Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    10/03/2018    2 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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Vorrei che tu fossi qui
 
Attesi che tutti, ufficiali e reclute, lasciassero il luogo per mettermi all’opera e ripulire tutti i tavoli, sistemare posate e piatti nella cucina e, come aveva ordinato il caporale, lucidare persino il pavimento.
Esausta e umiliata, feci ritorno più tardi ai dormitori, impaziente di porre fine a quella lunga giornata e liberarmi dalla fastidiosa imbracatura.
-Non è stata colpa tua – disse la ragazza dai capelli ramati, venendomi in soccorso. La candida canotta bianca e i pantaloni di cotone color blu notte che ella indossava la rendevano l’essere più grazioso del pianeta. –C’è una cosa che però non capisco: perché non me ne hai parlato? Ti avrei aiutata a non finire nell’ennesimo pasticcio.
La sua voce era dolce e languida, ma mi ferì più del dovuto: in tutti quei giorni avevo portato il gioiello sotto la mia divisa come una ladra, non parlandone nemmeno con quella che senza dubbio era la mia migliore amica.
-Petra, credimi, non ne ho la più pallida idea. Talvolta ero così presa da tutto quello che ogni giorno facciamo da dimenticarmene. Figurati se non avessi desiderato altro che sorbirmi l’ennesima ramanzina di quel nano.
-Non parlare così di lui! – ella rispose sconcertata. –è il suo carattere, non possiamo costringerlo a cambiare. Cerca di metterti nei suoi panni: magari era un oggetto a cui teneva tanto.
Mi sfilai con noncuranza la giacca beige. –Non è una buona giustificazione per mettermi in imbarazzo davanti a tutta la Legione.
Petra non rispose; d’altronde, sapeva che solo uno stolto avrebbe potuto darmi torto. Mi buttai a peso morto sulla mia brandina, toccandomi la fronte con un palmo della mano. –E come se non bastasse, domani dovrò anche affrontare la mia prima missione suicida.
Cosa stavo dicendo? Da giorni non facevo altro che parlare di libertà, della speranza dell’umanità, e in quel momento mi ritrovavo persino a rimpiangere la mia scelta? Era possibile che l’episodio di poco prima in mensa mi avesse persino privato di quella voglia di rivendicare il genere umano che mi possedeva dalla sera in cui avevo fatto la mia promessa?
La mia amica si sedette accanto a me sul mio letto. Mi sorrideva. –Perciò stasera devi dormire con me. Staremo un po’ strette, ma più che mai è necessario.
-Lo faccio solo se mi aiuti a togliere questi benedetti abiti – risposi svogliata. –Non ho voglia di fare niente.
Ella sbuffò. –Accidenti, che voglia di vivere!
I suoi dissensi non la aiutarono, perché in un attimo era già riuscita a farmi infilare la vecchia camicia bianca di Lex e dei comodissimi leggings. Non attese nemmeno che mi sistemassi ulteriormente la mia tenuta da notte, giacché mi costrinse a raggiungerla accanto a lei sul suo letto, come era accaduto diverse sere prima.
-Faresti meglio a non pensarci più, Claire. Rifletti solo sul fatto che dimostreremo a quegli esseri rivoltanti di che pasta siamo fatte – mi consigliò, sciogliendomi i capelli dalla coda di cavallo che ero solita fare e pettinandomeli fino a che non risultassero del tutto lisci.
-Non so. Quello lì mi ha reso la persona più negativa dell’umanità.
Petra sospirò ancora. –Ancora con questa storia? Perché non lo lasci stare?
-In questo momento non ci riesco. A volte mi domando come faccia a piacerti.
Come avevo previsto nella mia immaginazione, Petra non diede segni di vita, limitandosi a pettinarmi la chioma. -Ehi, innamorata? Parlo con te – la richiamai.
-Oh, finiscila. Voglio essere sincera con te, potrà anche piacermi, ma non puoi ammettere che sia del tutto inevitabile che qualcuno provi ammirazione nei suoi confronti; parliamo sempre del soldato più forte…
-Dell’umanità, me l’hanno detto già cento volte – conclusi.
