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Autore: Urban BlackWolf    07/03/2018    4 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Usagi Tzukino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo V

 

 

Conflitti

Pest – Distretto VI, Casa Tenoh – Ottobre

 

 

 

Venerdì. Johanna non ricordava da quanto tempo non accadeva. In realtà non ricordava neanche che fosse mai successo. Certo, come è logico e naturale qualche scaramuccia, incomprensioni, gelosie, ma mai nulla di realmente serio. Mai nulla che non fosse già dimenticato al loro coricarsi per la notte. Ed invece questa volta era stato diverso. Questa volta una discussione c’era stata. Violenta, marcatamente, tanto che lo stesso Jànos era dovuto intervenire per dividerle prima che dalla zuffa verbale si fosse passate a qualcosa di più. Quel litigio era uno strascico. Scorie insalubri di una situazione molto più grande di loro.

Tutto era iniziato in una tarda mattina di due settimane prima, quando il Direttivo della CAP si era riunito nella grande sala delle assemblee ed il Presidente Tenoh aveva mostrato a tutti il piano di risanamento per riprendersi dalla perdita della partita d’acciaio, cosa che in un primissimo momento era stato accolto abbastanza positivamente, sia dai rappresentanti che dagli operai. Ma quando si era parlato d'ipoteca tutto era cambiato. Inevitabilmente quel giorno era venuta a crearsi una profonda spaccatura tra coloro che ritenevano la mossa del Presidente l’unica possibile e chi invece, indubbiamente spinto dalla situazione politica del momento e dalla paura di perdere il lavoro, vedeva in quell’atto una sorta di autoritarismo manovrato da qualcuno di più potente, magari dalla banca stessa. In entrambe le visioni era stato il caos e c’era voluto tutto il sangue freddo di Jànos, unito ad un altro paio di rappresentanti del Collettivo, tra i quali il fedele Scada, per placare gli animi. Non si discuteva certo sulla bontà della proposta imbastita dall’istituto di credito, ma l’apparente mancanza di rispetto che Tenoh aveva avuto nell’arrogarsi il diritto di scegliere per tutti. E non erano bastate frasi del tipo; del Direttore della Kaioh Bank ci si può fidare, oppure se qualcosa in questa trattativa andrà storta, mi prenderò io tutte le responsabilità del caso, perché se realmente una cosa qualunque fosse andata storta, un altro incidente, un ritardo negli steap delle consegne, non sarebbe stato solo lui a rimetterci, ma tutta la Cooperativa. Poco contava che Jànos si sentisse mortificato, che sapesse perfettamente di aver concluso quell’accordo senza il beneplacito di tutti, che stavano rischiando il loro mondo per un maledetto contrattempo, perché nessuno avrebbe mai realmente saputo come si era sentito davanti a quell’offerta, a quell’uomo fintamente affabile, alle pressioni che era riuscito a gettargli addosso prospettandogli scenari ben più svantaggiosi se avesse lasciato correre del tempo non sottoscrivendo subito l'ipoteca.

In questo fronteggiarsi intestino, anche le figlie avevano finito per schierarsi per l’una o per l’altra “fazione” e disgraziatamente agli antipodi, avevano portato la cosa su un piano strettamente personale continuando la discussione tra le mura di casa ogni santo giorno fino all’inevitabile rottura. Quel venerdì sera.

“Io sto soltanto cercando di farti capire come la penso Ruka. Tralasciando le voci assurde sul fatto che apa possa essere d’accordo con la Kaioh, devi ammettere che il suo non consultarsi con il Direttivo sia stato un errore che un Presidente non può permettersi di fare!

“E io ti sto pregando di non farglielo notare quando a breve tornerà a casa. E’ tutto il giorno che sta in sede a prendersi le lagne di tutti e vista l’ora sarà stravolto!”

Sorridendo ironicamente la maggiore alzò le spalle fissandola dalla seduta del divano armeggiare con la legna del camino. Haruka non era serena e concentrata a sufficienza e lo si notava dal nervosismo dimostrato verso chiunque attaccasse l’operato del padre. Questo non andava bene, soprattutto perché in tal modo si rischiava di rallentare il lavoro.

“Dio Santissimo! E’ con te che sto cercando di parlare da giorni non con lui!”

“E allora parla!”

“Ormai il contratto c’è e la sua firma anche, perciò Ruka mia è perfettamente inutile montare una linea difensiva intorno a lui guardando male e lavorando peggio con chiunque l’abbia o continui a criticato. Così non va!”

