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Autore: KyraPottered22years    16/03/2018    1 recensioni
Lo osservò nella tenue luce del crepuscolo. In quello sguardo nero pece, quegli occhi parevano urlare qualcosa. E lei riusciva a capirlo, avrebbe potuto capirlo anche se lui avesse indossato quella maschera. Improvvisamente sentì di vivere in un sogno, in una bugia, mentre lo sguardo di lui le penetrava l'anima, marchiandola dall'interno.
Il sangue scorreva ardente nelle loro vene. Parole non dette, sussurravano nel nulla. Mani desiderose di toccare, con l'aspra consapevolezza di non poterlo fare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Luke Skywalker, Nuovo personaggio, Rey, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Redemption



18



Guardò il padre nella tenue luce, che illuminava quella stanza con una sola lampadina  posizionata sulla scrivania in metallo. Il mantello dell’uomo strisciava sul tappetto, avanti e indietro, come gli scarponi che calpestavano il medesimo pezzo di antiquariato.
Quella stanza era arredata malissimo: era piena di dettagli che non c’entravano con lo stile moderno e scialbo. Quelle quattro mura che contornavano quei dieci quadrati di pavimento rappresentavano la personalità turbolenta e tormentata della residente. Ogni cosa, ormai, le sembrava ricordare quanto stesse male dentro. Ogni cosa sembrava sbatterle in faccia, come uno schiaffo su una guancia, quanto fosse malvagia, meschina.
Un mostro.
Darth Gier era venuto a visitarla nel pieno della notte, «E’ l’unico momento sicuro per parlare», le aveva detto quando lei gli aveva aperto la porta.
Rey sapeva quanto lui fosse ambizioso e quanto bramasse il potere, ma mai si sarebbe aspettata quello che lui le aveva appena detto.
 «Ora che i ribelli hanno il coltello dalla parte del manico, bisogna agire con cautela e con grande abilità.» Si avvicinò alla figlia, seduta sul letto, i piedi nudi a toccare le mattonelle metalliche.
 «Abbiamo già rafforzato le difese in ogni nostra base, non possono davvero sperare di batterci su qualcosa che noi conosciamo meglio di loro.» Finse che l’argomento le interessasse davvero, rendendosi partecipe attivamente a quella conversazione.
 «No, hai ragione. Ma la Cancelliera Solo non è stupida, questo lei lo sa.»
Il cuore di Rey si strinse in una morsa e le fu inevitabile abbassare gli occhi per non lasciare traspirare troppo quell’emozione.
Padme Solo, la compagna di allenamenti, l’amica fedele, ad avere sempre un consiglio pronto, la sorella che non aveva mai avuto.
E che aveva perso.
 «Come pensi lei voglia agire?» Riuscì a domandare, giusto per non farlo insospettire troppo.
 «Non ne ho idea, non ho ancora notizie dai droni-spia. E’ sicuro però che prima o poi, punteranno comunque all’unico loro obiettivo.» Fece una pausa perché, con lo sguardo illuminato da una luce inquietante, la stava invitando a completare la frase.
 «Snoke.» Disse Rey in un sussurro incerto. «Prima o poi punteranno su Snoke.»
 «Esattamente.»
 «Beh, questo in un certo senso si è sempre saputo.»
 «Ma loro non se lo aspetterebbero, se fossimo noi a giocare d’anticipo.»
Rey sgranò gli occhi, si alzò in piedi e lo guardò esterrefatta. «Hai intenzione di uccidere il Leader Supremo?» Urlò quasi e un secondo dopo si ritrovò stesa sul materasso, con una mano a massaggiarsi la guancia dolorante. Si voltò nuovamente verso di lui. «Era davvero necessario?» Ringhiò.
 «La prossima volta assicurati di avere un microfono che ti metta in comunicazione con tutta la galassia.» Le disse con un sarcasmo tagliente. Si guardarono negli occhi per un paio di secondi, in silenzio, poi Gier cedette a quello scontro aperto di sguardi e si avvicinò alla figlia ancora una volta, si sedette e con la stessa mano con cui le aveva dato un ceffone, le lasciò una carezza sulla fronte.
 «Il Leader Supremo è anziano, alcune sue decisioni sono assurde e ora che i ribelli hanno le nostre informazioni più segrete, non possiamo commettere alcun passo falso.» Fece una piccola pausa, per poi domandarle: «Lo capisci questo?»
Rey annuì in risposta, allontanando il proprio corpo dalla mano di lui. Gier comprese quella mossa e si lasciò scappare un sorrisetto ambiguo. Tempo fa Rey, vedeva quelle attenzioni come quell’amore paterno che non aveva mai avuto, si lasciava picchiare, per poi accarezzare. Ma ne aveva abbastanza di quel falso affetto.
Sapeva di essere solo uno strumento nelle mani di Gier, a lui interessavano solo i suoi poteri, nient’altro di più. Il padre non provava alcun amore nei confronti della figlia, come non lo aveva mai provato nemmeno verso la moglie, Kalisa.
L’uomo si alzò in piedi e camminò velocemente verso la porta. Prima di aprirla, si voltò verso di lei, che si era accucciata in posizione fetale, dandogli le spalle.
Gier sorrise ancora, un sorriso che celava le intenzioni più estreme e oscure pur di raggiungere ciò che ambiva da molto tempo.
Aprì la porta giusto quel poco per poter strisciare via come un serpente e la chiuse dietro di sé, in un tonfo così violento che scosse Rey in un brivido diverso da quelli che attraversavano di già il suo corpo, provocati dai singhiozzi disperati.



