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Autore: Shireith    12/03/2018    3 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8


19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:17, Parigi

Adrien si diede una rinfrescata veloce e scese al piano di sotto, dirigendosi in sala da pranzo, dove, con sua piacevole sorpresa, trovò il padre già lì ad aspettarlo, seduto a un capo del tavolo. Il giovane prese posto al capo opposto, rallegrandosi della presenza del genitore: oltre a non vederlo per giornate intere perché tutti e due molto impegnati, con una certa frequenza capitava che Gabriel non si mostrasse al figlio nemmeno durante i pasti principali della giornata. Certo, non consumavano mai senza che si sedessero ai due capi del lungo tavolo da sala, come il padre desiderava, o senza che questi si abbandonasse a lunghi silenzi, ma quelle ore passate insieme erano pur sempre una conquista.
  «Come sono andati oggi gli allenamenti, Adrien?» volle sapere il genitore in tono neutro. Anche i suoi continui aggiornamenti sulla vita del figlio costituivano una piccola conquista.
  Prima di rispondere, Adrien ebbe modo di pensare che ciò che gli aveva detto Marinette qualche giorno prima corrispondeva a verità: pur con i suoi innumerevoli difetti, Gabriel ci teneva a lui. Solo avrebbe dovuto lavorare molto sui modi in cui lo dimostrava. Ma perché questo avvenisse ci voleva un po’ di tempo. Queste sue constatazioni mentali e la domanda appena postagli dal padre gli fecero pensare al pomeriggio speso in compagnia di Marinette grazie alla bugia che gli aveva detto, e un po’ si sentì in colpa. Non troppo, perché era ancora convinto che le sue ragioni fossero più che valide. E poi era stato probabilmente uno dei pomeriggi più belli della sua vita. Non ci aveva mai pensato tanto a fondo, ma quella ragazza gli ricordava molto sua madre: quella donna era stata in grado di portare gioia e amore nella vita di Gabriel Agreste, e per far sorridere suo padre ce ne voleva davvero. Sua madre ci era riuscita perché era una persona speciale, e anche Marinette lo era.
  «Al solito» rispose. «Io e Marinette ci stiamo ancora allenando a quella giocata di cui ti ho parlato.»
  Gabriel, doveva ammetterlo almeno a se stesso, aveva cominciato a sviluppare un pizzico di interesse nei confronti di quella giovane di cui Adrien parlava con tale coinvolgimento. Suo figlio, a differenza sua, non si faceva remore nel mostrare ammirazione o interesse per qualcuno, ma quel qualcuno doveva avere qualcosa di speciale, se Adrien lo descriveva così. Pur dando impressione di ascoltare il figlio con non troppa attenzione, annotava in un angolo della sua mente ogni informazione che lui gli passava. La descriveva come fantastica in campo, una presenza talmente rilucente da offuscare tutti gli altri giocatori. Questa, però – diceva Adrien –, era solo un’impressione, perché era proprio grazie alle sue capacità che i compagni erano in grado di risplendere a loro volta – ma anche grazie alle loro, di capacità, non mancava mai di ribadire il giovane. Provava sincera ammirazione per Marinette, sì, ma anche per tutti i suoi compagni di squadra. Gabriel ricordava ancora di come, unitosi da poco ai Gatti Neri, Adrien non facesse che parlare dell’alzatore titolare, Christian – che ricordasse il suo nome, però, lo stilista non riteneva necessario farglielo sapere.
  Adrien non voleva che la conversazione finisse lì, perciò continuò: «Le alzate di Marinette sono davvero fantastiche. La prima volta che abbiamo giocato insieme ci conoscevamo appena e non eravamo per nulla in sintonia, ma alla fine della partita ha fatto un salto che l’ha fatta uscire dalla linea bianca e mi ha alzato una palla perfetta. È stato come se giocassimo insieme da anni.»
  Gabriel aveva già sentito questa storia più di una volta, ma decise di non smorzare l’entusiasmo del figlio. «Mi fa piacere che i tuoi compagni di squadra siano così stimolanti» commentò. Era sempre stato suo desiderio che il figlio crescesse a contatto con ambienti positivi che l’avrebbero incentivato a dare il meglio di sé in tutte le situazioni, essendo fermamente convinto di vivere in un mondo che non regala mai niente se non per un tornaconto personale. Sotto questo punto di vista, Gabriel Agreste si poteva definire un buon padre.
  Seguì un momento di silenzio.
  A proposito di Marinette, Adrien non aveva dimenticato come, poco più di una settimana prima, la ragazza fosse sembrata a disagio e distante quando per puro caso lui aveva visto alcuni suoi bozzetti, scoprendola interessata alla moda. Osservando la sua reazione, il giovane aveva deciso di concederle il silenzio che desiderava, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito per molto. Poi, quando quella stessa sera aveva presenziato assieme al padre a quell’evento a Le Grand Paris e aveva scoperto che la sua maison avrebbe, di lì a breve, sponsorizzato una competizione di moda, aveva avuto un’idea. Aveva un occhio abbastanza preparato da capire la bravura di Marinette anche solo da qualche bozzetto, quindi perché la ragazza era così reticente ad ammetterlo?
  A primo impatto, soprattutto vedendola giocare, Marinette raccontava la storia di una ragazza capace e sicura di sé, che non si fa mettere in testa da nessuno – come ci si aspetta da un capitano, del resto. Tuttavia, avendo avuto tempo di conoscerla più a fondo, Adrien aveva imparato che ciò era solo una parte della verità: come tutti, la giovane aveva anche dei difetti, e questi erano la sua goffaggine – non si sarebbe mai detto, vedendola giocare – e i cali di autostima di cui ogni tanto era preda. Spesso Marinette si complimentava con lui per quanto fosse talentuoso – la pallavolo, la matematica, il cinese –, dicendogli che tutti avrebbero voluto esseri come lui. Adrien, a parte non esserne del tutto sicuro – la sua vita era meno bella di quanto potesse sembrare dall’esterno –, non capiva bene il perché di tutta questa ammirazione da parte di Marinette: ai suoi occhi, era lei a essere fantastica. Avrebbe dovuto seriamente ricordarglielo, uno di quei giorni.
  «Papà,» iniziò il ragazzo, «a proposito di quella competizione di moda che sponsorizzerai… come funziona, esattamente?»
  Gabriel inarcò un sopracciglio, non aspettandosi un tale domanda da parte del figlio. «Non ti facevo così interessato, Adrien.»
  «È il tuo lavoro, certo che mi interessa.» Non era affatto una bugia: l’operato del genitore era davvero qualcosa a cui teneva, perché sapeva che la moda era la sua passione più grande. Non reputò la mancata menzione dell’idea che gli frullava nella testa come una menzogna, quanto piuttosto come un’omissione volta a preservare la privacy di Marinette. Dopotutto, nonostante reputasse ottimale ciò che aveva in mente, non avrebbe mai e poi mai agito alle spalle dell’amica.
