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Autore: eliseCS    12/03/2018    2 recensioni
A quanto pare quello che ho bevuto per il brindisi del compleanno è stato sufficiente per farmi fare questa pazzia, e ovviamente non c'era nessuno che potesse fermarmi...
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Una bambina, gabbie dorate e non e Tortuga.
Oppure
L'Ombra della Doomed Destiny, la nave pirata più famosa dell'epoca, il nuovo capitano Cortès e un vecchio amico dimenticato.
In sintesi assoluta: pirati.
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Dal primo capitolo:
Non sapeva se fosse perché pensavano che fosse stupida, troppo piccola per capire o se semplicemente non gli importasse, ma Isabelle riusciva perfettamente a sentirli.
A quanto pareva stava per essere venduta.
Di nuovo.
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“Con un pezzo da otto posso darti anche da bere se vuoi, ragazzino” propose.
Isabelle si morse un labbro: prima di entrare aveva controllato, addosso non aveva assolutamente nulla di valore, per non parlare di monete o pezzi da otto!
“Io… non ho nulla…”
La donna si ritrasse: “Mi dispiace mocciosetto, ma non do da mangiare gratis, neanche ai bambini. Torna quando avrai qualcosa da darmi in cambio” disse, e si allontanò per servire qualcun altro.
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Buona lettura (spero)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XIII - Tempo di confessioni e incomprensioni
 
Il silenzio durò il tempo necessario per i presenti di realizzare fino in fondo quello che Shade aveva detto, dopodichè la sala venne invasa da voci più o meno concitate che si parlavano una sopra l’altra.
Il Governatore ebbe il suo bel da fare a richiamare l’ordine, e dopo che i presenti si furono ridati un minimo di contegno non aspettò un attimo prima di avvicinarsi alla ragazza e scuoterla prendendola per la maglia.
“Cosa ne vuoi sapere tu, pirata? Come ti permetti di fare quel nome qui?”
 
La vicenda del consigliere Torres e della piccola Isabelle aveva suscitato molto scalpore all’epoca, e come ben si sa alcune ferite non si rimarginano mai del tutto.
La signora Torres in particolare era sempre stata molto rispettata ad Antigua e perdere la figlia l’aveva devastata: aveva impiegato anni prima di rassegnarsi al fatto che la sua bambina non sarebbe più tornata indietro, non sarebbe più tornata a casa.
Ci aveva messo cinque anni prima di superare il lutto – della figlia più che del marito – e accettare poi di risposarsi.
Il consigliere Blake era sicuramente un uomo molto più equilibrato di Torres e le aveva addirittura dato un maschietto.
La nuova signora Blake non l’avrebbe mai ammesso ma era intimamente rimasta sollevata che non fosse stata un’altra femmina perché sapeva che le avrebbe inevitabilmente ricordato la figlia perduta.
 
 
Shade sostenne lo sguardo del Governatore senza battere ciglio.
L’unica persona che non aveva il coraggio di guardare in quel momento era Harry: da quando il nome della bambina aveva lasciato le sue labbra il ragazzo aveva un’espressione persa, come se fosse stato appena colpito senza aspettarselo.
“Parla, pirata!” la incalzò Reagan.
Shade, con grande sconcerto di tutti, rispose ridendo.
“Non dovevamo essere riportati alla nostra cella, Governatore?” osservò sfrontata facendo un passo indietro per sottrarsi alla presa dell’uomo.
“Cosa sai di quel nome?” insistette ancora quello facendo a sua volta un passo avanti.
“Sa com’è…” si decise finalmente a dire dopo aver riflettuto attentamente per un attimo “I bambini venduti dai mercanti di schiavi non sono cosa poi così rara…”
Alla sua affermazione le esclamazioni più varie riesplosero nella sala, indignate.
Shade si stampò un sorrisetto impertinente sulle labbra facendo ben intendere che non avrebbe aggiunto altro.
A giudicare dalle occhiate che stava ricevendo, se avessero potuto l’avrebbero giustiziata seduta stante.
 
Avevano ovviamente capito male tutti quanti, dal primo all’ultimo.
Troppo presi alla sprovvista nel sentire quel nome che ad Antigua era ancora un tabù nonostante gli anni passati per prestare attenzione alla persona che quel nome l’aveva tirato fuori e, appunto, gli anni che erano trascorsi dal fatto.
Il Governatore sembrava arrivato al limite della sopportazione e diede il tanto atteso ordine alle guardi di far sparire i prigionieri dalla sua vista.
“Si può sapere cosa hai fatto?” domandò Julian a bassa voce durante il tragitto.
“Guadagno tempo” rispose semplicemente Shade.
Il suo piano non era ben congegnato come di solito faceva, probabilmente non era neanche degno di essere considerato tale, ma in quel momento era l’unica cosa a cui poteva appigliarsi.
L’unica cosa su cui poteva contare anche se lei stessa doveva ancora finire di riordinare le idee e i ricordi.
 
