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Autore: JEH1929    14/03/2018    1 recensioni
"Perché, per quanto si cerchi di fuggire dal passato, di lasciarselo alle spalle, quello è sempre lì dietro l’angolo, pronto a richiamarti indietro alla minima deviazione.
Non posso sfuggire all’attrazione fatale di Neptune."
Fanfiction ambientata 5 anni dopo la fine della terza stagione, senza tenere conto del film e dei libri.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Logan Echolls, Un po' tutti, Veronica Mars
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi agito sul seggiolino imbottito dell’aereo, mandando via l’ennesima hostess premurosa. Infine decido di calarmi sugli occhi la mascherina fornitami gentilmente al mio arrivo. Ho scelto un volo notturno, in modo che non ci siano troppe persone. Non appena sono giunta all’aeroporto mi sono subito pentita di aver permesso a Logan di prenotare il mio volo. Prima classe. Ovviamente. Sono subito stata oberata di premure e, adesso, l’unico modo per riuscire a riflettere per qualche secondo è far finta di dormire, nonostante in questo momento il mio cervello sia troppo attivo anche solo per pensare a dormire.
Wallace non mi ha detto molto dei guai di Jackie in realtà, visto che neanche a lui ha voluto rivelare molto. Ho soltanto il posto in cui lavora e dove lavorava sua madre, sperando che non sia cambiato. Wallace mi ha detto di non sapere se lavora ancora in quel bar e che l’ha incontrata del tutto per caso. Sono un po’ preoccupata all’idea di vederla dopo tanto tempo, non ho veramente idea di cosa fare per aiutarla. Potrebbe essere cambiata, potrebbe non essere più la strana ragazza che alla fine avevo iniziato ad apprezzare, nonostante all’inizio le cose non fossero andate bene fra noi. Avevo capito che era l’unica persona adatta al mio migliore amico e che, come tale, dovevo accettarla per quello che era. Se Wallace l’amava, allora dovevo farmela piacere. Alla fine, avevo scoperto che avevamo più cose in comune del previsto e che non sarebbe poi stato così difficile farsela piacere. Ma adesso… Dopo sei anni poteva tornare ad essere tutto come nei primi tempi in cui ci eravamo conosciute, oppure poteva essere perfino peggio.
A proposito di fantasmi del passato… gli occhi e il sorriso di Duncan continuavano a tormentarmi. Avevo fatto il possibile per non pensarci da quando ero salita sull’aereo e di concentrare tutto il mio cervello nel risolvere il problema di Wallace e nell’aiutare Logan, ma come potevo tralasciare il fatto che il mio ex ragazzo era ritornato dal nulla e si era catapultato nella mia vita di nuovo? O meglio, due miei ex ragazzi lo avevano fatto nel giro di pochissimo tempo.
Poi c’era Ann. Avevo cercato qualcosa su di lei, prima di partire. Sembrava una ragazza veramente in gamba, almeno a sentire dalle interviste. Si vedeva che era intelligente, oltre che bella da mozzare il fiato, e più il mio aereo si avvicina a New York, più mi rendo conto di non avere alcuna voglia di vederla. È raro che mi senta a disagio all’idea di interrogare qualcuno, eppure questa ragazza più giovane di me mi mette stranamente in soggezione, nonostante non l’abbia mai incontrata. Forse è stata l’approvazione negli occhi di Logan, quell’affetto dimostrato nei suoi confronti. Non gli ho mai visto dedicare un’espressione come quella a nessun altro, se non a me, a Lilly e a Duncan. E questo mi disturba in qualche modo.
Mentre sento l’aereo che inizia a scendere, decido di scacciare questi pensiero. Questo non è affatto il momento giusto per pensarci.
 
 
Il bar dove lavora Jackie è un posto piuttosto carino. Luminoso e colorato, nonostante la temperatura di New York sia decisamente più bassa di quella di Neptune. Sembra di essere in un altro mondo.
Non so quanto possa essere stata una bella idea quella di venire direttamente qui a lavoro, ma non ho altra alternativa, è l’unico punto di riferimento che ho.
