Storia scritta per il contest indetto da Virou
sul solstizio d’estate. Link à http://writersarena.forumfree.net/
PRENDERE LA PIOGGIA
“E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella
pioggia.”
( Blade Runner),
Chiuse la porta dello scompartimento e si sedette
vicino al finestrino.
Il treno sul quale stava viaggiando gli ricordava l’Espresso di Hogwarts che
aveva preso per sette lunghi anni, ma ormai quel capitolo della sua vita poteva
considerarsi concluso. La scuola era finita e lui stava per imbarcarsi in una
nuova impresa, lontano dalla famiglia e dagli amici. Una fuga?
Forse.
Ma i più l’avevano vista come volontà di imitare il fratello maggiore, partito
due anni prima per andare a lavorare all’estero. Per i genitori era stata
esclusivamente una scelta dettata dalla responsabilità e dal desiderio di
aiutare la famiglia il più possibile: continuare gli studi avrebbe significato metterli
in crisi, dal momento che questi non godevano di un’ottima situazione
finanziaria.
Charlie posò lo sguardo su un sedile vuoto davanti a lui: era ricoperto di un
pesante tessuto marrone, liso in alcuni punti. Come faceva quel treno a
ricordargli l’Espresso per Hogwarts?
L’unica cosa che avevano in comune era che viaggiavano entrambi su rotaie.
Insieme con lui, nello scompartimento, vi era un mago dalla folta barba marrone
che sonnecchiava abbracciando una valigia in pelle nera, come fosse il tesoro
più prezioso del mondo.
La porta dello scompartimento si aprì di scatto facendolo trasalire: un altro
mago entrò, accomodandosi sul sedile di fronte al suo e salutandolo con un
cenno della mano. Subito dopo estrasse un libro e s‘immerse nella lettura.
Il cuore di Charlie aveva preso a battere forte: per un momento, quando la
porta si era aveva immaginato di veder entrare una bambina dalla vivace chioma
rosa.
Nulla di più distante dalla realtà.
Sorrise, sperando di non risultare poco sano di mente per l’espressione che era
comparsa sul suo volto grazie a quel ricordo. Quella era stata la sua prima
volta sull’Espresso per Hogwarts ed era in uno scompartimento con Bill, suo
fratello maggiore, e due suoi compagni di casa. Ad un tratto, poco dopo che il
treno ebbe iniziato il suo viaggio, la porta del loro scompartimento si aprì.
“Oh, scusate, mi è sfuggita di mano.” Una ragazzina dai lunghi capelli rosa
stava sulla porta, leggermente imbarazzata. “Posso sedermi o sono occupati? Non
trovo uno scompartimento libero…” L’ultima frase era più rivolta a se stessa.
Bill le fece cenno di sedersi.
“Grazie.”
Chi lo avrebbe mai detto che quella ragazzina mingherlina, pallida e dagli
strani capelli sarebbe diventata un giorno la donna più importante della sua
vita?
Non le aveva mai chiesto quale fosse stata la sua prima impressione… meglio
comunque non approfondire, quell’anno, grazie a sua madre, lui e Bill portavano
i capelli a caschetto. Quanto li aveva odiati: tutti lisci, attaccati alla
testa e con la frangetta!
Charlie non riuscì a trattenere una risata e l’uomo seduto davanti a lui lo
fissò per un momento aggrottando le sopracciglia. Il ragazzo tossicchiò e,
facendo finta di nulla, si mise a guardare il paesaggio che scorreva veloce
sotto i suoi occhi.
Ora stavano attraversando un bosco, uno spettacolo da togliere il fiato:
betulle, faggi, querce e abeti rossi… non che li sapesse riconoscere, abeti a
parte ovviamente, ma si era documentato prima di partire e sapeva che la
vegetazione da quelle parti era composta da quel tipo di piante.
La vista di un ceppo gli riportò alla mente che, non solo, aveva i capelli a
caschetto, ma anche che era bello cicciottello a quei tempi. Non che ora fosse
proprio un fuscello, ma la situazione era leggermente migliorata, almeno per
lui: non era altissimo per essere un uomo, ma il grasso in eccesso era
scomparso e, soprattutto, ora i capelli li portava leggermente lunghi e
spettinati!
