di seguirlo, si fermò un attimo a pensare. Il pomeriggio che avrebbe passato assieme ad Adrien aveva tutte le potenzialità per essere una sorta di pre primo appuntamento – come lo definì lei nella sua testa, siccome il giovane non era interessato ad approfondire l’entità del loro rapporto e renderlo qualcosa di più di una semplice – anche se forte – amicizia. Visto il tumulto di emozioni che si generava nella sua mente ogniqualvolta fosse in compagnia di quel ragazzo, si chiese se sarebbe riuscita a mantenere la calma. Con questa speranza nel cuore, dunque, si apprestò a seguire Adrien dovunque avesse intenzione di andare.
  Marinette scoprì ben presto che la meta dell’amico era L’Éclair, un bar dall’ambiente giovanile con prezzi ragionevoli. Presero posto fuori, a uno dei tavolini rotondi disposti all’ombra di una tenda da sole. Il menù offriva la possibilità di fermarsi per un brunch, un pranzo, una cena o un semplice cocktail: non avendo l’età per bere ed essendo pieno pomeriggio, i due ordinarono dei macaron da dividere e un succo all’arancia per lui e alla mela per lei.
  «Sono buonissimi» commentò a un certo punto Adrien, felice come un bambino, prendendo un altro macaron e portandoselo alla bocca.
  «Vedo che ti piacciono» commentò Marinette, notando la soddisfazione con cui l’amico stava degustando quei pasticcini. Ne agguantò uno anche lei, prima che quell’aspirapolvere biondo potesse risucchiarli tutti nel suo stomaco.
  «Adoro i dolci e questi sono buonissimi.»
  Dopo averne assaggiato uno, la ragazza dovette dargli ragioni. Tuttavia, forse perché di parte, non poté fare a meno di paragonarli a quelli di suo padre e giudicarli inferiori. «È vero, sono buoni, ma quelli di mio padre non li batte nessuno.»
  «Tuo padre è pasticcere?»
  Marinette ebbe l’impressione di aver appena detto a un cannibale che a casa aveva un allenamento di teneri e soffici bambini che aspettavano solo di essere fatti arrosto. «Sì. Lui e mia madre gestiscono una pasticceria, anche se è più mio padre a occuparsi della cucina. Mia madre di solito serve i clienti.»
  «Attenta, o rischi di trovarmi a casa tua in piena notte mentre cerco di fare irruzione.»
  Fortuna che il ragazzo era così impegnato nella contemplazione di quei macaron – l’amore di Adrien per i dolci cominciava a farsi un po’ inquietante – da non accorgersi della colorazione purpurea che assunsero le guance di Marinette. Fino a quel momento era riuscita a tenere a freno il nervosismo, ma non poteva farci niente se Adrien se ne usciva con osservazioni del genere, stimolando la sua fantasia fin troppo fervida.
  «Marinette?» la richiamò all’attenzione il giovane.
  Scattò in piedi sulla sedia come sentì chiamarsi. «E-eh?!»
  «Tutto bene?» volle accertarsi, inclinando di poco la testa di lato. «Mi sembri distratta.»
  «Sì, benissimo! Dov’eravamo rimasti?»
  «Stavo dicendo che se non prendi qualche altro macaron li finisco tutti io.»
  «Ah, sì.» E menomale che ne avevano ordinati quindici di cui lei ne aveva mangiato solo uno, pensò.
  Da lì in poi il pomeriggio trascorse in modo sereno. Prima Adrien spiegò che, siccome suo padre non era a conoscenza della cancellazione dell’allenamento, aveva deciso di approfittarne per farsi accompagnare da Nathalie in palestra come se niente fosse, per poi cambiarsi con i vestiti che aveva messo nel borsone e uscire dal retro per incontrarsi con Marinette, Nino e Alya. «Lo so, visto com’è andata l’ultima volta, non è stata una buona idea… ma non ce la facevo a sopportare l’idea che sarei rimasto rinchiuso in casa tutto il giorno se solo avessi detto a mio padre che l’allenamento di oggi era stato cancellato.»
  Marinette non aveva mai provato un’esperienza simile sulla propria pelle, ma non faticava a credere quanto dovesse essere terribile. A scuola e non solo aveva sentito diversi ragazzi invidiare Adrien: bello, talentuoso e straricco, poteva permettersi di tutto e non doveva alzarsi tutte le mattine per andare a scuola, perché era la scuola ad andare da lui. Ma Marinette non condivideva le invidie di questi ragazzi. Certo, sarebbe piaciuto anche a lei, ogni tanto, staccare la spina e non essere costretta a interagire con la gente per alcuni giorni, ma vederne le conseguenze su Adrien la convinceva ancora di più che, a lungo andare, quella situazione diventasse un incubo, altro che dolce sogno. Inoltre, lei che lo conosceva meglio di altri sapeva che il giovane, pur non frequentando una normale scuola, era sottoposto a ritmi di studio serrati ed era incastrato tra mille responsabilità da cui il padre non l’avrebbe mai lasciato fuggire.
  «Tranquillo, non ti giudico» lo rassicurò, regalandogli uno di quei suoi sorrisi in grado di scaldare i cuori delle persone. «E mi dispiace che tu non abbia avuto l’uscita che desideravi.»
  «Stai scherzando? Mi sto divertendo tantissimo con te.»
