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Autore: Fink    14/03/2018    0 recensioni
Un Judgement Day un po' diverso, con un finale alternativo... molto probabilmente ci sarà meno "Action" e molto piú romanticismo e non solo...
Fa parte della serie "Maybe a second life", nella quale questa long sarà la giusta premessa a "Conosci te stesso"...
Ok...spero via piaccia e buona lettura.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jennifer Shepard, Leroy Jethro Gibbs, Un po' tutti, Ziva David
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Maybe in another life'
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Tre anni e mezzo, questo il tempo trascorso dall'ultima pubblicazione di questa storia... accidenti. Ma alla fine l'ho terminata, con numerose variazioni, ripensamenti e correzioni. 
Chiedo scusa a coloro che hanno letto e avevano perso le speranze.

Due settimane prima

 

 

29 giugno.  Ore 7.40

 

Washington – sede NCIS

 

Quando entrò nell’open-space l’umore di Gibbs era nero quanto le nubi che da giorni coprivano il cielo di Washington. Tony, Ziva e Tim non lo vedevano così da quando Ari aveva sparato a Kate e nemmeno allora aveva quell’espressione corrucciata e rabbiosa. Pareva una belva braccata senza via d’uscita.

«Ci sono novità?»­ La sua voce sembrava un ringhio.

 I tre agenti in quel momento erano in piedi davanti al monitor e stavano osservando una cartina sulla quale erano indicati gli spostamenti compiuti da Svetalana durante le ultime settimane. Ci era voluto un po’ di tempo e il prezioso aiuto della squadra di Los Angeles per ricostruire tutti i suoi movimenti, ma alla fine erano riusciti a tracciare il suo percorso. Almeno fino al giorno in cui era sparita definitivamente, lasciandosi dietro il cadavere di Patterson e alcuni fogli bruciacchiati. In uno di essi – quello rinvenuto nell’appartamento di Los Angeles dagli uomini di Lara Macy – era segnato l’indirizzo di casa della Shepard. La Macy aveva prontamente avvertito Gibbs con una telefonata e subito era scattata una caccia all’uomo, che però non aveva ancora prodotto risultati. Fosse stato per lui avrebbe messo un posto di blocco lungo qualsiasi strada principale, sentiero o mulattiera, ma ovviamente questo non era possibile.

«Mi state dicendo che non ci sono state segnalazioni nelle ultime ventiquattro ore? Spero che Abby abbia notizie migliori delle vostre.»

«Ehm capo?» DiNozzo fece un passo verso Gibbs, «come sta il direttore?»

«Vuole che questa storia finisca il prima possibile. E lo voglio anche io, perciò al lavoro.»

«Sarà stato saggio lasciarla da sola, visto quel che rischia?» McGee si rese conto troppo tardi di ciò che aveva detto, quando il capo si voltò verso di lui, rabbioso. «Ehm, volevo dire che…beh, so che non è sola, intendevo agenti che non siamo noi…la sua incolumità… sì, ecco…»

«Franks è con lei.»

«Mike è qui?»

«Sì, DiNozzo. Proprio dietro di te.» la voce di Franks gli arrivò alle spalle, facendo sussultare l’agente. Jen gli era accanto e si teneva al suo braccio.

Si erano organizzati con una sorveglianza maggiore e di tanto in tanto spostavano il direttore di alloggio: a volte a casa di Gibbs, altre di DiNozzo o dell’agente David. Se non altro il tempo trascorso aveva permesso alla ferita di Jen di rimarginarsi piuttosto bene, tuttavia i frequenti spostamenti iniziavano a stancare il direttore che appariva piuttosto provata e irritata.

 «Non dovresti essere qui.» Gibbs guardò il direttore con disappunto.

«Ci sono novità?» chiese Jen rivolta agli agenti.

«Non ancora, direttore.» Ziva fu la prima a rispondere.

«Bene. Informatemi appena avrete qualche notizia.» Poi si girò verso Gibbs. «Io sarò nel mio ufficio.»

Jen lasciò il braccio di Franks  e salì i gradini che portavano al piano di sopra.

Mike Franks si limitò ad una alzata di spalle  «è una donna testarda, Pivello.»

«Tornate al lavoro. Quando torno voglio dei risultati.» Gibbs squadrò gli agenti e poi salì i gradini a due a due.

«Dannazione, Jen! Si può sapere che cosa ti è saltato in mente? Dovevi restare a casa con Franks e gli agenti di sorveglianza.»  La porta dello studio si richiuse alle spalle con un tonfo sordo.

La donna andò a sedersi sul divanetto in fondo alla stanza, non era pronta per uno scontro. Non questa volta. Non dormiva bene da mesi e per quanto le ferite si fossero rimarginate, non aveva ancora riacquistato completamente le forze. «Ti prego, Jethro, non ora. Non ho le forze necessarie per tenerti testa. E poi…sono stanca.»

«Ottimo, così la finiremo prima. Prendi le tue cose e torna a casa con Mike. Sei molto più al sicuro lì.»