-Lascerà sicuramente a bocca aperta anche te, domani, quando lo vedrai affrontare quei mostri – la mania di Petra per le trecce si manifestò ancora: ella aveva infatti iniziato a modellarne una morbida sul mio capo. –E poi non si può dire che eserciti un certo fascino, nonostante il suo carattere introverso, eppure incredibilmente deciso, al contempo affascinante : ha dei lineamenti del viso… davvero particolari, e così i suoi occhi. Hai mai fatto caso ai suoi occhi? Blu, tendenti al grigio. L’unico difetto che ha è la statura; magari è il motivo per il quale inizialmente non riesce a farsi prendere sul serio, com’è successo nel tuo caso.
Ridacchiai. –Sta’ tranquilla, per tua fortuna sei piccina quanto lui. Nel caso tu voglia farti avanti, non sarai svantaggiata.
Il viso della mia amica era completamente color pomodoro, e se ci fossimo trovate da qualche parte, mi avrebbe probabilmente tappato la bocca, scappando poi imbarazzata.
-Claire, si nota tanto? – mormorò, stendendosi supina accanto a me.
-Un po’ – risposi. –Almeno lui non ti odia, e non penso che mai possa permettersi di farlo. Sei straordinariamente accorta e in gamba, oltre che dotata come soldatessa. Prima o poi si dichiarerà lui, vedrai. Sono fiduciosa, sei troppo carina perché ti dica di no.
Mi guardò incerta, poi iniziò a ridere, sognante. –Voglio vedere sistemata anche te, però. Sbaglio o è da un po’ di tempo che tu e Gunther avete un certo feeling?
In quel momento fui io a divenire color pomodoro.
Gunther, il ragazzo più dolce che avessi mai incontrato, era una delle persone che conoscevo in maniera così profonda da rendermi incapace di amarlo: ai miei occhi, sarebbe sempre stato il mio migliore amico, il mio secondo fratello maggiore, oltre a Lex. Petra me lo aveva riferito più volte, magari lui provava veri e propri sentimenti nei miei riguardi, e ciò talvolta mi faceva sentire in colpa, perché io non sarei mai stata capace di definirlo il mio fidanzato, semplicemente quella persona che, insieme a Petra, mi conosceva così tanto bene da sapere persino il motivo originario del mio arruolamento. 
 –Ne abbiamo già parlato, Petra. Sarebbe come se decidessi di mettermi con te, per me risulta impensabile – risposi sincera.
-E’ un peccato, da ragazza mi sarei complimentata della tua scelta. Di Erd, che mi dici?
-Hai intenzione di portare avanti questa discussione adolescenziale fino all’infinito? Tra l’altro sai bene che queste sono cose che non mi sono mai interessate.
Scoppiammo entrambe a ridere. –Dovremmo pur trovare un argomento di conversazione; non mi va di parlare di eserciti, lame, dispositivi di manovra e giganti fino a domani mattina – spiegò.
-Erd è un ragazzo bellissimo, lo sai meglio di me. Ma non è il mio tipo – risposi.
-Tutte le ragazze del 103° le andavano dietro – ricordò lei.
-Ma lui è quel genere di persona che non vorrà mai mettersi con una soldatessa, perciò rinunciaci anche tu, nel caso ci stessi pensando. Poi c’è Oruo…
Io e lei ci osservammo, poi scoppiammo a ridere. –Non essere perfida, Petra. Alla fine è più simpatico di quanto tu creda, se lo vedi sotto un’altra prospettiva.
-Si vaneggia persino dei suoi stivali. Ma che razza di persona è? Adesso si è messo in testa di imitare il capitano Levi, con quale scopo?
Probabilmente io il motivo lo conoscevo già, eppure preferii non rivelarglielo. –In ogni caso è esilarante sentirlo atteggiarsi di cose del tutto banali; alla fine voglio bene anche a lui – mi accucciai accanto a Petra, rimboccandomi le coperte.