Perché passare davanti alla locanda e al vicolo dove era stata rapita aveva fatto scattare qualcosa nella testa di Shade, qualcosa che era riuscita a scavalcare persino la commozione causata dalla botta presa in testa quando era stata travolta da quegli uomini ubriachi a Tortuga.
Adesso sì che si ricordava cos’era successo prima che entrasse nella locanda di Faye, rubasse un certo medaglione per poi essere reclutata nella ciurma della Doomed Destiny da Gabriel Cortès in persona.
Quel senso di confusione era iniziato con lo strano sogno in cui aveva visto Harry bambino e l’incubo che aveva avuto quella notte dal quale si era risvegliata urlando era stato l’ultimo pezzo.
Adesso ricordava.
Tutto.
 
 
Le guardie non furono le sole ad entrare nelle prigioni con i due pirati.
Non appena le porte delle celle si furono richiuse alle loro spalle un Harry dalla faccia sconvolta e i capelli spettinati per la corsa che aveva fatto per raggiungerli dalla sala del consiglio gli si presentò davanti.
“Come hai potuto?” domandò urlando rivolgendosi direttamente a Shade.
“Ti ho parlato di lei, ti ho confessato quanto ci tenessi, quanto ancora ci tenga, e cosa è significato per questa città e tu la usi a quel modo? Per cosa poi? Per guadagnare tempo? Avresti potuto…” si interruppe in tempo prima di urlare ai quattro venti che li avrebbe aiutati lui ad evadere cambiando frase all’ultimo “Avresti potuto inventarti qualsiasi altra cosa! Sei un pirata, no? Me l’hai detto tu che la fantasia non vi manca!”
Shade in quel momento era combattuta: vedere Harry così l’aveva presa alla sprovvista.
Avrebbe potuto provare a spiegargli tutto subito, a patto che le avesse creduto, ma ne sarebbe valsa la pena?
Le tornò alla mente l’ultima discussione avuta con Julian riguardo al fatto che il ragazzo non appartenesse al loro mondo.
Forse era meglio così…
 
“Come avete detto voi Harry, sono un pirata” ribattè alla fine mentre lui riprendeva fiato “E pensavo aveste capito che i pirati pensano prima di tutto a loro stessi, soprattutto quando si parla di salvarsi la pelle. E se qualcun altro può andarci di mezzo al posto nostro tanto meglio”
A quel punto anche Cortès la stava guardando perplesso, non avrebbe mai immaginato che Shade potesse parlare al ragazzo a quel modo, non dopo aver visto quanto ci teneva a lui e il rapporto che si era instaurato tra loro.
Il figlio del Governatore la guardò con tanto d’occhi, come se anche lui si stesse chiedendo se avesse sentito bene.
“Ah, vi darei anche un consiglio” aggiunse alla fine Shade. “piangere come una ragazzina non si addice di certo ad un Capitano di corvetta… giusto per essere sicura che ne siate consapevole” concluse dando poi le spalle al suo interlocutore facendo capire che per lei la questione era chiusa.
L’espressione di Harry passò da arrabbiata a delusa e ferita.
“Pensavo di potermi fidare di voi” si lasciò scappare a mezza voce mentre lentamente tornava sui suoi passi lasciandosi alle spalle la cella.
“Pensavate male” la risposta della ragazza gli arrivò al petto come una pugnalata.
 
“Potrei sapere a cosa ho appena assistito?” domandò pazientemente Julian non appena fu sicuro che Harry non fosse più a portata di orecchio.
“Ho solo ripensato a quello che mi avevi detto: lui non fa parte del nostro mondo, ed era arrivato il momento che qualcuno glielo facesse capire. Almeno così la smetterà di illudersi” rispose Shade con noncuranza.
“Non ti ho mai sentita mentire così male” la provocò lui.
La ragazza scosse il capo: “Come credi”
“No Shade. Hai appena fatto allontanare l’unica persona in questo posto disposta a darci una mano!” ribattè lui alzando la voce.
“E che sarebbe stata condannata dopo la nostra fuga per aver aiutato due pirati a sfuggire alla legge! Se queste sono le conseguenze preferisco aspettare e sperare che Wilson si dia una mossa: non lascerò che Harry finisca sulla forca al posto mio” rispose a tono Shade lasciando finalmente perdere la recita.
Non avrebbe davvero potuto sopportare che Harry facesse quella fine: non dopo quello che aveva ammesso – a se stessa – di provare per lui, e ancora meno dopo aver ricordato quello che lui aveva fatto per lei quando erano piccoli.
Cortès si passò una mano tra i capelli sospirando pesantemente:  “Sei un’idiota!” la accusò. “È ovvio che l’avremo portato con noi!”
Shade lo guardò male: “Hai detto tu che non sarebbe mai potuto entrare a far parte dell’equipaggio della Doomed, tu che hai detto di stargli alla larga e non farmi coinvolgere!”
Litigare a quel modo era veramente frustrante: avrebbe voluto urlare a piedi polmoni e invece era costretta a farlo sottovoce per non farsi sentire da eventuali guardie.
Il pirata alzò gli occhi al cielo: “Questo perché avevo paura che la sua influenza su di te fosse maggiore della tua su di lui, ma evidentemente mi sbagliavo visto che alla fine mi ha praticamente chiesto di rimanere… e poi da quando fai quello che ti dico? Non l’hai mai fatto” concluse.
I due si guardarono per un attimo senza aggiungere altro.
Shade si sedette sulla panca della cella imitata poco dopo da Julian.
“Almeno mi puoi spiegare chi diavolo è questa Isabella Maria Torres che a solo nominarla sono impazziti tutti?” domandò alla fine il ragazzo abbassando ancora di più la voce.
Shade si lasciò scappare un mezzo sorriso: “Sono io”
E cercando di non ridere all’espressione di assoluto stupore di Julian – fallendo miseramente – cominciò a raccontargli la sua storia.
 