“Non permetterti di dirmi come svolgere le mie mansioni all’interno della fabbrica, perché non ho avuto ne un calo lavorativo, ne tanto meno un richiamo disciplinare.”

“Non è un calo lavorativo non riuscire più a lavorare in squadra?”

“Si può rendere benissimo anche operando da soli.”

“Allora non mi stai ascoltando!”

“No, sei tu che ti stai spiegando a cazzo!” Graffiante si voltò verso l’altra alzandosi e dimenticandosi del fuoco.

“Non metterti sulla difensiva e cerca di aprire bene le orecchie. L’abbiamo visto tutti come tu non riesca più a lavorare concentrata. Due giorni fa hai rischiato di perdere un braccio, non ricordi?”

Scoppiando a ridere la bionda abbandono' allora i fiammiferi sul tavolo appoggiandovi i palmi per spostarvi tutto il peso del corpo in avanti. Fin da piccola aveva sempre mal tollerato le critiche e a maggior ragione se provenienti da Jo.

“Adesso voglio proprio sentire se vuoi continuare con questo atteggiamento!”

“Scusami?”

“E si Johanna. Non fai che girarci intorno, ma è chiaro che in questa storia tu non voglia prendere una vera e propria posizione…”

“Ma finiscila.”

“O forse sbaglio, perché sei stata la prima a criticare nostro padre invece di proteggerlo!”

“Lo ammetto Haruka e non ne ho fatto mistero con lui parlandogliene subito dopo la riunione, ma qui non si tratta di proteggere o meno la sua scelta. - Allargando le braccia si alzò dal divano sapendo di stare per innescare una mina ancora inesplosa. - Facendo di testa sua e non consultandosi con il Direttivo, credo abbia commesso la più grossa stronzata della sua vita! E se fossi lucida lo ammetteresti anche tu!”

“Ma che bastarda.” Serrando i pugni la voce della minore salì pericolosamente di livello.

“Aspetta a partire in quarta!”

“Aspetta a partire in quarta un corno! Giuda!”

Cercando di mantenere il controllo Johanna respirò a fondo un paio di volte prima di rispondere all’offesa. Quando Haruka faceva così le formicolavano le mani per la voglia che aveva di appiccicarla al muro.

“Non insultare o dirmi cose delle quali potresti pentirti Ruka…”

Iniziando a diminuire la distanza, la bionda agirò il tavolo continuando a puntarle lo sguardo contro mentre rimarcava di non essere il tipo di persona che va pentendosi di quello che dice o pensa. “E dovresti saperlo, perché nessuna mi conosce meglio di te Jo.”

“E fai male! Non sei infallibile, ne saggia e se mi lasciassi spiegare…”

“Spiega.” Le alitò contro ormai giuntale a pochi centimetri. Più alta la sovrastò ad un passo dalla rissa.

“Razionalizza e cerca di guardare il quadro generale. In fabbrica nessuno mette in discussione la necessità che abbiamo avuto nel dover chiedere un altro prestito. Quello che alcuni contestano ad apa è che non si sia consigliato prima con il Direttivo.”

“Non sono un’idiota. Questo l’ho capito… Non fai altro che ripeterlo da giorni.” Gelo nella voce.

“E allora perché stai facendo di tutto per sembrarlo?!”

Velocità di presa. Johanna si sentì stringere per un braccio provando immediato dolore.

“Non è così che si fa in una famiglia. Ci si spalleggia e ci si difende. Sempre!”

“Allora è questo che ti rode! E’ per questo che non mi parli da giorni!”

“Sei sempre stata una pacifista del cazzo, ma pensavo che vuoi o non vuoi saresti stata dalla nostra parte almeno questa volta.”

“Mi stai facendo male. Lasciami.” Ringhiò cercando di staccarsi da dosso quell’artiglio.

“Da noi apa si merita quantomeno un sostegno e invece tu non stai facendo altro che startene in un angolo zitta e buona mentre altri sparlano di lui alle sue spalle!”

"Ti ho detto che mi stai facendo male..."

"E te ne farò ancora se non la pianti Johanna!"

“Ti ho detto di guardare il quadro generale! Continuando a creare ostracismo sul lavoro non farai altro che rallentarlo e non ce lo possiamo permettere!”