Estrasse il portafoglio da una tasca del mantello e da quella prese alcune
foto. Una risaliva appunto al primo anno ad Hogwarts. La seconda era stata
scattata alla stazione, l’anno successivo, e la terza risaliva a pochi mesi
prima della sua partenza; e vi erano lui e la ragazzina dai capelli rosa
abbracciati. Girò l’ultima foto e lesse le poche righe che vi erano scritte:
20 Aprile 1991
“Al mio grande amico Charlie, con affetto. Tonks”
Charlie sbuffò e rimise le foto nel portafoglio. Già, lui era sempre stato un
suo grande amico.
Stupida amicizia.
Se solo lei avesse saputo… inutile piangere sul latte versato, o, in questo
caso, sul latte non versato. Non si era mai dichiarato e probabilmente non lo
avrebbe mai fatto. Loro erano tuttora amici. Preferiva starle vicino così che
uscire dalla sua vita per uno stupido errore.
Da quando la foto era stata scattata erano passati due mesi giusti. Tra poche
ore due mesi e un giorno, dal momento che il sole stava tramontando. Charlie
sarebbe arrivato a destinazione soltanto la mattina seguente.
Era in fuga, stava scappando da tante cose. Fin da piccolo era sempre stato un
bambino vivace, incapace di stare seduto per più di due minuti; con il passare
degli anni questa energia si era trasformata in insofferenza. La cosa era
peggiorata con l’allontanamento di Bill dalla famiglia. Con lui aveva creato un
legame speciale che in qualche modo riusciva a tenerlo calmo: parlare con lui
lo rilassava e lo metteva di buon umore, cosa che non succedeva con Percy, capace di irritarlo come pochi altri, oppure con i
gemelli con i quali, scherzi a parte, non aveva nulla cui spartire e poi non
erano abbastanza maturi.
L’unica cosa che riusciva a farlo stare veramente bene e in pace con sé stesso
erano gli allenamenti di Quidditch, ai quali si dedicava tutte le sere, anche
da solo, e le lunghe passeggiate con Tonks per il
parco di Hogwarts.
Era stato soprattutto a causa della sua insofferenza che era voluto partire
subito dopo la scuola per la Romania, con la promessa di ambientarsi al centro
di ricerca e di ritornare a casa prima della fine della vacanze estive:
ovviamente avrebbe trovato una scusa per non andare.
Non che non sopportasse la sua famiglia, tutt’altro. Il problema era che il suo
limite di tolleranza era molto basso e tre mesi, da solo, con un fratello
rinchiuso in camera a studiare, i gemelli imprendibili in giro per casa, Ron
che piangeva a causa degli scherzi degli altri due e Ginny
che non si lasciava sfuggire l’occasione per frugare in qualsiasi sportello
lasciato incustodito o senza chiusura magica, erano insopportabili. Non era
pronto per sopportare tutto questo, figuriamoci per controllarlo. Molly, ogni
tanto, glieli aveva affidati e in qualità di fratello maggiore lui avrebbe
dovuto sorvegliarli.
No, non era una cosa per lui e un’estate così gli era bastata l’anno precedente.
Anche Tonks aveva una parte inconsapevole di colpa in
tutto questo. Charlie era innamorato di lei dal quarto anno ma Tonks lo vedeva solo come un amico. Lui, dalla sua parte,
non si era mai dichiarato, anche se pochi mesi prima ci era andato molto
vicino. Purtroppo era stato stroncato dalla frase “Sei l’amico migliore che io
abbia mai avuto.”
E, sempre lei, lo aveva incoraggiato a partire.
E adesso lui era seduto su quel treno, intento a guardare fuori dal finestrino
dal quale non si vedeva più nulla, dal momento che era quasi mezzanotte.
Una luce, diversa da quella di un paese o di una strada, colpì la sua
attenzione e con l’avvicinarsi Charlie scoprì che si trattava di un fuoco che
bruciava a qualche chilometro di distanza; dal momento che il treno stata
viaggiando sul limitare di un bosco, si allarmò.
“Stai tranquillo ragazzo!” Disse il passeggero davanti a lui. “Quello è un
falò, stanno festeggiando!”
“Festeggiando?”
“Sì, in alcuni paesini è ancora in voga festeggiare l’arrivo dell’Estate
organizzando un grande falò; balleranno danze vecchie di secoli e pronunceranno
incantesimi per tutta la notte, se sono maghi. Se sono Babbani
si limiteranno a bere alcolici e a vedere la legna ardere.” Rise,
apparentemente molto divertito dalla sua ultima affermazione; Charlie lo
assecondò perplesso. “Il solstizio, una metafora del cambiamento: dal vecchio
al nuovo.”