  Gabriel non tradì il piacere che quelle parole suscitarono in lui: la moda era davvero una sua grande passione, e sebbene il suo unico figlio eccellesse in altro e non sembrasse particolarmente portato a seguire le sue orme, era confortante sapere che era quantomeno disposto a dividere quell’interesse con lui. «Si tratta di un evento pensato con un duplice obiettivo: aiutare il prossimo devolvendo una parte del ricavato in beneficienza e dare ai giovani talenti una possibilità per farsi notare.»
  Sentendo come ne parlava, Adrien capì che Marinette aveva avuto – di nuovo – ragione: pur con tutti i suoi difetti, suo padre aveva un cuore generoso. Se così non fosse stato, del resto, il giovane dubitava che una donna altruista come sua madre si sarebbe mai innamorata di lui. Sicuramente era stata capace, con gli occhi dell’amore, di superare la barriera dell’apparenza e di scavare a fondo nel suo animo, scoprendo un’altra faccia di quell’uomo.
  «Quindi c’è una fascia d’età che gli iscritti devono rispettare?»
  «Sì. Da un minimo di quattordici anni a un massimo di venticinque.»
  «E a parte questo possono partecipare tutti?»
  «Sì, con un massimo di seicento partecipanti per ogni categoria, che sono due: Miglior capo d’abbigliamento maschile e Miglior capo d’abbigliamento femminile. Non vorremmo vietare a nessuno la possibilità di farsi notare, ma c’è da capire che, considerando la fama del mio marchio e di quello di Miranda Fontaine anche al di fuori del Paese, arriverebbero fin troppe richieste.»
  «E come funzionano le eliminazioni?»
  «Per agevolare i partecipanti, i lavori che desiderano presentare devono essere inviati tramite e-mail, con allegate tutte le informazioni necessarie, come il bozzetto del capo d’abbigliamento e varie foto del modello o della modella che lo indosserà. Si può decidere liberamente in quale delle due categorie concorrere e, alla fine, verranno scelti solo due vincitori a categoria.»
  «Che la prossima estate avranno la possibilità di prendere parte a un tirocinio di due settimane presso una delle due case di moda, giusto?» domandò Adrien, ricordando quest’informazione dalla presentazione che c’era stata a Le Grand Paris.
  Gabriel annuì, poi continuò: «Saranno cinque i concorrenti ad arrivare in finale per ciascuna delle due categorie, e i loro lavori verranno indossati da modelli che sfileranno davanti ai giudici scelti per decretare i vincitori. E, a tal proposito, stavo pensando a te come uno dei cinque modelli per la categoria maschile: cosa ne pensi?»
  Adrien apprezzò molto che il padre avesse chiesto la sua opinione invece che imporglielo semplicemente. «Mi piacerebbe molto.»
  «Molto bene» commentò. Finita la propria cena, l’uomo si passò con grazia il fazzoletto ai lati della bocca, poi lanciò un’occhiata all’orologio affisso al muro e annunciò che sarebbe tornato nel suo ufficio per rimettersi al lavoro. Prima di sparire al piano di sopra, tuttavia, disse un’ultima cosa: «Miranda mi ha informato che esiste un sito web che spiega passo per passo come iscriversi e partecipare: se la persona a cui stai pensando è interessata, digli che troverà tutto lì. Logicamente non farò preferenze solo perché è tua amica.» Adrien fece un’espressione confusa. «Non sono nato ieri, figliolo» gli fece notare il padre, abbandonandolo poi ai suoi pensieri e dirigendosi in ufficio.

20 ottobre 2017, venerdì,
  ore 19:59, Parigi

«… quindi ne consegue che x è uguale a…?»
  «… 3?» fece Marinette, non molto sicura della sua risposta.
  «Esatto, 3» disse Adrien sorridendo. Era sinceramente felice che Marinette stesse progredendo in modo costante, considerato anche il fatto che i primi giorni tendeva a scoraggiarsi al primo errore. «Non hai sbagliato neanche un esercizio, finora» ci tenne a farle sapere.
  «Posso concorrere per il Nobel.»
  «Oh, sicuramente.»
  «Chi è Marie Curie in confronto a una ragazza che sa risolvere un’equazione?» scherzò, scoppiando a ridere assieme a lui.
  «Hai fatto davvero molti progressi, Marinette» tornò a ripetere Adrien, volendo che la ragazza andasse fiera dei successi che aveva ottenuto.
  La giovane sorrise. «Ed è tutto merito tuo.» Dopo la pallavolo, la scuola era la sua preoccupazione maggiore e, nonostante l’intensità degli allenamenti fosse una giusta scusante, non le era mai piaciuta la difficoltà che incontrava in quella materia. Dopotutto era il tipo di persona a cui piaceva dare il massimo in tutto ciò che faceva.
  «Io ho fatto solo metà del lavoro» le volle ricordare Adrien. «Quella più facile.»
  Marinette aggrottò le sopracciglia. «Non sono molto sicura che insegnare la matematica a me sia poi così tanto facile.»
  «Sei una bravissima alunna, te l’assicuro.»
  «Oh, be’, sicuramente più brava di te a imparare come non ricevere con la faccia.» Se la rise quando il ragazzo le rivolse uno sguardo imbronciato, avendogli lei appena ricordato quelle – poche – volte in cui aveva avuto luogo lo sfortunato incidente.
  Adrien abbandonò ben presto la – più che altro finta – offesa subita e rise a sua volta, contagiato dall’amica. «Poiché io stavo solo cercando di incoraggiarti e tu mi ripaghi così, ti perdono solo se mi fai assaggiare un po’ dei macaron di tuo padre.»
  «Quanti, trenta?»
  «E se mi fai un altro piccolo favore.»
  «Pure?»
  Di nuovo Adrien rise con lei, ma ben presto si fece serio. Ci aveva pensato bene prima di tirare fuori la questione, ben consapevole che avrebbe potuto contaminare quel clima di spensieratezza che stavano assaporando. Tuttavia sentiva che era una di quelle volte in cui si preferisce mettere i bisogni degli altri dinanzi ai propri: sì, probabilmente avrebbe rotto la magia del momento, ma sentiva che c’era qualcosa che Marinette non gli stava dicendo, qualcosa di importante.
  L’amica notò la sua improvvisa serietà e si preoccupò. «Adrien, tutto bene?»
  «Sì, tutto a posto. È solo che, ecco… vorrei parlarti di una cosa e potrebbe non piacerti.»
