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Autore: wolfymozart    15/03/2018    2 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Chi è? – gridò sussultando. Sentì il cuore batterle a mille, la gola chiudersi in un moto subitaneo di angoscia.

- Shh! – si sentì rispondere. Venne trascinata alla luce della candela più vicina e lì poté scorgere gli occhi verdi di Jerome.

- Non spaventatevi, marchesa! Sono io! – cercò di tranquillizzarla.

- Voi? E…e che ci fate qui? Mi stavate forse seguendo? – domandò irritata, senza essersi ancora del tutto ripresa dallo spavento di poco prima.

- Mi stavo ritirando anch’io, sapete, sono molto stanco. Ma non credo che riuscirò a prendere sonno rapidamente…-

- Sono molto stanca anch’io, ma temo di avere il vostro stesso problema. Tuttavia ora vogliate scusarmi, ma debbo congedarmi. Buona notte. – augurò poi svicolando e sottraendosi alla sua stretta.

- Siete proprio sicura di rifiutare il mio aiuto? Non vorrei che ve ne pentiste poi. – la blandì.

- Il vostro aiuto? Che intendete? Spiegatevi meglio! – incominciò ad incuriosirsi.

- Un piccolo rimedio per chi soffre d’insonnia…- svelò – Potrebbe esservi molto utile. Come lo è a me, del resto. – così dicendo estrasse una boccetta dal taschino della marsina. Anna la guardò incuriosita.

- Che sarebbe? – domandò.

- Laudano. – rispose Jerome con un sorriso.

- Non faccio uso di queste sostanze. – tagliò corto senza però accennare ad andarsene.

- Dovreste. Preso a piccole dosi è un rimedio miracoloso. Quante notti insonni mi ha risparmiato! Solo qualche goccia e tutto prende un aspetto diverso. Ve l’assicuro. Soffro spesso di crisi d’ansia e non conosco miglior toccasana. –

Anna squadrò il liquido contenuto nella boccetta, attratta. Ma poi scosse la testa: - No, non credo sia una buona idea. –

-Suvvia, marchesa, non vi fidate di me che sono quasi un medico? –  domandò in tono persuasivo.

Il liquido luccicava nella boccetta alla luce fioca delle candele, invitante, suadente. Quel che ci voleva. Un rimedio efficace che le avrebbe concesso quel riposo che da giorni stentava a trovare, che avrebbe cancellato in un istante tutti i suoi tormenti concedendole un sonno senza sogni. Senza l’immagine costante di Antonio davanti agli occhi. Cos’avrebbe dato per una cura del genere? Cos’avrebbe pagato per spazzar via dalla sua mente quei fantasmi? Oro. Avrebbe pagato oro. Invece le veniva offerto, anzi quasi la si supplicava di accettare questo dono. Nessuno sforzo, bastava un cenno di assenso e la soluzione ai suoi mali sarebbe stata a portata di mano. Che aspettava ad accettare l’aiuto che Jerome le porgeva?  Fissò ancora per qualche istante la boccetta, quasi ipnotizzata, poi domandò appena sussurrando:

-Quanto ne serve per un sonno senza sogni? –

- Qualche goccia basta. Vi preparo io la dose giusta. Solo servirebbe un bicchiere d’acqua in cui diluirlo.-

Allettata dalla possibilità di un facile rimedio, irretita dalle parole di Jerome, come in stato di incoscienza, propose:

-Nella mia stanza. –

Jerome la seguì sorridendo e stringendo soddisfatto la boccetta nella destra. Percorsero silenziosi i corridoi bui e solitari finché giunsero davanti alla porta della stanza della marchesa. Anna abbassò la maniglia e, dopo una lieve esitazione, fece il suo ingresso nella camera semibuia. Jerome attese educatamente sulla soglia, studiando con occhio attento la disposizione degli oggetti, l’arredamento raffinato, il mobilio sfarzoso, la seta color porpora del baldacchino. Anna si diresse con passo felpato verso il tavolino vicino alla finestra. Su di esso una brocca di porcellana e un bicchiere. Jerome, nel buio, sentì il rumore dell’acqua versata e udì la voce della marchesa chiamarlo:

-LeBlanc, entrate, di grazia, non restate sulla soglia. –

Con fare discreto e riguardoso, fingendo ritrosia, Jerome tentennò per qualche istante sulla porta, fin quando Anna non lo incoraggiò con sguardo eloquente. Entrò quindi richiudendo la porta dietro di sé.

