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Autore: Cantafiabe    27/02/2018    0 recensioni
In questo anime/manga di certo il trambusto non manca e in mezzo a tutto questo caos e canzoncine demenziali, un personaggio come Kevin Mask sembra non entrarci nulla. Allora adesso vi propongo un'alternativa, ma prima spostiamoci in una delle città più affascinanti e umide del mondo: Londra. Ed è proprio qui che comincia la nostra storia, una storia in cui il wrestling va a intrecciarsi con la danza, le tenebre che avvolgono la vita di Kevin si scontrano con una luce nuova, a lui totalmente estranea che ha come portatrice una giovane ragazza, dai lunghi capelli biondo cenere e gli occhi scuri come il cioccolato fondente. Pronti a farvi (s)travolgere da una storia d'amore in un mondo dove l'unica cosa che conta è vincere? Bene, allora sono lieta di presentarvi questo mio piccolo delirio, hope you'll enjoy it.
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kevin Mask, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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KEVIN
No, non era possibile, non poteva davvero essere lei. Quella voce, quegli occhi. Mi aspettavo di incontrare chiunque in quella palestra ma non Lei. Dovevo aver esagerato con gli esercizi, la stanchezza mi stava dando alla testa. Avevo passato gli ultimi due anni della mia vita a fare di tutto per dimenticarla, per dimenticare quel dolore che avevo all'altezza del petto da quella notte. Due fottutissimi anni, spesi a sfogare la rabbia addosso a chiunque si trovasse sulla mia strada. Facevo parte dei dmp, avevo visto mio padre essere sconfitto da uno dei miei compagni, avevo lottato contro la Muscle League e avevo vinto, mi ero fatto un nome in mezzo a tutti quei delinquenti e adesso, proprio adesso che stavo per tornare in Giappone per battermi con quella squadra di dementi che mio padre e i suoi colleghi avevano raccattato, eccola che riappare, come un fantasma. Perché questo sarebbe dovuta essere. Cercavo in tutti i modi di convincermi che era stata una visione, che me lo ero solo immaginato, ma più tentavo e più la verità mi si parava davanti in modo netto e limpido. Era Lei, ed era viva. Era lei con il suo profumo di rosa. Era lei con i suoi occhi scuri color cioccolato e i suoi capelli biondi sempre legati in una treccia. Da quando ero rientrato all’appartamento, continuavo a tirare pugni a quel sacco come se non ci fosse un domani, buttavo fuori l'aria come un toro e quando per sbaglio, la piuma che portavo alla maschera si staccò, urlai con tutto il fiato che mi restava in corpo, rompendo il sacco. Cercai nella sabbia il pendente e, quando lo trovai, lo strinsi nel pugno destro. Nonostante mi uscisse del sangue dalle ferite che avevo sulle nocche concentrai tutta la mia attenzione sull'oggetto che giaceva nel mio palmo. Non l'avevo mai tolto da quando me lo aveva regalato.  È un porta fortuna, così, ogni tanto, penserai a me e magari riuscirò a farti spuntare un sorriso al posto di quel muso lungo che ti ritrovi”  aveva detto, poi aveva iniziato a ridere. Lei non lo sapeva ma anche io avevo sorriso. Perché stranamente, la sua risata riusciva a mettermi di buon umore. Non volevo credere che i miei compagni mi avessero mentito, non volevo credere che Mars mi avesse mentito, lui che era il migliore amico che avessi lì dentro. Mi avevano detto che era morta assieme ai suoi genitori. Quella maledetta notte, il 14 Giugno. Eppure lei era lì davanti a me. Ero veramente patetico. Ma non potevo fare a meno di chiedermi perché, se era veramente lei, non mi aveva riconosciuto? Perché non mi aveva guardato come faceva di solito? Con quello sguardo a metà tra dolcezza e passione. Possibile che fossero bastati due anni a farle dimenticare tutto il resto? Ero stato sgarbato con lei, lo sapevo, ma vederla lì, pronta a farmi una delle sue tipiche ramanzine, sentire il suo tono gentile nonostante la stizza, mi aveva scosso. Non ero preparato a qualcosa del genere. Quante volte l'avevo sognata, quante volte ero passato davanti casa sua sperando di vederla uscire, quante volte avevo aspettato fuori dal teatro per incontrarla mentre tutta trafelata correva a prendere la metro o aspettava che il padre venisse a prenderla con un libro di poesie in mano. Oh dannazione!  