Il ragazzo annuì: aveva sentito una cosa simile ad Hogwarts, a che lezione,
però, non riusciva a ricordarselo. Appoggiò la testa allo schienale,
continuando a guardare fuori fino a quando non si fu addormentato.
Si svegliò poche ore dopo, a causa dei raggi del sole nascente che gli
battevano sul volto.
La mattina, verso le otto, arrivò a destinazione. Il centro di ricerca era
veramente enorme; una donna dall’aria austera e i capelli biondissimi lo
accompagnò verso l’area dove alloggiavano tutti i nuovi tirocinanti per il
primo anno di servizio. Charlie doveva dividere la stanza con un altro ragazzo
che era arrivato al centro il giorno precedente. Misha,
questo il suo nome, non sembrava ben disposto verso i rapporti umani, nemmeno
verso la semplice conversazione.
“Rosso, io prendo il letto di destra!” Fu l’unica cosa che disse una volta che
i due ragazzi rimasero soli. Charlie annuì, poco intenzionato ad approfondire
una conversazione; decise di andare a darsi una rinfrescata in bagno e
muovendosi verso la stanza inciampò in una delle sue valigie.
“Stupido di un inglese!” Benché Misha non avesse
urlato, Charlie lo aveva sentito ugualmente. Cominciamo bene, pensò
sciacquandosi la faccia.
* * *
Un uomo, all’apparenza molto stanco, con due profonde occhiaie, la barba e dei
voluminosi capelli corti striati di grigio, sedeva nello scompartimento
fatiscente di un treno. La sua immagine riflessa nel finestrino lo ridestò
improvvisamente dai suoi pensieri; si passò una mano sugli occhi e sospirò.
Nell’altra mano teneva un foglio di pergamena, ridotto ormai in condizioni
pietose. Lesse quello che vi era scritto, un’altra volta.
Sorrise quando si soffermò sulle ultime righe:
“Mi raccomando Inglese, non sparire o mi toccherà venire a cercarti in capo
al mondo e sinceramente non ne ho molta voglia!”
Firmato: Misha.
Chi lo avrebbe mai detto che lui e Misha
sarebbero un giorno diventati amici, ottimi amici, tanto da arrivare a
condividere un piccolo appartamento per alcuni anni, fino al matrimonio di Misha.
Lui no, non si era mai sposato. Vi erano state parecchie donne nella sua vita,
la maggior parte delle quali prima della fine della guerra. Poi la notizia
della morte di Tonks e di quella del fratello,
avvenute nello stesso giorno.
Non aveva reagito bene, nessuno vi sarebbe riuscito, e Misha,
quella volta, aveva dovuto usare tutta la sua forza, ed era tanta, per riuscire
a calmarlo. A testimonianza di quanto era successo, una cicatrice sul volto di
Charlie vicino allo zigomo sinistro.
Dopo parecchio tempo aveva ripreso a frequentare qualche donna, ma nessuna di
queste aveva lasciato un segno su di lui abbastanza profondo, tranne Nadia,
l’ultima.
Una persona veramente fantastica: energica, dolce ma non troppo, in grado di
tenerlo a bada e, soprattutto, capace di fargli mettere in ordine boxer e calzini
nei rispettivi cassetti, ma i legami con troppi vincoli non facevano per lui e,
quando era ventilata nell’aria l’ipotesi di qualcosa di più serio, l’aveva
lasciata. Non poteva farci nulla, e sì che Nadia era stata preventivamente
informata della sua fobia da legami stretti. Ormai era finita e un po’
si sentiva un verme. Nessuno della sua famiglia aveva mai saputo nulla della
sua vita sentimentale, Bill a parte, ovviamente, ma lui certe cose le intuiva,
Charlie non aveva mai dovuto dirgli niente.
Ora lui stava ritornando a casa.
Guardando fuori dal finestrino notò un fuoco piuttosto grande in un campo;
sorrise leggermente. Possibile che stesse ritornando lo stesso giorno della sua
partenza? Estrasse un portafoglio logoro dal mantello e prese un biglietto piegato
in più parti: il biglietto del suo primo viaggio in treno in Romania.
Confrontò le date. 20 Giugno 1991 – 20 Giugno 2023
Possibile che vi possa essere un nuovo inizio? Un secondo inizio? Mise
via i due biglietti, cercando di scacciare i brutti pensieri che stavano per
affiorargli alla mente. Lo sguardo gli cadde su una cicatrice che aveva sul
braccio, una delle tante. Nonostante il pericolo, il dolore delle scottature e
tanti altri svantaggi, non avrebbe cambiato un solo giorno del tempo trascorso al
centro di ricerca.