-Vederlo tirarsela è uno spettacolo del tutto pietoso. Non si avvicina di un centimetro ai nostri superiori.
-Su questo ti do retta – sbadigliai, benché fossi consapevole di essere così elettrizzata da non poter prendere sonno in ogni caso. –Petra, promettimi che sarai prudente, domani.
Ella mi strinse a sé. –Claire, sai bene che ci è stato chiesto di sacrificare le nostre vite; nemmeno tu puoi opporti. Vedrai che, una volta superata questa spedizione, non temeremo più le seguenti.
La dolcezza di Petra e la sua tranquillità la aiutarono ad addormentarsi stretta a me, ma io non volevo proprio saperne di lasciarmi cullare tra le braccia di Morfeo; una marea di pensieri atroci fece strada nella mia mente, vietandomi di acquietarmi.
Rimasi accanto alla mia amica addormentata per circa un’ora, ma poi capii che sarebbe stato alquanto inutile rimanere lì con gli occhi spalancati: senza far rumore, scesi dal letto di Petra e iniziai a cercare la mia adorata chitarra in un armadio.
Ritrovai la mia amica dalle sei corde impolverata e trasandata, dalla quale pendeva un filo di rame precedentemente saltato dal ponte.
Quello risultava il momento perfetto per attuare quel piccolo lavoro di restaurazione che fino ad allora, a causa degli svariati impegni, non ero riuscita a permettermi. Eppure non potevo svolgere il mio piccolo lavoro proprio nel dormitorio femminile, con tutte le povere soldatesse che, ansiose, cercavano di trovare pace prima del giorno seguente; decisi quindi cercare altrove un posto dove avrei potuto, volendo, anche sgranchirmi le dita sulla tastiera della strumento senza temere di svegliare qualche anima pia. Dunque, posai la coperta del mio letto sulle spalle, imbracciai la chitarra e uscii dal dormitorio, dirigendomi sul tetto dell’edificio.
Rischiai più volte di cadere lungo le scale, non disponendo di alcuna candela; probabilmente dovevo aver già destato qualcuno a causa della mia goffaggine, ma non potevo tornare indietro: avevo già aperto l’ultima porta, che conduceva all’ampio spazio all’aperto dell’ultimo piano.
Rimasi incantata da come la luna illuminasse l’ambiente circostante, ed era più forte di qualsiasi altra luce notturna; ciò mi avrebbe permesso di dedicarmi al mio lavoro senza fatica.
Mi sedei sul parapetto in pietra, con le gambe a penzoloni nel vuoto, e iniziai la mia opera di riparazione con le nuove corde. Fino a qualche anno prima ero del tutto incapace di cambiare le corde al mio strumento, ma Lex era stato in grado di insegnarmi i metodi più efficaci per sostituire le vecchie corde in maniera del tutto semplice e veloce.
Una volta terminato, studiai con cura lo strumento: la vecchia chitarra di mio padre era color mogano e perfettamente intagliata, e aveva il suono più dolce e soave del mondo.
Fortunatamente, malgrado fosse passato del tempo, ancora non avevo dimenticato le melodie e gli accordi insegnatimi da mio padre a da mio fratello. Tra i tre ero sicuramente quella che meno ci sapeva fare, ma quell’oggetto aveva rappresentato per me una vera e propria terapia durante i tre anni trascorsi nel corpo cadetti, e la possibilità di sfogare tutto il mio stress e le mie ansie sulla tastiera in legno risultò un buon stimolo per andare avanti.
Ciò che più mi irritava era il fatto di essere quasi del tutto negata a cantare, ruolo che invece spettava alla mamma. Proprio in quel momento, seduta davanti a quello spettacolo incredibile, ritraente grossi alberi e un’enorme distesa pianeggiante, ripensai ai neri capelli di mia madre - sempre ondulati e tenuti da un fermaglio verde, così diversi, se paragonati ai miei –, ai suoi occhi scurissimi e alle sagge rughe attorno ad essi. Ricordai il suo atteggiamento mite, generoso, e la sua tenera voce alta che cantava sulle note di quella melodia che avevo già iniziato a suonare.
