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Autore: Myra11    04/03/2018    1 recensioni
Nyx Ulric.
Amico, Generale, Marito, Padre.
Immortale.
500 anni dopo la fine della sua famiglia, Nyx Ulric ritorna ad aiutare la città che ha promesso di proteggere.
Ma non tutti sono coloro che sembrano, e non tutti devono essere protetti.
E Nyx deve ricordare che la luce più intensa genera le ombre più profonde.
[Sequel di Dancing With Your Ghost, ambientata subito dopo la fine.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bahamut, Nyx Ulric, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6
 
 
«Cosa vuol dire che non l’avete ancora trovato?!» Sbottò l’uomo,e Lucian alzò gli occhi al cielo.
«Esattamente ciò che ho detto, Marcus. L’abbiamo perso nella foresta, non abbiamo idea di dove sia andato.»
Lo scienziato lanciò la provetta su cui stava lavorando contro il muro, e quella esplose, corrodendo il muro.
«I tuoi uomini l’hanno quasi ammazzato, Marcus. Non era negli accordi.»
«Non mi importa degli accordi. Funzionava tutto quanto. Era nostro, Lucian.»
Il vecchio soldato scoppiò a ridere e scosse la testa. «Era ubriaco per metà del tempo, Marcus. Lavorava per noi solo perché tu l’hai spezzato, ed ero d’accordo, ma…»
«Ma cosa? Non farmi storie sul fatto che ha un cuore ed è umano.» Borbottò Marcus, stizzito, barcollando tra i banconi. «Sai come me che non ha nulla di umano.»
«Forse.» Concesse Lucian, poco convinto. Tacque mentre il suo delirante socio mescolava prodotti sconosciuti in una nuova fiala, e la sua attenzione fu catturata dal soggetto in catene al fondo del laboratorio.
Privata della sua armatura, incatenata e torturata, Bahamut sembrava tutto tranne che una dea.
E tuttavia, quando i suoi occhi celesti si fissarono su di lui, Lucian rabbrividì.
«Non starai esagerando, Marcus?» Gli domandò, incapace di distogliere lo sguardo.
Sembrava che lei volesse dirgli qualcosa, che avesse un bisogno urgente da comunicargli.
«Cosa? No. Ah, è sveglia.» Marcus zoppicò fino alla sua prigioniera preparando una siringa con un liquido blu metallico all’interno. Appena lo vide, iniziò ad agitarsi, e le sue grandi ali metalliche spezzarono una delle catene che le bloccava.
Stringere la presa sul fucile fu istintivo, eppure non si mosse.
Non si mosse come non aveva sparato a Nyx nella piazza, e non si mosse per minacciare la sua dea.
«Marcus…»
«Cosa?» Lo scienziato non lo degnò nemmeno di uno sguardo, e iniettò il liquido direttamente nel braccio della dea che, ben presto, fu nuovamente un corpo inerme appeso al muro.
«Devi darti una controllata, Nyx non…»
«Stai diventando sentimentale, Lucian? Ti stai forse affezionando?»
«Io…»
«Devo forse ricordarti chi ha causato il deserto di fuoco, e di conseguenza lo sterminio della tua unità? O forse, devo ricordarti per chi combatti?»
Fu un colpo basso deliberato, e Lucian si pentì di aver rivelato quel segreto a quell’uomo dalla mente instabile.
Abbassò lo sguardo sul fucile, e sull’intricato disegno inciso sopra.
«Che stai facendo?»
«Tranquillo papà, ho messo la sicura. Guarda.»
Aveva sollevato il fucile, e lui aveva visto l’intricata incisione sopra, un delicato disegno che rappresentava il simbolo della famiglia reale, e gli dei.
 «Grazie, Ana. È bellissimo.»
E lei aveva sorriso per la prima volta dalla morte della madre.
«Punto primo, Marcus, non osare nominarla mai più. E secondo…» Esitò un attimo, gettando uno sguardo alla dea. «…Non pensare che mi sia dimenticato perché abbiamo iniziato. Devo andare.»
Si congedò senza aspettare una risposta, e i suoi passi lo portarono nella sala del Cristallo.
La grande pietra era scheggiata in più punti, dove quel folle di Marcus l’aveva fatta pugnalare e fulminare, e la luce che ne scaturiva di solito era più fievole.
Pulsava piano, come il battito di un cuore che si spegne, e gli venne la nausea.
Avevano profanato qualcosa di sacro, di eterno e luminoso.
Si  ricordava perfettamente perché avevano iniziato.
E di sicuro non era per andare contro gli dei.
«Dammi un segno.» Mormorò, non osando toccare la sacra pietra. «Dammi qualcosa che mi permetta di aiutarti.»