«No, Jethro. Sono stanca di nascondermi. È ora di mettere fine a questa cosa.»

Aveva ragione, Gibbs lo sapeva, la situazione stava diventando pesante per tutti. Nemmeno lui riusciva a chiudere occhio la notte. Quando era addetto al turno di sorveglianza trangugiava litri di caffè con il risultato che al mattino era più scorbutico del solito. E se erano altri addetti al turno, non faceva che chiamarli ogni mezz’ora per controllare che tutto filasse liscio.

Prese un profondo respiro e si sedette accanto al direttore. «E cosa proporresti di fare, Jen, sentiamo.»

«Lo sai bene, ne abbiamo discusso molte volte.»

«Non se ne parla. Non questa volta.»

«Sai bene che l’unica soluzione, la più logica. Tutti gli altri tentativi sono falliti.»

«Non farai ancora da esca.» La sua voce si addolcì «Hai visto cosa è successo l’ultima volta, ne stai ancora pagando le conseguenze.» Il suo sguardo cadde sul corpo di Jen, dove i colpi dei killer solo pochi mesi prima avevano lasciato cicatrici indelebili. Le accarezzò una guancia e le sollevò il mento avvicinando le sue labbra, erano così vicini che Jen non potè fare a meno di tremare.  Era trascorso quasi un mese da quel loro unico bacio e da allora non si erano più trovati in una situazione intima. Non avevano nemmeno più parlato di quel bacio e nonostante sapesse bene che le priorità erano altre, che catturare Svetlana fosse al primo posto, non riusciva a non pensare a quella notte e alle parole che Gibbs le aveva detto. Era incredibile come da sempre quell’uomo riuscisse ad avere un tale potere sulle sue emozioni.

«No.» Jen lo respinse delicatamente ma con decisone. «Non cambierò idea, non questa volta.»

Jethro abbassò la testa e sospirò, non era d’accordo con la decisone di Jen, ma la capiva, in fondo anche lui avrebbe agito allo stesso modo. «Va bene, faremo a modo tuo. Ma almeno promettimi che indosserai il giubbotto antiproiettile.»

«Sai che non servirà a nulla, Svetlana è una professionista, mirerà alla testa per essere sicura.»

«Lo so, ma tu indossalo lo stesso.»

Jen sorrise e annuì. Quando Gibbs si alzò per andare alla porta, Jen non potè fare a meno di pensare a quante volte lo avesse deluso e respinto e che nonostante tutto lui fosse sempre lì, accanto a lei nel momento del bisogno. Lo chiamò prima che varcasse la soglia.

«Jethro… Grazie.»

 

 

 

 

12 luglio. Ore 19.00

 

Washington D.C. – Casa del direttore Shepard.

 

Due settimane, questo il tempo necessario per organizzare tutto. Jethro dal canto suo continuava a non essere d’accordo con la decisione di Jen, ma si era rassegnato. Se volevano porre fine a questa storia dovevano agire.

Dopo aver messo a punto il piano in ufficio, Jen era rientrata a casa e lì era rimasta. I primi giorni la sorveglianza era stata organizzata come di consueto, tre o quattro agenti con turni di otto ore, in questo modo se uno o due uscivano per fare delle commissioni per il direttore, Jen non sarebbe comunque mai rimasta sola. Poi a  mano che passavano i giorni gli agenti erano diminuiti e l’unico agente rimasto di tanto in tanto si allontanava, lasciando il direttore da sola. Questo almeno era ciò che sembrava.

Jethro e i suoi agenti erano sicuri che Svetlana sorvegliasse la casa e tutti i loro movimenti e Gibbs aveva faticato ad introdursi in casa del direttore senza essere visto, ma c’era riuscito. L’occasione si era presentata in occasione di una piccola fiera di quartiere, che si teneva ogni anno in quel periodo. Approfittando della confusione era riuscito ad entrare a casa di Jen e non ne era mai uscito. Si era tenuto lontano dalle finestre e quando accedeva alla camera degli ospiti che Jen gli aveva riservato non accendeva mai la luce per evitare di attirare l’attenzione o essere visto.

Tuttavia i giorni passavano senza che accadesse nulla e dopo quasi due settimane di “reclusione”, Gibbs iniziava a dare i primi segni di impazienza.

«Se Svatlana non fa qualcosa saremo costretti a spostarti, Jen» Jethro era seduto al tavolo della cucina, in una stanza in penombra. Le temperature esterne erano piuttosto elevate e per evitare il caldo Jen aveva accostato i balconi, un’idea saggia che permetteva di non essere visti dall’esterno.

«No. Resterò qui.» Ribattè Jen, posando la moka di caffè sui fornelli.

«Inizierà ad insospettirsi, non sei mai rimasta in un posto troppo a lungo.»

«Non vuoi che si faccia a modo mio, è questo che non accetti. Hai rimosso quasi tutti gli agenti. Svetlana penserà che abbiamo abbassato la guardia, che dopo tutti questi mesi di inattività da parte sua ci sentiamo sicuri. È per questo che non voglio essere spostata.»