“Che succede qui!” Tornato disfatto per l’ennesima giornata campale portata avanti ad oltranza, Jànos avrebbe voluto trovarsi davanti agli occhi un piatto di stufato fumante, un bel fuocherello e quattro braccia al collo desiderose di un sorriso paterno invece di una scena come quella. La figlia maggiore era stata onesta a parlargli dei dubbi che aveva nell’animo e perciò sapeva perfettamente come la pensasse, ma Haruka, molto meno razionale e più istintiva, quando si trattava di lui non voleva sentir ragioni. In tutta franchezza dopo la fine della riunione generale, ogni volta che la sera era tornato a casa trovando la tavola pronta, il tepore e una certa dose di pace casalinga, si era stupito, perché era solo questione di tempo prima che il loro Turul avvertisse la necessità di usare gli artigli e graffiare.

“Allora?” Autoritario si tolse il berretto per appenderlo con il cappotto all’attaccapanni inchiodato al muro dell’ingresso.

Approfittando dell’allentarsi della stretta Johanna si liberò con un gesto secco facendo un passo indietro. “Nulla.”

“Nulla dici?! E allora perché qui dentro c’è un freddo micidiale e la cena latita? Sono stanco ragazze e quando rientro non pretendo molto di più che un po’ di calore. Perciò Johanna, vai in cucina e tu Haruka… sali a prepararmi la vasca.”

“Si apa.” Risposero all’unisono dimenticandosi l’una dell’altra per fiondarsi alle due estremità della sala da pranzo.

Passando accanto al genitore la bionda si sentì afferrata per un braccio. “Haruka non voglio più vedere una scena del genere… Sono stato chiaro?!” E al leggero assenso le piazzò una manata dietro alla nuca guardandola salire velocemente le scale.

Che pazienza vivere con due donne.

Così passò la cena, passò la notte e passò anche l’alba del giorno successivo, ma tra le due nulla di più che qualche occhiataccia strappata di straforo allo sguardo severo di Jànos. Poi arrivò la colazione, fintamente serena, giusto il tanto per lasciarlo contento e poi via, tutti e tre al lavoro; il padre in cantiere insieme alla maggiore e la bionda in fabbrica, dalle sue adorate macchine di produzione.

Haruka continuò a manifestare insofferenza per tutto il santissimo giorno preferendo lavorare per conto suo, mangiare per conto suo e tornare a casa per conto suo. Lei, sempre pronta agli scherzi in mensa, a parlare logorroica di qualsiasi ingranaggio le avesse solleticato le fantasie, lei, mai troppo generosa di sorrisi, ma sempre estremamente gentile con tutti, ora sembrava essersi trasformata in una piccola testuggine schiva e guardinga. Forse Jo aveva ragione; avrebbe dovuto guardare il quadro d’insieme, oltrepassare quello che per lei era un affronto diretto alle energie che per anni Jànos aveva investito in quella fabbrica, al tempo speso per ogni singolo operaio, ai sogni costruiti e a quelli ancora da realizzare. Già, forse Haruka avrebbe dovuto farlo invece che ostinarsi nella sua personalissima opera di guerriglia.

Meditando, alla fine del turno decise che nonostante il vento pungente sceso da est portasse un freddo anomalo per quel mese, sarebbe comunque andata incontro al padre ed alla sorella e camminando mani nelle tasche giunse alla zona dei bistrot all’aperto che abbellivano la parte al ridosso del Danubio. Incassando il collo nel bavero del cappotto si fermò ad un incrocio per lasciar passare qualche automobile, quando la vide. Quella bellissima sirena che tanto l’aveva colpita alla gara di corsa del mese precedente e che sfacciata era riuscita a controbattere ogni suo tentativo di tacitarla.

Michiru pensò socchiudendo gli occhi per meglio mettere a fuoco una ragazza che dalla parte opposta della strada stava alzandosi da un tavolino sorridendo ad un paio di coetanei, che presumibilmente dovevano far parte della sua stessa compagnia.

“Dai Kaioh, ti accompagniamo a casa.”

“Grazie Adam, ma non ce né alcun bisogno. Conosco abbastanza bene questa parte di Pest.”

“Appunto… Pest. Qui è pieno di bifolchi e non vorremmo che una bella ragazza come te dovesse aver problemi.” Disse sottovoce Lukàs guardandosi le spalle fintamente preoccupato.

“Anche se così facendo manderete fuori dai gangheri Hairàm? Lo sapete che non sopporta quando vi presentate a casa sua in ritardo.” E alla sua bella risata, Adam alzò le spalle confessandole che per farsi perdonare gli avrebbero portato una sontuosa bottiglia di Pàlinka.

Facendo una smorfia d’ammirazione con la bocca la ragazza uscì dal nuvolo di sedie dimenticate alla rinfusa sul marciapiede, iniziando ad incamminarsi verso il fiume con i due amici al fianco.