Attese un istante e, proprio mentre stava per andarsene, la luce della pietra virò dal viola all’argento.
 

 
Il mattino seguente lo svegliò con una ventata d’aria fresca dalla finestra socchiusa.
Come se avesse intuito che era cosciente, Emilia fece il suo ingresso nella stanza, i lunghi capelli setosi che strappavano riflessi multicolore al sole.
Come le ali di Bahamut, pensò, e l’immenso vuoto nel cuore si contrasse così dolorosamente da farlo piegare in due.
«Nyx! Che succede?» Emilia gli fu subito a fianco, e la cosa addolcì il pensiero che l’aveva ferito.
Non sapeva nemmeno perché quella ragazza l’avesse aiutato, e perché si stesse prendendo cura di lui.
Eppure, era lì, e gli sorrise quando lui le spiegò in un sussurro che non doveva preoccuparsi.
«Bene. Dopo stamattina ero preoccupata…» Si morse il labbro, pentendosi della frase, e invece Nyx inarcò le sopracciglia, curioso. «Stamattina? Che ore sono, e cos’ho fatto?»
«Io…»
«Emilia.» Nyx catturò lo sguardo della ragazza. «Che cosa ho fatto?»
Alla fine, lei cedette, e si sedette sul bordo del letto, tormentandosi le mani. «Nulla, è solo una cosa che la mamma ha scoperto mentre controllava le tue funzioni vitali…»
«Hm. E?» Nyx si rilassò contro il cuscino, meno teso di prima: non era una novità che avesse qualcosa di strano, e insolito, ed era contento di non aver ferito involontariamente qualcuno.
Emilia arrotolò una ciocca di capelli intorno al dito. «Ha scoperto che…solo metà del tuo cuore batte, Nyx. E stranamente piano.»
Quel tono quasi preoccupato gli fece fare un mezzo sorriso. «Non mi sorprende. Emilia, posso incontrare la tua famiglia? Credo di dover una spiegazione a tutti voi.»
«Te la senti?  Intendo, la gamba…»
Nyx annuì, usando il braccio sano per mettersi a sedere sul letto. «Sto bene.»
Appoggiò la gamba sinistra per prima e poi, con cautela, la destra.
Appena si alzò, facendo forza sui muscoli martoriati, la gamba cedette, e lui non cadde solo perché un braccio candido lo afferrò per i fianchi. «Nyx, non credo che sia una buona idea…»
L’uomo sogghignò, e si strinse nelle spalle. «Non sarebbe la prima cattiva idea che ho. Andiamo.»
Lentamente, e appoggiandosi a lei più di quanto desiderasse, lasciò che Emilia lo conducesse fino alla terrazza, dove una donna dai capelli scuri e un’anziana signora con lo sguardo perso nel vuoto stavano consumando la colazione.
«Mamma…Nonna…Vi presento Nyx. Nyx, Dayanara, mia madre, e mia nonna, Cora.»
Appena lo sguardo della donna si posò su di lui si alzò di scatto, gli ordinò di sedersi e si spostò, in piedi davanti a lui. Aveva la stessa corporatura della figlia, non troppo alta ma con muscoli ben definiti, ed era chiaramente una donna che aveva dovuto cavarsela da sola.
Nyx si appoggiò allo schienale, distendendo lentamente la gamba ferita.
Circa a metà strada aveva sentito i punti saltare, ma se era fortunato nessuna di loro se ne sarebbe accorta.
Una mano rugosa si chiuse intorno alla sua, e lui sentì una scossa sulla mano quando si voltò a guardare la donna dai capelli bianchi che gli stava sorridendo.
«Non ero sicura che avrei vissuto per vedere questo giorno. Sono onorata di conoscerti, uomo dagli occhi d’argento.»
Era una frase insolita, e gli lasciò un senso di malinconia, eppure non fu in grado di spiegare perché, né di rispondere al saluto; così, si limitò a guardare Dayanara, e iniziò a raccontare.
Raccontò di com’era morto, 500 anni prima, per salvare Insomnia e vendicarne il re.
Raccontò di come era sopravvissuto, di come Bahamut fosse venuta in suo soccorso, donandogli parte del proprio cuore, e di come ciò l’avesse reso l’unico uomo magico sulla terra.
Saltò volontariamente tutto ciò che concerneva la sua vita, ma Emilia notò come, a quel punto, avesse iniziato a giocare con la collana che gli pendeva dal collo.
E tagliò spiegando come la stessa città che aveva salvato e protetto l’avesse pugnalato alle spalle.