Entrando, vengo accolta da una bella signora nera, indossa la divisa da cameriera, ma è ancora ben visibile la bellezza di quando era giovane. La riconosco all’istante come la madre di Jackie e capisco perché Terrence Cook l’abbia scelta quella notte. È veramente una bella donna.
- Buongiorno. – mi saluta con un sorriso, - cosa vuole ordinare?
- Un caffè. – rispondo, sorridendole a mia volta.
Mi guardo intorno, ma non riesco a scorgere Jackie da nessuna parte, probabilmente non è il suo turno.
La madre di Jackie mi prepara il caffè e poi me lo serve.
- Ha bisogno di altro?
- Senta, non è che per caso potrebbe aiutarmi a trovare Jackie Cook?
La donna spalanca un po’ gli occhi, ma riacquista velocemente il controllo.
- Perché sta cercando Jackie?
- Sono una sua vecchia compagna, quando stava a Neptune, e sto cercando di riunire la vecchia classe. Mi trovavo per caso a New York e quindi ho pensato di venire a fare un salto qui da lei. – rispondo prontamente.
Mentre ero in viaggio ho riflettuto che non era proprio il caso di dire che sono venuta a New York anche per incontrare Jackie.
La donna si illumina, ma sembra anche sinceramente sorpresa.
- Non sapevo che Jackie avesse mantenuto i contatti con qualcuno a Neptune. Sa, io sono sua madre. – dice.
Mi mostro sorpresa.
- Quando Jackie è tornata da Neptune era sinceramente molto cambiata. Prima… - fa una pausa, - era un disastro. Quando è tornata… beh, era più tranquilla e ha deciso di prendersi davvero cura di suo figlio Winston… - si porta una mano alla bocca, come se avesse detto troppo.
- Non si preoccupi, sapevo di suo figlio. – la rassicuro.
- Tuttavia era anche abbattuta, come se avesse lasciato qualcosa di importante laggiù. Inizialmente ho pensato che fosse per via di come l’aveva trattata suo padre, rimandandomela indietro in quel modo. Ma poi ho capito che Terrence non c’entrava niente. Quando ho provato a parlarle, ha detto che non c’era più niente per lei a Neptune e che doveva soltanto lasciarsi quella vita alle spalle. Non ne abbiamo più discusso. Perciò mi stupisco che tu ti sia presentata qui.
Le sorrido.
- In realtà sono qui perché so che Jackie non se la sta cavando molto bene ultimamente. – decido di essere sincera.
Il volto della madre di Jackie sembra contrarsi su sé stesso.
- Jackie non ha voluto in alcun modo il mio aiuto. Ho provato a insistere, ma ormai è una donna, non posso dirle cosa fare.
La porta alle mie spalle si apre e la corrente fresca mi arriva alla schiena, facendomi rabbrividire. La persona entrata si blocca sul posto, mentre la porta si chiude alle sue spalle.
- Veronica! – esclama una voce familiare.
Mi volto e Jackie è di fronte a me. Indossa la divisa da cameriera come sua madre e i suoi capelli sono più corti dell’ultima volta in cui l’ho vista, ma per il resto sembra rimasta la stessa. Sempre bella, sempre sprezzante. Mi guarda con la bocca leggermente spalancata e una pericolosa ruga in mezzo alla fronte che preannuncia la tempesta che sta per scatenarsi.
- Ciao, Jackie.
 
 
La mamma di Jackie mi versa un’altra tazza di caffè e mi sorride di nuovo, mentre, seduta ad un tavolo insieme a sua figlia, mi appresto ad affrontare quest’ultima.
- Come stai? – le chiedo.
- Bene. – risponde, altera come al solito.
Mi squadra per qualche secondo.
- Cosa ci fai qui, Veronica? Immagino che non ti sia venuta nostalgia dell’ultimo anno di liceo. Odiavi il liceo, odiavi me e poi sono passati sei anni, quindi spiegami cosa ci fai a New York.
- Io non ti odiavo.
- Touché.
- Sono qui a New York per incontrare una modella di fama mondiale. – dico.
Lei sgrana gli occhi, stupita.