 
Potresti distinguere un prato verde
Da una fredda inferriata d’acciaio?
Un sorriso da una menzogna?
Davvero ci riusciresti?
 
 
Catherine Hares adorava quella bizzarra canzone che suo marito Ivàn le aveva insegnato; anch’ella, come lui, aveva l’impressione che la vita, all’interno delle mura, fosse solo ed esclusivamente una grande finzione. Erano soliti dirlo, seppur né io né Lex fummo mai capaci di capire cosa ciò significasse.
In ogni caso, fu per me inevitabile avvertire una forte fitta nel petto quando dovevo concentrarmi a cantare la parte centrale del brano.
 
Come vorrei che tu fossi qui
Siamo solo due anime smarrite
Che nuotano in una boccia per pesci
 
Lei doveva essere qui, a godersi in mia compagnia quel meraviglioso panorama, ad accarezzarmi i capelli e ad asciugarmi col suo grembiule le lacrime che avevano appena solcato il mio viso. A dirmi che tutto sarebbe andato per il meglio, perché ero “ingenua, testarda ed eccezionale”, come solo ed esclusivamente lei mi diceva. Personalmente non capivo come facesse ad accostare questi tre termini ogni volta, ma persino quelle parole ed espressioni tutte sue che molto spesso era solita proferire mi causavano tanto dolore.
 
Girovaghiamo sempre nello stesso spazio
Dove si celano le nostre solite
 Vecchie paure
Vorrei che tu fossi qui
 
La mia voce tremava, quasi del tutto soffocata dal pianto, ma le mani non si fermavano; quasi mi sorprese il modo in cui avevano imitato perfettamente la nostalgica melodia originale, quella conosciuta da mio padre.
-Suoni bene quanto stoni – parlò una voce alle mie spalle.
“Cantare non è stato mai il mio forte”, ero pronta a giustificarmi, fino a che non mi accorsi della presenza del caporale alle mie spalle.
Da quanto tempo si trovava lì? Potevo mai finire ancora una volta nei guai solo per aver disobbedito al coprifuoco in una situazione come quella in corso?
-Capitano, non sapevo che lei fos… - mi asciugai velocemente il volto. L’ultima cosa che desideravo era che mi vedesse in quelle condizioni. –Non mi ero accorta che ci fosse anche lei.
Come era solito fare anche lui, cercai di rimanere quanto più distaccata possibile, osservando un punto fisso sotto di noi.
-Sei stata tu ad appropriarti di un luogo che la sera colgo sempre l’occasione di frequentare con una buona tazza di tè – spiegò lui, sedendosi proprio accanto a me.
Come aveva detto, il caporale reggeva in maniera alquanto strana una tazza fumante, probabilmente ardente, contenente uno strano liquido scuro.
-E stasera ha deciso di passare al caffè? – chiesi, con la voce ancora sfinita dal pianto di poco prima.
-Tè nero, Hares. È decisamente più forte e intenso degli altri, personalmente è quello che preferisco – sorseggiò la bevanda calda, guardando distratto davanti a sé.
Non volevo lasciarmi intimorire dalla sua presenza; continuai a muovere le dita sulle corde improvvisando un arpeggio, ma non cantai. A quanto avevo constatato, la mia voce non era stata apprezzata da quel pubblico così intenditore, a differenza delle mie doti sullo strumento.
Alzai per un istante gli occhi dalle corde, notai che stava proprio osservando curioso le mie dita; non giurai di averlo visto incantato, ma sicuramente il suo solito sguardo truce lo aveva abbandonato.
-Non canti più? – mi domandò all’improvviso, facendomi arrossire.
-Non ho mai eccelso nel canto, e credo che mai lo farò – risposi fredda.
-Eppure prima lo stavi facendo.
Sospirai, non staccando comunque le dita dalla tastiera nera. –Cercavo di cantare come mia madre. Avrebbe dovuto sentirla, caporale. Lei era veramente brava nel canto, al contrario mio.