-Date a me. Ci penso io a prepararvi la razione. Poche gocce, niente di più. Fidatevi! – disse prendendo delicatamente il bicchiere dalle mani di lei. Si voltò per ricevere la fioca luce della candela a muro, facendosi scudo con il corpo versò metà del contenuto, sciogliendolo nell’acqua. Si rivoltò. Con un sorriso rassicurante le porse il bicchiere. Anna lo ringraziò con lo sguardo, mostrandogli gratitudine coi suoi splendidi occhi, vagamente malinconici. LeBlanc sorrise abbassando il viso. Senza tradire la minima smorfia per il sapore amaro, Anna trangugiò d’un fiato il contenuto del bicchiere. Jerome s’intrattenne ancora per un po’ a magnificarle i benefici del laudano, da lui più volte sperimentati. Anna sembrava seguirne i gesti eloquenti con sguardo sempre più offuscato e sorriso incosciente. Non riusciva più a mettere a fuoco dove si trovasse, se fosse giorno, sera, notte, che cosa stesse facendo e pensando. Un grande languore si impadronì delle sue membra, una spossatezza mista, però, ad una strana eccitazione dei sensi. Vedeva e non vedeva, sentiva e non sentiva. Tratti di coscienza intermittenti. Fece per accasciarsi a terra, in preda a un mancamento, ma venne prontamente sorretta dalle braccia di Jerome. Gli si avvinghiò al collo, incurante del suo gesto; si strinse a lui come ad uno scoglio in un mare in tempesta. Solo allora si accorse delle sue labbra sul proprio collo, delle mani che le accarezzavano la schiena provocandole brividi di piacere. Che stava succedendo? Non riusciva in quel momento a darsi una spiegazione razionale. Ma la sensazione le piaceva. Le piaceva anche troppo. Trascinata da una forza irresistibile, si trovò a baciare avidamente le labbra di Jerome, accarezzargli i capelli quasi a volerglieli strappare, con una passione inconsueta, disinibita, senza alcun freno. Non passò molto che si ritrovò spogliata dalla veste di gala, con indosso soltanto una leggera sottoveste di pizzo. Ma il calore che provava dentro di sé le impose di levarsi anche quella con uno scatto improvviso, che stupì per la sua foga lo stesso Jerome, che se la ritrovò completamente nuda fra le braccia. Non ci pensò due volte a trascinarla su letto, spogliandosi a sua volta degli abiti eleganti di quella sera. Non le permise altra reazione se non quella di ghermirgli con le mani la schiena nuda e incollargli le labbra tra il collo e il petto. Rotolarono tra i cuscini, pervasi da un impeto quasi selvaggio, una smania di possesso e avidità ad Anna sconosciuta. Non la violenza di Alvise, non la dolcezza di Antonio: un’accensione dei sensi, un desiderio cieco e folle che non riusciva, obnubilata, a dominare.

Nella passione del momento nessuno dei due sembrò accorgersi di quello che stava realmente succedendo: si trovavano entrambi a soddisfare un desiderio deluso da un’altra persona. O forse se ne accorgevano e cercano consapevolmente una rivalsa? Anna non si diede alcuna spiegazione, si limitò a farsi trasportare dal turbinio della passione, soffocando tra i baci di Jerome tutto il risentimento, l’angoscia e la frustrazione di quei giorni.

 

Dei passi risuonarono nel corridoio nella luce livida dell’ultimo scampolo di notte che precede l’alba. Poi un bussare sommesso alla porta, le nocche che con esitazione colpivano ripetutamente il legno, prima leggermente poi con maggior decisione.

Aprì gli occhi di scatto. La candela a muro, ormai consunta, spandeva gli ultimi bagliori, disegnando ombre sinistre sulla parete, mentre fuori il cielo si stava ormai spogliando del nero della notte. Una leggera brezza si insinuò dalla finestra socchiusa e tutta la stanza fluttuò nella luce incerta. Ma tanto le bastò per accorgersi di quel che era successo: il torace glabro, le sue braccia attorno ai suoi fianchi, i capelli biondi disciolti sui cuscini. No, non era Antonio l’uomo che le dormiva accanto. Sussultò all’ennesimo colpo battuto alla porta. Si portò le mani agli occhi, turbata, sconvolta, disperata. Che aveva fatto? Come era stato possibile arrivare a tanto? Non riusciva a rievocare ricordi nitidi di quella notte, solo una gran confusione. E un feroce senso di colpa. Trattenne il fiato e finse di non sentire quel bussare discreto, di chi sa chiedere permesso, di chi non conosce prevaricazione. Trattenne il fiato e insieme le lacrime. Finché il rumore cessò.

 

Era stata una notte concitata, più del previsto. Non era riuscito a rientrare per tempo e di questo non si perdonava. Questo pensava mentre spronava con vigore il cavallo attraverso la campagna, mentre la notte cedeva il passo ai bagliori dell’alba. Era tardi, molto tardi, quasi giorno, eppure non resistette e si diresse verso la stanza di lei: voleva farsi perdonare, voleva parlarle prima di abbandonarsi al meritato riposo. Sperava di trovarla sveglia, appena ritiratasi dai festeggiamenti: aveva infatti incontrato gli ultimi ospiti che salivano sulle carrozze nel piazzale. Ma non se la sentì di abbassare la maniglia e irrompere senza preavviso, spaventandola. Bussò. Bussò più volte, chiamando il suo nome a mezza voce. Niente. Dormiva.

-Buonanotte, amore mio – sussurrò, la fronte appoggiata allo stipite. Poi riecheggiarono i suoi passi lungo il corridoio, mentre la luce dell’alba si faceva gradualmente strada.

   
 
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