 

 

Buttando il suo spazzolino nel bicchiere accanto agli altri, Jo si guardò un’ultima volta nello specchio sfiorandosi con l’indice lo zigomo. Aveva bisogno di riposo. Era stanca, ma certo non era l’unica della sua famiglia ad avere bisogno di una massiva dose di sonno. Spegnendo la luce si richiuse la porta del bagno alle spalle percorrendo i pochi metri che la separavano dalla sua camera. Passando davanti alle scale vide la luce da basso ancora accesa. Il padre avrebbe fatto le ore piccole anche quella notte. Sospirando proseguì sentendo i listoni di pino del pavimento del corridoio scricchiolare leggermente. Erano quelli i suoni tipici di ogni casa e dopo più di vent’anni ormai li considerava come vecchi amici, scrigni gelosi della storia di una famiglia. La sua.

Arrivata in camera trovò Haruka già sotto le coperte intenta a leggere un libro. Maglietta a maniche corte e il sotto del pigiama. Il solito abbigliamento che ci si trovasse d’estate o d’inverno.

“Il riscaldamento è ancora acceso, ma ti consiglio di coprirti perché pare che questa notte farà piuttosto freddo.”

Sfogliando distrattamente una pagina sorrise non staccando gli occhi dalle parole. “Se mi copro troppo sudo e dormo male, lo sai.”

“Giusto. Stupida io che mi preoccupo.” Borbottò alzando le coperte del suo letto per poi sedersi sul materasso pronta a coricarsi.

“Allora… buonanotte.” Seccata si trasformò in un bozzolo dandole le spalle.

Nulla da dire, tra le due era la piccola la testa più dura, ma se in altre occasioni Johanna avrebbe lasciato correre, questa volta il comportamento di Haruka la stava mandando in bestia. Quando quella sera lei e Jànos l’avevano incrociata non molto lontano dal cantiere, intimamente aveva sperato in un gesto di riappacificazione, perché sua sorella era così, burbera e bizzosa, ma anche tenera ed intelligente. Ma al contrario, era stata come assente per tutta la strada del ritorno non degnandola di una parola neanche durante e dopo la cena. A pensarci bene quella risposta era la prima frase di senso compiuto che le rivolgeva dopo lo scontro del giorno precedente.

Ma Jo non poteva immaginare quello che a sua sorella stava passando per la testa. Il cuore avvilito ed il morale sotto i tacchi per aver visto la ragazza che tanto l’aveva folgorata in compagnia maschile. Sorridente, alla mano, perfettamente a suo agio con gli atteggiamenti anche troppo confidenziali di quei due ragazzi. Dandosi dell’imbecille per aver anche solo sfiorato l’idea di poter venire un giorno amata da una come lei, Haruka si era rifugiata nel suo letto come se fosse stato una rocca cinta da un fossato, pensando e ripensando alla gara e ad ogni singola parola nata sul ciglio di quella strada. Ogni tocco. Ogni sguardo. Con la questione della banca non aveva più avuto modo di tornare con il cuore a lei, come se il loro incontro fosse stato relegato in un cantuccio del suo io in attesa di tempi più sereni per essere ripreso e curato come un fiore meraviglioso e ora che l’aveva rivista, anche se per pochissimi istanti, quel limbo era esploso facendo riemergere le sensazioni che aveva avvertito in sua presenza. Sbuffando grattandosi la testa, la bionda guardò quel bozzolo che era la sorella sentendo la necessità di un contatto.

“Jo…”

Rannicchiandosi ancor di più sotto la trapunta l’altra si strinse le braccia alle spalle assumendo la posizione fetale che sperava l’avrebbe portata al sonno. “Mmmm…”

“Scusami…”

Qualche secondo e riemergendo di malavoglia si infilò entrambe le mani sotto la nuca puntandola. “Vedi Ruka… alle volte ti ammazzerei.”

“Ti ho chiesto scusa, no?!”

“Si, ma non hai ancora capito.” Disse avvertendo il suono sordo del libro chiudersi di colpo.

“Quello che mi da pensiero, quello che mi spaventa da morire, è sapere che apa abbia firmato quel documento assumendosi tutta la responsabilità e se non dovesse andare come tutti speriamo la colpa sarà solo sua.”

Haruka finalmente tornò a guardarla dopo aver schivato quello sguardo tanto simile al suo per un tempo assurdamente lungo.