Era ammutolito, si limitava a sorseggiare il tè come se aspettasse di sentire altro.
-Che donna strana, - proseguii allora, -era portata per tante cose, ma ha sempre preferito rimanere a casa ad accudire me e mio fratello. Era fantastica a dipingere, magari avrebbe potuto divenire l’artista più importante della capitale, se avesse voluto.
-Io non la disprezzerei affatto, per questo. Doveva volervi davvero tanto bene, ti basta sapere questo.
Iniziai a domandarmi il motivo per il quale Levi insistesse nell’intrattenere un discorso del genere, così apparentemente inappropriato per una persona come lui. -Ma scherza? Perché dovrei disprezzarla? Una persona che ha donato la sua esistenza ai propri figli venendo anche orribilmente uccisa non potrebbe mai essere disprezzata.
Non posso dire quanto fosse rimasto impressionato dalla mia risposta; forse, essendo abituato a mutilazioni su mutilazioni dei propri compagni, l’afflizione provocata dalla morte non aveva su di lui più alcun effetto.
-Vieni dal Wall Maria? – mi chiese, convinto forse che solo l’anno precedente, quello segnato dalla caduta del muro esterno da parte del Titano Colossale, io avessi perso un genitore a causa di un gigante.
-No, sono di Karanes. Mia mamma non è stata divorata da nessun gigante, ma, sette anni fa, qualche bastardo dei bassifondi alla ricerca di mio padre, da tempo scomparso per non so quale ragione, ha pensato bene di prendersela con la propria famiglia abbandonata, in particolar maniera mia madre. Io e mio fratello Lex siamo riusciti a scamparla.
Non rispose, né tantomeno lo feci io, ma, dopo alcuni secondi, qualcosa mi spinse a sfogarmi, proprio davanti a lui. –Siamo scappati dalla famiglia di Ral, senza la quale non saremmo mai stati capaci di continuare a vivere. Ma mia madre mi manca ogni giorno che passa.
Poco dopo, mi sentii in dovere di dirgli: -Mi perdoni, capitano, per essermi ingiustamente impossessata della sua collana. Non avrei esitato un attimo a restituirgliela, posso assicurarglielo.
-Forse meriteresti più tu di chiedere le mie scuse – rivelò, abbassando il capo. Tirò poi da sotto la maglia color panna quell’oggetto che io avevo conservato alla stessa maniera fino a qualche ora prima. –Credo di essere stato troppo brusco, prima, a metterti così in imbarazzo davanti agli altri.
Era intento ancora una volta ad esaminare la pietra rossa, fino a chiuderla nel palmo della mano.
-Non si preoccupi, non è stato un problema – mentii, fermando per un istante le mani. -Piuttosto, mi è parso strano che un oggetto abbastanza femminile come questo sia di sua proprietà. Forse è stato questo a non farmi pensare che la collana appartenesse a lei.
-Oh, be’. Per il semplice fatto che questa pietra rossa non è mia – si limitò a rispondere.
Non mi aspettavo che rivelasse il possessore dell’oggetto, ma allo stesso tempo morivo dalla voglia di sapere chi fosse. –Acconsentirà a dirmi chi sia il proprietario?
Ci pensò qualche istante, tenendo sempre la collana tra le dita. I suoi occhi avevano iniziato a brillare, non capivo se a causa dei raggi lunari. –E’ l’unico oggetto di mia madre che posseggo – confessò tutto d’un fiato.
Ero senza parole. Ciò spiegava la sua reazione di qualche ora precedente –Quindi anche lei… - cominciai.
-Ho un passato… vagamente simile al tuo. Magari nessuno te l’avrà raccontato, ma anche io ero un bastardo dei bassifondi, come hai detto tu.
Cosa mi stava dicendo? Perché tutto d’un tratto aveva iniziato a parlarmi di lui? Benché non avessi chiesto niente di particolare, iniziai a sentirmi in colpa per essere all’ascolto di cose che probabilmente mai e poi mai avrei dovuto sapere, tuttavia non voleva saperne di interrompere il proprio racconto.