- Ti sei data alla moda? – dice, scrutando in maniera critica i miei semplici pantaloni e la maglia nera che vi ho abbinato.
- No. Faccio l’investigatrice privata.
- Wow, quindi adesso sei davvero un’investigatrice privata. Congratulazioni.
- Grazie.
- E io cosa c’entro con una modella?
- Ho colto l’occasione per venire a trovarsi e… - faccio un respiro, - per venire a parlarti di…
- Wallace ti ha detto che ci siamo incontrati. – mi interrompe.
Annuisco.
- Quindi siete ancora amici.
- Certo!
- Allora Wallace ti avrà anche detto che non ho alcuna intenzione di accettare alcun tipo di aiuto da parte sua e quindi neanche da parte tua.
- Sì, mi ha fatto qualche accenno.
- Eppure sei venuta lo stesso.
Annuisco di nuovo.
- In realtà non so neanche quale sia esattamente il tuo problema al momento. – dico.
- E non credo che siano affari tuoi.
- Su questo hai ragione, ma sono affari di Wallace e quindi, indirettamente, mi riguarda.
- Non sono neanche affari di Wallace. Ci siamo lasciati sei anni fa, quando io ho deciso che non potevo più rimanere a Neptune. Per me quella vita è finita, passata, dimenticata.
Eppure un’ombra scura le passa sugli occhi. Un velo di tristezza.
Rimango in silenzio, francamente non ho la più pallida idea di cosa dire.
- Ho passato diciassette anni della mia vita a non prendermi la responsabilità delle mie azioni, prima, quando vivevo qui a New York ed ero incasinata, quando ho avuto Winston, quando sono venuta a Neptune, quando sono stata con Wallace. Mi sono sempre affidata agli altri, lasciando che risolvessero i miei casini, mentre io facevo finta di essere la principessa figlia di Terrence Cook, ma in realtà non sono mai stata davvero sua figlia. Sono sempre rimasta la figlia bastarda nata da una notte di passione fra una cameriera e un campione di baseball, nient’altro. E mi va bene. Perché adesso non ho intenzione di contare su nessun altro. Risolverò i miei casini da sola.
Detto questo, Jackie si alza e va verso il bancone, pronta per il suo turno, ma, mentre si allontana, mi sembra che i suoi occhi siano lievemente lucidi.
Mi avvicino alla cassa per pagare.
- Jackie, non sono certo io la persona giusta per dirti questa cosa o forse lo sono proprio io, dal momento che cerco sempre di risolvere tutti i casini da sola. Ma a volte poter contare su dei veri amici è la cosa migliore che possa succede nella vita di una persona. Io ho molti buoni amici e li hai anche tu. Io sono qui a New York fino a domattina, se vuoi parlarmi sto al Marriot.
 
 
Infiltrarsi ad una festa di star e celebrità non è affatto un compito facile. Ho portato il mio abito migliore, comprato a San Diego, in occasione di un’uscita elegante del nostro ufficio. Tuttavia sembra ridicolo in mezzo a quello delle donne che vedo scendere dalle limousine davanti all’edificio. Ho parlato con Logan, prima di venire qui, e lui mi ha risposto di aver fatto una chiacchierata col tipo della sicurezza, che dice di conoscere, e di averlo convinto a farmi entrare. Non so come e probabilmente neanche voglio saperlo. Tutto quello che mi interessa sapere è che devo parlare con un certo Bobik.
Mi avvicino al tipo della sicurezza, un uomo grande e grosso col naso un po’ porcino, e sfodero il mio sorriso più seducente, lui si limita a lanciarmi un’occhiata, che mi appare leggermente critica nei confronti del mio vestito. Non mi scoraggio e mi avvicino ulteriormente.
- Ciao, sei Bobik? – gli chiedo.
- No. – risponde, ermetico.
Sorrido di nuovo. Magari Logan non è stato molto chiaro con lui.
- Sa, Logan Echolls ha garantito per il mio ingresso.
- Non so chi si creda di essere questo Logan Echolls, ma se non hai il pass, non entri. – risponde.
Merda. Ovviamente Logan ha combinato un casino, come al solito. Me la dovrò cavare da sola.