  Marinette si sentì avvampare. «D-Davvero?»
  «Ma certo. Forse i miei standard saranno un po’ bassi, ma non vedo perché una giornata così dovrebbe annoiarmi.»
  Quelle parole furono sinceramente in grado di colpirla, e in quel momento la giovane decise che avrebbe fatto di tutto per far passare ad Adrien un pomeriggio indimenticabile. «L’assistente di tuo padre verrà a prenderti in palestra alle otto e mezza, giusto?»
  «Sì» confermò.
  «Bene. Per quell’ora saremo già lì. Ma prima abbiamo altro da fare.» Addentò l’ultimo macaron rimasto e finì quel poco di succo che le rimaneva, quindi si avviò al balcone.
  Adrien non sapeva cosa volesse fare, ma aveva tutta l’intenzione di scoprirlo. Lasciò il suo succo senza nemmeno finirlo e la raggiunse. «Offro io» disse, porgendo i soldi a una giovane cassiera. Marinette protestò, invano: Adrien non volle sentire ragioni. «Sono un purrrfetto gentiluomo.»
  La ragazza sorrise, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, ormai abituata allo squallore di certe battute dell’amico.
  L’orologio da polso segnava le cinque e mezzo: avevano ancora circa tre ore prima di farsi trovare in palestra per imbrogliare Nathalie. Marinette mise in moto il cervello e cercò di capire alla svelta come rendere indimenticabile quel giorno. Adrien non aveva mai passato un normale pomeriggio tra amici, quindi come poteva fare per rendere quell’uscita speciale? Come inizio non c’era male, ma le altre attività che le venivano in mente le sembravano troppo banali: cinema, sala giochi – certo sarebbe stato bello stracciarlo a Ultimate Mecha Strike III, sempre se sapeva giocare… No, l’ideale era qualcosa all’aperto, che fosse al tempo stesso qualcosa a lui nuovo e meno comune delle opzioni in precedenza scartate.
  Invece che tornare al Campo di Marte, Marinette condusse Adrien lungo Avenue Bosquet finché non incrociarono un taxi: una volta dentro, la corvina disse al tassista di condurli al Giardino delle Tuileries.
  «E che cosa ci andiamo a fare lì?»
  «Aspetta e vedrai.»
  Il viaggio fu breve, della durata di circa dieci minuti. Marinette ringraziò il tassista, uscendo e pagando lei la corsa, anche per sdebitarsi con Adrien per averle offerto i macaron di poco prima.
  «Adesso?» domandò il giovane, guardandosi attorno e ammirando Place de la Concorde.
  «Sei mai stato su una ruota panoramica?»
  «Mio padre non mi ha mai fatto andare da nessuna parte senza che ci fossero con me anche Nathalie o il mio autista e tu mi chiedi se sono mai stato su una ruota panoramica?»
  «Ti piacerebbe andarci?»
  Un sorriso a trentadue denti parlò per lui.
  Marinette sorrise di rimando. «Ti faccio strada.»
  «È tipo una ruota di acciaio impossibile da non notare, ma va bene» ironizzò, seguendola. Saliti sulla giostra, più si avvicinavano alla vetta e più Marinette era sicura di aver avuto una buona idea: Adrien sembrava davvero rapito dal panorama parigino che si stagliava dinanzi a loro e correva per chilometri e chilometri in tutte e quattro le direzioni.
  Dopo un giro completo, la giovane gli propose una passeggiata fino al Giardino delle Tuileries: luogo permeato di storia, da Caterina de’ Medici alla rivoluzione francese – quand’era stato dichiarato accessibile al pubblico –, in età odierna vi era possibile trovarvi chioschi, artisti di strada e attrazioni per piccoli e grandi.
  Marinette, ormai, non si stava più sforzando che Adrien si divertisse, perché erano così proiettati nel godersi il momento che non fu più necessario. Come aveva predetto, la bellezza di Place de la Concorde e del Giardino delle Tuileries e le innumerevoli genti che li frequentavano era bastato a far scattare una scintilla in Adrien. Non era più rinchiuso nella solitudine di quattro mura, ma immerso nell’euforia dei suoi concittadini.
  «Che cosa vuoi fare prima?»
  «Qualsiasi cosa!» Si buttò in mezzo alla calca che affollava i giardini, prendendo Marinette per mano e trascinandola con sé. Ma poiché non aspettava altro che provare le attrazioni, ai chioschi che vendevano leccornie ci avrebbero pensato dopo.
  In quanto a giostre, Adrien non ne aveva davvero mai provata una – avrebbe potuto, se solo non fossero rientrate in quella lista di cose che il padre non poteva piazzare in casa. Siccome la ruota panoramica era tra le più tranquille, come prima cosa il giovane volle provare il Tapis Volant.
  Quando lo disse a Marinette, la ragazza sbiancò solo a vederla. «D-dici sul serio?»
  «Allora quella.» Indicò il Booster, dove i ragazzi si sedevano alle due estremità di un braccio meccanico che li sballottava a grande velocità girando in senso orario.
  Marinette poteva sentire i macaron tornarle su solo a vedere quei poveretti lassù venir sbattuti come in una lavatrice. «Vada per quell’altra.»
  «Ok, ma dopo facciamo le altre.»
  «Stai scherzando, vero?»