-Mi scusi, cosa intente, lei, per ‘bassifondi’? – domandai ulteriormente.
-La città sotterranea, - spiegò, -il luogo più malfamato che esista tra queste mura.
La città sotterranea? Esisteva, dunque? Tra i cittadini dei distretti si sospettava che ci fosse un posto in cui non battesse mai il sole, frequentato dai peggiori esseri umani ancora in vita; ciononostante, avevo sempre considerato tali affermazioni delle dicerie, e non mi sarei mai azzardata a pensare che il capitano Levi potesse provenire proprio da quegli ambienti squallidi. Quanto poco mi ero interessata a lui, fino a quel momento! A tal punto da non riuscire a riconoscerlo durante il primo giorno di addestramento.
-Sono sempre cresciuto da solo – il racconto nel frattempo continuò. –Non ho avuto una figura adulta che in qualche maniera è stata capace di istruirmi, ma c’è stato un tempo in cui avevo una madre bellissima. Mi somigliava, sai? Ma aveva delle sottili labbra color ciliegia e due occhi amorevoli. Ma la morte e la miseria non hanno mai pietà, nemmeno quando sei un bambino, o una bambina, nel tuo caso, e ti strappano via ogni cosa – continuava, senza indugiare tanto sul fatto di essere ascoltato da qualcuno di completamente estraneo. Anzi, improvvisamente parve mi considerasse una sua conoscenza di vecchia data.
Avevo iniziato a tremare, non saprei dire se per la brezza notturna o per la tensione: il racconto del caporale fu l’episodio più insolito che mi era capitato dal giorno in cui mi ero arruolata nell’Armata Ricognitiva.
- Di speranza ce n’è poca, Hares, in questo mondo. Io, a sette o otto anni di età, già me ne ero reso conto.
Non sapevo cosa pensare, né tanto più cosa rispondere. Ciò che avevo constatato era che quell’uomo fosse più umano di quanto sembrasse, inoltre conosceva bene la tragedia del vivere in quel mondo desolante senza un punto di riferimento, vivendo clandestinamente dentro una bottega di falegnameria con il timore di essere catturati da malviventi.
-Ma c’è sempre – risposi dopo. –In qualche maniera, sento che il genere umano, prima o poi, non sarà più schiavo di quest’esistenza misera. Non sicuramente grazie a me, ma succederà, presto o tardi. Ne sono convinta.
Gli sorrisi timidamente.
-Non mi sottovaluterei così tanto, se fossi in te – aggiunse lui, col suo solito aspetto indifferente al quale mi ero automaticamente abituata. –Fai parte di quel gruppo di nuove reclute che hanno un grosso potenziale. Anche la tua amica Petra ha talento.
Arrossii al posto della mia amica, che sicuramente sarebbe svenuta dall’emozione nel sentire il caporale farle i complimenti, chiamandola addirittura per nome. –E’ la tua amichetta, giusto? – mi chiese.
-Già. È la persona ideale su cui fare affidamento, posso giurarglielo.
Il suo viso lentamente si addolcì. -E’ molto cara, e anche intelligente – osservò.
-Petra è il miglior genere di persona che si possa incontrare nella vita – constatai euforica. –Non sarò mai come lei, lo so bene. Quella ragazza è un angelo, dovrebbe essere venerata lei al posto di quelle assurde divinità che il culto delle Mura si è inventato – ripensavo al dolce sorriso della mia amica, convincendomi che anche il mio interlocutore stesse facendo lo stesso. –Ha un animo nobile, è una persona gentile con chiunque, e soprattutto non c’è niente che non sappia fare, come intrecciare i capelli – mi acconciai meglio la lunga treccia. -A me mancano tutte le qualità di cui lei è dotata, capitano.
-E tu?