E come al solito tiro fuori il mio trucco vincente. La bionda scema.
- Oh, andiamo, tesoro. Non mi sembra il caso di essere così rigidi. – inizio, tirando fuori la mia voce da stupida migliore, - Sai, avevo il pass, ma l’ho dimenticato in albergo. A volte non so proprio cosa ho nella testa, a parte una gran quantità di capelli. Biondi. – faccio una risatina.
- Niente pass, niente ingresso. – risponde Naso Porcino.
Tiro fuori il broncio.
- Su, non vorrai mica far tornare la piccola Betty in albergo a prendere il pass?
Continuo a parlare e a ridacchiare ininterrottamente per diversi minuti, fingendomi Betty, ma il tizio sembra irremovibile. Quando sto per perdere le speranze, decido di provare di nuovo la carta Bobik.
- Ma non è che potrei parlare con Bobik? Sai, lui mi conosce.
L’uomo mi fissa male per qualche istante, poi decide di chiamare Bobik, che evidentemente si trova all’interno.
- Ehi, Bobik, qui c’è una rompipalle che dice di conoscerti.
Sento che l’altro risponde qualcosa, Naso Porcino grugnisce e riattacca, senza aggiungere altro. Decido che sia il caso di aspettare.
Dopo qualche minuto un uomo dal fisico tirato ma muscoloso arriva alla porta.
- Bobik. – si presenta, nella mia direzione, sorridendo, - sei la ragazza di Logan? – chiede.
Annuisco, ma prima di riuscire a riprendermi dallo shock della domanda, Bobik mi prende per un braccio e mi trascina all’interno, dopo essersi scambiato una breve occhiata con Naso Porcino.
- Come sta Logan? – mi chiede Bobik.
Alzo le spalle.
- Sai, con tutta questa faccenda… povero Logan. – continua.
- Sono qui per questo.
- Quindi non sei la ragazza di Logan?
- Non proprio. – rispondo.
Che risposta idiota!
Bobik annuisce.
- Sono qui per parlare con Ann Carley. Sai dove si trova.
- Io so sempre tutto, tesoro. – Bobik mi fa un occhiolino ammiccante.
- E dov’è? – taglio corto.
Bobik mi guida in mezzo alla folla. Ovviamente non mi sento a mio agio in questo posto e sono contenta di non farne parte. Improvvisamente mi chiedo come si trovi Logan in questa compagnia. Lui ha sempre amato le feste e i ricchi sono sempre stati il suo ambiente, a differenza di me, eppure mi ricordo chiaramente di quando Weevil mi disse che anche io sembravo nata per essere ricca. Fu alla festa di Natale degli Echolls, poco prima che Aaron fosse accoltellato dall’amante tradita. Scaccio il pensiero dalla mia mente, quando Bobik mi fa entrare in una porta che prima non avevo notato.
Mi attraversa rapido il pensiero di poter non essere totalmente al sicuro, mentre lui mi spinge all’interno, chiudendo la porta alle mie spalle. Ma poi mi trovo davanti Ann Carley.
 
 
Vista dal vivo probabilmente Ann Carley è ancora più bella che sulle riviste, sicuramente è più alta.
Per un secondo mi sembra di essere stata punta da qualcosa a livello dello stomaco o forse un po’ più in su e con orrore mi rendo conto che probabilmente si tratta di gelosia. Andiamo Veronica, ma cosa ti prende? Scaccio il pensiero e sorrido.
- Bobik mi ha detto che voleva parlare. – dice.
Ha una bella voce, profonda e vagamente roca. Le labbra carnose sono definite da un vivace e sensuale rossetto rosso. Ad esclusione del rossetto mi accorgo che è scarsamente truccata. Neanche il vestito è molto sfarzoso, a differenza di altri che ho visto attraversando la sala con Bobik, ma su di lei sembra il vestito più bello del mondo. Mi sento a disagio e fuori luogo. E questo mi fa arrabbiare: io non mi sento quasi mai a disagio, accidenti.
Decido di continuare con il mio solito trucco della bionda scema. Non so perché, ma una volta tanto non essere me stessa mi fa sentire più tranquilla.