“Vedi, se fosse stato il Direttivo a decidere di firmare quell’ipoteca, le responsabilità si sarebbero potute dividere tra tutti i rappresentanti e nessuno avrebbe mosso critiche. Invece non volendo o potendo aspettare un’assemblea che visto l’ordine del giorno, sono convintissima sarebbe andata avanti ad oltranza bruciando tempo prezioso, nostro padre si è arrogato la facoltà di scegliere per tutti. Ora, se tutto scorrerà e la CAP porterà a termine il ponte, per Jànos Tenoh non ci saranno che un paio di strette di mano, ma …” Abbandonando un avambraccio sugli occhi provò un brivido mentre Haruka continuava la sua frase.

“Ma se sarà un fallimento sarà soltanto lui a pagarne le spese.”

“Sia morali che… legali. Come rappresentante di una fabbrica che non potrebbe che dichiarare banca rotta per tutti i debiti che si troverebbe ad avere con una banca creditrice, credo rischierebbe addirittura la galera.”

“Come la galera…!”

“Non lo so, sono quasi un Architetto non un Avvocato conclamato, ma a quel che ho capito parlando con qualche amico che ho a Giurisprudenza, per quello che ha fatto è questo che le attuali leggi potrebbero prospettargli. Io sarò sempre dalla sua parte Ruka, ma questa volta ho paura che si sia spinto troppo oltre… e lo sa anche lui ed è per questo che sta sputando il cuore su questa storia.”

Haruka iniziò a capire la sorella e ancor di più il padre. Erano preoccupati, non dormivano e mangiavano pochissimo, ma cercavano comunque di restare calmi per essere precisi e concentrati sul lavoro, mentre lei non aveva fatto altro che tirare pugni all’aria mostrando le zanne. Come tutte le famiglie della Cooperativa anche la sua rischiava di perdere l’unica entrata economica, ma a dispetto delle altre, per il clan Tenoh la posta in gioco era ancora più alta.

“Jo io…”

“Ma non accadrà nulla Ruka. Stai tranquilla. - Voltandosi cercò di sorriderle il più dolcemente possibile. - Vedrai… da lassù la mamma ci darà una mano. Finiremo quel ponte e lo finiremo bene. Ora dormiamo. Da domani ricominceremo a giocare di squadra, vero?!”

Haruka non le rispose che con un impercettibile assenso con la testa, perché il groppo che le era salito alle corde vocale le impedì di proferire una qual si voglia parola.

 

 

Apri gli occhi piccola Gru di Buda

Buda – Distretto I, Palazzo Kaioh

 

Michiru richiuse la porta della sua camera appoggiandovi pesantemente le spalle. Portando la destra al petto sentì il cuore continuare a battere furioso. Sotto i polpastrelli, chiazze di sangue ormai raggrumatosi al freddo della sera. Inalando ossigeno guadagnò il letto prima che l’adrenalina che l’aveva sorretta fino a quel momento l’abbandonasse per dar spazio al tremore. Arrivando al bordo e lasciandosi cadere pesantemente sul materasso si arpionò la testa con le mani puntellando i gomiti sulle cosce. Era accaduto tutto troppo rapidamente e ancora non si capacitava di come quella bella serata tranquillamente passata assieme a Lukàs e Adam, avesse potuto improvvisamente trasformarsi in un incubo. Camminando verso casa Kaioh si erano imbattuti in una scena assurda e da semplici ragazzi si erano trasformati in salvatori. Poi, altrettanto velocemente, i piccoli salvatori erano diventati prede e come tali erano dovuti fuggire.

“Dio Santissimo…” Soffiò sentendo nel naso l’odore dolciastro del sangue che ancora le macchiava le dita.

Era allenata nella corsa. Non aveva fatto fatica a star dietro ai suoi compagni, ma nonostante tutto iniziava ad avvertire durezza nelle gambe. Nauseata dall’olezzo di sudore misto a sangue, si alzò di scatto andando in bagno dove si disfò velocemente dei vestiti per poi varcare il bordo della vasca da bagno ed aprire il rubinetto della doccia. Sedendosi sul fondo portò le ginocchia al petto appoggiandovi la fronte lasciando così che l’acqua bollente iniziasse a sferzarele collo e spalle. Nella mente ancora vivide le scene che suo malgrado era stata costretta a vedere. Nelle orecchie il suono acuto emesso dal fischietto di uno dei due uomini che i tre avevano sorpreso mentre stavano pestando un loro coetaneo reo di aver scritto un qualcosa di politico sul muro di un palazzo.