 
°

 

Il terzo sole era appena sorto fra le colline, la grande stella si stava per staccare dal suolo, per raggiungere le altre due gemelle nel limpido cielo azzurro.
Sorseggiava un bicchiere di vino nel vasto balcone delle sue stanze, seduto su una comoda poltrona. Si beava di quell’attimo di pace dopo vari giorni pieni di tensione. La Repubblica di Daan godeva di tanti privilegi, dovuti dal suo stato di perenne pace e neutralità, ma molti cittadini si erano stancati di non prendere mai parte alla guerra galattica.
Suo padre e suo nonno si erano rifiutati di partecipare a una singola battaglia, entrambi erano dell’opinione che un popolo si sarebbe mantenuto in perfetta stabilità se sarebbe stato il più lontano possibile dalla guerra.
E poi c’era lui, che governava da quasi un anno. Aveva già fatto diverse cose che lo avevano reso un presidente moderno, diverso dagli altri della sua dinastia, gli Aiken.
Aveva visto molte cose insolite in quei mesi, ma mai inaspettate quanto la richiesta di un incontro con la Resistenza. Sapeva già cosa volevano i ribelli da lui: un’alleanza.
Bevve l’ultimo sorso di vino e si leccò le labbra carnose, assaporando le ultime tracce dell’amara dolcezza della bevanda sulla punta della lingua. Non appena poggiò il calice di cristallo sul tavolino accanto a lui, il rumore di una navicella non familiare catturò la sua attenzione ancora una volta verso il cielo.
Vide una nave della resistenza volare oltre il palazzo, seguita successivamente da quella che era la navicella che più aspettava di vedere.
Il Millennium Falcon.
Si alzò in piedi e con la testa ne seguì, per quanto gli fu possibile, la velocissima traiettoria. Sorrise appena. Entrò in stanza e andò davanti allo specchio, si abbottonò la camicia e indossò la lunga giacca formale. Quando stava per aprire la porta, sentì bussare. Pigiò il bottone al lato dello stipite metallico e si ritrovò davanti un servitore.
 «Signore, i ribelli sono qui.»
 «Lo so.» Rispose, con quel sorrisetto ancora stampato sulle labbra.