  L’alzatrice poté pensare a una cosa soltanto, ma ancora non volle dare nulla per scontato, perciò si apprestò a chiedere: «È successo qualcosa con tuo padre?» Sapeva quanto fossero complicati i loro rapporti, e se Adrien diceva che c’era un problema, il suo primo pensiero andava al signor Agreste. Si ricordò dell’uscita del pomeriggio precedente e giurò che se il suo amico era stato scoperto dal genitore ed era nei guai per quello, lei non se lo sarebbe mai perdonato.
  «No, non è quello» volle rassicurarla. In un impulso dettato dall’istinto, la sua mano cercò quella di Marinette e vi si posò sopra. Un gesto compiuto non a mente lucida, che un po’ lo imbarazzo e gli fece avere ripensamenti – era appropriato? Che cosa avrebbe pensato, l’amica ? –, ma sempre il suo istinto gli diceva che era la cosa giusta da fare, perché non voleva vederla in ansia per qualcosa che non era nemmeno successo.  «È… per quella faccenda dei tuoi bozzetti» rivelò, e ritenne più opportuno ritirare la mano, perché, vista la sua reticenza della volta precedente circa la questione che aveva appena tirato fuori, quel contato avrebbe potuto non piacerle.
  «Ah» rispose semplicemente lei, non sapendo bene cosa dire. Aveva apprezzato la discrezione dell’amico fino a quel momento e aveva sperato, seppur ingenuamente, che la questione non saltasse più fuori. Era tutto molto confuso e incerto: se era questo lo stato attuale delle cose nella sua mente, come poteva dare ad altri una risposta certa?
  «Ti va se ti dico l'idea che mi è venuta in mente e tu mi ascolti? Giusto per sapere se potrebbe piacerti» propose, dimostrando tutta la discrezione di cui era capace. «Solo se vuoi, chiaramente...»
  Marinette apprezzò i suoi modi pacati: questo, unito al crescente bisogno di rivelare il suo segreto almeno a una persona, la convinse ad accettare. Inoltre pensava che un parere esterno e quindi obiettivo avrebbe potuto aiutarla a fare chiarezza nella sua mente. «Ti ascolto» lo invitò a parlare.
  Adrien si schiarì la voce e iniziò: «La settimana scorsa, quando io e mio padre siamo andati a quell’evento a Le Grand Paris, ho scoperto che la sua maison e quella di Miranda Fontaine sponsorizzeranno una competizione di moda. Il premio consiste in due settimane di tirocinio presso la casa di moda di uno dei due. Pensavo che potresti partecipare, anche solo per metterti in gioco e vedere come va a finire.» Il silenzio a cui si prestò la ragazza – speso a contemplarsi le mani – parlò per lei. «Ma tu non vuoi partecipare, vero?» ne dedusse l’amico, cercando il suo sguardo.
  Passarono pochi istanti e finalmente Marinette ristabilì il contatto visivo. «Non credo sarebbe una buona idea» confessò, socchiudendo per un momento le palpebre.
  Non sembrava troppo infastidita da quella conversazione, perciò Adrien volle continuare, senza insistere troppo, dandole i suoi spazi, i suoi tempi. «Perché no?»
  «Sarebbe inutile.» Adrien – lecitamente – non aveva ancora capito il nocciolo della questione, perciò Marinette cercò di fare il punto della situazione, senza però rischiare di scavare troppo in profondità. Non era ancora il momento. «Sono anni che gioco a pallavolo e sono brava: non servirebbe a niente cercare di inseguire un’altra strada che potrebbe non portarmi da nessuna parte e che anzi potrebbe sottrarre tempo prezioso alla pallavolo.» Questo, almeno, era ciò che diceva la sua parte razionale: anche il cuore ci teneva sempre a dare voce ai propri pensieri, e Marinette non sapeva mai quale delle due vie seguire.
  «Non eri tu quella che temeva un futuro da barbona nel caso di un infortunio serio?»
  Quelle sue parole le strapparono una risata, e in quel momento Adrien pensò che non ci fosse suono più bello. «Questo è un colpo basso.»
  Aveva comunque capito i dubbi che affliggevano Marinette: nella pallavolo era brava – dannatamente brava, a suo avviso –, non avrebbe avuto troppe difficoltà nel farsi una carriera. Quindi perché seguire una strada che piena di “forse”, se il suo cammino sembrava essere già scritto e si prospettava pieno di successi? Era lo stesso discorso che aveva sostenuto più volte suo padre di fronte al suo desiderio di lasciare la scherma per dedicarsi alla pallavolo. Aveva passato anni ad affinare il suo talento nella scherma, quindi perché annullare tutte le sue precedenti fatiche e dedicarsi a uno sport che per lui era un grande punto interrogativo? Si era chiesto a lungo che cosa fosse meglio seguire, se l’istinto o le argomentazioni del padre.
  Marinette, dal canto suo, era stata coraggiosa a esporsi così tanto: non è facile farlo, nemmeno con le persone più care. Ritenne dunque corretto nei suoi confronti ricambiare quella fiducia – chissà, forse l’avrebbe anche aiutata a prendere finalmente una decisione. «Ho avuto gli stessi dubbi quando ho iniziato a pensare alla pallavolo come a un rimpiazzo della scherma.» Dallo sguardo carico di interesse che la ragazza gli lanciò, capì di aver preso la scelta giusta, decidendo di confidarsi con lei.
  «E che cos’hai fatto?»
  «Ho pensato, discusso con mio padre, pensato, discusso con mio padre e ancora pensato mentre discutevo con mio padre… e alla fine sono giunto alla conclusione che restare nella mia zona di sicurezza mi avrebbe fatto restare con il dubbio di che cosa sarebbe potuto succedere per tutta una vita.» Gli venne da pensare che, se avesse continuato con la scherma, non avrebbe mai potuto conoscere Marinette, e il solo pensiero lo terrorizzava. Considerò se rivelarle questo dettaglio o meno, tuttavia decise di tenerlo per sé quando si rese conto che così la conversazione avrebbe potuto assumere toni… strani. «Sai,» continuò, «ancora adesso non so quale sia la mia strada. Molti si aspettano che erediti la maison di mio padre, se non come stilista come parte del consiglio di amministrazione, poiché sono bravo con i numeri. Ma io non so se è questa la mia strada, se voglio continuare a giocare a pallavolo a livello professionale o se voglio cimentarmi nello studio di altro.»
  Dopo tanto tempo, Marinette si sentiva finalmente capita. Pur non eccellendo in materie come la matematica o il cinese e non essendo la figlia di un importante imprenditore, una cosa li accomunava: l'impegno e l’amore che entrambi mettevano nella pallavolo. Era dunque normale, dall’esterno, pensare che il loro futuro proseguisse in direzione di quella strada – o di altre per Adrien –, ma gli altri si erano mai fermati a pensare che loro potessero volere qualcosa di diverso?
