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Autore: Rota    26/02/2018    0 recensioni
Una luce rossa, improvvisa, lo fa quasi sobbalzare sul proprio sedile: deve aver superato un posto di blocco, un appostamento di pattuglia della onnipresente e dilagante polizia. Non si è accorto di essersi appisolato stancamente, dopo quell’ennesima e lunghissima giornata di sfiancante lavoro, e il male leggero alla guancia indolenzita gli suggerisce di aver passato troppi minuti di totale abbandono contro il finestrino della propria vettura.
Dev’essere stato un momento in cui ha abbassato la guardia, e tutto il peso delle sue occhiaie si è fatto sentire tra palpebre e mal di testa.
Sbadiglia e torna ad appoggiare la spalla infreddolita contro lo schienale morbido della vettura, recuperando la giacca e cercando un poco di calore per le ossa tremanti. Guarda in avanti, verso il traffico del rientro serale.
Neanche ad aver automatizzato completamente tutti i mezzi di trasporto, da quelli pubblici a quelli esclusivamente privati, ha liberato l’umanità dalla piaga dell’ingorgo: è un po’ l’ironia amara che tinge di colore l’umorismo di chi si ritiene sagace.
Lui, di certo no.

[Keito!Centric - KuroShu]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keito Hasumi, Kuro Kiryu, Mika Kagehira, Shu Itsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Epilogo




 