Schivare le fiammate, gli artigli, la coda di un drago, adrenalina pura! A fine
giornata stava bene, in pace con sé stesso. Grazie a quelle adorabili bestiole
Charlie era diventato più calmo, riflessivo e aveva imparato ad incanalare tutta
l’energia che aveva in eccesso quando era giovane, in concentrazione. Anche
perché bastava un piccolo errore per rimetterci le squame.
Vedere un uovo di drago schiudersi, vedere il cucciolo emettere la sua prima
fiammata, erano cose ineguagliabili e lui si era commosso ogni volta, dalla
prima all’ultima. Ovviamente questo era un segreto che si sarebbe portato nella
tomba.
Da quell’angolazione riusciva a vedere la sua immagine riflessa nel finestrino;
si toccò la barba ispida dirigendosi poi verso il piccolo bagno del vagone.
Osservò meglio il suo volto allo specchio, la barba lo faceva sembrare molto
più vecchio. Iniziò a radersi con la Bacchetta; a una lieve scossa del vagone
si tagliò. Certo, farsi la barba su un treno non era stata l’dea migliore dei
suoi ultimi cinquant’anni. Quando ebbe finito osservò il risultato: forse così
assomigliava meno ad un orco cattivo e non avrebbe spaventato i suoi nipoti più
di tanto. Sorrise. Erano quasi tre anni che non tornava a casa e non voleva
aggiungere un’ulteriore novità al suo rientro; pensandoci, era una cosa
stupida, ma ormai la barba non c’era più.
Quando tornò nello scompartimento si addormentò.
Scese dal treno che era mattina inoltrata e si diresse verso l’ufficio Passeporte per prenotare la sua, dando le coordinate del
giardino della Tana. In Romania vi era molto più controllo per le partenze e
gli arrivi dall’estero, infatti avveniva tutto solo ed esclusivamente alla
stazione delle Passeporte.
Guardò il suo biglietto: ore undici, tazza rossa a righe gialle, sbeccata.
Cabina 563.
Charlie si sedette su una delle sedie della stazione e su quella a fianco vi
mise il suo zaino. Tutto il resto delle sue cose sarebbe arrivato con una
spedizione Magica alla Tana l’indomani.
La Passaporta e Charlie comparirono nel giardino
della Tana alle undici e un minuto; ci mise qualche secondo a riprendersi dal
viaggio, non era stato breve, ma almeno questa volta non era inciampato e non
era caduto a terra. Inspirò profondamente e si guardò intorno: alcune cose
erano cambiate, come lo steccato, probabilmente sostituito da poco. Altre cose
erano esattamente come se le ricordava, da sempre: l’angolo della casa con il
roseto secolare, un ceppo nel’angolo del giardino, uno gnomo nascosto dietro un
vaso di margherite. Prese il piccolo essere per il cappuccio e lo guardò negli
occhi, per quanto possibile visto che lo gnomo continuava a dimenarsi; avrebbe
giurato di averlo già visto… oppure era rimasto troppo tempo in mezzo ai draghi
da credere di poter riconoscere una creatura identica a tutte le altre della
sua specie? Non si fece molti scrupoli e lo buttò nel campo a fianco. Charlie
vide cadere lo gnomo diversi metri oltre la rete e fu molto soddisfatto del suo
lancio.
“Ottimo tiro!”
Charlie si girò verso la fonte della voce. Un uomo alto, sulla cinquantina, dai
capelli rossi striati di grigio legati in una coda stava fermo sulla soglia di
casa con le braccia incrociate.
“Non cambierai mai, vero?” Aggiunse poi.
Charlie sapeva bene a cosa si stava riferendo suo fratello Bill: infatti, dato
che non voleva essere accolto da un’orda di persone, come accadeva puntualmente
tutte le volte, aveva detto che sarebbe tornato a casa solamente il giorno
seguente. I due fratelli si abbracciarono.
Nonostante gli anni, il loro rapporto non era cambiato minimamente. Bill si era
ricordato di una frase detta da fratello “La prossima volta vi dico una data e
tono in un’altra.” Una sciocchezza, ma lui aveva sempre saputo che lo avrebbe
fatto realmente, per questo si era accampato alla Tana già da tre giorni. Entrarono
in casa.
“Gli altri sono a fare un giro a Diagon Alley, torneranno tra poco.”