- Sì, sono una giornalista e sono qui per farti alcune domande. – dico, facendo un sorriso stupido.
Ann piega leggermente la bocca in un sorriso e si limita a fissarmi per diversi secondi, in silenzio. Il tempo si dilata e mi sembra di essere sotto il suo sguardo indagatore da secoli, quando finalmente si decide a rispondere.
- Prego.
Comincio con qualche domanda vaga e un po’ sciocca sulla moda. Ovviamente prima di arrivare qui mi sono informata e anche Logan mi ha dato una mano. Poi inizio a parlare di gossip, tirando fuori risatine isteriche ad ogni sua risposta. Lei continua a guardarmi con gli angoli della bocca alzati, come se mi considerasse un’idiota totale, cosa che mi sento anche in questo momento, del resto. Ma poi ripenso che è proprio questo il mio obiettivo, suonare stupida per farle abbassare la guardia e farle spifferare qualcosa. Eppure con lei non sembra avere alcuno effetto. Continua a rispondere, ma come se fosse lei ad avere la direzione del gioco. Questa ragazza è davvero molto intelligente, mi ritrovo a pensare. Con rabbia.
- Come hai detto che ti chiami? – chiede dopo un po’, ignorando una mia domanda.
- Betty. – rispondo.
- Oh, Betty…
Lo dice come se fosse una cosa divertente. Deglutisco e riesco a fatica a mantenere in piedi il mio gioco con un’altra risatina. Decido che devo arrivare dritta al punto o perderò del tutto il controllo del gioco.
- Tempo fa molte riviste ti hanno ritratta in compagnia di Logan Echolls.
Annuisce, inclinando ancora di più gli angoli della bocca.
- Mi chiedevo cosa ne pensassi alla luce di quello che è successo.
- Sono anni che non parlo più con Logan. – dice, senza veramente rispondere alla mia domanda.
- Ma cosa ne pensi?
- Non so proprio cosa pensare, Betty.
Faccio un’altra risatina, ma questa volta suona ancora più falsa.
- Insomma, tu lo conosci meglio di chiunque altro… ti sarai fatta un’opinione…
- Oh, sai, Betty, - calca particolarmente sulla parola, - non credo di essere la persona che conosce meglio Logan al mondo.
- Ah no? – sussurro.
- No. C’è almeno un’altra persona che lo conosce bene quanto me, se non di più. E Betty, penso che anche tu conosca questa persona.
Rimango in silenzio.
- Betty non è il tuo vero nome, giusto? E non sei una giornalista. E non ti importa un fico secco di con chi sono uscita negli ultimi due mesi… Non è vero, Veronica?
Sobbalzo lievemente quando pronuncia il mio nome.
- Da quanto ti sei accorta che stavo fingendo? – chiedo.
- Fin da quando sei entrata in questa stanza. Una donna dovrà pur conoscere nei minimi dettagli la persona che odia più al mondo, no? E Logan è stato ricco di dettagli nel descriverti. – soggiunge.
La persona che odia più al mondo? Decido di soprassedere sull’informazione che mi ha appena fornito e di arrivare al punto finalmente.
- Quindi sai perché sono qui.
- Immagino che tu sia corsa in soccorso di Logan come al solito.
- Immagini bene. – rispondo durante. – Almeno è quello che farebbe ogni buon amico.
Mi rendo conto di averlo detto in maniera più cattiva di quanto volessi. Ann solleva un sopracciglio e si limita a continuare a sorridere.
- Ogni buon amico eh?
Annuisco.
- Sentiamo, cosa vuoi da me? Prima chiudiamo questa farsa meglio è.
- Voglio sapere se sei stata tu ad uccidere Lara Crane. – dico, chiaro e tondo.
Lei spalanca gli occhi, ma solo per il tempo di un secondo, e quasi mi sembra di essermelo sognato. Questa ragazza è davvero impenetrabile. Chissà, magari vivere in questo ambiente fin da giovane la ha resa così imperscrutabile e allo stesso così abile nell’interpretare gli altri. Nonostante la mia assurda rabbia nei suoi confronti non posso fare a meno di ammirarla, in un certo qual modo.
- Io?