  Un’ora dopo, Marinette aveva compreso che non stava affatto scherzando. Dopo il Tapis Volant c’era stato il Ranger, poi il Megamix, ancora dopo il Booster – che Adrien potesse schiattare – e, almeno credeva, altre due di cui non ricordava il nome.
  Finito finalmente il giro delle varie giostre, i due ragazzi si fermarono a un chiosco di crêpe.
  «Due, per favore» disse Adrien.
  L’uomo cominciò ad armeggiare con i propri strumenti e preparò in meno di cinque minuti due crêpe cariche di nutella. La prima arrivò ad Adrien, che però la porse a Marinette. «Per scusarmi di aver abusato della tua pazienza con le centrifughe, offro io.»
  La ragazza accettò la crêpe tra le sue mani, deliziandosi del calore e dell’odore che emanava. «Diciamo che per questa volta ti perdono.»

  Dopo una mezz’ora a girare per attrazioni più calme come il tiro a segno o altre che simulavano la pesca, Adrien espresse il desiderio di voler tornare a mangiare. «Sono le sette e mezza e Nathalie mi verrà a prendere in palestra: non è molto lontana dalla torre Eiffel, quindi penso che ci vorranno tra i cinque e i dieci minuti. Per sicurezza direi di prendere il primo taxi verso le otto e dieci. Ci rimangono quindi circa quaranta minuti, ma noi abbiamo provato quasi tutte le attrazioni ed è ora di cena.»
  «Ma dove lo metti tutto quel cibo?»
  Adrien sorrise sornione. «Stai forse insinuando che non mi mantengo in forma?»
  Marinette arrossì: oh, si manteneva anche fin troppo bene, ma questo non poteva proprio dirglielo. Si schiarì la gola, cercando di nascondere l’imbarazzo. «Non è mai troppo tardi per ingrassare.»
  «Facciamo abbastanza moto da riuscire a smaltire senza problemi tutte le calore di oggi.»
  L’ultima tappa di quella sera fu, quindi, un chiosco che vendeva hamburger, patatine fritte, tranci di pizza, kebab e bibite varie. Adrien e Marinette presero un trancio di pizza e una coca cola ciascuno e si divisero una vaschetta di patatine fritte. Presero posto a uno dei tavolini d’alluminio che il negoziante aveva sistemato alla destra del chiosco e parlarono del più e del meno mentre consumavano le loro ordinazioni: ormai avevano imparato a conoscersi sempre più a fondo e la pallavolo era solo uno dei tanti argomenti su cui potevano intavolare una conversazione.
  Marinette, per esempio, aveva scoperto che Adrien possedeva un lato nerd: amava i videogiochi, leggeva fumetti, soprattutto manga e roba targata DC o Marvel, ed era un grande fan di Star Wars e Star Trek.
  «Non ho mai capito la differenza» ammise la giovane.
  «Tipico» commentò l’altro. «Hai presente “Luke, sono tuo padre”?»
  «Il tizio vestito di nero?»
  «Sì. Quello è Star Wars. E il tizio dalle orecchie a punta che fa così?» Mostrò la mano destra con l’indice e il medio e l’anulare e il mignolo congiunti, con uno stacco tra il medio e l’anulare.
  «Star Trek
  «Esatto.»
  «È facile.»
  «In realtà è molto più complicato, si tratta di due opere completamente diverse tra loro» ci tenne a puntualizzare il giovane. «Ma è così che spieghi a una profana come te come riconoscerli.»
  «È così che parli a una ragazza, insultandola?»
  «Non ti sto insultando» ribatté. «Era solo una semplice constatazione. Se vuoi la lezione completa, possiamo pure iniziare da Star Wars e parlare di come Darth Vader—»
  «No, no, grazie! Mi tengo l’insulto.» Scoppiarono a ridere entrambi. Poi, per un po’, continuarono a mangiare immersi nel silenzio. Marinette, doveva ammetterlo, non avrebbe mai immaginato che Adrien possedesse un lato nerd. Ma, a pensarci meglio, aveva senso: essendo rinchiuso nella solitudine di quattro mura praticamente da sempre, doveva pur trovare qualche svago per ammazzare il tempo. Inoltre era rassicurante che, nonostante il tipo di vita che il padre l’aveva costretto a condurre, quel ragazzo potesse comunque contare su aspetti normali della propria esistenza.
  «Il 13 dicembre esce l’VIII capitolo, comunque» disse Adrien, riportando la conversazione su Star Wars.
  «Non serve neanche che tu me lo dica. Anche Nino è un fan accanito e quando è uscito l’ultimo film ha praticamente trascinato Alya al cinema. Adesso ci sta stordendo da mesi con quello che sta per uscire e probabilmente Alya dovrà sorbirsi anche quest’altro.»
  «“Sorbirsi”? Guarda che Star Wars è un grandissimo film! L’Impero colpisce ancora è uno dei migliori che io abbia mai visto.»
  «Scusa» fece sarcastica, alzando le mani con teatralità.
  Nonostante il momento di spensieratezza, entrambi pensarono che, in un’altra situazione, Adrien e Nino avrebbero potuto andare a vederlo insieme, quel film, traendone entrambi beneficio in quanto tutti e due grandi fan del franchise. Tuttavia, quasi come se si fossero messi d’accordo, nessuno decise di palesare a parole la questione, perché farlo avrebbe reso tutto ancora più reale.