Era stato Adam ad accorgersi per primo del fatto, attirato forse dai suoni gutturali che quel povero disgraziato riusciva ancora ad emettere da una bocca ormai totalmente invasa dal sangue. “Ei voi! Cosa state facendo!?” Aveva urlato non avendo risposta.

Uno sguardo d’intesa con Lukàs e senza esitare si erano gettati sui due iniziando uno scontro. Michiru li aveva seguiti riuscendo ad arpionare un lembo del cappotto del malcapitato trascinandolo lontano di un paio di metri.

“Non preoccuparti. Sei al sicuro ora.” Gli aveva sussurrato stringendogli le spallle.

Presi dal fervore del momento e dall’effetto sorpresa, i ragazzi avevano avuto la meglio gettando in terra gli altri con un paio di ganci a testa, ma prima che avessero potuto portare in salvo il ragazzo, uno dei due aveva estratto dalla tasca del cappotto un fischietto soffiandoci dentro. Neanche il tempo di pensare ad un segnale di richiamo che dall’angolo della strada erano comparsi quattro uomini vestiti di scuro armati di manganelli.

“Porca puttana la ÁHV!” Avevo urlato Adam dilatando gli occhi come un coniglio impaurito mentre quelli iniziavano a corrergli incontro.

“Via, via!”

“E lui?” Aveva chiesto Michiru sentendosi strattonata per un braccio da Lukàs.

“Non è in grado di correre e se questi ci prendono è finita!” E con dolore e rabbia avevano dovuto abbandonare il ferito per iniziare a correre all’impazzata verso il parco che dava su Danubio.

Conoscendolo benissimo Michiru li aveva guidati all’interno dei viottoli ormai nascosti dalla semi oscurità dei lampioncini di ghisa, mentre i quattro che avevano preso ad inseguirli gli intimavano di fermarsi o avrebbero sparato. Ed in effetti un paio di colpi d'avvertimento c’erano stati, ma più veloci e meglio orientati i ragazzi erano riusciti a guadagnare un certo margine di sicurezza puntando verso l’uscita ad ovest convinti erroneamente di trovarla aperta.

“Cazzo! Cazzo!” Aveva ringhiato Adam dando un calcio alla cancellata chiusa da uno spesso lucchetto, iniziando poi a fare avanti e indietro come una fiera in gabbia.

Qui Michiru era esplosa e serrando i pugni aveva vomitato un finiscila e cerchiamo di ragionare che aveva avuto il potere di tacitarlo.

Tornare indietro no. Nascondersi tra i cespugli forse?

“Stanno arrivando. Cosa facciamo Kaioh?” E lei aveva guardato Lukàs non capendo il perché lo stesse chiedendo proprio a lei.

Non sono un leader e non voglio esserlo aveva pensato ripetendo la stessa frase che aveva detto alla piccola Usagi Aino, non accorgendosi però che mentre il suo cervello entrava in una pericolosissima empasse, il corpo agiva di volere proprio.

Spingendo Adam contro al muro di cinta intimò all’altro di montargli sulle spalle. "Dai muoviti! Dobbiamo scavalcare. Vieni!”

Così avevano fatto. Obbedendo Adam aveva alzato Lukàs fin sopra al ciglio del muro adornato da un filare di corte lance dorate. Mezzo accovacciato con i piedi incastrati tra i ferri, il ragazzo aveva issato Michiru aiutandola a scivolare dalla parte opposta per poi porgere la mano al compagno. Quando anche Adam era riuscito a salire, uno sparo esploso da un punto non distinto del parco lo aveva costretto a velocizzare l’operazione di discesa, distraendolo e facendogli slittare un piede sul muschio reso scivoloso dall’umidità. Riuscendo comunque a saltare verso la strada aveva urtato la punta di una lancia squarciandosi l’avambraccio sinistro nonostante lo spesso cappotto. Così erano riusciti a dileguarsi nella sera scura di Buda capendo solamente qualche chilometro dopo di avercela fatta. Nascosti a riprendere fiato dietro l’angolo di un palazzo di una stradina senza uscita, Michiru aveva stretto il suo fazzoletto al braccio dell’amico cercando di capire in quale punto del primo distretto si fossero trovati ed una volta ragionatoci sopra, aveva deciso che sarebbe stato meglio dividersi.

“L’abitazione di Hairàm è qui vicino. Andate da lui.”

“Ma scherzi!? Con quei porci in giro?!”

“Adam ha bisogno di cure. Vuoi forse che muoia dissanguato? Coraggio, andate. La mia casa non è poi tanto lontana.” Così avevano fatto.