Dovevo smetterla, smetterla di pensare a lei. Dovevo concentrarmi, il giorno dopo sarei partito e per due settimane avrei evitato il rischio di incontrarla di nuovo. Ma il ricordo della sua voce, delle sue guance che si erano involontariamente imporporate di rosa alla mia vicinanza mi impediva di restare calmo. Rimisi il pendente al suo posto e andai a farmi una doccia fredda; dovevo trovare un modo per tenerla fuori dalla mia mente, almeno per il momento. La priorità era la missione, non potevo farmi distrarre a quel modo. Restai sotto il getto d’acqua per un'ora intera e poi mi misi a letto. Anche quella casa era piena di lei. Non ci avevo portato nessuna delle mie avventure, mai avuta nessuna di loro nel mio letto, la sola idea mi disgustava. Solo con lei mi ero sbilanciato tanto. Tra le lenzuola di quel letto erano custoditi innumerevoli ricordi e segreti, segreti di sussurri, di sensazioni. La maggior parte delle volte ero io il primo a svegliarmi e spesso capitava che mi fermassi ad osservarla. Sembrava totalmente in pace con tutto ciò che la circondava, il respiro regolare e le lebbra leggermente schiuse. Pura come poche cose rimaste a questo mondo. Completamente in opposizione a tutto ciò che io ero fino a quel momento. Credevo che grazie a lei, avrei potuto cominciare a vivere, avevo fatto mille pensieri da adolescente sdolcinato, credevo che finalmente il destino mi avesse dato una possibilità, ma poi lei era morta. E lo ero anche io. Continuavo a girarmi e rigirarmi, non trovavo pace. Erano passati due anni eppure quella ragazzina era comunque in grado di farmi perdere la testa. Mi alzai ed aprii la finestra affacciandomi fuori. Quella sera il cielo era coperto da uno spesso strato di nubi, ciò stava a significare che presto sarebbe arrivato uno dei tipici acquazzoni di fine estate che a Londra erano cosa comune. Rispecchiava abbastanza il mio umore. Quella riflessione mi fece tornare alla mente altri ricordi che cercai subito di mettere a tacere in un angolo. Erano le due di notte ed io me ne stavo impalato come un idiota a guardare fuori dalla finestra, così, visto che la situazione stava diventando critica, feci una cosa che mi ero ripromesso non avrei mai più fatto. Presi il lettore musicale che tenevo nel cassetto del comodino e feci partire la traccia 8. Era la sua voce. Stava cantando una vecchia canzone in uno scozzese antico che poco conoscevo. L'avevo registrata senza che se ne accorgesse, mentre rimetteva apposto la stanza, dopo essersi ripresa da un pomeriggio trascorso a fare “l’amore”, come piaceva dire a lei; mi sembrava stupido farlo, davvero stupido e mi sentivo un perfetto imbecille ma la tentazione era stata troppo forte. Lei non lo avrebbe mai saputo, sarebbe rimasto uno dei miei piccoli segreti. Erano passati tre mesi dall'ultima volta che l'avevo ascoltata, l'anniversario di quello che sarebbe dovuto essere il giorno della sua scomparsa. Mi aveva fatto incredibilmente male, mi ero  sentito vulnerabile, troppo vulnerabile, per questo mi ero ripromesso che non avrei più ceduto, che avrei lasciato perdere, che sarei andato avanti. Io ero Kevin Mask, uno dei migliori lottatori di wrestling del pianeta, uno dei più forti della dmp, non potevo ridurmi in quel modo per una donna che ormai non c'era più. Ero andato a letto con altre decine di donne per cancellarla dalla mia mente, dal mio cuore, ma nonostante i miei sforzi, lei rimaneva il mio chiodo fisso. Nonostante tutto però, averla rivista, in carne ed ossa, mi aveva fatto sciogliere qualcosa all’altezza del petto; non l'avevo persa, non totalmente almeno. Grazie a questo pensiero, finalmente, dopo ore di nervosismo e rabbia, riuscii a rilassarmi e a cadere nel sonno. Come ogni notte, da due anni a quella parte, la sognai, con i suoi occhi scuri e i capelli biondi, costantemente raccolti in una treccia.