  Era infinitamente grata all’amico per essersi mostrato così vulnerabile e aver condiviso con lei un comune dubbio esistenziale, il cui peso era più leggero, se sostenuto in due. «Tuo padre che cosa ne pensa?» Marinette sapeva bene di avere due genitori molto comprensivi e disposti al dialogo, ma il timore di dar loro una delusione era comunque lì: sarebbe stato interessante confrontare il suo punto di vista con quello di Adrien, a cui il caso aveva assegnato un genitore molto più complicato.
  «Non lo so, non ne abbiamo mai parlato apertamente. Credo che in parte sia perché ho paura di ciò che potrebbe uscire fuori.»
  L’amica annuì: era anche il suo timore principale.
  Stettero in silenzio per alcuni minuti, ognuno immerso nel flusso dei propri pensieri.
  «Adrien?» lo richiamò all’attenzione dopo un po’, distogliendolo da qualunque fossero le riflessioni che lo tenevano impegnato nella contemplazione del pavimento. «Grazie» disse di cuore, immensamente grata per averla aiutata ad alleggerire il peso che portava da mesi. «Grazie davvero.»
  Adrien rispose con un sorriso. Marinette non solo parlava di lui come se fosse un essere eccezionale, fuori dall’ordinario, ma era anche convinta che fosse questa specie di eroe che correva in suo soccorso in qualsiasi occasione, come infatti succedeva con la matematica o quando qualcosa l’affliggeva. Non si rendeva conto, la ragazza, di quanto anche lei fosse diventata importante nella vita del giovane. Chi aveva il sorriso più bello che avesse mai visto, tanto simile a quello della madre che tanto aveva amato e ancora amava? Chi l’aveva aiutato ad affinare la sua tecnica nella pallavolo, prima decisamente più grezza? Chi gli aveva regalato uno dei pomeriggi più belli della sua vita? Chi aveva il padre pasticcere da cui avrebbe potuto scroccare un’infinità di dolci? Come si poteva rimanere indifferenti di fronte a tutte queste informazioni, soprattutto l’ultima?
  «Allora me li fai assaggiare, questi macaron di tuo padre?»
  «Sì, a patto che mi spieghi meglio in che cosa consiste la competizione di cui mi parlavi prima.»
21 ottobre 2017, sabato,
  ore 9:49, Parigi

Il sabato mattina, tre erano le attività che Marinette, alternandole, amava svolgere: dormire, uscire con Alya e aiutare i genitori in pasticceria. Quel sabato le era toccato quest’ultimo compito, poiché Alya era a sua volta impegnata con le sue pestifere sorelle e di dormire non se ne parlava neanche, vista l’attitudine di suo padre a entrare in camera sua non rispettando la sua privacy e a svegliarla con il suo vocione da gigante buono. Col senno di poi, era più una conquista che una perdita, perché a discapito di qualche ora di sonno aveva la possibilità di passare più tempo in compagnia dei suoi amati genitori, cosa che non accadeva abbastanza frequentemente. Inoltre suo padre possedeva come la convinzione che sua figlia non fosse mai sazia e che, con tutto il moto che faceva, potesse permettersi più di un assaggio di tutte le sue creazioni migliori. Peccato che queste arrivassero alla sua bocca con una frequenza spaventosa e in quantità industriali.
  La presenza di Adrien non era mai stata più necessaria, pensò Marinette quando il padre si presentò di fronte a lei con l'ennesimo dolce appena sfornato. «Questo è squisito» le assicurò.
  «Lo dici di ogni dolce che esce dalla cucina.»
  «Sì, ma questo lo è ancora di più.»
  «Anche questo lo dici ogni volta.»
  «Tu assaggia e vedrai» la invitò Tom, mettendole sotto il naso un Financier dall'aspetto invitante.
  Come poteva, lei, resistere alla tentazione, se suo padre glielo chiedeva con occhi da cucciolone, mentre il profumo squisito della sua ultima creazione stuzzicava il suo olfatto? «E va bene, solo un po’.» Ma sapevano entrambi che non era vero, perché Tom sarebbe andato di là a cucinare altri dolci a cui Marinette non avrebbe saputo resistere. «Se divento una botte sarà tutta colpa tua, papà.» Ne prese un pezzo più grande di quanto avrebbe voluto e se lo portò alla bocca: questo quasi si sciolse, deliziandole le papille gustative con il suo prelibato sapore.
  «Com’è?» chiese Tom, attendendo con trepidazione il parere della figlia. Parere che sarebbe sicuramente risultato positivo, perché lui era un ottimo pasticcere e lei l’amava così tanto da trovare speciale qualsiasi dolce uscisse dalle sue attente mani.
  «Mi sembra di essere in paradiso.»
  Il padre sorrise di gioia. «Aspetta di assaggiare il prossimo, allora!» le anticipò, correndo in cucina e lasciando lì l’ennesimo dolce che Marinette e sua madre avrebbero spazzolato nel giro di poco tempo perché troppo invitante per essere ignorato.
  Poco dopo la sparizione di Tom e Sabine in cucina, entrò in negozio Nadja Chamack, una giornalista di una certa fama amica dei genitori di Marinette e madre di una peste a cui la ragazza faceva ogni tanto da babysitter.
  «Salve, signorina Chamack.»
  «Ciao a te, Marinette.»
  Manon spuntò all’improvviso, facendo un salto e aggrappandosi saldamente ai bordi del bancone, dondolando le gambe avanti e indietro. «Marinette, hai vinto anche l’ultima partita, vero?» Manon si poteva dire una grande fan delle Coccinelle.
  «L’ultima amichevole contro le Aquile e le Serpi l’abbiamo persa per un soffio, ma abbiamo vinto quella della scorsa settimana e anche le semifinali» la informò.
  «Wow!» esclamò Manon, sinceramente colpita. «Quindi siete in finale?»
  «Sì» rispose, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia.
  «Nei Gatti Neri c’è anche il figlio di Gabriel Agreste, vero?» s'intromise a quel punto Nadja. «Giocate insieme, mi pare.»
  «Sì,» confermò, «e finora siamo stati sempre titolari.»
  «Mamma, possiamo andare a vedere Marinette giocare, qualche volta?»
  «N-Non ce n’è bisogno…» balbettò la ragazza. Era sicura che il lavoro tenesse Nadja molto occupata e non voleva che si sentisse costretta a dire di sì soltanto perché la figlia gliel’aveva chiesto in sua presenza.
  «In verità mi farebbe molto piacere» fu la risposta che non si aspettava. «Non ho mai assistito a una partita di pallavolo dal vivo e sarebbe interessante vederne finalmente una, senza contare che si tratta di un’iniziativa che fa molto parlare di sé, stando a quello che ho sentito.»