  Sembrava che le otto di sera avessero davvero fretta di arrivare, e così spazzarono via l’ultima mezz’ora di tempo rimasta ai due giovani.
  «Penso sia meglio andare» osservò Marinette. S’intristì quando vide un velo di rassegnazione farsi spazio sul volto di Adrien: dopo quel pomeriggio così speciale, tutto per lui sarebbe tornato alla solita, noiosa routine, eccezione fatta per gli allenamenti. Poi il ragazzo tornò a sorridere, e l’amica si chiese in cuor suo quanto fosse doloroso indossare costantemente una maschera di spensieratezza.
  «Sì, andiamo.»
  Tornarono a Place de la Concorde e presero un taxi che lasciarono cinquanta metri prima della palestra: sebbene non fossero ancora le otto e mezza, Nathalie era precisa come un orologio svizzero e Adrien non voleva rischiare di farsi cogliere con le mani nel sacco perché lei era arrivata un po’ prima.
  Il giovane, salutata Marinette, entrò in palestra passando per un’entrata sul retro e andò a recuperare il borsone. Si cambiò in fretta, togliendosi pantaloni e camicia e rivestendosi con una tuta, infine uscì dall’entrata principale e vide, accostata al marciapiede, l’automobile del genitore, quindi scese la scalinata e vi entrò dentro.
19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 20:48, Parigi