ANNIKA
Quando la mattina dopo sentii la sveglia, fui tentata di lanciarla fuori dalla finestra, ma il senso del dovere ebbe la meglio. Erano le sei e mezza quando scesi di sotto. Fuori pioveva e il cielo era grigio, come al solito. « Ah mia cara Londra, non ti smentisci mai eh?» sussurrai affacciata alla finestra, sorridendo tra me e me. Amavo la mia città, l'amavo davvero, anche con quel tempaccio. Cominciai ad aprire tutte le serrande del salone e lasciai la finestra della cucina leggermente aperta. L’estate non era ancora terminata teoricamente, ma per Londra metà Settembre significava Autunno inoltrato. Fatto tutto ciò tornai di sopra e mi concessi una doccia veloce. Mentre lasciavo che l’acqua calda scorresse lungo il corpo, cominciai a riflettere su quanto accaduto la sera prima. Quel ragazzo dall'elmo blu e gli occhi gialli. Quella sua voce così distaccata, irriverente e profonda. Solo a ripensarci una scarica di brividi mi accarezzò la schiena. Per tutta la notte l'immagine di lui aveva sostituito gli incubi riguardo l'incidente e anche la sagoma senza volto di un giovane. Non avevo idea di chi fosse eppure, in un posto sperduto dentro la mia mente, sapevo di conoscerlo. L'emozione nell'averlo vicino era stata troppo intensa per appartenere ad un primo incontro. Il colpo di fulmine neanche lo prendevo in considerazione. La mia naturale curiosità mi portava a desiderare di rivederlo, di capire qualcosa in più, il mio orgoglio e la mia razionalità mi consigliavano ardentemente di lasciarlo stare tra i suoi bilancieri e sacchi da boxe. “Magari l'ho solo visto a scuola o a qualcuna delle feste organizzate da Nena e i suoi fratelli.. Anche se sembra più grande di me..”. Misi in pausa questi pensieri e mi accorsi che si era fatta una certa. Indossai qualcosa al volo, legai i capelli in una treccia disordinata e tornai di sotto a controllare l'ora. Le sette e un quarto. Dovevo svegliare la peste. Non appena entrai nella sua cameretta,  andai ad alzare la tapparella, ma non ricevetti alcun tipo di segnale di vita. Era un ghiro. Mi avvicinai al letto e mi chinai piano. «Hey, nano, sveglia, è ora di andare a scuola» emise un mugolio e si girò dall'altra parte «Lysander, forza, guarda che se non ti alzi, niente pancakes per colazione eh» sapevo di aver detto la parola magica e infatti, due secondi dopo, eccolo lí che mi fissava con i suoi occhioni verdi, come quelli della mamma. «Nika, io mi alzo, tu però fai i pancakes vero?» mi disse «Ma certo fratellino, vai a lavarti e quando entrerai in cucina troverai dei bei pancakes ad aspettarti» gli dissi scompigliando ancora di più i suoi capelli biondi. Mi sorrise e andò in bagno. Era un bambino davvero speciale. Nonostante avesse solo quattro anni, Lysander era parecchio sveglio, curioso del mondo, di animo gentile, ma estremamente esuberante. Lui però era la mia più grande gioia. Solo grazie a quella piccola peste ce l'avevo fatta. Avevo lottato con tutte le mie forze ed ero sopravvissuta, sebbene con alcune “mancanze”. Non potevo di certo abbandonarlo. Era stata dura all'inizio, soprattutto perché ero totalmente negata come cuoca e perché, non avendo la patente non riuscivo ad organizzarmi tra l’Università, la danza e lui. Portare avanti una casa era complicato, badare ad un bambino che allora aveva solo due anni, ancora di più. Per fortuna però, avevo il sostegno dei nonni e di molti dei parenti. Alle otto in punto eravamo pronti ad uscire: lui con il suo amato giacchetto di jeans e lo zainetto di topolino, io con uno dei miei soliti maglioni, i jeans e gli immancabili stivali con le frange. Non appena Lysander salì sullo scuolabus, andai a prendere la macchina; il giovedì non sarebbe dovuto esserci troppo traffico e poi con quel tempo la mia voglia di prendere i mezzi pubblici era letteralmente evaporata. Manet, il mio maggiolino  verde menta era davvero un gioiellino. Era stato la prima macchina di mio padre e stava a prendere