 
 
҉
 
 
 
Quando Shade aveva finito di raccontare tutto Julian l’aveva abbracciata per lunghi attimi.
“Non vado da nessuna parte, sai?” l’aveva tranquillizzato lei capendo le sue preoccupazioni. “Potrò anche essere nata in una buona famiglia rispettosa della legge, ma ho passato gli ultimi quindici anni con te sulla Doomed senza averne il minimo ricordo, e non avrei il minimo dubbio a rispondere se dovessero chiedermi quale dei due mondi scegliere” aveva messo in chiaro.
“O scappiamo tutti e due o non esiste che io ti lascia andare alla forca da solo, questa è una promessa. Per quanto mi riguarda Gabriel Cortès è mio padre e tu mio fratello, fine della storia. Preferisco essere Shade Cortès che Isabella Torres” aveva concluso il discorso con gli occhi lucidi, a prova di quanto credesse in quello che aveva appena detto.
Julian non aveva fatto altro che abbracciarla di nuovo sussurrandole che non avrebbe potuto desiderare una sorella migliore.
 
 
 
҉
 
 
 
Evidentemente tirare fuori il suo vecchio nome era davvero servito a qualcosa visto che altri due giorni erano passati e ancora nessuno era stato impiccato.
Per questo quel pomeriggio furono sorpresi dall’arrivo di alcune guardie che si fermarono davanti alla loro cella.
Non erano delle prigioni perché erano vestite in modo diverso e ordinarono a Cortès di sedersi in fondo alla cella mentre loro ammanettavano e prelevavano Shade.
Le domande della ragazza su dove la stessero portando rimasero senza risposta e prima che lo perdesse di vista riuscì a lanciare un’occhiata a Julian per tranquillizzarlo: se avesse visto che le cose si mettevano male sarebbe scappata, quel piccolo gruppo di uomini non avrebbe rappresentato un problema per lei.
Restò alquanto interdetta quando capì che la stavano portando fuori dal forte, diretti verso la zona in cui sorgevano le ville del Governatore e dei suoi consiglieri.
Cercò di calmare il battito del suo cuore quando passarono davanti a una villa dall’aspetto abbandonato, le finestre sbarrate e la vegetazione del giardino incolta: era la sua vecchia casa.
Superarono un altro paio di abitazioni prima che entrassero finalmente in una.
Gli uomini la scortarono fino al salone del piano terra, dopotutto quelle ville si somigliavano tutte in quanto struttura, e la fecero sedere su una delle sedie disposte intorno al grande tavolo al centro della stanza.
“La casa è circondata, vedi di non fare scherzi” le ordinò quello che era evidentemente il capo prima di lasciare la stanza insieme alle altre quattro guardie.
Shade alzò gli occhi al cielo trattenendosi dal commentare che il fatto che la casa fosse circondata in caso di fuga non le avrebbe fatto né caldo né freddo.
Il salone aveva due porte di accesso, per non parlare delle finestre: se avesse voluto scappare avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta.
Inoltre tecnicamente lei sapeva anche quali erano le posizioni che le guardie tenevano lungo il perimetro della casa, visto che già quindici anni prima aveva avuto la necessità di eluderle per poter sgattaiolare fuori senza essere vista insieme a Harry, ma forse non era il caso di dirlo ad alta voce.
 
La ragazza scosse la testa cercando di mettere da parte il pensiero di Harry e dei piani di fuga che aveva già elaborato quasi involontariamente.
Prima voleva assolutamente capire cosa ci faceva in quel posto.
   
 
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