Il caffè era pronto e Jen ne versò una dose abbondante a Jethro, riservandone una più contenuta per sé, mise un cucchiaio di zucchero nella propria tazza e porse quello amaro all’uomo.

Gibbs la guardò con rassegnata ammirazione. Era una donna forte, passionale e amorevole, come aveva avuto modo di constatare durante la loro relazione, ma era dannatamente testarda, molto più di lui. Alla fine, ancora una volta, cedette alla volontà di Jen e non riuscì a trattenere un sorriso.

«E adesso che c’è?» Chiese il direttore.

«Ci atterremo al tuo piano.»

«Grazie.»

«È la seconda volta che mi ringrazi in meno di un mese.»

Jen sorrise.

 

 

 

 12 luglio. Ore 19.50

 

Washington D.C. – Casa del direttore Shepard.

 

La porta d’ingresso si aprì silenziosamente, i cardini non cigolarono. La donna entrò con circospezione. Si era tinta i capelli di un caldo colore ramato che portava sciolti sulle spalle e indossava un lungo impermeabile beige sotto al quale aveva nascosto l’arma, una revolver di piccolo calibro che ora era stratta nella destra, adagiata lungo il fianco. Alla fine del corridoio c’era una porta aperta dalla quale filtrava una luce calda. Svetlana vi si diresse a passo sicuro, certa di trovarci Jen. Aprì la porta, ma oltre la grande scrivania in rovere notò con sorpresa che ad attenderla c’era un uomo. Gibbs le dava le spalle, lo sguardo rivolto al viale alberato oltre la vetrata, in mano un bicchiere di Bourbon..

«Ciao Natasha*.» La salutò senza voltarsi, osservando il suo riflesso nella finestra. «O preferisci che ti chiami…Svetlana».

Lei non parve affatto sorpresa, si limitò a studiarlo. Aveva spalle larghe e un fisico atletico e a discapito dei capelli grigi doveva essere ancora giovane..

Gibbs si girò e Svetlana ebbe conferma delle suo ipotesi, aveva poco più di quarant’anni.

 «Niente affari, è una cosa personale.» Era vero, non si trattava di lavoro, la vita di Jen non era una priorità dell’agenzia, era una sua priorità. Se ne era reso conto in quei mesi, quando in qualche modo si erano riavvicinati.

 Svetlana era rimasta sorpresa nel trovarselo davanti, si aspettava la donna, ma si rese conto che dovevano averla trasferita in qualche modo. «Sei stato tu ad uccidere Alatoly?» Andò dritta al punto, quello era un regolamento di conti. L’occasione le si presentava in modo così semplice. Aveva notato che Gibbs era disarmato, la pistola era appoggiata sulla scrivania ed un palmo dall’uomo, ma non sarebbe comunque stato abbastanza rapido a prenderla. Avrebbe eliminato lui e poi sarebbe andata a cercare la donna. Non doveva essere molto lontana.

 «Che cos’era per te?»

«Tutto.» Per un attimo a Svetlana tremò la voce, ma non si fece distrarre, ricacciò le lacrime al pensiero del suo amato.

 «Perché ora

«Perché solo ora sono riuscita a trovarti.» Mentì, ma che importava, li avrebbe uccisi entrambi, vendicando Alatoly e riprendendosi la sua vita. Alzò la pistola, puntando la canna verso Gibbs.

«La notte in cui è morto una donna era venuta per ucciderti… che cosa è successo?» Jethro voleva capire, non riusciva a credere che Jen non fosse riuscita a portare a termine la missione. Per quanto a quel tempo fosse stata ancora giovane e inesperta, non aveva mai fallito.

«Non ha potuto farlo.» Un ghigno beffardo comparve sulle labbra di Svetlana.

«Ma ora posso.» La voce arrivò dalla sua destra. Dietro alla credenza che conteneva i liquori c’era un’apertura a volta che Svetlana non aveva notato fino a quel momento. Jen le si parò davanti con la pistola puntata contro di lei.

I grilletti furono premuti all’unisono e il boato che ne seguì parve assordante. Gibbs non poté fare a meno di gridare il nome di Jen, mentre questa, colpita in pieno petto, oscillò scivolando a terra. L’agente guardò Svetlana. La camicia candida era squarciata, il volto pallido e un sorriso di scherno sulle labbra. Crollò a terra con un ultimo sussulto. Gibbs le andò vicino, tastando la carotide, non c’era battito. «È morta.»

Ancora a terra, Jen aprì gli occhi e si tastò il petto. La camicia si era strappata, lo sterno le doleva un poco per via del contraccolpo, ma il giubbotto antiproiettile aveva fatto il suo dovere. Per la seconda volta quella sera sorrise a Gibbs.

«Stai per ringraziarmi ancora una volta?» Chiese Jethro aiutandola ad alzarsi.

«Sì, ma non farci l’abitudine» Si alzò in punta di piedi e lo baciò.


* I dialoghi in corsivo sono tratti dall'episodio 5x19

   
 
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