  Marinette non poté darle torto. Era sicuramente merito di Antoine e Jacqueline, che si erano sinceramente premurati di spargere la notizia il più possibile. «Tutto merito degli allenatori. Sono riusciti persino ad attirare l’interesse di una piccola rete locale.»
  «Oh, allora verrò sicuramente.» Se in giro c’erano delle telecamere e qualcosa di interessante da riprendere, Nadja Chamack non avrebbe tardato ad arrivare.
  «Marinette,» riprese parola Manon, «è vero che il tuo amico vola?»
  La giovane rise. «Chi, Adrien? Ma no, è solo molto bravo a saltare. Proprio come un gatto.»
  Siccome la conversazione era ricaduta nuovamente sul figlio di uno degli stilisti più rinomati di Parigi, nonché dell’intera Francia, Nadja si sentì in diritto di chiedere: «Gabriel Agreste è mai venuto a una partita? Sono mesi che vorrei strappargli un'intervista, ma quell’uomo è peggio di talpa.»
  Marinette liberò una risatina, non potendo di fatto darle torto: che lei sapesse, il padre di Adrien era una delle figure più sfuggenti e riservate dell'intero Paese. Da ammiratrice del marchio Agreste qual era, le avrebbe fatto piacere poter emulare le orme di uno stilista di cui si sapeva di più. Tuttavia reputava la sua riservatezza una nota a suo favore, perché questo diceva di lui che non era il tipo d’uomo che ha bisogno di scandali o pettegolezzi circa il suo conto per il mero desiderio di essere sempre sulla bocca di tutti. Anche dopo più di dieci anni di carriera, il nome di Gabriel Agreste era ancora ben impresso nell’immaginario collettivo, perché aveva da offrire qualcosa di vero, significativo.
  «No, finora non si è mai presentato.»
  «Come c’era da aspettarsi» commentò Nadja, sconsolata. «E suo figlio invece com’è?»
  «In che senso?»
  «Bello, bravo…? Ha qualche storia con qualcuna delle tue compagne?»
  Marinette arrossì e balbettò un no come risposta: voleva bene a quella donna, davvero, ma il suo lato da giornalista non andava mai in vacanza e alcune volte risultava fin troppo invadente. Fortuna che Alya non era così e superava il limite solo qualche volta, senza farlo a posta.
  Comunque, la ragazza fu grata che Nadja non avesse fatto considerazioni su di lei, anche se il perché un po’ la incuriosì. Che cosa l’aveva dissuasa dal domandare se tra lei e il figlio di Gabriel Agreste ci fosse qualcosa? Discrezione? Sicuramente no. Non la riteneva idonea a frequentare un ragazzo dell’alta società? No, almeno non credeva. Nadja aveva insinuato qualcosa sulle sue compagne di squadra, che nemmeno conosceva, quindi perché non farlo con lei? Era un interrogativo interessante, considerato anche il suo recente innamoramento per Adrien, ma non ebbe il coraggio di porle quella domanda. Se l’avesse fatto e Nadja fosse saltata a conclusioni affrettate? Era una tale chiacchierona… Meglio tacere.
  Sabine uscì in quel momento dalla cucina, avvicinandosi al bancone con un vassoio di macaron appena sfornati. L’odore raggiunse subito l’olfatto della figlia, che non seppe resistere. «Mamma, ti prego, di’ a papà di smetterla.»
  «Glielo ripeto da anni, cara, purtroppo senza successi.» La donna si accorse allora della presenza di Nadja e la salutò, offrendole un macaron. La giornalista disse di trovarsi lì perché voleva sapere se la torta che aveva ordinato qualche giorno prima in occasione del compleanno di un suo superiore fosse pronta. «Mi serve per l’ora di pranzo, ma siccome ero da queste parti ho pensato di fare una visita veloce e vedere come procedevano le cose. Spero di non disturbare.»
  «I clienti sono sempre i benvenuti» rispose Sabine. «Se hai cinque minuti, ti mostro gli ultimi ritocchi che Tom sta apportando tra un dolce e l’altro. Marinette, occupati dei clienti mentre sono via» si raccomandò, nonostante non ce ne fosse bisogno, con una figlia diligente come la sua. Dunque Sabine, Nadja e Manon raggiunsero Tom in cucina.
  Le visite inaspettate non erano ancora finite. Quando la porta del negozio si aprì, facendo suonare il campanello sistemato sulla sommità dell’entrata, la giovane credette che la vista le stesse giocando un tiro mancino. «Adrien» pronunciò il suo nome sorridendo, il ragazzo in questione che le veniva in contro. Era felice di vederlo, ma anche molto preoccupata. «Dimmi che non hai rifilato a tuo padre un’altra bugia» disse, l'amico che ormai l'aveva raggiunta e la guardava dall'altro lato del bancone. «La prima volta è andata molto male e se lui scoprisse che l’altro giorno gli hai mentito di nuovo andrebbe su tutte le furie, figurati che cosa succederebbe se sfidassi la sorte una terza volta.»
  «Tranquilla, mamma, non ho mentito a papà.» Marinette fece una smorfia, a cui lui rispose con un sorriso di scherno. «Ero di ritorno da un servizio fotografico e ho chiesto a Nathalie di darmi un po’ di tempo per assaggiare i macaron più buoni della città. Credo di averla convinta promettendole che gliene avrei portato qualcuno. Sai, non si direbbe, ma Nathalie è più umana di quanto sembri e credo che anche lei abbia un debole per i dolci. Una volta l’ho vista gironzolare con curiosità attorno alla cucina perché il cuoco aveva preparato dei macaron buonissimi, quel giorno.»
  «Scommetto che l’hai vista perché cercavi di sgraffignarne qualcuno anche tu.»
  «Mi pare ovvio.»
  «Lo sospettavo.»
  E poiché si stava parlando di dolci, Adrien notò solo allora il vassoio di macaron appena sfornati, usciti dalle mani di un pasticcere che Marinette riteneva bravissimo. Non poteva non assaggiarli.
  Dal canto suo, l’amica si stupì che l’olfatto-capta-dolci di Adrien ci avesse messo così tanto a sentirne l’odore.
  Il giovane li fissava in un modo che cominciava a farsi inquietante. Marinette aveva l’impressione che se fossero stati in un cartone animati, gli occhi di Adrien avrebbero iniziato a comportarsi come una slot machine e avrebbero urlato Jackpot!. «Tieni, Scooby-Doo» disse, allungando il vassoio nella sua direzione.
  Il ragazzo non si fece ripetere l’invito due volte e ne agguantò subito uno, risucchiandolo all’interno del suo stomaco e assaporandolo con gusto. «Hai proprio ragione, tuo padre fa i migliori macaron che abbia mai assaggiato.»