La sua domanda mi prese alla sprovvista. Sospirai, stringendo al petto la mia fidata. –Io strimpello questo vecchio affare. Magari avrei potuto lavorare alla corte del re come musico, se fossi migliorata – ripresi a suonare la mia melodia improvvisata, prima di fermarmi a guardare l’orizzonte. –Invece ho scelto i giganti.
-In un modo o nell’altro sei comunque alla mercé di quell’orrido vecchio – notò lui. Ancora una volta si ritrovò a fissare le corde dello strumento che avevo tornato a pizzicare, ancora non capivo se per mettermi a disagio o perché realmente interessato dalla musica che ne proveniva.
-Ma cosa le è accaduto, capitano? La vedo particolarmente ironico, questa sera. Non che non lo sia già di solito…
-Ecco, Hares. Ti sei risposta da sola.
Trattandosi del capitano Levi, non rise, come invece feci io. Tuttavia, canticchiando a bassa voce, constatai di aver appena scoperto un altro lato di quell’uomo, contorto, certamente, ma più comprensivo e cordiale.
-Dovresti cantare – insisté lui.
-Le ho già detto che sono quasi totalmente incapace di farlo, e lei mi mette molta soggezione – ribattei sincera.
-Io? Perché dovrei intendermene? – avvicinò le labbra alla tazza, deglutì un sorso della bevanda amarognola. -Sono un soldato, non certamente un musicista.
-Il migliore del genere umano intero – aggiunsi.
Borbottò. -Non ho mai sopportato questo appellativo. Detesto stare al centro dell’attenzione, e il più delle volte quest’espressione da perfetti idioti è sempre rinnegata con “quanto è basso” oppure “me l’aspettavo più alto”.
Mi fu difficile non ridere ancora. –Poveri ingenui, non capiscono che il suo potenziale sta anche nella sua non altissima statura. Petra mi ha insegnato che essere bassi significa anche superare di gran lunga molti soldati in quanto agilità. Non lo considererei proprio uno svantaggio, questo.
Mi sentii un po’ in colpa di quanto appena detto; io stessa, qualche ora prima, in un momento di eccessiva frustrazione, mi ero rivolta a lui con un nomignolo alquanto dispregiativo, e ora mi trovavo a rassicurarlo proprio per quella sua caratteristica.
-Sarà. In ogni caso non potrei mai essere capace di giudicare le tue doti al di fuori del campo di battaglia, eccetto per quanto riguarda le pulizie. Sentiti pure libera di cantare come facevi prima, io non ti dirò nulla.
-No, ormai non ho più le forze nemmeno per reggere la chitarra – spiegai esausta. –Quindi lei non ha mai avuto la possibilità di conoscere la musica.
-Non c’è molta gente che suona per strada nei bassifondi, Hares. Nemmeno nella Legione ci sono così tanti appassionati di musica come te. Tuttavia, avendo avuto la possibilità di ascoltarti, non posso nascondere di aver provato un certo piacere. Non mi è dispiaciuto affatto sentirti.
Arrossii di nuovo, punzecchiandomi una guancia con le punte dei capelli. –Visto che ha apprezzato, le consentirò un bis.
-Un che?
-Le ripeterò il brano che ho cantato prima. Si senta fortunato, perché è una cosa che non molto spesso concedo.
Introdussi prima la canzone con la chitarra, e intonai nuovamente il ritornello. Non sarei in grado di spiegare la ragion per il quale cantai eccezionalmente bene, quella volta. Aver fatto pace con lui, in qualche maniera, mi aveva già liberato di un grosso macigno che poco prima mi aveva resa incapace di trovare la calma per addormentarmi al fianco della mia compagna.
Il suo sguardo si era sempre più attenuato. –Bene – disse lui, alla fine dell’esecuzione. –Ora non ti resta che canticchiare una ninna nanna ai giganti, domani. È possibile che sia un modo per metterli al tappeto senza spargimenti di sangue.
Scoppiai a ridere di nuovo, non capendo perché egli sembrasse leggermente infastidito da quel mio gesto istintivo ogni volta. –Può essere – feci per alzarmi, indugiando. –E’ stato piacevole passare questo tempo con lei. Magari tra qualche serata ci incontreremo di nuovo, qui sopra. In quel caso, visto che ho acconsentito al bis, lei dovrà cantare per me.