Marinette sorrise, osservando soddisfatta le due istantanee che aveva appena attaccato alla lavagna di sughero. Non si trattava, infatti, solo del Campo di Marte, bensì anche di quella scattata al Giardino delle Tuileries che la raffigurava assieme ad Adrien. Le piaceva particolarmente perché, come credeva che la fotografia sapesse fare, aveva colto l’attimo che racchiudeva in sé l’essenza del loro rapporto: lei aveva ancora in mano lo zucchero filato e Adrien, avendo già finito il suo da un pezzo – di nuovo, che cosa aveva quel ragazzo al posto dello stomaco? –, stava cercando di rubargliene un po’.
  Il passante che gliel’aveva scattata si era persino complimentato con loro per la bella coppia che formavano, e solo al pensiero Marinette arrossiva di nuovo. Però era felice, perché una copia di quella fotografia ce l’aveva anche Adrien e sperava che, guardandola, il ragazzo potesse ricordarsi che finalmente un’amica ce l’aveva – anzi, tre, considerando anche Nino e Alya.
  Marinette, in preda a un istinto di nostalgia, passò in rassegna anche le fotografie risalenti a eventi passati: come ultimo ma non meno importante, nonostante non fosse un'istantanea, la giovane aveva appeso a una puntina il braccialetto che quel bambino di dieci anni prima, Chat Noir, le aveva regalato la sera di Halloween. Sicuramente, chiunque fosse e dovunque si trovasse, lui l’aveva ormai buttato, quel braccialetto. Ma lei non l’avrebbe fatto, mai: anche dopo altri dieci anni, avrebbe sempre ricordato con affetto la gentilezza di quel bambino che era accorso in suo aiuto.

19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:03, Parigi

Qualche ora prima, mentre facevano il giro dei chioschi, Marinette aveva cortesemente chiesto a un passante di scattare loro non una ma ben due foto, cosicché anche Adrien potesse conservarne meglio il ricordo. Era stato un bel gesto da parte sua, pensò il giovane, che intanto stava aprendo un cassetto per riporvi l’istantanea. Prima di richiuderlo, il ragazzo fece cadere lo sguardo sul braccialetto che, dieci anni prima, aveva realizzato assieme alla madre, facendone dono di una seconda copia a una bambina misteriosa il cui ricordo era ancora vivo in lui.


Note dell'autrice
 Credo che abbiate capito tutti perché ho definito questo capitolo uno dei miei preferiti. Non so se, agli occhi di alcuni di voi, sia parso che abbia calcato troppo sulla solitudine di Adrien, magari anche mettendola sotto una luce più tragica di come la vedete voi. Ma io credo davvero che, a lungo andare, sia una situazione sempre più insostenibile. Sì, bello essere ricchi, di talento e affascinanti, però il padre è uno di quelli che controlla anche quante volte vai il bagno. Deve essere davvero stressante, ecco. Poi, siccome fu confermato da Astruc che Adrien legge manga/fumetti in generale e guarda anime, ho pensato di renderlo anche fan di Star Wars e Star Trek – quand'ero piccola e non ci capivo niente, io li distinguevo davvero così, lo ammetto.
  Ho scritto l'intero capitolo con Google Maps alla mano, per regolarmi meglio con le distanze e le tempistiche. Infatti, oltre alle località che tutti conoscerete, come il Giardino delle Tuileries, il Campo di Marte e Place de la Concorde, anche Avenue Bosquet e L’Éclair esistono davvero.
  A parte questo, non ho nient'altro di particolare da aggiungere, quindi queste note le concludo qui.
  Alla settimana prossima con il capitolo VIII!
  P.S. Piccolo spoiler: presto la povera Marinette dovrà sorbirsele di nuovo, quelle giostre infernali.

   
 
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