polvere nel garage della casa in campagna del nonno, così circa sei mesi prima, avevo deciso che era una bellezza sprecata e che lo avrei preso io. Grazie all'aiuto del fratello maggiore di Nena, Xavier, era tornato come nuovo. Arrivata all' università, parcheggiai nell'area riservata agli studenti e mi incamminai verso l’entrata. Non fu difficile trovare la mia migliore amica, i suoi capelli rosso fuoco, riccissimi non passavano di certo inosservati. <> ammiccò nella mia direzione avvolgendomi le spalle con un braccio. Sbuffai. Non riuscivo a capire da dove usciva fuori tutta quella malizia, eppure dicono che i russi siano tipi freddi. Si perché il padre di Nena è originario di Mosca e visto che lei è la fotocopia di Viktor, escludendo il colore di capelli, quello era della madre, ci si aspetterebbe che la somiglianza sia anche caratteriale. Niente di più sbagliato. Se Viktor era freddo come la neve che ricopriva la Russia, Nena era il rum che riscaldava i suoi abitanti. Un uragano di vitalità. «Sei davvero incorreggibile Nena.. Niente notte di fuoco, sai che non sono il tipo…» le dissi. «Certo certo, te ancora che aspetti quel ragazzo dei tuoi sogni.. Di questo passo rimarrai zitella amica mia!» rispose. «Zitella addirittura, ma se ho appena compiuto vent'anni Nena!» «E allora? Proprio perché hai vent'anni dovresti divertirti un po' di più Annika e smettere di inseguire qualcuno che non sai nemmeno se esiste davvero» la guardai di sbieco e sospirai. «Ma io mi diverto Nena, solo che, quando penso a determinate cose, c’è come qualcosa che mi blocca, non riesco a provare un'emozione forte con nessuno.. O almeno così credevo fino a ieri sera…» «Aspetta, aspetta cosa?! Che è successo ieri?!» aveva drizzato le orecchie e mi aveva letteralmente arpionato le spalle. Avevo parlato senza pensarci troppo e così facendo avevo praticamente buttato un fiammifero acceso in una tanica di benzina. Mi avrebbe tormentata per il resto della giornata se non le avessi raccontato tutto. Che poi non c'era molto da raccontare, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa. «Io ecco, ero a lavoro e, insomma ti avevo raccontato di qualcuno che lasciava sempre la palestra distrutta la sera no? » iniziai, lei annuì ed io andai avanti «Ieri allora ho fatto come mi avevi consigliato qualche tempo fa, sono arrivata prima e ho aspettato che questa persona uscisse dalla sala, solo che quando è uscito, beh.. Era alto almeno due metri, a petto nudo, capelli lunghi e un elmo blu.. Si non fare quella faccia, portava un elmo blu.» mi fece cenno di proseguire «Così, dopo aver superato lo shock iniziale, ho cercato di dirgli la mia opinione e lui, beh, lui è stato un vero stronzo ma, quando mi si è avvicinato, io non ci ho capito più niente, il cuore mi è arrivato in gola, ho avuto i brividi sulla schiena e mi si era atrofizzata la lingua, nonostante in me fosse cresciuta una certa rabbia per quell'atteggiamento. » «Il problema Nena è che, quelle sensazioni, sono state troppo forti perché fosse un banale primo incontro. Io credo di conoscerlo ma.. » lo dissi tutto d'un fiato lasciando la frase in sospeso «Ma non ti ricordi di lui..» finì lei per me. Sentimmo le campane dell'orologio scoccare le 8:30. Entrambe avevamo lezione, così ci salutammo con la promessa di riprendere il discorso in seguito. Mi diressi nella classe del prof. Smithfield, per la lezione di Storia, presi posto in terza fila accanto al mio amico Mike e provai ad ascoltare. Nonostante i miei sforzi però, la mia mente vagava, inevitabilmente, al giovane che avevo incontrato la sera prima. Dovevo rivederlo.
N.d.A.
​Buonaseraa, I'm back. Per prima cosa vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto il capitolo precedente e chiedo scusa se sono riuscita ad aggiornare solo adesso; spero che questo vi piacerà e che mi facciate sapere cosa ne pensate. Un bacio a tutti voi, Angel.
   
 
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