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Autore: wolfymozart    25/02/2018    2 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Anna restò sulla terrazza ancora per un po’ a smaltire l’irritazione e il risentimento. Non si sarebbe mai presentata nel salone in quelle condizioni, aveva bisogno di un momento per riacquistare la calma e sfoggiare il migliore, o almeno il più plausibile, dei sorrisi ai vari conti, baroni, duchesse e marchese, popolani e contadine invitati da suo fratello. Passato un lasso di tempo indefinibile, ravviati i capelli e aggiustatasi il vestito, prese il coraggio e ritornò la solita Anna Ristori: impassibile, formale, cortese, pronta ad intrattenere con nonchalance gli ospiti e a fare onore al nome della sua famiglia. Rientrò nella luce sfolgorante della sala da ballo stringendo gli occhi, ormai abituati al buio, e si mise a ricercare con lo sguardo il fratello. Se ne stava a chiacchierare amenamente con un giovane ufficiale della guardia reale, amico di famiglia; Anna si stupì di non scorgere al suo fianco Elisa. Si guardò intorno, ma non la vide nemmeno impegnata a intrattenere i suoi ospiti, la gente del borgo. Che strano, pensò Anna. Che sgarbataggine abbandonare la propria festa! Questo fatto dava ragione a lei, che aveva sempre pensato che una misera serva non sarebbe mai riuscita ad imparare il comportamento degno di una contessa!  Un lampo di gelosia le balenò allora per la mente: che se ne fosse andata insieme ad Antonio?
 
-Siete stanca della festa, contessa? – una voce maschile, dall’inconfondibile accento francese, si udì alle sue spalle. Elisa si girò d’istinto e inquadro la sagoma di Jerome in controluce. Si era rifugiata in una delle stanze vuote della casa per rilassarsi dalle chiacchiere, dalle danze, dal chiasso, dopo aver fatto visita alla piccola Agnese che dormiva serenamente al piano di sopra. Era stata una giornata lunga e faticosa per lei, non abituata a sostenere eventi mondani, in cui per di più si trovava al centro dell’attenzione. La pace che si era concessa per un breve istante venne però squarciata dall’ingresso di quell’uomo. Con un cenno del capo Elisa lo invitò cortesemente a non fermarsi sulla soglia, ad entrare, domandandosi in cuor suo come facesse a trovarsi lì anche lui in quel momento: l’aveva forse seguita?
- No, non vi preoccupate, Jerome. Si tratta solo di una breve pausa, sto bene. Ho fatto visita a mia figlia e ora sono pronta per ritornare ai festeggiamenti. – rispose con un sorriso garbato e rassicurante.
- Fossi in vostro marito, non avrei abbandonato una donna di straordinaria bellezza come voi in balìa di tutti quegli ospiti per chiacchierare tutta la sera con un soldatino…- alluse ironico. Si era fatto più vicino, Elisa poteva distinguere chiaramente il verde penetrante dei suoi occhi, le labbra leggermente increspate in un sorrisetto, i capelli biondi ordinati e raccolti. Si trovò istintivamente ad indietreggiare, di fronte all’imponente figura del francese. Jerome notò il suo turbamento e si affrettò a dire: - Non era mia intenzione mettervi a disagio con le mie chiacchiere. Vostro marito ha organizzato una festa grandiosa, e questo per voi, solo per voi. Deve amarvi molto…-
Elisa ritornò padrona di sé e rispose:
-Se desiderate non mettermi a disagio, vi pregherei di evitare di entrare in questioni private che non vi riguardano. –
- Pardon!- esclamò sollevando teatralmente i palmi delle mani. – Me ne andrò, visto che date segno di non gradire la mia presenza…-
Elisa cercò quindi di scusarsi a sua volta:
-Mi avete fraintesa, non volevo cacciarvi. Ma se è così, verrò con voi: ritorniamo alla festa.-
Jerome fece il gesto di offrirle il braccio e lei prontamente accettò: fu questo il segnale che stava aspettando. Fermi sulla soglia, al confine tra la luce e l’oscurità, Jerome si voltò brusco verso di lei e le piantò gli occhi negli occhi. Elisa sussultò, ma si lasciò condurre. E quanto lui le passò senza alcuna discrezione una mano sulla guancia, lo lasciò fare, come ammaliata dai suoi modi galanti e sensuali.