Una parte della mia coscienza sapeva bene che avrei dovuto smetterla di farneticare altre sciocchezze in sua presenza, ma l’altra era troppo euforica pe aver conosciuto un lato del capitano Levi del tutto nuovo a chiunque.
-Hares – mi chiamò lui.
Rimangiai la mia proposta, imbarazzata di aver proferito tale idiozia. Perché mai il caporale avrebbe dovuto cantare per me? –Ha ragione, capitano, mi scusi. Ovviamente stavo solo scherz…
-Lo farò – annunciò lui, col suo solito sguardo freddo e inalterato.
Un largo sorriso si impossessò del mio volto, tale da non permettermi di rimanere ferma troppo a lungo senza esultare di gioia.
-Capitano, ma lei è assolutamente straordinario!
-E’ evidente – rispose. Si voltò, e quell’atto mi fece immaginare che egli non fosse riuscito a nascondere un sorriso al suo controllo.
Rimasi in silenzio, a osservare in maniera distratta il taglio militare del compagno d’armi, incerta se fosse o meno il caso di lasciarlo solo proprio in quel momento.
-Non va a dormire, signore? – domandai cordiale.
-Non ancora. Credo che resterò ancora un po’ qui. Non ho bisogno della tua compagnia, se le tue gambe stanno cedendo puoi anche tornare a letto – ribatté senza girarsi; dedussi che fosse il caso di fare come diceva, dato che non potevo trovare alcun argomento per proseguire la conversazione.
-Se è convinto così, io andrei – dissi. –Buonanotte, capitano.
-Stammi bene, Hares – prima che potessi girare i tacchi, aggiunse: -E buona fortuna con i giganti.
Ne ho bisogno, pensai, troppo stanca per rispondere.
Pochi attimi dopo, la tensione mi abbandonò del tutto, permettendomi così di cadere in letargo accanto alla mia amica.
Mi dispiacque ammetterlo, ma Petra aveva visto giusto, riguardo il capitano. non era così lugubre e freddo come si soleva descriverlo: qualche momento prima, mi era sembrato la prima persona in grado di capire la sofferenza patita nel perdee una madre ad un’età così prematura. La gente moriva e muore tutt’ora ogni giorno, ma quando la morte ti porta via, per giunta in maniera così triste, davanti ai tuoi propri occhi, quella dolce persona così magnanima da farti venire alla luce, allora hai già visto ciò che di peggiore esiste al mondo. Petra, Gunther, Erd, Oruo, quanto mi erano cari, eppure non sarebbero mai stati capaci di comprendere fino in fondo il dolore del dover crescere da soli, con l’incessante paura di perdere anche quel fratello maggiore che mi aveva salvato da un atroce destino, lontano miglia e miglia da te. Fino a quell’istante, ebbi l’impressione che solo il caporale maggiore Levi sembrava averlo stranamente capito.


Spazio autrice: ci riprovo con l'ennesima cavolata... Ebbene sì, ho deciso di inserire la genialità dei Pink Floyd (uno dei migliori gruppi del rock mai esistiti nella storia) nel mondo di Shingeki No Kiojin. Come si può aver constatato, la canzone presente del capitolo deriva dalla mente brillante di Roger Waters e di David Gilmour, io mi sono solo permessa di dare la mia personale interpretazione traducendolo. Il brano in questione è la fantastica quanto famosa Wish You Were Here, ho sempre pensato che fosse uno di quei pezzi che si adattassero benissimo a molti personaggi del manga: se ci pensiamo, non si tratta solo di Levi, bensì anche per quanto riguarda Eren, Mikasa, Armin in ricordo del suo caro nonno, e continuerei all'infinito! In ogni caso ve la propongo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=IXdNnw99-Ic

Spero di ricevere ulteriori consigli e suggerimenti, alla prossima!

 
  
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