«Mi hanno…» Era difficile anche solo dirlo. «Mi hanno strappato Bahamut. Ecco perché solo metà del mio cuore batte, Dayanara. Me l’hanno portata via, ed è in pericolo, e io devo salvarla.»
La donna scosse la testa. «Non così.  Quando sarai guarito, non ora.»
Nyx piegò le labbra in un sorriso e incrociò lo sguardo della ragazza al suo fianco. «Ora vedo da chi hai preso la tua testa dura.»
Emilia sorrise, divertita. «Senti chi parla.»
Dayanara sorrise, addolcita, e da quel momento Nyx perse la cognizione dello scorrere del tempo.
Si ritrovò a pranzare con loro, e fu il primo pranzo da secoli che fece in compagnia, e volentieri.
In quel modo scoprì che quel trio di donne si era trasferito là da poco, e che erano perfettamente in grado di cacciare, cucinare e coltivare qualsiasi cosa necessitassero.
«Per non contare che mamma è terribilmente brava nella lotta. Mettile un paio di spade in mano, e levati dalla sua strada.» Rise Emilia, e Nyx si unì a quel divertimento, ma per poco.
Aveva conosciuto un’altra donna che combatteva con due spade, ricordò, ma ricordava le armi meglio del viso della loro proprietaria.
Dayanara si alzò per sistemare la tavola. «Emilia, non sminuirti così, lo sai che sei meglio di me.»
Nyx inarcò un sopracciglio. «Ora mi incuriosite. Sapevo che dovevi essere brava, per essere riuscita a tirarmi fuori da Insomnia, ma voglio vederti all’opera.»
Emilia scoppiò a ridere, e annuì. «D’accordo. Appena ti sarai rimesso in piedi ti farò vedere cosa so fare, nonnetto.»
«Nonnetto? Se vuoi la guerra, avrai la guerra.» Le concesse Nyx con un sorriso.
Si sentiva stordito, ma lo imputò al dolore pulsante alla gamba.
E al fatto che non riusciva a capire chi gli ricordasse Emilia.
 

 
Due settimane dopo, l’estate stava iniziando a cedere il posto ad un autunno mite.
Emilia e Dayanara tenevano rigorosamente la televisione spenta se lui era nei paraggi, e lui lo imputò al loro tentativo di non fargli vedere cosa stava succedendo ad Insomnia.
Nyx sapeva perfettamente cosa stava succedendo, però: le spade dei re stavano massacrando chiunque fosse anche solo lontanamente sospettato di sapere dove fosse.
Si aspettava che sarebbero arrivati, prima o poi, e il fatto che ci mettessero così tanto gli faceva sperare che, forse, Lucian li stava trattenendo.
Pensare a lui era un misto di rabbia e uno strano affetto: Lucian era un soldato, come lui, e ne aveva passate di tutti i colori, e nonostante tutto non l’aveva trattato così male.
Non come Marcus, ricordò con un brivido, Marcus che l’aveva trattato peggio di un animale.
«Hey campione. Vacci piano.» La voce lo raggiunse dalla casa, e Nyx sollevò lo sguardo verso Emilia, che lo osservava appoggiata allo stipite della porta.
Ignorando ogni tipo di dolore e fatica, Nyx aveva iniziato ad allenarsi da solo, cercando di rimettersi in forma il prima possibile. Si alzò e si sfregò le mani, e poi sentì il peso di uno sguardo addosso.
Emilia lo stava fissando, senza parole, e solo in quell’istante Nyx si rese conto di essere a torso nudo, e che ogni segno e cicatrice era esposta. Piegò il viso di lato e sorrise. «Storie lunghe. Le ustioni sono della mia prima morte, le altre…»
Noctis che sussultava contro di lui mentre le lame li trafiggevano entrambi.
«Sono contento che tu sia qui con me, Nyx.»
Si passò una mano fra i capelli, improvvisamente nervoso.
Luna che lo stringeva mentre la frusta gli massacrava la schiena.
I proiettili che gli maciullavano la spalla mentre avanzava tra le macerie.
Il coltello che gli tagliava la gola in un ultimo, inutile tentativo di salvarla.
«Le altre non le ricordo. Ho fatto tante cavolate, e ne porto i segni.» Tagliò corto, e si strinse nelle spalle.
«Io non…io guardavo quella.» Emilia indicò il suo petto, e lui abbassò lo sguardo.
Era un taglio di circa dieci centimetri, in corrispondenza del cuore, che brillava piano d’argento.
Eccola lì, la prova fisica che lei non c’era più.
Coprì la cicatrice con la mano, sentendola insolitamente calda, e cambiò argomento. «Avevi detto che mi avresti fatto vedere che sai fare. Fatti avanti.»