Una volta varcato il portoncino della sua villa, Michiru era riuscita a non farsi vedere da nessuno schizzando sulle scale facendo il meno rumore possibile. Alexander era ancora in sede e con molta probabilità il fedele Takaoka lo stava aspettando all’interno dell’auto parcheggiata sotto la banca, la cuoca era chiusa in cucina e la cameriera, forte della sua giornata libera, non era ancora rincasata.

Alzando il mento all’acqua, la ragazza ebbe un brivido freddo nonostante tutto intorno stesse salendo un caldo vapore. Com’era stato possibile che fosse riuscita a ragionare così velocemente? A mantenere la calma? Quando aveva compreso di avere le spalle al muro, intorno a lei tutto aveva iniziato a rallentare; la frenesia di Adam, il terrore negli occhi di Lukàs, il vociare dei loro inseguitori. Invece che rotolare verso il baratro del panico, era stata spinta da un'improvvisa lucidità verso una visione d’insieme dove al problema c’era stata una rapida soluzione.

Passandosi le mani tra i capelli bagnati si alzò chiudendo l’acqua ed afferrando l’accappatoio uscì lentamente poggiando i piedi sul tappetino. E quel povero ragazzo? “Padre cielo cosa sta succedendo in questo paese?” Si chiese mentre il telefono della sua camera prendeva a squillare.

 

 

“Buonasera Kaioh.” Ferma accanto alla macchina della sua famiglia, Usagi alzò un braccio esplodendo un bellissimo sorriso.

“Buonasera a te Aino. Devo dire che la tua richiesta di vedermi mi ha sorpresa.” Rispose piegandosi leggermente in avanti per lasciarsi baciare sulla guancia.

“Scusami se mi sono permessa di disturbarti a quest’ora, ma vorrei parlarti. Vieni, sali. Facciamo un giro.”

Un tantino sulle sue la ragazza non si mosse. All’invito dell’altra guardò la portiera aprirsi avvertendo un’inspiegabile brivido di paura. Quello che aveva vissuto quella sera, unito all’impellente necessità della liceale di vederla, le fecero puntare i piedi.

“Mio padre non è ancora rientrato e con i tempi che corrono non ha piacere di sapermi fuori dopo cena.”

“Non ci vorrà molto.” Incalzò la biondina dalla buffa capigliatura notando quasi con gusto il suo disagio.

“Ti vedo tesa. Questa mia richiesta ti sta forse mettendo ansia, Kaioh?”

“Dovrebbe?”

Stirando le labbra Usagi entrò nella macchina attendendo con lo sportello aperto, perché se veramente aveva inquadrato la personalità di quella giovane donna, non sarebbe mai voluta passare per codarda. Ed infatti dopo pochi secondi Michiru salì accostandosi alla sua spalla.

Chiedendo all’autista di partire si diressero verso il fiume e da li al centro del sesto distretto.

“Allora… dove stiamo andando?”

Usagi abbassò la testa ghignando. Doveva ammetterlo; quella ragazza le piaceva da morire. Il suo carattere posato riusciva a nascondere con una certa facilità una forza a dir poco impressionante e nonostante in quel preciso momento una tensione crescente la stesse divorando, continuava a dissimulare l’apprensione con una certa distaccata impazienza.

“Vorrei mostrarti una cosa, anche se credo tu la conosca già. Almeno per sentito dire. Non frequenti molto il sesto distretto, giusto?”

Deglutendo Michiru rispose con sicurezza che non era solita farlo, anche se non disdegnava alcuni caffè verso il Danubio.

“Vedi, il sesto distretto non ha solo una considerevole fetta di fabbriche e case popolari, di bistrò e caffè, ma ci sono anche alcuni edifici che varrebbe la pena di conoscere meglio.”

“Ed è forse verso uno di questi che siamo dirette?”

“Esattamente.”

La più grande sentì di stare al limite. Usagi era sempre stata sincera anche a costo di passare per sempliciotta, ma quella sera tutto sembrava tranne una sprovveduta liceale. Cercò di fare di tutto per mantenere compostezza, fino a piantarsi le unghie nei palmi, ma sapeva di stare per crollare. Forse in un’altra occasione avrebbe potuto controbattere meglio, ma non quella sera. Non era ignorante Michiru, conosceva abbastanza bene Budapest per sapere che in quella zona cittadina sorgeva un edificio disgraziato, maledetto, una spaventosa concentrazione d’ipocrisia storica e politica che sotto il regime nazista prima e quello socialista ora, continuava a tormentare i sogni di tutti coloro che in un modo o in un altro si trovavano contrari alle idee assolutiste del momento.