Le avevano consigliato di indossare un abito regale, ma Padme odiava quelle cose da lei definite pompose. Infatti, indossava la sua solita uniforme, la spada laser al fianco, i capelli lunghi completamente sciolti.
Se devono definirmi un leader o meno, non saranno quattro treccine o una gonna lunga a fargli cambiare idea, aveva risposto dieci minuti fa a C3PO, quel droide stava sempre a preoccuparsi degli usi e costumi dei pianeti.
Aveva deciso di portare con sé sei soldati ribelli, tra cui Poe e Armitage, due consiglieri e Ben. Sapeva che avrebbe dovuto avere un colloquio ristretto con il Presidente, ma aveva preferito presentarsi con una buona scorta.
Furono accolti, non appena atterrati, dallo stesso servitore Twi’lek del messaggio olografico, li accompagnò al palazzo su un veicolo volante, mostrando anche alcune parti importanti della città.
Daan era un pianeta fertile e verdeggiante, tutti i visitatori si stupirono di come la civilizzazione de La Capitale non avesse danneggiato tutta quella flora e fauna. Umani e Twi’lek, principali razze presenti nel pianeta, erano in perfetta armonia con natura e tecnologia. L’architettura rimandava allo stile regale e classico della Vecchia Repubblica, modernità e antichità si mescolavano creando qualcosa di maestoso e particolare.
Quello sarebbe stato il futuro che avrebbe voluto dare a tutta la galassia, una bellissima civiltà, pacifica, governata da una Repubblica stabile, pronta ad ascoltare ogni cittadino, a risolvere con poche difficoltà ogni problema. Suonava tutto come una grossa illusione, ma Padme ci sperava ancora così tanto, e se si trovava lì era proprio per la forza di volontà che aveva, nonostante tutto.
Oltrepassarono le porte del palazzo e appena entrati, percorsero il lungo e largo corridoio pieno di navate, davanti a loro, un’elegante scalinata che portava a tre ascensori panoramici.
Prima di salire i gradini, il Twi’lek fermò il suo tour (non smetteva mai di parlare o di raccontare in breve la storia di ogni monumento su cui si abbattevano) bloccandosi sui suoi passi.
Si voltò e si rivolse alla Cancelliera. «Arrivati qui devo chiedervi di deporre le armi.»
Prima di rispondere, ebbe un attimo di esitazione. «Va bene.»
 «E solo due di voi possono avere un colloquio nella sala magna con il Presidente.»
 «Questo è davvero troppo.» Sibilò piano un consigliere e fortunatamente fu sentito solo da chi aveva vicino.
 «Non c’è problema, avanzeremo io e il Capitano Solo.»
 «Perfetto. Grazie della vostra collaborazione.» Disse con un sorriso, vedendo che tutti i soldati si liberavano delle armi e le poggiavano sugli scalini.
I due fratelli si avvicinarono verso un ascensore, ma non furono seguiti dalla guida, che richiamando la loro attenzione, disse: «Signori, anche voi dovete deporre le vostre armi.» E con un lungo dito indicò le due spade laser che entrambi portavano agganciate alle proprie cinture.
Ben si avvicinò di molto a lui, azzerando quasi la distanza, alzò una mano davanti al volto del Twi’lek e muovendola pronunciò: «Non c’è bisogno di deporre le spade laser, possiamo proseguire così.»
Gli occhi gialli e rosa della guida si fecero assenti e le sue labbra violacee ripeterono: «Non c’è bisogno di deporre le spade laser, potete proseguire così.»
Il viaggio in ascensore fu breve, grazie alla sua strabiliante velocità, e soprattutto silenzioso.
Le porte si aprirono per far affacciare i tre in una sala grande, al centro si trovava un grandissimo tavolo olografico ovale, vi erano solo poche persone attorno, studiavano e discutevano su alcune questioni a bassa voce.
Quando sentirono il rumore dei passi estranei, si voltarono verso i due, che pian piano avanzavano verso di loro. Non appena si fermarono a pochi metri dal tavolo, il Twi’lek che fin ora li aveva accompagnati, aprì bocca per dire.