  «Glielo farò sapere» disse, e intanto Adrien ne aveva già preso un altro. Non si preoccupò che li finisse tutti lui soltanto perché quel giorno aveva mangiato già troppo e non erano neanche le undici di mattina. «Adesso la tua parte dell’accordo, però. Come funziona la competizione di cui mi hai parlato ieri?»
  «Trovi tutto sul sito.» Secondo macaron andato, terzo nelle mani dell’aspirapolvere biondo.
  Marinette gli diede un pugno amichevole sul braccio. «E dai!»
  «Sono serio!»
  «E sarebbe tutto qui, il tuo grande sforzo? Io ti ho offerto i macaron!»
  «Che tuo padre ha cucinato, svolgendo di fatto il lavoro sporco. Stessa cosa che ha fatto mio padre con l’organizzazione della competizione e la creazione del sito web.» Falso. «Vedi? Siamo pari!» Ancora più falso, perché a godersi la squisitezza di quei macaron – tre andati – era lui.
  «Vuoi che partecipi sì o no? Perché a me sembra che ti interessi più dei macaron che di tutta questa faccenda.»
  «Così mi offendi, Marinette» recitò, portando una mano sul cuore con teatralità, in quel modo un po’ fastidioso ma buffo che solo lui sapeva fare. «Comunque mi interessa davvero che tu partecipi, ma questi macaron sono veramente buoni. Sono fatti con le nuvole?» Quarto andato. Quinto nelle mani dell’aspirapolvere.
  «So che sono buoni, ma non ti sembra di star esagerando?» chiese Marinette, pur sorridendo di fronte all’ingenuità che Adrien dimostrava di fronte a quei dolci – ma restava pur sempre inquietante, un amore passionale e morboso su cui ci si poteva scrivere un libro.
  «Assolutamente no! Facciamo così: ti dico tutto quello che vuoi sapere se ne assaggi uno e hai il coraggio di dirmi che non sono i macaron più buoni che tu abbia mai assaggiato.»
  «Promesso?»
  «Promesso.» Quindi fece una cosa che fece arrossire Marinette fino alla punta delle orecchie – e che la portò a viaggiare fin troppo con la fantasia: agguantò un sesto macaron (il quinto era suo!) e lo portò alle labbra di lei, che lo addentò con imbarazzo. «Allora?»
  «Lo ammetto, mio padre questa volta si è superato. Sì, ma non te lo finire tu! Ne hai già mangiati quattro nel giro di due minuti! Adrien!»
  Il ragazzo rise e le restituì la metà del dolce, non avendo mai avuto intenzione di rubarglielo – nel vassoio ce n’erano ancora tanti pronti a deliziarlo. Marinette ne mangiò l’altra metà con Adrien che ancora lo reggeva per lei, per gioco. Questa volta, il gesto le sembrò meno strano e imbarazzante. Almeno finché un colpo di tosse non giunse alle loro orecchie, seguito da una voce che disse: «Interrompiamo qualcosa?» Una voce che Marinette conosceva fin troppo bene: quella di sua madre. Desiderò poter sprofondare sotto terra e vivere lì per sempre assieme alle talpe.
  Si girò di scatto, balbettando cose senza senso. Da quanto erano lì, quelle tre? Cosa avevano visto? E soprattutto, cosa aveva visto Nadja? Aveva paura di scoprirlo.
  «Che cosa stavate facendo?» continuò la madre, l’ombra di un sorriso divertito che si stava sforzando di trattenere. Marinette si sentì ancora più in imbarazzo, ma la domanda la rassicurò del fatto che le tre non avevano visto niente che avrebbero potuto fraintendere. Né avevano sentito ciò che Marinette non voleva che sentissero. Sicuramente avrebbe parlato ai genitori dei dubbi circa il suo futuro e dell’idea di partecipare alla competizione di moda, ma non così. Si sarebbero seduti e ne avrebbero discusso con calma, da persone civili.
  «Ehm… Adrien stava assaggiando i macaron che papà ha preparato poco fa.»
  «Spero siano di suo gradimento.» Sabine e Nadja si allontanarono l’una dall’altra e dallo spazio che si era generato tra le due spuntò Tom, che in mano stringeva un'altra delle sue creazioni che Marinette avrebbe dovuto assaggiare. Tuttavia, non mancando di buone maniere, il pasticcere posò il vassoio sul bancone e si avvicinò al giovanotto in compagnia di sua figlia. «Adrien, giusto? Marinette ci ha parlato così tanto di te!» La giovane era sicura che il padre avrebbe continuato a parlare fino a farle desiderare di dire addio alle talpe e potersi trasferire direttamente su Marte, se solo sua madre, più discreta e ferrata del marito in certe questioni amorose, non fosse giunta in suo soccorso. Certo, c’erano ancora da vedere le mille domande e insinuazioni che Sabine avrebbe avanzato dopo, quando Adrien non sarebbe stato più lì.
  «Mamma, papà, signorina Chamack, Manon, questo è Adrien, il mio compagno di squadra. Adrien, mio padre, mia madre, Nadja Chamack, una giornalista amica di famiglia, e sua figlia Manon.»
  «Piacere» disse Adrien, stringendo la mano a tutti e quattro, anche alla piccola Manon. Era un ragazzo a modo, e questo non sfuggì all’occhio vigile di Tom. Non era uno di quei padri che desiderano controllare la vita amorosa della propria figlia, ma se proprio Marinette doveva interessarsi all’altro sesso, il minimo necessario era che si trattasse di ragazzi per bene.
  «Adrien, il piacere è tutto mio» disse Nadja. «Sai, sono una grande fan di tuo padre. Mi piacerebbe intervistarlo, qualche volta.» No, non sarebbe mai cambiata, quella donna.
  «Ah… grazie. Glielo farò sapere.»
  Ad aggiungere la beffa al danno ci pensarono Manon e la sua discrezione. «Voi due siete fidanzati?» Era davvero un tesoro di bambina, ma qualche volta Marinette avrebbe tanto voluto concretizzare l’idea di scaraventarla giù dalla torre Eiffel. Così, per amore della scienza e degli studi sulla gravità.
  «Cosa?!» esclamò. «No! Assolutamente no!»
  Adrien rimase colpito dal modo in cui la ragazza aveva reagito di fronte alle insinuazioni di Manon: gli faceva davvero tanto ribrezzo, l’idea che loro due potessero essere fidanzati? Non pensava di essere così male, anzi, credeva di piacerle. Ma probabilmente non in quel senso. Non che fosse intenzionato ad approfondire il loro rapporto da un punto di vista sentimentale... però… Ma no, erano solo buoni amici.
  Per fortuna di Marinette, l'imbarazzante questione non venne ulteriormente approfondita, poiché Nadja annunciò che per lei e la figlia si era fatto tardi ed era ora di andare. Salutò i quattro con la promessa che sarebbe tornata poco più tardi per ritirare la torta per il suo superiore e si dileguò.