- So che detesti Logan.
- Ah, è questo che Logan ti ha detto di me? Che io lo detesto?
Annuisco.
- Beh, si è sbagliato. Io amo Logan Echolls.
Mi ritrovo a sussultare involontariamente, come se mi avesse dato uno schiaffo. Eppure non dovrebbe affatto riguardarmi. Anzi, non mi riguarda affatto.
Ma se lei è innamorata di lui, come mi ha appena confessato, e lui è innamorato di lei, come ha chiaramente dimostrato quando mi ha parlato di lei, perché non sono mai stati insieme?
- Allora non capisco il motivo per il quale non stiate assieme. – dico.
Per la prima volta, dal momento in cui sono entrata in questa stanza, riesco a decifrare un’espressione sul suo volto. E vi leggo sorpresa e incredulità. Poi, lentamente, prima di rispondere, Ann riesce a tornare in sé.
- Davvero tu stai chiedendo a me il motivo per cui io e Logan non stiamo assieme?
Mi guarda per qualche secondo, come se si aspettasse una risposta, ma io rimango in silenzio.
- Assurdo… - borbotta.
- Ti ho fatto una domanda, voglio una risposta. – dico.
- Se sono stata io a uccidere Lara Crane? No, non sono stata io. E non avevo alcun motivo per farlo. Quella ragazzina non era nessuno per Logan.
- Logan mi ha detto che tu sei l’unica che può conoscere il codice del suo garage.
- L’unica? E che mi dici di Dick?
Le lancio un’occhiata eloquente.
- Ok, Dick non può essere stato. Troppo idiota per elaborare un piano del genere. – dice, - ma anche tu devi pur conoscere il codice del garage di Logan, no? In fondo ti riguarda. Chi mi dice che invece non sei stata tu ad uccidere Lara Crane?
- Io? – sibilo.
- Sì, potresti essere stata tu.
- E quale sarebbe il mio movente, sentiamo?
- Boh, lo stesso che potrebbe essere il mio? Gelosia? Rabbia? Rancore?
- Ma che stai dicendo? Non ho visto Logan per cinque anni prima di qualche giorno fa. – rispondo, decidendo di ignorare le sue assurde accuse.
- Anche io sono anni che non lo vedo.
- Chi me lo assicura?
- La mia parola?
La guardo male.
- Non è sufficiente? Allora Logan non ti ha parlato abbastanza di me da dirti che io non vengo mai meno alla mia parola.
- Ho bisogno di una prova più concreta.
- Bobik.
- Eh?
- Ero con lui il giorno dell’omicidio.
- Oh.
- Puoi chiederglielo quando vuoi, anche adesso. Tanto non penso che abbiamo più niente da dirci.
Annuisco e mi volto verso la porta, non vedo l’ora di abbandonare questa stanza. Sta diventando soffocante.
- Veronica? – mi chiama.
Mi volto nella sua direzione.
- Sei venuta a New York soltanto per parlare di Logan con me? – chiede.
- Ecco… c’era anche un’altra faccenda… - incespico.
- Ok, ho capito. Sei venuta qui per lui.
- Ma… - faccio per protestare, ma lei mi interrompe.
- Posso capire Logan. – dice.
Fa una pausa.
- E forse posso finalmente farmi da parte. – conclude, poi si volta dall’altra parte.
Prendo le sue parole come una specie di congedo ed esco, chiedendomi cosa diavolo significasse l’ultima cosa che ha detto.
Dopo aver parlato con Bobik, che ovviamente ha confermato le parole di Ann, finalmente esco da quella festa infernale, la sensazione di essere stata battuta da qualcuno per la prima volta nella mia vita.
 
 
Il suono del telefono dell’albergo mi sveglia bruscamente. Mi maledico per non aver chiesto il “non disturbare”, ma non pensavo che qualcuno mi avrebbe cercata. Ho chiamato mio padre per dirgli che stavo bene e ho mandato un messaggio a Logan che gli avrei raccontato tutto al mio ritorno. Non avevo voglia di sentire la sua voce mentre parlava di Ann.
Allungo la mano e alzo la cornetta a fatica.