-Io non vi avrei certo lasciata sola: siete troppo bella perché un qualsiasi uomo possa resistere al desiderio di baciarvi…- pronunciò tutto d’un fiato avvicinando le labbra a quelle di lei.
Fu un moto improvviso, inaspettato; uno schiocco infranse il silenzio carico di tensione di quei momenti. Uno schiaffo ben assestato, a mano aperta, che non lasciava spazio a fraintendimenti tuonò sulla guancia sinistra di LeBlanc che rimase impietrito a massaggiarsi il viso per lungo tempo.
 
Le mani nervosamente aggrappate alla spalliera del divanetto, gli occhi fissi sulla folla multicolore che si agitava leggiadra a suon di musica, le labbra serrate in una smorfia di disappunto. Così se ne stava Anna, discosta da tutto e da tutti, scura in volto e poco incline alle chiacchiere. E così la vide LeBlanc rientrando in sala con la guancia arrossata, ma senza aver perso il suo solito sorriso galante. Non gli ci volle molto per capire che il suo amico Antonio era stato chiamato un’altra volta per via del suo lavoro, abbandonando anzitempo la festa e facendo irritare ancor di più la marchesa. Constatò che si trovavano in uno stato d’animo simile: a quella festa entrambi non si sentivano di partecipare, entrambi erano delusi, arrabbiati per essere stati lasciati con un palmo di naso. Pertanto le si avvicinò cautamente e, sopraggiungendo alle sue spalle, le sussurrò all’orecchio:
-Qualcosa non va, marchesa? Avete una faccia…-
Anna, soprappensiero, sobbalzò e voltandosi si trovò faccia a faccia con Jerome. Notò immediatamente quel rossore sulla guancia sinistra, ma non le riuscì di indovinarne la causa. Non le riuscì nemmeno di sfuggire a quegli occhi penetranti che sembravano leggerle la mente.
-Che cosa ve lo fa pensare, avvocato? Sto soltanto riposandomi dalle danze, sapete, per me che non sono abituata, può diventare faticoso. – si affrettò ad accampare come scusa.
- Suvvia, marchesa, non offendete in tal modo la mia e la vostra intelligenza! So bene che dopo aver ballato con me all’apertura delle danze, più nessuno ha avuto l’onore di un ballo insieme a voi. Perciò sono più che sicuro che ci sia dell’altro. - insinuò, ma sempre con fare cortese.
Anna, messa alle strette, prese a giocherellare nervosa con il crocifisso che portava al collo e a vagare con lo sguardo per la sala alla ricerca di una scusa che potesse sollevarla dall’imbarazzo di quella conversazione.
-Vi ho importunato con le mie domande? Perdonate, non era questa la mia intenzione!- si scusò prontamente appoggiandole amichevolmente una mano sull’avambraccio nudo. Anna istintivamente si scostò facendo un passo indietro.
- Vedo che la mia presenza vi infastidisce. Tolgo il disturbo, marchesa. Godetevi la festa, senza rimuginare troppo sul nostro comune amico…- alluse facendo per allontanarsi.
- No, aspettate, avete frainteso. Non è la vostra presenza che mi crea disturbo: è questa festa che mi è venuta a noia. – pronunciò tutto d’un fiato, mentre Jerome si era già voltato per metà.
- Mia cara marchesa, vedete? Avevo ragione io! E, se non sono indiscreto, ditemi cos’è allora che vi turba a tal punto? – domandò fingendo di essere totalmente ignaro.
- Molte cose, ma non mi va di parlarne ora. –
- Marchesa Radicati (o forse dovrei chiamarvi Anna?), voi siete troppo riservata. Certo, capisco che questo sia un atteggiamento che si confà al vostro rango, però, vedete, tenersi tutto dentro alla fine può distruggervi. Non credete che fareste meglio a parlarne con un amico? – chiese ammiccando.