«Nyx, sei sicuro? Stai guarendo, certo, ma…»
Nyx si strinse nelle spalle. «Lo capisco se hai paura.»
Emilia rise, divertita, e saltò giù dalla terrazza. «Io non ho mai paura, Ulric.»
«Dimostralo allora, White.»
«D’accordo. Fammi prendere le spade nel capanno, e preparati ad essere preso a calci da una ragazza.»
 

 
Nyx sputò sangue per l’ennesima volta.
Era ferito, peggio delle ferite esterne, eppure non riusciva a smettere di ridere.
«Sei brava.»
«Te l’avevo detto.»
Emilia si era dimostrata molto abile, e avevo uno stile di combattimento feroce ma aggraziato, come se danzasse. «Qual è la tua arma?»
«Cosa?»
«Si vede che non combatti con una spada del genere, di solito. Allora con cosa?»
La ragazza sorrise, divertita e affascinata dal quel particolare. «Katana.»
«Arma interessante. Ti affronterò anche con quella, ma per ora…» Esitò un istante.
Fu un battito di ciglia, e lei si trovò con la mano di Nyx ad un soffio dal collo, intrisa di fulmini che le fecero elettrizzare i capelli. «Ho vinto.»
«Hai barato.» Gli fece notare Emilia, con un sorriso.
Nyx abbandonò la posizione di attacco e scrollò le spalle. «Non devi mai pensare che il tuo avversario sarà leale, e che non abbia assi nella manica.»
«Tutto chiaro.»
«Bene.»
Emilia si voltò per tornare in casa, sentendo il sangue pomparle nelle vene con furia.
Nonostante non fosse al cento per cento, Nyx l’aveva costretta a combattere con un calcolo e una concentrazione che non usava da anni, e l’aveva sfiancata fisicamente.
Sembrava sempre sapere dove lei avrebbe colpito, come se leggesse i suoi movimenti.
«Devi rivelarmi il tuo segreto prima o poi.»
Esitò un istante, aspettandosi una delle risposte pungenti a cui ormai aveva fatto l’abitudine, e invece ci fu solo silenzio.
«Nyx?» Si voltò, e sentì la testa girarle. «Nyx!»
Corse verso di lui, che era crollato in ginocchio, un rivolo di sangue sulle labbra e il viso pallido.
E la gamba destra intrisa di sangue argentato.
«Lo sapevo che non avremmo dovuto, ti sei sforzato troppo…Mamma!»
Lo afferrò per le spalle, ma lui non sembrava capace di metterla a fuoco.
«Mamma! Nyx, guardami, guardami!»
Gli tirò uno schiaffetto sul viso, cercando di svegliarlo, ma quando Dayanara uscì dalla casa lo trovò svenuto contro la spalla della figlia.
 

 
«Testarda. Non urla.» Si lamentò Marcus, e Lucian storse le labbra in una smorfia.
L’odore di sangue impregnava l’aria, ed era un odore forte, metallico come se quel liquido fosse veramente argento fuso. «Marcus, dovevi solo usare il suo sangue per trovarlo. Non torturarla.»
«Non la sto torturando. La sto…» Piantò il pugnale nella gamba davanti a lui, e Bahamut s’irrigidì quando lui girò la lama, ma non emise alcun gemito.  «Stimolando.»
Non l’aveva fatto nemmeno quando Marcus aveva inciso un taglio sottile sulla sua gola.
Era fiera e terrificante come una tempesta, eppure qualcosa dentro di lui sapeva che non avrebbe retto a lungo.
Quando lo scienziato zoppicante afferrò la piccola provetta e si avvicinò alla sua prigioniera, Lucian decise di averne abbastanza, e gli bloccò la mano prima che potesse versarla.
 «Basta.» Gli ordinò, e quando lo guardò vide che non c’era una mente normale dietro quegli occhi. «Prendi il suo sangue se devi, trova Nyx. Lasciala stare.»
Marcus si liberò brutalmente dalla sua stretta, e se ne andò zoppicando, e borbottando come non avesse potuto usare il corrosivo per metalli su una creatura viva.
Lasciandolo alle sue farneticazioni, Lucian si voltò verso la donna.
Soffriva, glielo leggeva in ogni angolo del viso, e nonostante tutto resisteva.
«Lo fai per lui, vero?» Le domandò a bassa voce, e lei annuì piano.
Lucian sospirò. «Mi dispiace. Non doveva andare così.»
Lei piegò la testa di lato, e piegò le labbra insanguinate in un sorriso dolce.
E, anche se non parlò, Lucian sentì chiaramente la voce nella testa.
Tua figlia sarebbe fiera dell’uomo che sei diventato.
E conservò quella frase per sempre.
  
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