La macchina della famiglia Aino, una Aurelia nero corvo nuova di zecca, si fermò sulla Andràssy dove un’enorme edificio d’angolo campeggiava come una sorta di monolitico sparti strada. In stile neoclassico dal bugnato chiaro, poteva benissimo essere scambiato per una scuola o una sede ministeriale. Apparentemente non aveva nulla di speciale tranne per il fatto che fosse stato adibito ad una delle case di correzione più famigerate del paese.

“Ne hai sentito parlare Kaioh?- Chiese la ragazzina mentre l’autista scendeva per andarsi a fumare una sigaretta.- E’ la casa della giustizia, meglio nota come la sede della polizia politica comunista.” Continuò mentre l’altra era letteralmente in apnea.

“Kaioh? Perché tu ed i tuoi amici state continuando a giocare con il fuoco?”

A quella domanda Michiru si voltò di scatto verso di lei dilatando gli occhi. “Cosa… Usagi… ma tu chi sei?”

“Rispondi prima a questo. Perché tu, Bascasch e Körkh questa sera siete stati inseguiti da alcuni rappresentanti della ÁHV?”

Michiru distolse allora lo sguardo puntandolo alle mani che adesso stava stringendo a pugno sulle cosce. Quella domanda era stata più devastante di una granata. Sentendo l’adrenalina montare per l’ennesima volta nel corso di quell’interminabile serata, respirò affondo alzando poi la testa. “Credo tu lo sappia, altrimenti non mi avresti posto la domanda Aino.”

Notevole. Veramente notevole. A quelle parole Usagi sorrise tristemente chinandosi verso di lei aprendole il finestrino. “Ascolta la voce del vento Kaioh.” E tacque.

Non capendo e continuando ad avere tutti i muscoli paralizzati, la più grande voltò leggermente il viso verso il vetro parzialmente abbassato. La casa della giustizia a pochi metri, dall’altra parte della strada. E dopo qualche istante di silenzio, un urlo soffocato preveniente da una delle tante finestrelle del piano terra le gelò il sangue. Guardando nuovamente Usagi sporgersi per riafferrare la manovella del finestrino schiacciò la schiena contro il sedile di pelle.

“Michiru, mia sorella ed io vi abbiamo già consigliato di stare attenti, di non giocare a fare gli eroi della nazione, di controllare meglio come e cosa dire quando siete riuniti in pubblico, ma non credo che abbiate capito veramente cosa o chi state punzecchiando. L’intervento di questa sera poteva portarvi a quello.” Indicò con il mento l’edificio lasciando che l’altra intuisse di chi fosse l’urlo straziante appena sentito.

“Quel ragazzo… Noi non potevamo… Non siamo riusciti a salvarlo!"

“Azione encomiabile, ma stupida. La polizia segreta ha orecchie ed occhi dappertutto. La vostra fuga dal parco è stata senz’altro rocambolesca, ma ti ripeto, voi non dovreste…

“Chi diavolo sei…!?” L’interruppe rabbiosa.

“Sono la figlia di un uomo che ha combattuto per l’Ungheria ritrovandosi un’invasore per le strade della sua capitale. Un uomo che per questo, qualche tempo fa, fu per così dire invitato in quella casa per alcuni giorni dai “nuovi occupanti” e che ne uscì zoppo e parzialmente cieco da un occhio. Un uomo che ha dovuto rinnegare pubblicamente quello che era stato e che per le sue figlie si è piegato al volere dei nuovi padroni.”

“Ferenc Aino…” Soffiò.

“Già. Un uomo ed un patriota coraggioso che ha deciso comunque di continuare a combattere nell’ombra e che adesso ha bisogno anche del tuo aiuto Michiru.”

 

 

 

NOTE: Ciau. Lo so, lo so, vedere Usagi in queste vesti misteriose è particolare e da da pensare, ma se ci pensiamo bene, anche “l’originale” ha spesso camuffato la sua vera natura per poi apparire un’eroina no? Non dico che questo sarà il caso, ma i presupposti ci sono tutti.

L’evoluzione di Michiru sta incominciando, quella di Haruka ancora no, ma non manca molto perché si trovi a dover “crescere” e decidere del suo futuro.

Un’appuntino sulla Pàlinka, una bevanda piuttosto alcolica ungherese (serba e romena) che si ottiene usando svariati tipi di frutta. Bona ;)

 

 

   
 
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