La situazione si faceva sempre più imbarazzante per Anna, che non sapeva dove guardare, cosa fare, come muoversi per trarsi d’impaccio senza offendere le regole del bon ton. Finalmente riacquistò il suo coraggio, fissò con fare sprezzante LeBlanc e rispose:
-Certamente, concordo con voi, ma, ecco, vedete, voi non siete propriamente un amico. –
- E sia. Perdonate se ho tentato di risollevarvi il morale. Ma forse…avete bisogno di qualcosa di più convincente…-
- Che intendete dire? –
- Nulla, marchesa, continuate a godervi la festa. Au revoir. – e, detto questo, si allontanò sul serio, avvicinandosi ad un crocchio di eleganti signori imparruccati che fino a un momento prima si scagliavano contro le insane mode francesi, foriere di idee astruse e pericolose per l’ordine costituito. Prontamente, però, all’arrivo di LeBlanc, voltarono il discorso sul clima inusualmente freddo per il mese di maggio. Cosa su cui LeBlanc convenne senza obiezione alcuna.
Anna restò dov’era, apparentemente immobile, ma la sua mente era tutto un ribollire di pensieri, di rancori, di angosce e di idee di rivalsa. Non riusciva a focalizzare l’attenzione su nient’altro che non fossero le parole che LeBlanc le aveva rivolto durante quel breve scampolo di conversazione: la sorprendeva l’acutezza con cui era stato in grado di leggere nella sua mente. Questo l’affascinava e la spaventava al tempo stesso: che lui sapesse di più di quello che le aveva detto? Che conoscesse i reali motivi delle sparizioni di Antonio? Non la smetteva di tormentarsi con queste domande. Liquidava con brevi frasi di circostanza le dame che le si avvicinavano per attaccare discorso, rinfocolando vecchi e nuovi pettegolezzi sull’alta società piemontese; declinava con affettata cortesia gli inviti al ballo che le rivolgevano numerosi i gentiluomini presenti; allontanava con varie scuse il fratello che più volte venne a domandarle come stesse; restava immobile come una statua a fissare l’andirivieni della gente per il salone, i saluti, i baci di circostanza al momento del congedo. Si era fatto ormai molto tardi, le due, le tre di notte, non sapeva dirlo con esattezza. Antonio non era ancora tornato, di questo era certa. Ed era certa anche del fatto che le sue gambe non avrebbero retto ancora, dopo ore passate in piedi. Era sfinita dalla stanchezza, vuoi per l’ora tarda, vuoi per l’autocontrollo che si era imposta di mantenere per tutta la durata della festa, ma era altrettanto sicura che non sarebbe riuscita ad addormentarsi tanto presto, turbata da quei pensieri che non le avevano lasciato un attimo di requie. Ad un tratto prese la decisione, avrebbe fatto uno strappo all’etichetta, avrebbe abdicato ai suoi doveri di padrona di casa Ristori, ma non riusciva più a reggere.
-Fabrizio, mi vorrai scusare se mi ritiro nelle mie stanze? – domandò avvicinandosi al fratello che aveva da poco smesso la lunga conversazione con l’ufficiale ed era intento a intrattenere un gruppo di attempate nobildonne. Si voltò di scatto e la squadrò con aria preoccupata:
- Anna, non ti devi scusare. Va’ pure a riposare. Ma, piuttosto, ti è successo qualcosa? Hai una faccia…-
-Anche tu! Allora devo avere proprio un pessimo aspetto, non sei il primo che me lo dice stasera…-
- E chi te l’avrebbe detto?- chiese incuriosito.
- Lasciamo stare. Farò un giro di saluto agli ospiti rimasti e mi ritirerò. Porgi i miei omaggi a coloro che non riuscirò a salutare di persona. –
- Sta’ tranquilla, Anna, ci penso io. – la rassicurò baciandola amorevolmente su una guancia.
Dopo un veloce giro del salone, saluti, baci, promesse di rivedersi ad un prossimo evento mondano, finalmente Anna riuscì a guadagnare il corridoio e a dirigersi verso la scalinata che portava ai piani superiori.
Nella semioscurità del corridoio che conduceva alle stanze, illuminato fiocamente da infrequenti candele, sentì qualcuno afferrale un braccio.
   
 
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