  Rimasti finalmente soli, Marinette si sentì meno tesa. Non che non le piacesse Nadja, solo che i suoi modi invadenti tendevano a metterla a disagio, se si trattava di questioni personali. «Papà, Adrien è ufficialmente il fan numero uno dei tuoi macaron» disse. L'idea che vedeva lei e Adrien fidanzati non le dispiaceva affatto, tutt'altro: non poteva più negare a se stessa che fosse innamorata persa. Tuttavia sapeva di non essere altro che un'amica, per lui, quindi situazioni come quella di poco prima potevano generare grande imbarazzo. Ad ogni modo, nonostante non ricambiasse i suoi sentimenti, Adrien era un caro amico, e fin da quando si erano chiariti circa il disguido del primo giorno Marinette non aveva desiderato che presentarlo ai suoi genitori. Gli sarebbe sicuramente piaciuto.
  «È verissimo, signore» confermò Adrien. Dato il fraintendimento generato dalla domanda di Manon – certo che quella bambina e sua madre erano proprio due campionesse di discrezione –, il ragazzo aveva il timore che Tom, preda, come tutti i padri, del primordiale istinto di proteggere le proprie figlie femmine, non lo avesse preso molto in simpatia.
  Tuttavia, i pensieri che frullavano nella testa del pasticcere suggerivano tutto l'opposto: non c’era niente di più bello, per lui, che ricevere complimenti per la propria cucina, e se Adrien avesse mai voluto il permesso di frequentare sua figlia, era già a buon punto. «Oh, mi fa molto piacere. Sai, ti rivelerei volentieri il segreto, ma poi che segreto sarebbe? Però puoi mangiarne quanti nei vuoi.»
  «Come se non l’avesse già fatto» commentò ridendo Marinette sotto voce, facendosi sentire di proposito.
  «Non c’è niente di male nell’apprezzare la mia cucina, cara.»
  «Ti va di fermarti a pranzo, Adrien?» s’intromise a quel punto Sabine, avanzando l’invito con cordialità.
  «Ah… la ringrazio molto, ma non posso. L’assistente di mio padre mi sta aspettando qui fuori e l’ho già fatta attendere troppo. Chiedo scusa.» Non era abituato a tutto ciò: un ambiente caldo e accogliente degno di qualsiasi casa che si rispetti; due genitori che si amano e trasmettono quell’amore anche ai propri figli. Era diventato ormai estraneo a quel concetto di famiglia, e a dire il vero non era mai successo che i genitori di un amico lo invitassero a fermarsi da loro per il pranzo. Avrebbe dato chissà cosa per poter accettare, ma non ne aveva la possibilità. Sperava solo di non essere sembrato troppo maleducato, a rifiutare così un gesto di cortesia.
  «Non ti preoccupare, Adrien, capiamo benissimo» lo tranquillizzò Tom. Era davvero un bravo ragazzo ed era felice che fosse amico di sua figlia. «Vuoi un po’ di macaron da portare a casa?» Gli occhi del ragazzo sembrarono urlare di nuovo Jackpot!.
  Alla fine, Adrien tornò da Nathalie con una quindicina di macaron e qualche altro dolce cucinato in precedenza da Tom.
  «Adrien, eh?»
  «N-Non è affatto come pensi tu, mamma.»
  «Sì, sì, ti credo.»



Note dell'autrice
 Sono viva! Nuovamente reduce da una connessione ballerina, ma viva. Mi scuso per il ritardo e anche per non aver risposto alle vostre – bellissime – recensioni, nonostante abbia avuto diversi sprazzi di connessione nell’arco di queste ultime giornate passate lontane dal sito. Diciamo che in generale non sono una campionessa di puntualità nel rispondere – peggio di Marinette, insomma –, e non vorrei che questa mia mancanza venisse fraintesa come un disinteresse da parte mia, perché in verità tengo molto a ogni singola recensione che ricevo. Sono una di quelle persone a cui piace scrivere soprattutto per se stessi, come passatempo, come modo per scaricare lo stress (?) – e, nel caso delle fanfiction e delle storie originali, per dare vita a situazioni da fangirlaggio estremo che vorremmo vedere accadere anche nel canon (accidenti a te e ai prosciutti che hai dato a ‘sti due, Astruc!). Ma, per quanto mi riguarda, non sarebbe altrettanto bello se non ci fosse qualcuno a commentare lì con te, qualcuno che ti dicesse cosa pensa delle tue storie, nel bene e nel male. Quindi scusate e perdonate i miei ritardi per come perdonate Adrien per preferire i dolci a Marinette. E a proposito, siccome io amo Adrien e amo i dolci e se non fosse per Marinette sarei Adrien x Dolci-Di-Tom-Dupain, non posso mica evitare di sottolineare l’amore di Adrien per i dolci. Davvero. Se non l’avete notato – ma sono piuttosto sicura di sì –, ripescate l’episodio di Gamer e osservate la delusione di Adrien quando Marinette caccia via Tom e i suoi dolci. Non credo abbia mai sofferto così tanto in vita sua.
   Quindi, se anche voi amate Adrien, i dolci e Adrien e i dolci (quante volte ho detto "Adrien" e "dolci"?) come coppia subito dopo l’Adrienette/la LadyNoir/la Marichat/la Ladrien/comunque-sono-troppi-nomi e mi avete perdonato, potreste preferire fermarvi qui nella lettura e non proseguire oltre, perché quelle che seguono sono le note estremamente prolisse della sottoscritta.
  Gabriel. Sappiamo tutti che il suo personaggio è questa figura stoica con una scopa infilata su per quel posto lì, ma c’è ancora molto da dire per quanto riguarda non solo lui ma anche il rapporto con Adrien e la moglie. Per quanto concerne quest’ultima, io sono sicura che insieme siano un’esplosione di fluff. Gabriel l’ha amata tantissimo e la ama ancora, altrimenti non cercherebbe di riportarla indietro con tanta disperazione. Di lei non abbiamo visto che qualche foto, ma dal modo in cui sorride me la immagino simile a Marinette, ossia una donna buona, gentile e altruista, che affronta la vita con il sorriso. Credo che lei sia la ragione principale per cui Adrien è venuto su così pieno di affetto, sempre pronto a dare al prossimo. Pur non avendoli ancora visti come coppia, dall’idea che mi sono fatta di loro me li immagino molto teneri, con lei che sorride sempre ed è tipo il sole dei Teletubbies e lui Mr. Io-Non-Sorrido-Mai™.