- Signorina Mars, c’è qui una donna che ha insistito per voler parlare con lei. Mi ha chiesto il numero della sua stanza, dicendo che era stata lei a invitarla. Ho voluto prima confermare.
- Di chi si tratta? – chiedo, non riuscendo del tutto a connettere i neuroni.
- Jackie Cook.
Il nome mi fa balzare subito giù dal letto.
- La faccia salire.
- Perfetto, signorina Mars. Le serve altro?
- No, grazie.
Pochi minuti dopo sento bussare alla porta. Mi affretto ad aprirla ed una Jackie alquanto trafelata fa il suo ingresso nella mia camera.
- Jackie, che è successo?
Non risponde. La faccio sedere su una delle poltroncine e prendo qualcosa dal minibar perché possa riprendersi. Lei beve quello che le offro tutto d’un fiato e finalmente sembra calmarsi.
- Jackie, stai bene? – provo di nuovo.
Lentamente annuisce, mentre io tiro un sospiro di sollievo.
- Winston sta bene? – le chiedo, ricordandomi di suo figlio.
Di nuovo lei annuisce.
Decido di lasciarle il tempo di riprendersi. Alla fine si calma a sufficienza e inizia a parlare.
- Il mio problema… ti ricordi?
Annuisco.
- Ho dei debiti.
- Immaginavo che fosse qualcosa del genere.
- Non posso chiedere aiuto a mia madre, lei ha a malapena di che tirare avanti per sé. Ma i soldi che guadagno come cameriera non sono abbastanza per ripagarlo e oggi… mi hanno fatto pressione…
- Ti hanno fatto del male?
Scuote la testa.
- Ma mi hanno minacciata. Ho una settimana per restituire tutto quello che devo loro…
- Perché ti sei indebitata in questo modo…
- Sai… Winston è tutto quello che ho… volevo che frequentasse una scuola decente. Dove stava prima lo prendevano in giro e io non potevo sopportare che andasse avanti così, il mio bambino non doveva subire queste cose. Io so cosa si prova ad essere presi di mira.
Già, lei lo sapeva e anche io, per questo non potevo biasimarla del tutto.
- Ma perché proprio con delle persone così?
- La banca mi ha negato ogni prestito, sai, non riteneva che avessi la possibilità di ripagarlo… e forse avevano ragione.
Non ho mai visto Jackie così disperata, è sempre stata una ragazza forte e ha sempre sopportato tutto senza battere ciglio. Ma adesso sembra a pezzi.
- Non potevo chiedere aiuto a Wallace, avrebbe capito in che condizioni mi trovavo, avrebbe pensato che non sono in grado di prendermi cura di me stessa e di mio figlio. Come potevo dirgli la verità? Ci eravamo rincontrati e tutto era stato esattamente come allora. Tutti e due abbiamo sentito la stessa cosa, lo so. Io non l’ho mai dimenticato e lui non aveva mai dimenticato me. Non potevo dirgli la verità, lo avrei deluso di nuovo. E io non volevo.
- Jackie, se pensi questo di Wallace allora vuol dire che non lo conosci affatto. – dico, dura.
Lei alza lo sguardo per la prima volta verso di me e mi accorgo che ha gli occhi lucidi.
- Wallace non potrà mai essere deluso da te. Specialmente non per una cosa del genere, tu l’hai fatto per tuo figlio. Wallace sarebbe più che lieto di aiutarti.
- Tu dici? - la sua insicurezza mi fa sorridere e di nuovo penso di aver sbagliato nel giudicarla, la prima volta che l’ho incontrata. Così come ho sempre sbagliato nel giudicarla nel corso degli anni.
Le porgo il mio cellulare, sorridendo.
- Penso che sia giunto il momento che tu lo chiami.

Scusate se ci ho messo tanto, ma questo è un periodo veramente orribile per me, in più di un senso. Quindi anche per il prossimo capitolo ci dovrebbe volere un po'... Comunque, dovessi metterci 3 anni (spero proprio di no!) porterò a termine questa ff, perchè odio profondamente lasciare le cose incomplete.
Ringrazio come sempre L Ignis_46
   
 
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