Silenzio, attorno a sé.
Keito riesce finalmente a rilassarsi contro i cuscini del sedile di quel veicolo, abbassando le spalle e pronunciandosi con un lungo, esausto sospiro. Alza la mano per sistemarsi gli occhiali sul naso ma solo troppo tardi, quando ormai la punta del proprio indice quasi tocca la palpebra morbida, si ricorda di averli persi chissà dove.
Forse in uno dei tanti momenti critici delle ultime ore.
Sospira di nuovo, con più irritazione. Vorrebbe volgere lo sguardo in una direzione priva di luci forti che gli appesantiscono la vista ancora e ancora, ma è difficile una cosa del genere quando sei circondato da veicoli della vigilanza e questi, come di consueto, si impegnano a dimostrare la propria esistenza a tutto ciò che li circonda con insistenza e perizia.
Luci rosse lampeggianti che violano il suo spazio personale a intermittenza, da una parte e dall’altra - neppure i vetri del finestrino, oscuranti, riescono a proteggerlo da questo.
Almeno, il rumore della pioggia resta fuori, così come di tutte quelle parole inutili.
Il pensiero molesto che dovrà, in un futuro molto vicino se non quella sera stessa, affrontare sia Eichi sia la Macchina Rivelatrice della polizia da lui ingaggiata per rintracciarlo non gli fa molto bene all’umore, e rende ancora più spietata l’acidità che gli tempesta nello stomaco.
Non è certo il fatto che non potrà mentire sui fatti accaduti ciò che lo spaventa, quanto tutta la noia di avere una sonda meccanica in grado di leggere la precisa forma della sua psiche e dei suoi ricordi - e se non è etico che sia una macchina a leggergli anche i sentimenti, penserà a quello il direttore supremo della Yumenosaki, senza la minima compassione per la sua stanchezza e le sue mani bruciate dalla pioggia acida.
Tutto questo lo stanca e gli toglie quella poca energia ancora nella carne, in grado di farlo respirare.
Apre gli occhi e vede sfuocato: i fumi della pioggia acida devono aver intaccato il suo sistema nervoso e aver causato danni di cui prima non si è minimamente accorto. O forse è solo il tornare agli occhi umani che stringe, nello sforzo, i muscoli del cranio, e gli dona un mal di testa davvero notevole.
Il passaggio dal bionico al biologico non è mai qualcosa di indolore, specialmente se così vicino al cervello. Lo sperimenta tutte le volte, come dimenticandosi di quel particolare; lascia strascichi che l’umano codifica con una certa difficoltà e lentezza, perché quelli sono i suoi tempi.
Keito sobbalza quando la portiera del veicolo viene spalancata e un uomo corpulento, dalla pelle quasi scura, si siede davanti a lui. La sua scorta.
-Signor Hasumi, ora partiamo.
Gli fa un cenno col capo, in cerca di assenso, e non abbassa lo sguardo finché l’altro non gli risponde con un gesto identico, seppur a fatica. Non sembra malintenzionato nei suoi confronti, soltanto alla fine di una lunga giornata lavorativa.
Più o meno lo stesso sentimento che prova lui medesimo in fondo al petto.
Il veicolo si solleva da terra e comincia il proprio viaggio, allontanandosi dalla Discarica metro dopo metro. Keito si rifiuta di guardare quei muri sempre più piccoli, anche solo mostrandone l’intenzione o lo sguardo verso il finestrino. Appannato, riesce a scorgere bene solo la forma delle proprie ginocchia oltre la coperta calda con cui lo hanno avvolto più volte.
Altra premura.
-Tornati nella Capitale, riceverà assistenza per le sue ustioni.
Lo guarda e lo vede affaccendato in sentimenti di fatica.
I veicoli della polizia hanno smesso di lampeggiare in luci rosse, e ora solo l’interno di quei quattro lati è illuminato da una fioca luce giallastra, che rende evidenti i loro profili. Lui è giovane, probabilmente qualcuno che conosce soltanto il presente.
Keito ingoia saliva a stento ed esprime con voce roca quanto forma un suo primario bisogno.
-Ho fame.
-Fame? Appena arrivati in distretto, le forniremo un pasto adeguato.
Il vigilante parve all’improvviso attento, predisposto maggiormente a provvedere alla sua esigenza, quasi aver ricevuto quella precisa richiesta fosse il motivo esatto della sua presenza in quel luogo.
Sa di quell’umanità buona che Keito ha sempre voluto proteggere, in una forma pura ed evidente.
Prima abbassa lo sguardo, poi chiude gli occhi. E deve dare una brutta impressione, tutto rannicchiato su quel sedile, che a stento respira - il vigilante tenta di nuovo di raggiungerlo con poche parole.
-Non si preoccupi.
Ma le sue orecchie sentono soltanto dei rimbombi lontani, assieme allo scrosciare di una pioggia acida e il cadere di fulmini verdi.
Kuro ha abbracciato quella Macchina come se avvesse appena scorto per sé la vera salvezza, e in fin dei conti quello era ciò che, solo, Keito desiderava davvero nell’ultimo momento. Ma quel sentimento sbiadisce pian piano nel suo animo come potrebbe farlo una felicità passeggera - seppur fondata, seppur così a lungo cercata.
Occhi chiari di metallo ancora lo vedono, lo osservano in una doppia natura ingannevole. Ricorda poco le parole del collega dai capelli rossi, affaccendato con preparativi di una fuga improvvisa quanto necessaria, ma quegli Occhi lo seguiranno per sempre - lo ha compreso da subito, appena li ha visti. Quella Macchina lo ha osservato solo pochi istanti prima di sparire di nuovo dalla sua vita, al seguito di Kuro e di Kagehira verso una meta lontanissima, prima il porto della Discarica e poi l’Intergalattico, eppure sono bastati perché l’impronta del suo essere lo marchiasse nell’intimo. Quello è sempre stato il potere di chi possiede l’Intelletto, di chi è stato forgiato per dominare tutti loro, specialmente messo nella posizione di comunicare a livello così profondo con qualcuno che possiede la capacità vera di comprensione.
Tanto più Keito impiega ad arrivare al Distretto, tanto più loro hanno tempo per scappare - tanto più Lui sarà lontano assieme alla sua scorta, e non potrà mai più nuocere a nessuno.
Forse è per un senso di sollievo che Keito piange, scuotendo il proprio corpo con piccoli e decisi singhiozzi. Forse è per questo.
Sono, però, lacrime che scivolano piano su guance morbide e poi spariscono, assorbite dalla pelle, versate da occhi di robot perlacei e per nulla umani.
Dunque, davvero è tutto concluso.

   
 
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