 «Signor Presidente, questi sono-»
 «Non ce n’è di bisogno, Tohru.» Un uomo alto e dalla capigliatura riccia e scompigliata, che fino a quel momento era stato nascosto dalle proiezioni olografiche, camminò lentamente verso gli ospiti. «Grazie per averli accompagnati fin qui.»
La guida Tohru andò via, congedandosi con una riverenza.
Solo in quel momento Padme ebbe la possibilità di focalizzarlo per bene.
Ci aveva pensato molte volte all’aspetto che avrebbe potuto avere e mai si sarebbe aspettata quella semplicità, genuinità. C’era una sincerità vera negli occhi nocciola del giovane uomo, occhi che la guardavano per la prima volta sostando anche un po’ più del dovuto.
 «E’ un onore, avervi qui fra di noi.» Allungò un braccio verso Ben e i due si strinsero le mani. Si voltò nuovamente verso la ragazza e, avvicinandosi sorprendentemente in un attimo, le porse la mano. Padme indugiò per un bel po’, impreparata e indecisa, il suo viso si tinse di una tonalità più rosea del solito.
Solo quando la situazione stava per diventare davvero imbarazzante, capì che avrebbe dovuto poggiare le sue dita su quelle di lui. Così fece. Senza distogliere lo sguardo da quello nero pece di lei, con le labbra a pochi centimetri dal dorso della sua mano, disse: «Fare la vostra conoscenza mi rende pieno di felicità, Cancelliera Solo», per poi baciarle quel lembo di pelle. Da quel punto, si propagarono una miriade di scosse nel corpo di Padme, ma non diede a vederlo nemmeno un po’. Si mantenne composta e professionale, ritirando la mano con furtività.
 «Signori, vi dispiacerebbe continuare questa discussione più tardi?» Il Presidente si voltò, rivolgendosi a quelli che dovevano essere i suoi consiglieri, nel frattempo Padme lanciava un’occhiata al fratello, che aveva in faccia un espressione indecifrabile agli altri, ma comprensibile per lei. Rimasero solamente in tre in quell’enorme stanza e l’uomo invitò gli ospiti a sedersi in un salottino lì vicino. Fece portare un tè speciale, di colore blu e dal sapore fruttato, e un tavolino pieno di dolcetti profumati. Eppure nessuno toccò nulla, tranne che un sorso di tè. Nel frattempo, nel momento in cui si erano seduti, Ben studiava l’uomo che aveva davanti con distacco e freddezza.
 «La cosa che mi stupisce di più è: come facevate a sapere il nostro segreto stato di neutralità?» Chiese gentilmente, con quella voce profonda e morbida.
 «Abbiamo le nostre fonti d’informazione.» Si limitò a rispondere Padme, facendo intendere che ovviamente c’era dell’altro sotto. Il Presidente sorrise, sostando con lo sguardo negli occhi di lei.
 «Capisco.» Rispose, posando la tazza di tè sul tavolino di fronte. «Avete intenzione di parlare subito di affari.»
 «Vorrei evitare i convenevoli, non mi sono mai piaciuti.» Affermò risoluta, imitando gli stessi movimenti di lui con la tazza.
E’ ora che tu vada via.
Ben la guardò velocemente e, in un cenno impercettibile di assenso, si alzò in piedi. «Devo ritornare giù dai miei soldati, grazie per l’ospitalità, Signor Presidente.»
 «Grazie di cosa?» Chiese, ammiccando al tono serio del Capitano.
Prima di andar via, Ben parlò un’ultima volta nella mente della sorella: sta attenta, questo tizio non mi piace per niente.
Padme ingoiò un fiotto di saliva e scosse un po’ la testa, come per concentrarsi sulla discussione che avrebbe dovuto affrontare.
Rimasero in silenzio fino a quando le porte dell’ascensore non si chiusero, fu lui a parlare per primo, chiedendole se si sarebbe sentita a suo agio se si sarebbero dati del tu.
 «Sto benissimo, Presidente, non c’è alcun bisogno che vi preoccupiate di-»
 «Chiamami Caleb.»
Padme lo guardò fissò negli occhi per un po’, respirò a lungo e profondamente, accantonando quell’idea che le era venuta in mente, in modo tale da mantenersi più professionale possibile.
 «Se questo ti aggrada, lo farò.»