  Poi c’è Adrien, suo figlio. Come ho ribadito diverse volte all’interno degli ultimi capitoli, Gabriel gli vuole molto bene, solo sbaglia a dimostrarlo. Il loro rapporto non si riduce soltanto a “Mio padre non mi fa uscire di casa”/“Non voglio che mio figlio esca di casa”: c’è di più, e francamente non vedo l’ora di vederlo.
   Questa storia è un AU (perché non si era capito), quindi, come ho già detto in precedenza, le differenze con l’opera canonica ci sono. Adrien e Marinette non sono uniti dalla loro seconda identità, ma dalla pallavolo, che, a differenza dell’essere supereroi, è anche una carriera lavorativa (certo, sarebbe comodo poter scrivere nel curriculum “Vi salvo il fondo schiena tra un pasto e l’altro perché sono Ladybug/Chat Noir, quindi assumetemi”, ma a meno che voi non siate Tony Stark non è molto fattibile). Marinette ha passato molti anni della sua vita ad affinare il suo talento, quindi qui ha già una strada da seguire. Ma a me la Marinette stilista piace troppo. Anche a me, come lei, piace disegnare (non ho la metà del suo talento, ma vabbè), mi piacciono i capi d’abbigliamento che è in grado di creare e mi piace anche che questa sua passione la unisca ancora di più ad Adrien, essendo lui modello e suo padre uno stilista molto rinomato. Ci tenevo che conservasse il suo interesse per la moda. Però, in un AU come questa, mi sembra più che legittimo che, con un’altra passione come la pallavolo, la ragazza abbia dei dubbi circa il suo futuro. Con Adrien è leggermente diverso: secondo una mia personale interpretazione, anche nell’opera canonica potrebbe arrivare per lui un momento in cui sia indeciso su quale carriera lavorativa intraprendere: il padre ha fatto sì che fosse sia modello sia schermista e che imparasse al tempo stesso a parlare cinese e a suonare il pianoforte, e a giudicare da ciò credo che sia bravo anche in altre materie – come, nella mia testa, in matematica. Può fare davvero tantissimo. L’unica opzione che mi sento di scartare è che erediti la maison del padre come stilista, perché non sembra essere interessato nella creazione di capi d’abbigliamento. Ora, io non so bene come si amministri una casa di moda, ma credo che Adrien potrebbe ricoprire altri ruoli. Poi un headcanon che mi piace molto vede Marinette subentrare al posto del futuro suocero, anche se io credo che la valorizzerebbe di più creare un proprio marchio. Ma comunque, ‘sti due prosciuttoni non si sono ancora accorti di amarsi a vicenda, quindi andiamo per gradi.
  Altro punto all’ordine del giorno: Marinette venera Adrien come fosse un dio greco (un po’ come Apollo, che è tanto bello e bravo). In quest’AU questo fenomeno è già un po’ meno accentuato, perché come dissi mi pare due capitoli fa, è normale che, interagendo esclusivamente come Marinette e Adrien, i due imparino a conoscersi più a fondo fin dai primi giorni.
  Comunque. Io adoro che l’uno veda l’altro con gli occhi dell’amore e che stiano pian piano – anche troppo – imparando ad apprezzare anche la controparte di cui non sono innamorati (Adrien con Marinette e Marinette con Chat Noir – soprattutto quest’ultima accoppiata, perché dopo il penultimo episodio andato in onda, Marinette ha cominciato a vedere Chat Noir sotto una luce diversa). Però credo che dovrebbero capire che non sono perfetti. Okay, voi direte: “Vuoi dire che Adrien non è perfetto?” Per modo di dire, sì, lo è. Ma parlando seriamente, non lo è. Nessuno lo è, e se un personaggio immaginario lo fosse, be’, sarebbe semplicemente scritto male, perché la perfezione non esiste. Adrien quand’è Chat Noir è molto simpatico, lo amiamo tutti; ma Ladybug, poverina, deve sorbirsi anche le sue battute squallide e i suoi flirt continui. Poi, non so se avete notato, ma quando Nino ha una cotta per Marinette in Animan, Adrien fa tanto il figo (“Ma dai, Nino, è facile invitare una ragazza a uscire!”), ma quando, ne Il concerto di XY, deve chiedere – sempre a Marinette – di firmargli un autografo, le sue pupille si rimpiccioliscono così tanto che quasi implodono. Insomma, anche lui è un po’ un timidone e impacciato, quando una ragazza gli interessa veramente.
  Se applichiamo lo stesso ragionamento a Marinette, onestamente credo che, tolti gli sproloqui assurdi in cui si lancia quasi esclusivamente in presenza di Adrien, non abbia niente da invidiargli. È un po’ goffa e sbadata, questo sì, ma è davvero capace e ha una forza e un coraggio invidiabili, come quando tiene testa a Chloé, cosa che in quella classe fa principalmente lei.
  Quindi, in sintesi, secondo il mio personale punto di vista, Adrien deve imparare ad apprezzare Marinette e la sua goffaggine per amare completamente Ladybug e Marinette deve fare lo stesso con Chat Noir per poter amare completamente Adrien. Alla fine sono la stessa persona, e si vede: Marinette è sicura di sé quanto lo è Ladybug e, quando non c’è di mezzo Adrien, lo dimostra molto spesso; Adrien, in Kung Food, rivolge a Marinette un inchino alla Chat Noir, e sono certa che andando avanti il suo lato da Chat Noir emergerà anche quando il ragazzo è nelle sue vesti civili. Solo allora i due potranno amarsi in modo vero e completo.
  Non vedevo l’ora di dare un po’ di spazio anche ai genitori di Marinette. Mi chiedo: c’è qualcuno che non li ama? Sono dolcissimi e shipper accaniti di Adrien e Marinette: è impossibile non volergli bene! E poi Tom è la versione paffuta di Antonio Banderas, che sforna e regala dolci a tutto andare.
  Ah, e poi c’è Nadja. Una ficcanaso con la F maiuscola. Ma siccome io adoro quando le mie ship vengono scambiate per una coppia ancora prima che lo siano, generando fraintendimenti e imbarazzo, ho pensato bene di metterci anche lei e la figlia.
  Infine Nathalie. Come già detto due capitoli fa, io sono sicura che lei ad Adrien ci tenga, ma, metti un po' il suo carattere, metti un po' il lavoro che svolge per conto del padre, non riesce a dimostrarlo. Ma comunque è umana, e nella mia testa è credibile che, con una casa infestata dal profumo dei dolciumi, cerchi di sgraffignare qualcosa. Un headcanon che siete liberissimi di non condividere.
  Se avete letto fino alla fine, meritate una medaglia al valore.
  A presto,
  un’autrice che vi promette una shot romantica Adrien x Dolci-Di-Tom-Dupain se non fate caso a queste note infinitamente lunghe.

***Attenzione! Nessuna Manon è stata maltrattata durante la stesura di questo capitolo.***
   
 
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