Bill prese due bicchieri e una bottiglia di Whisky incendiario. “Al tuo
ritorno!”
“Al mio ritorno!” Bevvero tutto d’un fiato. “Se ci vedesse mamma bere di
mattina…”
“Meglio nascondere le prove.”
Mentre Bill sciacquava i bicchieri, lo sguardo di Charlie si posò su una
mensola dove tenevano delle tazze, ognuna della quali aveva un suo legittimo
proprietario, il nome del quale era inciso sopra, insieme ad un disegno. Notò che
c’era ancora la tazza di Fred.
A quel ricordo gli si strinse lo stomaco. All’epoca era stato un vigliacco, era
ritornato per i funerali per poi ripartire due giorni dopo. Era inutile cercare
scuse, in quel tempo era convinto di aver perso molto di più di un fratello,
altre persone importanti che conosceva erano morte e voleva rimanere solo; la
verità era che lui a casa non avrebbe saputo cosa farci: non era bravo in
queste circostanze, non sapeva mai cosa dire, cosa fare… odiava il silenzio e
nessuno aveva voglia di parlare. Con gli anni aveva capito che non avrebbe
dovuto fare nulla, solo dare un abbraccio a chi ne aveva bisogno. Sì, perché
era forse brutto da ammettere, ma era l’unico a non aver versato una lacrima, a
tenersi tutto dentro, almeno di fronte alla famiglia.
“Dai, andiamo, ti accompagno di sopra a posare lo zaino. Forse hai qualche
minuto per riposarti prima dell’arrivo della truppa.”
La camera era la stessa di quando era bambino, quella che condivideva con Bill.
Proprio come allora si sedettero sui rispettivi letti; attaccato alle pareti un
poster ingiallito di una squadra di Quidditch.
Qualcuno, una volta, gli aveva detto che la vita era un continuo ripetersi di
eventi, che prima o poi tutto ritorna. E lui era ritornato.
Alcuni botti fecero girare entrambi verso la finestra.
“Sarà qualche ritardatario, ieri sera hanno festeggiato il passaggio dalla
primavera all’estate.”
“Il solstizio. E da quando lo festeggiano?”
“Da qualche anno…”
No, chiunque gli avesse detto quella frase era in errore: tutto ritorna
solamente perché c’è sempre un inizio e una fine, ma è quello che sta nel mezzo
a fare la differenza. Adesso per lui stava iniziando un nuovo periodo, ma non
era IL periodo della sua esistenza, ma semplicemente un altro capitolo che
prima o poi si sarebbe chiuso. E una nuova strada era pronta ad attenderlo.
Come le stagioni, come gli anni, come le lancette di un orologio.
La porta della camera si spalancò all’improvviso e fece il suo ingresso una
bambina sui tre anni dai vivaci capelli a caschetto rosa.
Per un secondo Charlie rimase frastornato e Bill se ne accorse.
“Talia.” La chiamò suo fratello.
Ah, ecco chi era, pensò Charlie. La bambina di Ted e Victoire.
Adesso tutto era più chiaro, specialmente i capelli della bambina. I due
ragazzi convivevano già da tre anni, ma avevano promesso di sposarsi l’anno
successivo. Charlie ancora non conosceva i dettagli ma, da quello che aveva
capito, Talia era stato un piccolo incidente di
percorso. Sorrise.
La bambina lo fissò per parecchi secondi per poi girarsi verso Bill, perplessa.
“Lui è lo zio dei draghi.” Spiegò quest’ultimo.
“Uao!” Disse la piccola. “Ma draghi veri?”
Charlie annuì.
“Dai nonno, diamo!” Talia prese la maglietta di Bill
e iniziò a tirare. Una volta che lui si fu alzato, seguito da Charlie, la
bambina corse avanti a loro urlando “C’è zioooo!”
Charlie riuscì a stento a trattenere un attacco di risate, ma il fratello se ne
accorse.
“Che c’è?” Chiese.
“Niente, dai, scendi… NONNO!” E scoppiò a ridere, Bill essendo il maggiore era
più sensibile degli altri al fattore età ed essere chiamato così prima del
tempo, il tempo che lo stesso aveva previsto, doveva essere tutte le volte un
vero shock.
“Non fare lo spiritoso, PROZIO!” Sì, decisamente Charlie era tornato a casa.
Entrambi scoppiarono a ridere; Charlie chiuse la porta alle sue spalle e seguì
il fratello al piano inferiore.
La sua Estate era iniziata.