Si voltò dietro di sé e la vide sdraiata, sul prato verde del giardino del palazzo Presidenziale di Daan. Aveva sentito la forza vibrare rumorosamente, lo aveva obbligato a cercare la provenienza di quella veemente energia.
Anche lei se ne era accorta, ma, sapendo già di cosa si sarebbe trattato, mostrò una falsa indifferenza. Rimase sdraiata sul letto, mentre lui, nella mente di lei, se ne stava lì davanti, a pochi passi.
 «Dove mi vedi sdraiata?» Sussurrò, quasi come se quella domanda fosse un pensiero fuoriuscito dalla sua bocca troppo velocemente.
 «Su un prato d’erba,» rispose lui, distogliendo lo sguardo dal suo corpo, poiché nella sua mente aveva ancora l’immagine di tutto quel dolore impresso nella pelle. «accanto a un cespuglio di rose.»
Rey simulò un sorriso, quasi uno sbuffo, e disse: «Le rose, l’amore eterno» con un’ironia raggelante.
 «Quello che sarei stato pronto a giurare.» Aggiunse Ben, rispondendo alla provocazione. Fu in quel momento che Rey aprì gli occhi e in movimenti agili e veloci si alzò in piedi.
 «Quello che sarei stata pronta a giurare, anch’io.»
 «E allora perché lo hai fatto?!» Urlò così forte che degli uccellini smisero di canticchiare il loro dolce cinguettio, così forte che lo orecchie di Rey assimilarono quell’urlo con dolore, così forte che Ben sentì il proprio cuore tremare.
 «Non lo so.»
 «Non lo… sai?» La sua rabbia era sull’orlo di prendere il sopravvento. Cercò di calmarsi, invano. Era troppo arrabbiato, furibondo. Con lei, con la realtà, con la morte, con il Lato Oscuro e il Lato Chiaro.
Col Bene e il Male.
Non ci capiva più nulla.
Rey avvertiva quella confusione.
 «Solo da qualche giorno sto riacquistando le mie piene facoltà di intendere e volere.» Spezzò quel silenzio, cambiando discorso, pur di calmarlo. Sapeva che magari interrompendo quel legame, avrebbe fatto prima, ma non voleva lasciarlo da solo, in quelle condizioni. Interrompere un altro legame avrebbe provocato un ennesimo potente mal di testa ad entrambi, dovevano lasciar sfogare quella Forza dentro di loro.
Ben alzò gli occhi, smise di camminare avanti e indietro per la stanza, (anche se in realtà stava distruggendo delle povere margherite) e la guardò con uno sguardo tremante, pieno di ira, eppure non di odio.
 «Prima che io… scappassi via, da un paio di giorni facevo strani incubi, continuavo ad avere delle visioni anche di giorno, pensavo di essere impazzita.» Più lei parlava, più lui regolarizzava il respiro. «Non volevo fare sapere nulla né a te, né a nessuno, eravate tutti così presi dalla guerra che… qualcuno o qualcosa controllava le mie volontà, i miei pensieri, perfino le mie parole. Mi sono sentita un burattino per tutto questo tempo.» Alcune lacrime solitarie solcarono le palpebre di Rey, ma la sua voce rimaneva ferma e decisa, non c’era incertezza, semplicemente celava la felicità di poter essere libera di dar sfogo ai suoi pensieri. Ben la guardava indeciso, ancora più confuso di prima. Crederle? No, stava mentendo. Spudoratamente, sì. Doveva essere così. In modo tale che lui potesse cedere nuovamente, com’era successo la sera prima della partenza per Daan.
 «Sei libero di credermi o meno, l’importante è che l’abbia detto ad alta voce, sia a te e specialmente a me.»
 «Dammi un solo, unico motivo per cui io debba crederti.» Si avvicinò a lei così tanto che i loro respiri sulla pelle, per un attimo, sembrarono reali.
Rey lo guardò negli occhi intensamente, come non faceva da tanto tempo. Ingoiò un fiotto di saliva. Diglielo? Non diglielo? Perché le interessava così tanto la sua opinione? Tanto l’avrebbe odiata sempre e comunque.
Ma il lato Chiaro prevalse su quello Oscuro per la prima volta dopo tanto tempo, dopo tanti anni.
 «Darth Gier ha intenzione di uccidere Snoke prima che lo facciate voi per primi.»
 «Cosa?» Ben trattené il fiato, anche se non lo diede a vedere.
 «Dice di volerlo fare per il bene del Primo Ordine e dell’Impero, ma in realtà lo fa per la sua corsa al potere supremo.»
Ben si allontanò da lei, camminando lentamente. I suoi occhi saettavano a destra e a sinistra velocemente, riflettendo, pensando, elaborando teorie su teorie, calcoli su calcoli.
E i conti tornavano.
Si voltò dietro e si sforzò con tutta la Forza che possedeva per poter entrare nei suoi pensieri.
Diceva la verità.
Su Snoke.
Su Gier.
Su se stessa.
Quello sforzo però gli costò un improvviso indebolimento, tanto che fu costretto a sedersi, per poi sdraiarsi. Quando cercò di aprire gli occhi, mentre un fiotto di sangue gli fuoriusciva da una narice, lei non era più lì.
I legami di Forza fra i due erano instabili, violenti e richiedevano uno sforzo sovrumano, e uno sforzo ancora più intenso se si cercava di interromperlo.
Queste complicazioni erano dovute al blocco durato anni.
Rey lo vide scomparire quando si era sdraiato sul pavimento, improvvisamente. Urlò il suo nome, come se avesse potuto farlo ritornare indietro.
Solo quando sentì nella sua testa una strana sensazione di vuoto, capì che quel legame era stato interrotto dal tentativo di lui di leggerle nel pensiero.
Un tentativo riuscito.
E si sentì ancora più nuda ed esposta dell’ultima connessione.








nda.

scusate se mi sono fatta attendere, ma ho avuto problemi con la connessione wi-fi.
Continuate a farvi sentire, mi fa piacere leggere le vostre recensioni! Nel weekend posto il capitolo 19.

Un abbraccio

kyra

 
  
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